domenica 31 dicembre 2023

Dal 2023 al 2024: la lezione della metapolitica

 


Un anno dal punto di vista metapolitico è quasi nulla. Si pensi, ad esempio, al famoso attacco alle Torri Gemelle, anno di grazia 2001. Non pochi storici ne parlano tuttora come un punto di svolta.

In realtà, dal punto di vista metapolitico, al di là dei simbolismi che piacciono tanto ai socio-astrologi, il 2001 rimanda a una sciabolata, per quanto ardita e spettacolare, del fondamentalismo islamico.

Un colpo mandato a segno. Nulla di più di una ennesima reazione allo sviluppo e diffusione della modernità occidentale. Un processo centripeto, come insegna la metapolitica, che si può far risalire alla conquista oceanica delle marine occidentali (portoghese, spagnola, olandese, francese e britannica), consolidatosi nel XVI secolo e in quelli successivi.

Marinai e soldati, preti e mercanti, agricoltori, pirati e corsari: uomini superbi che prima strapparono l’Oceano Indiano agli arabi, per poi dilagare fino all’India, alla Cina e al Giappone. Assaltando infine l’Oriente anche dal lato del Pacifico, dopo aver creato dal nulla alla fine del XVIII, la Repubblica Stellata, nonché nel secolo successivo le consorelle repubbliche ispano-americane. 

Da allora incominciò un gioco mondiale di azioni e reazioni tra l’Occidente e l’Oriente.

Il 2001 non è altro che un episodio di questo processo secolare, che non va mai perduto d’occhio. Dal punto di vista delle regolarità metapolitiche siamo dinanzi al contrasto tra la forza centripeta, moderna e potente, dell’Occidente euro-americano, e quella centrifuga dei suoi nemici, che nel caso del mondo islamico ha assunto caratteristiche religiose e antimoderne.

Detto questo, si può capire quanto sia ridicolo fare un bilancio del 2023 sulla base degli eventi dell’ultimo anno.

Si può solo asserire che il 2023 ha confermato questa dinamica metapolitica. Come provano la continuazione della guerra russa contro l’Occidente in Ucraina e l’ennesima aggressione contro Israele, baluardo dell’Occidente.

Ovviamente, quando appena detto, si può interpretare al contrario, come un “sano” movimento centrifugo di risposta agli sforzi centripeti dell’Occidente.

In realtà – qui forse sta il fatto nuovo – l’Occidente, dopo i processi “di” decolonizzazione, anzi “con” i processi di decolonizzazione, che hanno avuto luogo nel seconda metà del Novecento, ha rinunciato al progetto centripeto. Di qui il gran parlare, con effetti anche pratici, da parte dei suoi nemici, dell’ “auspicabile” nascita di un modo multipolare, cioè segnato da forze centrifughe. Niente di più  inesatto dal punto di vista metapolitico. Torneremo sulla questione nella chiusa.

Inutile indagare a fondo le motivazioni della marcia indietro dell’Occidente. Basterà ricordarne tre: pacifismo diffuso, welfarizzazione dei rischi sociali e politici, ritorno dei nazionalismi (quindi processi centrifughi interni).

L’Occidente potrà risalire la corrente nel 2024? Sarà sufficiente un anno per invertire una deriva che risale almeno agli anni Cinquanta del Novecento. Non crediamo, perché le forze centrifughe interne rischiano di facilitare il lavorio disgregativo delle forze esterne all’Occidente.

Facciamo solo una semplice osservazione. Se alle elezioni europee di quest’anno dovessero vincere le destre nazionaliste, il processo centrifugo interno potrebbe acquisire ulteriore velocità. Del resto anche se vincesse la sinistra, pacifismo e welfarizzazione, fattori di indebolimento interno, favorirebbero inevitabilmente il processo centrifugo esterno.

Lo stesso discorso potrebbe essere esteso al duello elettorale, che molti osservatori danno per scontato, tra Biden e Trump.

Certo, è vero che dinanzi all’aggressione russa l’Occidente si è mostrato meno disunito. Però è altrettanto vero che si è ben guardato dall’ impartire una dura lezione a Mosca. Si vive tuttora alla giornata. Mentre il tempo lavora in favore della Russia e delle forze centrifughe esterne nemiche dell’Occidente.

Un atteggiamento, quello occidentale, se non rinunciatario, pericolosamente attendista, che può essere esteso alle titubanti e ambigue reazioni dinanzi alla recente aggressione subita da Israele.

Alla luce di quanto detto, sarà perciò difficile che nel 2024, l’Occidente rinsavisca, e torni a giocare un ruolo centripeto all’esterno. Come pure che le forze centrifughe esterne facciano un passo indietro. Perché non dovrebbero non sfruttare la debolezza dell’Occidente?

