*********************senza "metapolitica" si finisce sempre per fare cattiva "politica"*******************
martedì 25 giugno 2013
lunedì 24 giugno 2013
Cara donna Mestizia,
io sono un'atleta e
non ho competenze da commercialista. Sono una persona onesta. Ho vinto diverse
medaglie, un oro olimpico e decine di campionati italiani e mondiali. Ho
faticato da sempre nello sport. Voi non sapete cosa possa significare la
stanchezza nelle competizioni sportive.
Mia Eccellenza V.
Teresa Ibidem
Vostra Eccellenza
Ibidem,
però sappiamo che
cosa può significare la stanchezza nelle competizioni elettorali. Nell’ultima,
per esempio, più della metà degli elettori non ce l’ha fatta ad arrivare ai
seggi.
* * *
Cara donna Mestizia,
agli insulti di cui
sono fatta oggetto, non rispondo. Ho sempre lottato per un linguaggio non
violento e questo impegno lo mantengo.
Mia Eccellenza Vispa
T. Kikuyu
Vostra Eccellenza
Kikuyu,
Lei ha tutta la mia
solidarietà. Come diceva il Presidente americano Theodore Roosevelt, “Parla
piano e porta un grosso piccone”… o era “bastone”? Non ricordo.
* * *
Cara donna Mestizia,
l’unico antidoto
alla paura è la conoscenza reciproca. Solo così si abbattono le barriere. Il
mondo non è più lontano, ormai è qui, in casa nostra.
Mia Eccellenza Vispa
Teresa Bollini
Vostra Eccellenza
Bollini,
concordo. Alla
Presidenza della Camera dei Deputati Lei è sprecata: dovrebbe semmai presiedere
la Camera
degli Ospiti.
* * *
Cara donna Mestizia,
ho chiuso col porno,
manterrò attivo il mio impegno nel campo dell'istruzione.
V. T. Vasha Drey
Cara V.T. Vasha
Drey,
chi meglio di Lei
rappresenta la linea culturale che ci illustra più sopra Sua Eccellenza
Bollini? Conoscenza reciproca unico antidoto alla paura, barriere da abbattere,
il mondo in casa nostra…E’ ben documentato, inoltre, il Suo coerente rifiuto di
ogni forma di razzismo. Fossi in Lei, manderei il curriculum a Palazzo Chigi.
Chissà, al prossimo rimpasto ministeriale…
Roberto Buffagni è un
autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo
fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli,
con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo
spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma,
dell’oggettistica vintage...
sabato 22 giugno 2013
Oscenità
Rompere gli indugi
graffiare con le mani nude
vedere dentro questa cecità
essere osceni quanto basta
per urlare che la misura è colma.
Nicola Vacca
graffiare con le mani nude
vedere dentro questa cecità
essere osceni quanto basta
per urlare che la misura è colma.
Nicola Vacca
Nicola
Vacca è nato a Gioia del Colle e vive a Salerno. È scrittore, opinionista,
critico letterario, collabora alle pagine culturali di quotidiani e riviste.
Svolge, inoltre, un’intensa attività di operatore culturale. Tra i suoi libri
di poesia, ricordiamo, Civiltà delle anime (Book) , Incursioni
nell’apparenza ( Manni), Esperienza degli affanni,Almeno un grammo di
salvezza (Edizioni Il Foglio), Mattanza dell' incanto ( Marco Saya Edizioni).
venerdì 21 giugno 2013
Tony Soprano
o della
banalità del male
Ci piaceva molto
James Gandolfini nella parte di Tony Soprano: mafioso depresso e
padre affettuoso, spietato boss di mezza tacca, ma pieno di rimorsi,
rimpianti e complessi. Eppure incapace di fermarsi, perché sospinto
dalla pervasiva leggerezza della routine.
