La scomparsa di Guillaume Faye
Un romantico della politica
Il sette marzo è morto Guillaume Faye (nella foto). Avrebbe compiuto settant’anni
il prossimo novembre. Era da tempo malato. Tra gli
anni Settanta e Ottanta del secolo
scorso rappresentò l’ anima volontarista,
romantica, della Nouvelle Droite: se si
ci si passa la metafora sacrilega, Faye incarnò l’attivismo dei primi ordini
mendicanti, mentre Alain de Benoist, ne era l’anima
benedettina, dedita esclusivamente allo studio e al lavoro culturale.
Infatti, inevitabilmente, a un certo punto le due
anime si separarono. Senza, crediamo, perdere la stima reciproca, come del
resto testimonia una lunga intervista, vingt ans après (per dirla con Dumas padre) a “Éléments”, dove Faye confessò, tra le tante cose interessanti, amichevoli e simpatiche raccontate, di essersi dedicato, a tempo perso, anche alla frequentazione dei set dei film pornografici. Agli amanti del genere, il
compito di recuperarne i preziosi fotogrammi.
Quella che può sembrare una
battuta, evidenzia invece bene, ciò che può essere definito il lato
dannunziano di Faye, romantico, politicamente romantico, tutto genio e sregolatezza.
Genio, perché in opere come Le système à tuer les peuples (1981) e La Nsc : Nouvelle société de consumation (1984) tradusse, non senza un brillantissimo tocco
personale, ad uso e consumo dell’estrema destra, in larghissima parte sociologicamente illetterata, il complicato e raffinato lessico sociale della Scuola di Francoforte
e della microfisica strutturalista del
potere di Foucault, che lui, Faye, con robusta formazione da scienziato sociale, conosceva a memoria.
Sregolatezza, perché, da
romantico politico, Faye non comprese mai i
tempi lunghi della politica, che invece
un suo caro amico italiano, trasferitosi in Francia, Giorgio Locchi, ben
conosceva, mettendolo in guardia. Di qui,
quel suo romantico gravitare,
rimproveratogli, crediamo, anche dal Benedettino Parigino (via Tours), negli ambiti delle
sregolatezze della politica politicante. Un voto francescano di rinuncia cognitiva, quello di Faye, frutto di un volontarismo, forse caratteriale, e di una incomprensibile incomprensione, nonostante la sua formazione
sociologica, delle durezze selettive
della politica: un mondo in cui, di regola, gli amici diventano nemici e gli amici nemici, secondo
il rapsodico, ma ferreo, gioco degli interessi, dei poteri e dei carismi rivali, veri o falsi che siano.
Il che spiega, per contro, perché
Alain de Benoist, da buon benedettino delle idee, e profondo conoscitore delle regolarità metapolitiche, abbia, sempre preferito, e giustamente, l' ora et labora. E perciò di tenersi alla larga dall'influsso venefico dell'occasionalismo, come adesione, occasionale, alle cause politiche più diverse, pur di poter cambiare la realtà.
Per inciso, sarebbe interessante, se
esistesse, studiare la corrispondenza tra i due maggiori intellettuali della Nuova destra
franco-italiana dopo Alain de Benoist:
Locchi e Faye. Ma sarebbe interessante indagare - altro inciso nell' inciso - anche i rapporti intellettuali, tra Faye e Robert Steuckers, altro nomade d'ingegno della Nouvelle Droite, ramo dinastico franco-belga. Ovviamente, anche la non breve sinergia Faye-De Benoist è tutta da ricostruire. E capire ( e gustare) nelle sue sfumature.
Sregolatezza intellettuale, dicevamo, che
si evince, sul piano cognitivo, anche da
un libro come Archéofuturisme
(1998), dove l' approccio strutturalista di Faye, insomma da sociologo, fa a pugni con la sua sensibilità da individualista romantico della politica. Infatti, il lavoro, a un certo punto slitta, per assumere, tecnicamente parlando, la forma del romanzo utopico in chiave sovrumanista. Poesia contro prosa sociologica. versi contro concetti, materiali tellurici, forse, da dissidenti della ragione.
Il mix di futurismo e
tradizionalismo, che innerva il pensiero
di Faye, a un tempo sociologico e post-sociologico, non è altro che la perfetta
incarnazione, quasi da manuale, di quel romanticismo politico, come insegnava Carl Schmitt, che conduce
inevitabilmente all' occasionalismo. Infatti,
Faye, autore di un trentina libri, spazia dal terzomondismo, al protezionismo economico, dall’eurasismo,
seppure riveduto e corretto, fino allo spezzare una lancia in favore di
Israele e del Giudaismo in chiave anti-islamica. Tutto e il contrario di tutto.
Provocando così inevitabili soprassalti culturali
nei suoi lettori, prevalentemente di estrema destra. I quali però, imbevuti
dello stesso romanticismo politico, ma di regola, di gran lunga culturalmente inferiori, tendono tuttora a scorgere in Faye, senza avvedersi dei
problemi di scala cognitiva ed euristica, una specie di reincarnazione del filosofo Nietzsche. Che però, detto per inciso, non aveva mai
studiato sociologia. E che quindi non era a conoscenza come Faye, degli inesorabili rotismi della macchina sociale. Un aspetto, quello dei determinismi sociali, che resta tra i più interessanti dell'opera di Faye, seppure nascosto, se non addirittura sepolto, sotto l'abbondante cenere dell'occasionalismo politico.
Del resto, in Francia, il suo La nouvelle
question juive (2007), venne attaccato da un'estrema destra
antisemita, "diversamente" occasionalista. Mentre in Italia attende ancora di essere tradotto. Il che, tra l’altro,
la dice lunga sull’antisemitismo, oggi mascherato da antisionismo,
dell’editoria neofascista. Sotto questo aspetto le frizioni, talvolta cortocircuiti, tra gli stilemi del radicalismo di destra, refrattario alla sociologia, e le intuizioni sociologiche di Faye, come dicevamo, di derivazione strutturalista, andrebbero ricostruite e studiate.
Con Faye, scompare
un romantico della politica. Evidentemente, stanco di vagare d’un château l’autre, aggredito dal male, ha preferito chiudere gli occhi, appuntiti e mobilissimi. In cerca di riposo.
Carlo Gambescia