Il potere – altra regolarità metapolitica – tende sempre a ricostituirsi, perciò, una volta ridotto a brandelli centrifughi l’Occidente, le forze centrifughe esterne dovranno fare i conti, al loro interno, con le forze centripete rappresentate dalle potenze più forti vittoriose sull’Occidente. Il multipolarismo non è altro che una razionalizzazione o giustificazione ideologica – di nuovo un’altra regolarità – dei temporanei desiderata delle forze centrifughe in attesa di trasformarsi in centripete.

Per uscire da questo vicolo cieco sarebbe necessaria una rivoluzione culturale, una specie di superbo ritorno caratteriale alle origini militari e marinaresche della conquista del mondo da parte dell’Occidente. Diciamo pure al momento storico centripeto.

Un “recupero” che ovviamente non può avvenire in un solo anno. Soprattutto se la destra, non solo italiana, continuerà a recitare il mantra nazionalista e isolazionista, e la sinistra a predicare pace e welfare. Dimenticando la grande lezione della metapolitica.

Carlo Gambescia

sabato 30 dicembre 2023

Come certi formaggini Sechi vuol dire fiducia…

 


Ieri abbiamo scritto di “Libero” e del suo titolo (*). Oggi Mario Sechi la mette sulla mancanza di ironia, umorismo, eccetera, della sinistra. Che non avrebbe capito il senso del paginone dedicato a Giorgia Meloni “uomo dell’anno”. Sechi si arrampica sugli specchi del solito giochino di rimbalzi: "Ha cominciato prima la sinistra con Emma Bonino, candidata al Quirinale, tirando fuori lo slogan 'Finalmente l’uomo giusto' ". E così via (**).

Insomma, si discute dell’inessenziale: della natura machista di un titolo. Quando il vero problema è la relazione tra giornalismo e culto della personalità.

Per capirsi meglio: le polemiche sul politicamente corretto nascondono la vera sostanza del problema. Che è rappresentata da una prima pagina  stile Ventennio, inventata (si fa per dire) da un direttore che tifava Monti, già portavoce della Meloni, passato alla direzione di “Libero” per distribuire santini.

Cioè si dà per normale che un direttore sia un fedelissimo non di un’idea (qualcosa che va oltre le persone) ma di un particolare politico. E cosa ancora più deprecabile di un politico al potere. Quando invece la stampa, se veramente libera, non dovrebbe fare sconti a nessuno. Altro che culto della personalità.

Per contro, come dicevamo ieri, tutto ciò viene ritenuto normale e ricondotto all’interno delle superficiali polemiche sul politicamente corretto. Di qui, il giochino del chi abbia cominciato prima, eccetera, eccetera.

Che fine ha fatto l’idea liberale, alla quale il “montiano” Sechi si dichiarava fedele fino alla morte?   Bruttissima.  Per scoprirlo  basta andare a fondo pagina. Nel titolo di taglio basso si parla di calcio. Si dirà che c’entra? C’entra con l’idea liberale. Perché non ha nulla di liberale il (presunto) contraddittorio sugli sgravi fiscali tagliati dal governo Meloni a proposito dell’acquisto di giocatori stranieri.

I due interlocutori dibattono all’interno di una comune visione statalista del calcio e dell’economia. Il primo sostiene che gli aiuti di stato fanno bene al calcio, il secondo che con meno soldi avremo in campo più giocatori italiani. Nessuno dei due difende il libero mercato senza incentivi pubblici e veti, formali o meno, all’ingresso di calciatori “stranieri”. E Sechi come direttore benedice.

Si dirà che sono dettagli. Ma è lì che si nasconde il diavolo come nei dipinti medievali.

Sechi, tutto è, eccetto che liberale. Però, come una famosa marca di formaggini, “vuol dire fiducia”.

Ovviamente, per Giorgia Meloni, santa subito.

Carlo Gambescia

 (*) Qui: http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2023/12/mario-sechi-e-il-culto-della-personalita.html .

(**) Qui la prima pagina di “Libero”: https://www.giornalone.it/prima-pagina-libero/ .

venerdì 29 dicembre 2023

Mario Sechi e il culto della personalità


Certe cose non possono passare. Anzi non devono. Però, chi si indigna più? Qui il punto.

Infatti non sarebbe normale (si noti il triste condizionale) che un direttore di un quotidiano pubblichi a tutta pagina la foto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Si lascino subito da parte le battute (ci si crede simpaticamente ironici: “Uomo dell’anno”…) e tre editoriali a tappetino ( dello stesso, Sechi, Capezzone, Specchia) (*).  Roba da Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio. E infatti da lì viene Mario Sechi, l’attuale direttore di “Libero”.