Un ruolo molto
articolato, magnificamente interpretato in tutte le sue sfaccettature e persino
sfumature. Evitando, anche per merito degli autori, di incorrere, per
fare solo alcuni esempi, nel manierismo di Marlon Brando, nei ghigni di
Robert De Niro e nei deliri di Al Pacino. D’altra parte
parliamo di tre divi obbligati a immedesimarsi in caricature di
mafiosi. E non in personaggi autentici come Tony Soprano.
Peccato che James
Gandolfini sia morto, prima di poter offrire, come si dice, altre grandi
prove attoriali. La terra gli sia lieve.
Quanto alla serie,
l’uso del termine capolavoro usato da molti critici, a prima vista può
sembrare eccessivo. Non abbiamo la preparazione necessaria per poter
confermare o meno. Tuttavia, come spettatori e studiosi di sociologia
abbiamo apprezzato "The Sopranos". Mai perduta una
puntata. Da spettatori non
possiamo non ricordare con piacere il ritmo e la coerenza della
sceneggiatura, la bravura degli attori, nonché le musiche sempre
appropriate. Indimenticabile, la lunga notte trascorsa da
Tony accanto al suo cavallo da corsa malato, sulle note di
"My Rifle, My Pony and Me", celebre canzone tratta dal film
"Rio Bravo", cantata da Dean Martin. È la miracolosa goccia
d'acqua attraverso la quale, per un attimo, si scorge l'oceano
del sogno americano versione
frontiera. Da antologia.
Dal punto di vista
sociologico abbiamo molto gradito il puntuale
riferimento non alla mafia come macro-fenomeno
cospirativo, centralizzato, una specie di megamacchina del male assoluto
(come si usa fare in Italia), ma alle mafie, come micro-fenomeno, diffuso sul
territorio, hobbesianamente divise in bande sempre sull'orlo del
conflitto. E per giunta composte, non dai soliti zombi decerebrati con la
pistola in mano, ma da persone con gli stessi problemi esistenziali
del mondo “normale” : individui concreti, che però ogni
giorno, dalle 8 alle 17, si trasformano in banali maestranze del
male.
Una chiave interpretativa interessante che permette al tempo stesso di spoetizzare la mafia e fare dell’ottima televisione, evitando - cosa ancora più importante - di costruire fangose soap cospirative. E probabilmente, per quest'ultimo motivo, la serie non ha avuto successo in Italia, Paese, per eccellenza, dei “romanzi criminali”... (*)
Una chiave interpretativa interessante che permette al tempo stesso di spoetizzare la mafia e fare dell’ottima televisione, evitando - cosa ancora più importante - di costruire fangose soap cospirative. E probabilmente, per quest'ultimo motivo, la serie non ha avuto successo in Italia, Paese, per eccellenza, dei “romanzi criminali”... (*)
Carlo Gambescia
(*) A proposito, se vera - la storia ( di oggi: 8/8/13) del rolex di Pandolfini rubato nei momenti successivi al mortale attacco di cuore - c'è veramente di che vergognarsi. Qui l'articolo: http://www.tmz.com/2013/08/07/james-gandolfini-rolex-submariner-watch-case-theft-stolen .
giovedì 20 giugno 2013
Il libro della settimana: John Witte jr, Diritto e protestantesimo. La dottrina giuridica della Riforma luterana, a cura di Andrea Pin, intr. all’ ed. it. di Brian E. Ferme, pref. all’ed. or. Di Martin E. Marty, Liberilibri, Macerata 2013, pp. XXVIII-458, euro 20,00
http://www.liberilibri.it/john-witte-jr./208-diritto-e-protestantesimo.html |
Ci sono libri che
rinviano ad altri libri e che scatenano nella mente del lettore autentiche
tempeste mnemoniche, teatro naturale di eclettiche
riflessioni, ricche associazioni di idee, spunti interdisciplinari:
una manna per l'intelligenza. A tale creativa categoria appartiene Diritto
e protestantesimo. La dottrina giuridica della Riforma luterana (Liberilibri), scritto da John Witte
jr, già allievo d Harold J. Berman e al presente direttore del
Center for the Study of Law and Religion, importante centro di ricerca
plasmato da Berman (per maggiori informazioni su Witte: http://cslr.law.emory.edu/people/person/name/witte-jr/ ).