Il fatto grave non è la solita accusa al giornalista che mette la sua penna al servizio di qualcuno. Ma è il culto della personalità sul piano politico (non parliamo di influencer e mitologie varie, parliamo di stanza dei bottoni, di potere vero).

Un culto della personalità che qualsiasi giornale, che si dichiari “liberale” – e “Libero” perfino nella testata – dovrebbe evitare come la peste. Liberale è sinonimo di uomo libero che non si inginocchia davanti a nessuno. E Sechi non sembra rientrare nella tipologia.

Un culto della personalità politica che, cosa peggiore, non rimane confinato dentro la redazione, ma si veicola fuori, ottundendo il cervello della gente. È come se si giocasse con una pistola carica. Il punto è che la pistola è nelle mani di un giornalista professionista, direttore di una testata a larga tiratura come “Libero”. Non parliamo di un gruppetto di estremisti, stretti intorno a un giornaletto, fissati con il culto del capo.

Perché esistono persone come Mario Sechi? Che in precedenza tifava per Monti (l’opposto di Giorgia Meloni).

Perché si sceglie di servire? Per soldi? Quindi per condurre la “dolce vita”? Per finire nell’orbita delle persone influenti all’ombra del capo? Per non essere tagliati fuori dal giro del potere? Perché servire appaga certo servilismo innato che alberga in alcuni uomini? Difficile dire.

Probabilmente si tratta di una velenosa miscela di tutte queste cose. Ora prevale un fattore, ora l’altro.

Il prodotto finale però è sempre lo stesso: culto della personalità. Una malattia gravissima che in un giornalista è mortale. Si crea un clima di complicità pandemica anche con i lettori. Un’ atmosfera mefitica che fa sparire il senso del ridicolo. Regna così l’impermeabilità alle critiche. Noi contro Loro. Si ritiene cosa normalissima adorare e difendere il “capo”. Perché?

Sechi & Co., ripetono che hanno salvato l’Italia dalla sinistra. Di qui l’idea di non fare prigionieri, o comunque di resistere, facendo gruppo, come detto, intorno al capo. Di qui il culto del “Salvatore”. Nel caso della “Salvatrice”.

Però – ecco il vero punto – l’Italia è finita nelle mani di una destra che non si vedeva dal tempo del fascismo. Quando Mussolini giganteggiava in prima pagina. Proprio come oggi Giorgia Meloni.

Se avesse vinto la sinistra, ora si comporterebbe come la destra? Una Schlein in prima pagina su “Repubblica”? Può darsi. Anche la sinistra ha le sue tradizioni in materia… Però una pena al giorno.

Purtroppo, e siamo alle solite, si sente la mancanza di un vero giornalismo nemico del culto della personalità. A destra come a sinistra. Un giornalismo liberale.

Per dirne solo una. Sul vecchio “Giornale” diretto da un vigoroso Montanelli, prima dell’invasione barbarica berlusconiana, regnava la sobrietà.

Quanta acqua è passata sotto i ponti del giornalismo liberale. Da Indro Montanelli a Mario Sechi. 

Che tristezza.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.giornalone.it/prima-pagina-libero/ .

 

giovedì 28 dicembre 2023

Il nullismo politico della sinistra

 


Quando leggiamo gli editoriali di Nadia Urbinati il pensiero va subito al nullismo politico della sinistra. In che cosa consiste? Statalismo e pacifismo.

Per capire basta citare due passaggi dall’articolo di questa mattina uscito su “Domani” (*).

Primo: “Purtroppo per Calenda e per noi, questa politica da influencer «conduce» a cose concrete, quelle di cui non è necessario parlare e che vengono messe in atto. La politica sulla sanità e sulla scuola parla attraverso la decurtazione degli investimenti: le classi pollaio e la penuria di insegnanti, i pronto soccorso intasati, l’umiliazione dei medici, forse nella speranza che prendano la strada delle cliniche private convenzionate (con le quali il governo è generoso)”.

 

Secondo: “Una responsabilità non solo verso il nostro paese, ma anche verso l’Europa, che fu istituita non per soddisfare gli orgogli dei nazionalisti, ma per scongiurarli. Un grande paese che fu tra i fondatori non solo della Ue, ma dell’idea di federazione sovranazionale come condizione di civiltà e di pace, meriterebbe una leadership europeista più determinata e forte”.

Nell’editoriale, dopo aver attaccato Giorgia Meloni (anche giustamente), perché si preoccupa più di  Chiara  Ferragni che degli italiani, si critica la sinistra perché disunita (verissimo), suggerendo però una politica comune sulla base dei passaggi appena citati.

Certo, promettendo tutti a tutti, dal reddito cittadinanza alla pace universale, si possono anche vincere le elezioni. Ma poi? Con il debito pubblico come la si mette? Chi paga tutto questo. Inoltre come si può parlare di federazioni sovranazionali e di pace mondiale con interlocutori come Ungheria, Russia, Iran,  solo per fare alcuni esempi.

Ieri con un amico professore, che viene da Scienze politiche pre-1968, sorridevamo del fatto, che la nascita delle Facoltà di Scienze politiche fu opera del fascismo, che vedeva nemici ovunque e si riallacciava, seppure rozzamente, alla lezione di Sorel, Pareto, Michels, Mosca (in particolare i primi tre).

Oggi le Facoltà di Scienze politiche, passate da un eccesso all’altro, sfornano vagonate di laureati in cooperazione internazionale per la pace, che vanno a ingrossare le file degli illusi e dei disoccupati. Ma anche esperti in politiche pubbliche dal finanziamento facile: professorini-soldatini del welfare. Nonché cattedratici, sebbene oggi insegni negli Stati Uniti, come Nadia Urbinati, docenti di nullismo politico.

Il che spiega la vittoria elettorale di Giorgia Meloni. Non per forza per propria ma per la debolezza della sinistra. Non però per le ragioni avanzate da Nadia Urbinati. Il vero problema è che la sinistra appare incapace di confrontarsi con il mercato e con le minacce reali che sfidano l’Occidente. Si promette tutto a tutti.

Si chiama demagogia. Si tratta di un campo in cui la destra è più brava della sinistra.


Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.editorialedomani.it/idee/commenti/opposizioni-divise-danno-forza-al-governo-meloni-pd-movimento-cinque-stelle-pzclnwkq .

mercoledì 27 dicembre 2023

Segni dei tempi

 


Alcuni amici in privato mi hanno confidato di non avere apprezzato il post fotografico di ieri su Fb: da una parte Giorgia Meloni che stringe con affetto la sua bimba sotto l’albero di Natale, dall’altra una donna, probabilmente una mamma migrante, che in mezzo al mare porta in salvo a nuoto un altro bimbo.

Mi si è accusato, benevolmente per carità, di aver fatto una scelta populista, Quindi facile-facile, non degna delle mie consuete analisi, eccetera, eccetera.

Purtroppo, il discorso pubblico è sceso così in basso di livello, che questa destra, complice anche la sinistra, riesce a tirare fuori il peggio dalle persone: dagli elettori come dagli analisti. Quindi anche del sottoscritto. Una specie di segno dei tempi.

Si dirà che certe formulazioni si possono evitare, eccetera, eccetera. Certo. Però, non è così semplice.

Un esempio. “Libero” a chi ha affidato la replica alla campagna di Più Europa – una provocazione più che altro -  con il presepe con due Madonne, due San Giuseppe? A quel raffinato intellettuale che risponde al nome di Francesco Storace. Che infatti,  sempre in vena di sottili argomentazioni , parifica la scelta di Più Europa al “distribuire porchetta durante il Ramadan”…

Questo è il livello attuale. Perciò, noi che possiamo, per cultura e concezione politica liberale, chiediamo scusa a chi si sia sentito offeso per il nostro accostamento di ieri.

Però va fatta anche un’altra considerazione.

 Un conto è inventare di sana pianta una tradizione di “milioni di credenti” offesi (Storace), in un’Italia in realtà secolarizzata che fortunatamente non si scandalizza più di queste cose. Un’altra cosa (Gambescia) riferirsi a una realtà, che purtroppo persiste, quella di ridurre la questione dei migranti a un puro problema di polizia, che si traduce in morti in mezzo al mare e nelle carceri. Il che spiega la nostra domanda, probabilmente formulata in modo rozzo: come si può coccolare la propria bambina, mentre altri bambini muoiono?

Si riflettta. Da un lato (Storace),si evoca il volgare Strapaese, manganello ed aspersorio, del fascismo, dall’altro (Gambescia) la sacrosanta cultura liberale del favorire la libera ricerca di una vita migliore.

Esiste una bella differenza. Da una parte, il culto dei confini e degli steccati, dall’altra il libero scambio di uomini e beni. Quel che ha fatto grande l’Occidente.

Per dirla con una un formula, anch’essa abbastanza facile ma puntuale: da una parte l’Occidente (Gambescia), dall’altra l’anti-Occidente (Storace).

Il che non è banale. Di qui, forse, nella forma, la nostra concessione ai tempi. Però – ecco il punto – noi ne siamo consapevoli e chiediamo scusa ai lettori proprio per la forma.

Storace? A sua volta, ne è consapevole? Non crediamo. Qui si apre l’abisso, tra liberalismo e fascismo.