Il libro,
sostanzialmente, fa il punto sul ruolo storico della Riforma
protestante - che a dirla tutta fu una vera e propria rivoluzione
(politica, sociale, eccetera) - , puntando le luci
sulla doppia interazione tra luteranesimo e società moderna
e tra diritto e religione. Tuttavia, l'opera di Witte
non è una ricostruzione (l'ennesima) tracciata da
un tardo epigono dello storicismo tedesco. In
realtà, Diritto
protestantesimo, che per finezza ricostruttiva fa
concorrenza a Diritto e rivoluzione I e II di Berman (di cui ci siamo occupati
qui:http://carlogambesciametapolitics.blogspot.it/2011/12/il-libro-della-settimana-harold-j.html -http://carlogambesciametapolitics.blogspot.it/2007/02/i-libri-della-settimana-hj-berman.html ), ruota magnificamente
intorno a due grandi questioni sociologiche: a) la
continuità della tradizione, comunque la si intenda; b) la normalizzazione
post-rivoluzionaria, come fattore ciclico.
Il che serve a
spiegare le tempeste mnemoniche di cui sopra.
Infatti, leggendo il libro di Witte il nostro pensiero è
subito andato ai lavori di Shils sul tradizione (Tradition ) e di Sorokin sulla
rivoluzione ( The Sociology of Revolution).
Shils si sofferma sull'impemeabilità alla decadenza
politica delle grandi tradizioni, dovuta a profonde ragioni
organizzative come nel caso del più che longevo diritto
romano; Sorokin invece ipotizza, e in larga misura riesce a
provare, come nelle rivoluzioni,
ciclicamente, alle fasi di anarchia sociale ne
seguano altre di riorganizzazione
societaria.
Si tratta, per così
dire, degli stessi fondati sillogismi sociologici che
innervano Diritto e protestantesimo,
per inciso, ottimamente tradotto da Elena Frontaloni. Scopriamoli insieme.
Fase I: Lutero, il teologo, attacca, e non solo verbalmente, le istituzioni della Chiesa Cattolica, a partire dal diritto canonico; Fase II: le terre germaniche precipitano nell’anarchia; Fase III: Filippo Melantone, Johannes Eisermann Johann Oldentorp pongono le basi intellettuali per una normalizzazione sociale e politica, recuperando all’interno della dottrina giuridica luterana, il diritto canonico; Fase IV: sorgela Germania westfaliana,
polverizzata politicamente ma libera dalle devastanti lotte sociali e
religiose. Il tutto, tra il 1517 e il 1648. Ma cediamo
la parola a Witte: « I giuristi luterani citarono il diritto canonico cattolico
come valida fonte per il diritto civile protestante, con più disinvoltura di
Lutero. Lutero alla fine aveva stretto una riluttante pace con alcune leggi del
diritto canonico, riconoscendo la loro utilità nella definizione dei codici disciplinari
della Chiesa e dell’ equità (aequitas)
delle norme per lo Stato. Ma rimase fermamente contrario all’uso della
tarda legislazione medievale papale, sia nella creazione delle leggi, sia
nell’insegnamento del diritto» (p. 27). Per contro, in seguito, « i
giuristi luterani furono meno severi. Fecero uno spigliato utilizzo dell’intero Corpus
iuris canonici nei
loro testi, corsi, pareri opinioni giuridiche, e progetti di legge. E
condensarono quest’uso del diritto canonico dentro innovative teorie della
Chiesa e dello Stato» (pp. 26-27). Perché?
Per considerazioni organizzative e antropologiche:
due questioni, non da poco, con le
quali - ecco il punto sociologico - anche i
rivoluzionari, prima o poi devono fare i conti: « Sostennero [i giuristi
luterani, ndr]. che la Chiesa invisibile del regno
celeste poteva sopravvivere bene con i soli insegnamenti della Bibbia, libera
dagli ulteriori vincoli del diritto canonico. Ma la Chiesa visibile del regno
terreno, colma di peccatori e di santi, necessitava sia degli insegnamenti
biblici sia della giurisprudenza ecclesiastica per essere ben governata,
Sostennero che il diritto canonico medievale , come distillato delle norme
contenute nelle Bibbia fosse una valida legge per la Chiesa visibile e per questo
andasse comunque usato» (p. 27). Cosicché, conclude Witte, «questa somma
di idee, che è insieme una nuova ecclesiologia e una nuova giurisprudenza,
diede un robusto fondamento logico per un’ampia conversione e convergenza tra
il diritto canonico medievale cattolico e il diritto civile luterano» (Ibid.). Il che prova
la natura sottilmente conservatrice di tutte le rivoluzioni,
nonché l’esistenza di un' importante costante della politica.
Quale? Quella che impone a ogni movimento, pena la sparizione
immediata, la trasformazione, in istituzione, come è avvenuto anche
per il protestantesimo. Ciò però non implica, da
parte nostra, l'adesione in toto alla nota tesi di
Troeltsch sul protestantesimo come "Tipo-Chiesa", tra
l'altro molto ben riformulata e discussa da Witte (pp.
45-52). Non vorremmo però imbrogliare le acque
con troppe sottigliezze critiche e far
così fuggire i possibili lettori del libro.... A dire
il vero, abbiamo privilegiato solo alcuni aspetti, quelli più interessanti
dal punto di vista sociologico, di un testo ricco e
ben costruito, che affronta con larghezza di dettagli e giusta densità tutti
gli aspetti della teologia politico-giuridica luterana: dalla dottrina dei due
regni ( e del potere terreno, conteso e "teso"
tra verticalità e orizzontalità) alla teologia evangelica del
matrimonio; dal ruolo infragiuridico della cultura biblica e del Decalogo
( tra l'altro, quest'ultimo, tema bermaniano per eccellenza) alle conseguenti
stratificazioni nei campi della pubblica istruzione e
della lotta alla povertà. Una trattazione da cui emergono le diversità tra
protestantesimo (in particolare luteranesimo) e illuminismo: due correnti
di pensiero spesso frettolosamente accomunate e respinte en
bloc. In questo senso, Diritto e protestantesimo - come del resto gli ottimi libri
di Berman - può essere un’importante occasione di riflessione sine
ira et studio.
Fase I: Lutero, il teologo, attacca, e non solo verbalmente, le istituzioni della Chiesa Cattolica, a partire dal diritto canonico; Fase II: le terre germaniche precipitano nell’anarchia; Fase III: Filippo Melantone, Johannes Eisermann Johann Oldentorp pongono le basi intellettuali per una normalizzazione sociale e politica, recuperando all’interno della dottrina giuridica luterana, il diritto canonico; Fase IV: sorge
Esemplari, al
riguardo, le salomoniche conclusioni di Witte: « L’eredità giuridica di Lutero
pertanto non dovrebbe essere indebitamente romanzata né condannata. Coloro che
difendono a spada tratta Lutero come padre della libertà, dell’uguaglianza e
della fratellanza farebbero meglio a ricordare le sue grandi simpatie per l’
élitarismo, lo statalismo e lo sciovinismo. Chi vede nei riformatori soltanto
dei belligeranti alleati della repressione dovrebbe riconoscere che erano anche
benevoli rappresentanti del welfare. Incline come era al ragionamento
dialettico, e consapevole delle intrinseche virtù e dei vizi delle conquiste
umane. Lutero medesimo sarebbe probabilmente giunto a conclusioni simili» (p.
336).