Carlo Gambescia

 

(*) Qui: https://www.facebook.com/photo/?fbid=3716075182013266&set=a.1388148961472578  .

domenica 24 dicembre 2023

Si può augurare Buon Natale a Nosferatu?

 


A Giorgia Meloni non auguriamo Buon Natale. Si dirà, ma dov’è finito il fair play liberale? Giusto. Però si può conservarlo quando si avverte nell’altro un lato oscuro?

In lei c’è qualcosa di inquietante. Qualcosa che, per così dire, al momento del dare la mano, trattiene. Il famoso brivido sulla schiena. Per dirla con un esempio tratto dal cinema horror, è come avere davanti il Conte Dracula, sospettando che si tratti di Dracula, senza però averne ancora la certezza. Si scorgono soltanto il pallore del volto, la piega amara delle labbra, le lunghissime unghie a punta.

Ma facciamo un altro esempio, Andreotti, era un uomo politico impenetrabile non si sapeva mai dove volesse andare a parare.  Però umanamente poteva risultare simpatico e autorevole al tempo stesso. 

Giorgia Meloni quando vuole fare la disinvolta appare goffa e sinistra come Nosferatu davanti all’ improvviso zampillio del sangue. La  piccola ferita di un suo commensale risveglia la sua eterna sete… Insomma, non si può dormire tranquilli.

Ovviamente solo con la simpatia non si governa. Servono altre qualità. Attitudine al comando, tempismo decisionale, senso della prospettiva, nonché opportunismo quanto basta, ipocrisia quanto serve, e soprattutto tanta freddezza nell’esecuzione dei propri piani.

In particolare, l’ uomo politico di valore non deve mai far capire verso quale direzione stia andando e deve far credere che si ubbidisca a lui comandando. Insomma, il vero politico sa come tenere le fila del suo partito e degli elettori. Andreotti queste qualità, come prova la sua lunga carriera politica, le aveva tutte.

Giorgia Meloni ha queste qualità? Partiamo dalle ultime tre. Sicuramente è ipocrita. Si pensi a quando, dinanzi ai corpi dei migranti affogati nel tragico naufragio di Crotone (63 vittime tra le quali 15 bambini), si giustificò, più o meno così: “È mostruoso pensare che io abbia volutamente causare la morte di queste persone”. Dopo morti però. Per il mancato salvataggio in mare.

Sicuramente è opportunista, si pensi, all’esecuzione mediatica del compagno Giambruno, solo perché in quel momento era necessario disfarsene. Tutti sono utili nessuno è indispensabile.

Quanto all’esecuzione dei suoi piani è un esempio di freddezza. Come prova il voto contro Mes, dietro il quale c’è la sua regia, frutto della sapiente tecnica, per dirla alla buona, del tirare il sasso e nascondere la mano. La freddezza implica quasi sempre  capacità dissimulatorie. Come si può essere atlantisti e nazionalisti al tempo stesso, amici di Biden e di Trump? Contro il quale non ha mai pronunciato una sola parola di condanna? Eppure lei riesce.

Quanto al tempismo decisionale e all’attitudine al comando Giorga Meloni ne è ben provvista. Invece sulla prospettiva, quindi torniamo all’esecuzione dei piani, il vero problema è quello di capire in quale direzione voglia andare. In generale, sono gli storici a decidere. Dopo però.

Per fare grandi esempi, Churchill, a differenza di altri suoi colleghi, capì quasi subito che ci si doveva opporre con la forza a Hitler. Non vi erano alternative. Invece Andreotti intuì che la democrazia repubblicana era l’unica strada disponibile, per assicurare pace e benessere all’Italia. Era la lezione di De Gasperi. Questo però lo si capì dopo.

Perciò il vero problema è capire, ora,  in quale direzione stia andando Giorgia Meloni. 

Da un personaggio del genere, dalle salde radici missine, quindi neofasciste, ci si può aspettare di tutto. Se Andreotti restava comunque democristiano, quindi nell’alveo protettivo di un partito antifascista, la Meloni è fascista, o comunque “non dimentica”, anche se non lo dice pubblicamente.

E qui, sul punto specifico, si può registrare il vero capolavoro di Giorgia Meloni: il  prodotto finito e rifinito di una miracolosa miscela antropologica di freddezza, opportunismo, ipocrisia. A cosa ci riferiamo?  Alla "rimozione"  dal suo discorso pubblico, di  qualsiasi riferimento al fascismo ma anche all’antifascismo. Ha addirittura presentato il Movimento Sociale, un partito reazionario, come un pilastro della democrazia repubblicana.

Insomma, ciò che preoccupa di Giorgia Meloni è il "non detto". E, ripetiamo, non si tratta di Andreotti, un democristiano, a scuola da De Gasperi, ma di una specie di Conte Dracula in incognito, che ha conservato nel simbolo elettorale del partito la fiamma che si innalza dal sacello di Mussolini.

Giorgia Meloni, da un momento all’altro può mordere al collo. Morsi fascisti.

Si può augurare Buon Natale a Nosferatu?

Carlo Gambescia

sabato 23 dicembre 2023

Il DNU di Milei. Miracolo a Buenos Aires!

 


Oggi Ferrara sul “Foglio”, da ex comunista non indenne al fascino discreto dello stato, col solito tono di chi presume di avere tutto visto, tutto capito, scrive delle prime misure di Javier Milei, più lanciate, che effettivamente adottate.

Ridacchia. Sfotte. “El loco” sembra però piacergli. Come capitò ad esempio con Berlusconi, Ferrara apprezza il piglio decisionista. Forse Milei gli ricorda Lenin, passione giovanile. I desideri non invecchiano, cantava Battiato. Nell’insieme un ritratto in agrodolce, probabilmente, rivolto agli ultimi moicani riformisti del Pd e dintorni (leggi: Calenda). Cose loro.

 Ma di quali  misure si parla? Della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale argentina di ieri (22 dicembre) di un DNU (Decreto de Necesidad y Urgencia), l’equivalente del nostro decreto-legge: “Bases para la Reconstrucción de la economía argentina” (*).

Un decreto che introduce una serie di provvedimenti liberali. Subito però definiti iperliberisti dagli oppositori; terminologia pavloviana, adottata anche da Ferrara.

Le misure, che possono essere riassunte in trenta punti, sono le seguenti.

1. Abrogazione della legge sugli affitti.
2. Abrogazione del calmiere. Si tratta di una legge che risale ai tempi di Perón, che impone la fissazione del prezzo massimo dei prodotti di largo consumo, sanziona le imprese che alzino i prezzi senza alcuna giustificazione, e, se necessario, introduce il razionamento di beni e servizi ritenuti fondamentali
3. Abrogazione della legge sulle “gondole” nei supermercati che obbligava a segnalare, in appositi settori, anche virtuali,  i prodotti delle piccoli imprese e con prezzi più bassi, per i beni di consumo comune.

4. Abrogazione della legge, “sloganizzata” come “ Compra solo prodotti nazionali”.
5. Abrogazione dell’Osservatorio dei prezzi del Ministero dell’Economia.
6. Abrogazione della legge sull’incentivazione pubblica del settore industriale.
7. Abrogazione della legge sull’incentivazione pubblica del settore commerciale.
8. Abrogazione delle norme che impediscono la privatizzazione delle aziende pubbliche.
9. Abrogazione del regime delle società di Stato.
10. Trasformazione di tutte le società statali in società per azioni per consentirne la successiva privatizzazione.
11. Modernizzazione del regime giuridico del lavoro per facilitare il processo di creazione di reali posti di lavoro.
12. Riforma del Codice delle dogane per agevolare il commercio internazionale.
13. Abrogazione della legge fondiaria per promuovere gli investimenti privati.
14. Modifica della legge sulla legge del recupero ambientale dei terreni danneggiati da incendi che, al momento prevede, non pochi vincoli per il godimento e disposizione di beni che appartengono a privati. Se si considera il ruolo del settore agricolo e dell’allevamento nell’economia argentina, si tratta di una misura importante rivolta a favorire una migliore utilizzazione dei terreni da parte dei privati.
15. Abrogazione degli obblighi a carico degli zuccherifici. Come sopra.
16. Liberalizzazione del regime giuridico applicabile al settore viticolo e vinicolo.
17. Abrogazione del “sistema nazionale” del commercio minerario e della Banca delle Informazioni relativa a estrazioni e commercio. Altra apertura ai privati.
18. Autorizzazione alla cessione totale o parziale del pacchetto azionario di “Aerolíneas
Argentinas”.
19. Attuazione della politica dei “Cieli aperti”, quindi di apertura alle compagnie aeree straniere.
20. Modifica del Codice Civile e Commerciale per rafforzare il principio di libertà
contrattuale tra le parti.
21. Modifica del Codice Civile e Commerciale per garantire l’adempimento degli obblighi contratti in valuta estera che dovranno essere pagati nella valuta concordata, quindi non solo e non sempre in valuta nazionale.
22. Modifica del quadro normativo per lo sviluppo delle assicurazione mediche private.
23. Eliminazione delle restrizioni sui prezzi nel settore delle assicurazioni mediche private.
24.  Maggiore inserimento delle strutture mediche private nell'ambito dell'assistenza sanitaria.  In Argentina l’assistenza medica è gestita  dallo stato e dai sindacati, nonché in minima parte, per ora, dai privati.
25. Istituzione della prescrizione elettronica per snellire il servizio di assistenza-medicinali e minimizzare i costi.
26. Modifiche al regime delle aziende farmaceutiche per favorire la concorrenza e ridurre i costi
27. Modifica della Legge sulle Società sportive in modo che le società calcistiche possano, se desiderano, società per azioni se lo volessero.
28. Deregolamentazione dei servizi internet via satellite.
29. Deregolamentazione del settore delle agenzie di viaggio.
30. Introduzione di strumenti digitali per le procedure di immatricolazione automobilistica.