Concludendo, un libro da
non perdere. Di quelli che aiutano il lettore a coltivare il senso critico
senza mai rinunciare al buon senso. Insomma, a volare alto senza
farsi male.
Carlo Gambescia
mercoledì 19 giugno 2013
La lotta politica è
spietata. E da sempre. La democrazia rappresentativa, che a occhio e
croce avrà un paio di secoli, ha introdotto in politica una serie
di regole per provare, diciamo così, a civilizzarla,
mitigandone usi e costumi, spesso feroci. Come? Attraverso carte
e magistrature costituzionali, parlamenti, leggi
elettorali, regolamenti, eccetera. Parliamo di un “tentativo”,
difficile, tuttora in divenire, perché il "politico" ha le
sue inflessibili costanti e gli uomini sono quel che
sono. Cosicché, e malgrado gli innegabili
difetti, la democrazia rappresentativa può essere raffigurata come
una piccola nave politica, battezzata “Civiltà”,
assediata da mari tempestosi e perciò sempre in procinto di
essere travolta.
Naturalmente le
regole, che possono essere ridotte a una sola: “contare le teste invece di
tagliarle”, servono a limitare il potere, sempre in
agguato, della sopraffazione. Di qui però, il
ricorso da parte delle diverse forze politiche, a tutto
quell'armamentario, che nel bene e nel male pigmenta la
democrazia parlamentare: l’elusione, le sottigliezze
interpretative, le "meline" procedurali. Pratiche,
mal viste dai detrattori delle istituzioni rappresentative, alle
quali, si usa opporre l’ appello a
entità salvifiche e giudicatrici come dio, la moralità pubblica (che è altra
cosa dall’opinione pubblica), il popolo, la democrazia, la razza, la classe e
di recente la rete. Che sarebbe «sovrana»., come ha dichiarato, proprio ieri,
il deputato grillino Alessandro di Battista, riassumendo il comune sentire
della sua esagitata parte politica. Ma leggiamo la cronaca di quel
che è accaduto dinanzi alla Camera dei Deputati:
Davanti Montecitorio
va in scena il 'Grillo Pride', la manifestazione indetta dal gruppo romano del
Movimento per dare man forte al leader Cinque Stelle nella polemica con la
'dissidente' Adele Gambaro, ieri rinviata al giudizio della rete per una
eventuale espulsione. I manifestanti, circa un centinaio, si sono dati
appuntamento in piazza dove hanno srotolato manifesti e incontrato alcuni dei
parlamentari M5S. "Dentro o fuori dal Movimento con i suoi valori",
"Beppe megafono, noi voce del Movimento", "L'onestà andrà di
moda" gli slogan riportati sugli striscioni. Più inquietanti i cartelloni
con le foto di alcuni dissidenti e fuoriusciti bollati come traditori:
Mastrangeli, Labriola, Furnari e Gambaro. E sono loro, oltre ai cronisti della
stampa e della Tv, che finiscono nel mirino degli attivisti che sono arrivati a
manifestare il loro sostegno al gruppo degli eletti e al leader del movimento.
"Mi piange il cuore nel vedere che qualcuno se ne va proprio quando si
tratta di restituire i quattrini. Ma la rete è sovrana: siamo compatti o da
soli non ce la facciamo" dice il deputato Alessandro di Battista.
Dietro l’invocazione
di una qualche entità fittizia, se ci si passa l’espressione, c’è sempre la
fregatura… E nel caso specifico il rifiuto di una regola fondamentale, quella
del rispetto delle minoranze e più in generale del dissenso. Regola che
caratterizza politicamente la democrazia liberale, alla
quale i suoi nemici oppongono il giudizio finalistico di una
fantomatica maggioranza extra-istituzionale. Da ciò si deve desumere
che Grillo e M5S sono portatori, neppure
sani, di un pericoloso virus totalitario: la
maggioranza è tutto la minoranza nulla. Del resto, come si
è visto, il passo al taglio delle teste dei
dissenzienti, per ora metaforico, può essere
molto breve. Ritorna insomma, tutta la ferocia della politica.