Come si può capire, nonostante l’uso di uno strumento legislativo come il decreto, si tratta, per ora, di “titoli”.  Quasi annunci diciamo. Manca una tempistica esecutiva precisa, come pure sono assenti quei dettagli che tecnicamente tramutano le dichiarazioni di principio in leggi vere e proprie.

A quanto ci risulta,  il DNU, come strumento legislativo, va accettato o rifiutato in blocco dal parlamento argentino. Non può essere modificato. Il che ne rafforza, per ora, il valore di principio, ma anche l’importanza, sempre di principio, del passaggio parlamentare per la sua conversione in legge. Va sottolineato che anche i precedenti governi hanno fatto uso del DNU. Come si dice banalmente, mal comune mezzo gaudio.

Inoltre va tenuto d’occhio lo sviluppo di un’opposizione preconcetta, anch’essa di principio, da parte dei radicali, dei sindacati, dei rappresentanti dei “piqueteros” (rumorose organizzazioni di disoccupati, “venerate” dai corrispondenti dei giornali italiani progressisti), della sinistra, nelle sua varie sfumature, radicali, socialiste, marxiste, e infine, ultimi ma non ultimi, dei peronisti, riformisti e operaisti.

Per contro, le organizzazione imprenditoriali, sebbene abituate male dai continui scambi di favori con i precedenti governi, sembrano guardare con interesse al DNU.

Come si può notare, Milei non si è tramutato, una volta al governo, in “leone erbivoro”( secondo una definizione non benevola). Certo, è ancora presto per un giudizio definitivo, ma Milei sembra invece comportarsi da “leone carnivoro”. Sebbene, come prova il DNU, pare aver rinunciato (per il momento?) alle due armi atomiche della polverizzazione della Banca centrale e dell’adozione del dollaro come moneta ufficiale.

In Italia, dove un governo di destra, che molti osservatori, probabilmente in vena di scherzi, osano definire ultraliberista, si muove più o meno nell’alveo di Keynes e del Mussolini degli anni Trenta (per inciso due personaggi invisi a Milei, unitamente, perché tutti statalisti, a Hitler, Lenin e Stalin). In Italia, dicevamo, una serie di misure così – anche il solo parlarne… – genera subito l’accusa del “liberale su Marte”.

Quanto alla sinistra, la battaglia sul salario minimo e sul reddito di cittadinanza – che, per la cronaca, il governo “ultraliberista” della Meloni ha ribattezzato, recependolo, “reddito di inclusione” – sarebbe piaciuta a Perón.

Questo per dire, che ciò sta facendo Milei, a prescindere da come andrà a finire, è qualcosa di coraggioso se non temerario in un mondo in cui il liberalismo, liquidato regolarmente come “ultraliberismo”, vive ormai di ricordi professorali, pagati dallo stato, o lo si trova venduto, ma annacquato, agli angoli più riposti delle strade, sotto l’etichetta del liberalsocialismo. Quello venduto dal “bancarellaro” Calenda – per capirsi – che invece sembra piacere a Ferrara.

Meglio “El loco” allora e la sua rivoluzione culturale. Se dovesse farcela potrebbe rinverdire i fasti di Margaret Thatcher, innescando quei meravigliosi meccanismi emulativi in stile anni Ottanta. Anni di libertà e progresso.

Un argentino e una nemica dell’Argentina. Javier e Maggie che vanno, idealmente e pacificamente, a braccetto.

Un miracolo a Buenos Aires! Si chiama liberalismo.

Carlo Gambescia

(*) Qui in DNU: https://www.boletinoficial.gob.ar/detalleAviso/primera/301122/20231221 .

venerdì 22 dicembre 2023

Il no dei curanderi al Mes

 


C’è una parte d’Italia, politica ed elettorale, maggioritaria in Parlamento, per la quale la lezione del 1945, non ha alcun valore, anzi da non pochi è tuttora dipinta come la vittoria delle plutocrazie occidentali.

Un’ Italia che straparla, sragiona, che si affida ai curanderi dell’economia. Poi spiegheremo il perché di questo termine. Il lettore abbia la pazienza di seguirci fino in fondo.

Un’ Italia rossobruna, che come ogni reincarnazione  storica di fascismo, si aggrappa al mito distopico del né destra né sinistra.