O se si vuole del potere nudo dell' l’inciviltà… Per dirla
fuori dai denti: Beppe Grillo, dal punto di vista della
cultura democratico-rappresentativa, rappresenta
un modello di perfetta inciviltà. Da manuale. Che
poi egli rovesci astutamente il concetto, autodefinendosi
leader di una minoranza di buoni in conflitto con fantomatiche
maggioranze, ovviamente composte di cattivi, rinvia a quel
fenomeno ben noto in politica col nome di leninismo: sfruttare le regole
e le istitituzioni democratico-liberali, per poi, una volta agguantato il
potere, toglierle di mezzo.
Infine, ciò
che deve essere chiaro è che la distinzione, tipica di Grillo e accoliti,
tra potere costituente (“Noi la
Rete ”, i buoni) e potere costituito (le “Istituzioni”, i
cattivi) è tipica di tutti i moderni movimenti eversivi dai giacobini ai
bolscevichi. E lo stesso fascismo delle origini non ne fu indenne.
Non c’è altro da
aggiungere. Purtroppo.
Carlo Gambescia
martedì 18 giugno 2013
Un "ripassino"
per il Cavaliere: l'unificazione europea
L’uscita del
Cavaliere sulla necessità di tagliare le tasse anche a costo di "farsi
cacciare dall’Europa", malgrado i toni, scorge solo una
parte del problema europeo, quella economica. E neppure
la più importante. Dal momento che dovremmo prima
interrogarci ( e Berlusconi per primo) sul significato
politico dell’unificazione europea. Una grandissima idea-forza.
Certo, di non facile attuazione, soprattutto con mezzi pacifici.
Però le idee più nobili sono sempre le più difficili da
realizzare.
Che cos’è oggi
l’Europa? Tutto e niente. Un gigante economico, che ora
però sta perdendo colpi, e un nano
politico, condannato, per alcuni, a restare
tale. In effetti, storicamente parlando, la forza dello
stato moderno è nella politica estera. Di
riflesso, l’Europa, ancora così
lontana dal diventarlo, non ha
nessuna politica esterna (ovviamente, sospendiamo il giudizio per ragioni
discorsive sulla natura storica della "forma
stato"). Di qui, la mancanza di autorevolezza e
il claudicante procedere in ordine sparso. Riuscirà
mai a farsi stato unitario? Difficile dire. Le basi economiche ci
sarebbero. Manca invece la volontà politica.
Probabilmente
l’Europa potrebbe giungere all’unità - come impongono le costanti del politico
- o facendo leva sulla difesa comune da un nemico esterno (la necessità di
unirsi per non soccombere), o su un processo di unificazione,
dall’interno, di tipo militare, condotto dallo stato più forte.
Questa seconda strada,
dopo due guerre sanguinose, sembra per il momento accantonata. Quanto al nemico
esterno, l’Europa pare non scorgerlo... Il
che però non significa che non esista. Infatti, su questo terreno,
l’Europa sembra seguire, anche se in ordine sparso, le indicazioni
dell’alleato esterno più forte e in certa misura più affine per
ideologia e interessi: gli Stati Uniti. Può essere sufficiente? No, a
meno che non si ritenga possibile la nascita di una specie di “superstato”,
inclusivo delle due coste dell’Atlantico… C’è però chi ci crede.
Esiste una terza
via? Per molti, sì. La via liberaldemocratica e socialista
riformista. Infatti, l’Europa politica, post-1945, in un modo sempre
più segnato dall’esistenza di grandi blocchi geopolitici, sembra aver affidato
tutte le speranze di unificazione, alla dialettica dei parlamenti e alla
crescita economica. Il che per i popoli europei, usciti stremati dalla
guerra, si è tradotto in libertà e benessere. Due fatti indiscutibili. Che alla
lunga hanno pesato anche sul destino dell’Unione Sovietica, favorendone la
dissoluzione. Come però resta indiscutibile un altro fatto: che nei processi di
unificazione, anche se pacifici, ci si stringe sempre intorno
allo stato economicamente e politicamente più forte. Che tende
perciò, quasi naturalmente, a farla da padrone.
Ora però, la crisi
mondiale sembra aver messo in discussione tutto: l' unificazione e la
stessa egemonia tedesca. Si riaprono i giochi? Forse. C’è
tuttavia chi, come Berlusconi, scherza con il fuoco. Ma per
andare dove? E per giunta da soli?
Carlo Gambescia
lunedì 17 giugno 2013
Cara donna Mestizia,
perché tutta questa preoccupazione per l’astensionismo? Dovremmo semmai
interpretarlo come un segno di progresso: nelle democrazie avanzate vota sì e
no la metà degli elettori.
Ottimista 2013
Caro Ottimista 2013,
infatti, per questo quelle democrazie sono “avanzate”: perché la metà degli
elettori basta e avanza.
* * *
Cara donna
Mestizia,in questa tornata elettorale la metà e passa degli elettori si è
astenuta dal voto. E la legittimità delle istituzioni? E la sovranità popolare?
E la democrazia, la rappresentanza, la partecipazione?
Sono preoccupato.
Criticone 2013
Caro Criticone 2013,
come rileva sopra
l’Ottimista 2013, ci allineiamo alle democrazie avanzate. Diceva Lenin che
nella democrazia più avanzata di tutte – il comunismo – una buona cuoca avrebbe
potuto dirigere il governo. Dunque, perché angustiarsi? Da una democrazia
avanzata, il capo del governo potrà sempre ricavare, senza spendere un soldo,
delle ottime polpette.
* * *
Cara donna Mestizia,
sono circondato da
infiltrati, voltagabbana e deficienti! Me ne vado in Australia, e tanti saluti!
Peppe Grilletto
Caro Peppe
Grilletto,
mi sembra un’ottima
idea. L’Australia è la meta ideale, per chi voglia capire come funziona il
boomerang.
* * *
Cara donna Mestizia,
un domani, alla
Merkel gliele cantiamo chiare!
Conte Nipote
Caro Conte Nipote,
tempismo perfetto: è sempre domani che si fa credito.
tempismo perfetto: è sempre domani che si fa credito.
Roberto Buffagni è un
autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo
fondamentalista, musiche di Alessandro
Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si
vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del
Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...
sabato 15 giugno 2013
Una parola
di Paul Celan
di Paul Celan
Una parola
Lo sai, un cadavere,
dobbiamo lavarla,
dobbiamo pettinarla,
dobbiamo disporre
verso il cielo i
suoi occhi
(t rad. di Mariano Marianelli)
***
***
La morte è alla curva della strada
di Fernando Pessoa
La morte è alla
curva della strada.
morire è solo non
essere visto.
Se ascolto, odo il
tuo passo
esistere come io
esisto.
La terra è fatta di
cielo.
la menzogna non ha
nido.
Mai nessuno s'è
perduto.
Tutto è verita e
cammino.
(Trad. di Luigi Panarese)
***
Sette peccati
di Federico Formica
Superbia
Separa gli amanti.
Rende la parola superflua,
vano il silenzio.
Avarizia
Ubbidisce alle cose
si crede libera
invece è serva.
Lussuria
Ama senza amare.
Ruba corpi che non possiede.
Ferisce anime in cui non crede.
Invidia
Scava fosse che mai colma.
Trasforma i sorrisi in veleno
e gli applausi in pietre.
Gola
Fa dell’esistenza
una tavola imbandita
a cui pochi possono sedersi.
Ira
Non teme morte.
Ubbidisce all’attimo e
uccide non sapendo di uccidere.
Accidia
Promette senza mai mantenere.
Viola il cuore dell’amico.
Non prova rimorsi né rimpianti.
Federico Formica è nato e
risiede a Roma. Quando non scrive poesie, naviga e coltiva
l'amicizia di pochi. intimi e veri amici. Di prossima
pubblicazione la sua raccolta di versi, L' Evidenza
dell'Essere.
venerdì 14 giugno 2013
una risposta all'articolo
del professor Alberto Buela
Albero Buela |
|
Oggi, cari amici, segnaliamo il notevole articolo del professor Alberto Buela sull’impotenza europea (La indefensión de Europa vista desde América -http://espacioseuropeos.com/la-indefension-de-europa-vista-desde-america/ ). |
Buela è ciò che si
dice un pensatore indipendente e lucidissimo: non fa sconti intellettuali e
applica il rasoio della metapolitica alle grandi questioni del nostro tempo,
seguendo un’ottica assai vicina alla nostra.
Sintetizzando: nell’
impotenza europea Buela scorge tutti i segni di una decadenza, scaturita dall’
impossibilità di tradire gli ideali liberali, cui essa
sarebbe devota. Insomma, per difendersi, l’Europa dovrebbe
liquidare il patrimonio politico liberale, per poter così
trasformarsi, come ci sembra di capire, in una superfortezza
politica e militare degna della sua storia.
In realtà, il
problema non sembra essere legato alla fuoriuscita dagli
ideali liberali. Parliamo di valori che in
alcuni secoli, e in particolare davanti agli eserciti hitleriani,
hanno mostrato di appartenere al meglio della storia europea
e di essere capaci di animare i combattenti.
Pensiamo invece a un altro colpevole. Quale? Al culto,
diffusosi soprattutto nel secondo dopoguerra, del puro e semplice
vitalismo. Celebrazione che ha contribuito a bandire quei valori di
eroicità e realismo politico, cui giustamente accenna Buela. E
in cambio di che cosa? Dell'andare finalmente a nozze con
il padre di ogni vitalismo: l’umanitarismo. Detto
altrimenti: dello sposare il famigerato “meglio rossi (oggi di
direbbe fondamentalisti musulmani) che morti”. Prima la vita
(quindi il vitale, quindi l'uomo così com'è), poi tutto il resto… Una
morale da autentici vigliacchi. Lontana anni luce dal realismo politico. Quel
realismo che scorge nella guerra, e perciò anche nella
necessità di sacrificarsi, la continuazione della politica con
altri mezzi.
Ora, non vorremmo
entrare in una discussione sulla natura del liberalismo - non siamo i difensori
d’ufficio di nessuna causa - ma più semplicemente desideriamo sottolineare che
il liberalismo è un pensiero ricco e composito. Non interpretabile ( o peggio
“cestinabile”) en bloc . Qui rinviamo il professor
Buela, con il dovuto rispetto s'intende, al nostro Liberalismo
triste. Un testo dove cerchiamo di mostrare come il realismo
politico - e quindi anche la capacità di sacrificio -
non sia assolutamente estraneo al pensiero liberale,
citando pensatori e statisti.
Pertanto il nemico
interno (o meglio "interiore"), non è il liberalismo in quanto
tale, bensì, per dirla con Pareto (altra interessante figura di
liberale triste), “l’umanitarismo delle volpi"… O meglio ancora: dei
vigliacchi… Che però non può essere contrastato,
sostituendogli la pura e semplice forza dei
“leoni”… Trascorrendo così da un eccesso all'altro. Va invece
ricercata - crediamo - la giusta via di
mezzo: un realismo democratico e liberale, capace di esserevolpe, senza cadere in alcun disarmo
morale, ma al tempo stesso leone,
e perciò capace, nel caso, di usare la forza, mettendo
in conto anche il sacrificio di vite umane .
Ovviamente, le idee,
anche le migliori, camminano sulle gambe degli uomini. E purtroppo l’Europa, al
momento, sembra avere una classe dirigente composta in larga parte di “volpi”.
E questo è un problema. Innegabile.
Carlo Gambescia
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