Un’Italia che ha votato ieri contro il Mes. Di quali partiti parliamo? Fratelli d’Italia, partito dalle radici fasciste, Lega, partito razzista e nazionalista, Movimento Cinque Stelle, partito populista e sovranista. La peggiore Italia – dispiace dirlo – con la testa rivolta verso Mussolini, Hitler, Perón, Castro, Chávez.

Qui va sottolineato un punto importante: che il Mes non sia stato ratificato a causa del voto contrario del superpartito rossobruno non ha soltanto un valore antieuropeo. Si va oltre. Il voto riassume, in tutta la sua pericolosa portata, il rifiuto dell’economia capitalistica e del meccanismo fiduciario-bancario, che, se ci si perdona la fin troppo facile metafora da medico  di base, sta all’organismo capitalistico, come il sistema circolatorio, sta al corpo umano.

Il rifiuto di ricorrere, in caso necessità, al prestito bancario (perché questo è il ruolo del Mes, alla stregua, per capirsi, del Fmi), significa rifiutare quel rapporto fiduciario, di  fondo, una specie di trama,  tra un cliente bancario che chiede un prestito, e la banca che lo concede o meno, sulla base di garanzie. Così funziona il capitalismo.

Ovviamente, si può fare un passo indietro. Chiamarsi fuori. E questo è il significato politico, diciamo di sistema, del voto contrario di ieri. Però esistono serie controindicazioni.

Il rischio è quello di scivolare verso l’autarchia, il protezionismo, cioè di rispolverare tutto l’arcaico armamentario, retorico e politico-economico, dei fascismi. Come dicevamo, "legnati" nel 1945,  se ci si perdona l'espressione. 

Il voto contrario di ieri, ripetiamo, prima ancora che antieuropeo è anticapitalistico. Hanno vinto i retrogradi, gli illusi del “faremo da soli”, come se non esistesse l’universo economico internazionale. Una enorme rete fitta di corrispondenze: si tocca qui, risponde là, e così via. Imprese, banche e stati non solo isole. Questa è la lezione del capitalismo. Da imparare a memoria.

Come detto sono forze politiche e forme di mentalità collettiva (si pensi ai loro elettori) che hanno come punti di riferimento i modelli economici fascisti, peronisti, castristi, chavisti.

Per tornare alla nostra metafora, rifiutare il rapporto fiduciario-bancario capitalistico significa credere che il sangue possa circolare e irrorare soltanto una parte del corpo umano. Si chieda pure a un medico come può finire. Male. E, per estensione, si ponga la stessa domanda a un economista. Come può finire? Male. Fallimenti bancari, chiusura delle imprese, disoccupazione e rialzo dei prezzi, segue calmiere, fuga di capitali, altra disoccupazione.

Insomma, i rossobruni del no al Mes non ragionano come un medico ma come un “curandero”.

Ieri hanno perciò vinto i ciarlatani dell’economia. Coloro che agli economisti preferiscono i santoni come Perón, Chávez, Castro.

Poveri noi.

Carlo Gambescia

giovedì 21 dicembre 2023

Mai scherzare con i santi (o col presepe)

 


La religione come fatto pubblico può essere pericolosa. Poi quando ci sono i fascisti al governo il pericolo può raddoppiare. Inoltre, sia detto per inciso, non c’è figura più patetica del realista (nel senso del fanatico monarchico) più realista (o fanatico)  del re. Però patetico non è sinonimo di innocuo. Per dirla alla buona: mai scherzare con i santi o col  presepe…

Fratelli d’Italia (prima firmataria la senatrice Lavinia Mennuni di FdI) ha presentato un disegno di legge su quello che può essere definito l’obbligo del presepe a scuola. Poiché, non abbiamo potuto prenderne visione, citiamo da una rivista specializzata.

«Il testo del disegno di legge stabilisce all’articolo 1 che “la Repubblica valorizza, preserva e tutela le festività e le tradizioni religiose cristiane quale espressione più autentica e profonda dell’identità del popolo italiano”.All’articolo 2, invece, si va più nel dettaglio e si dispone che negli istituti di istruzione pubblici è fatto divieto di impedire iniziative promosse da genitori, studenti o dai componenti di organi scolastici, volte a perpetuare le tradizionali celebrazioni legate al Natale e alla Pasqua cristiana, come l’allestimento del presepe, recite e altre simili manifestazioni. All’articolo 3 si prevede che il ministero dell’Istruzione e del Merito possa adottare provvedimenti per l’attuazione di quanto previsto, mentre all’articolo 4 si dispone che chiunque violi tali norme, tra i dipendenti della pubblica amministrazione, sarà passabile di procedimenti disciplinare» (*).

In pratica, si proibisce ai dirigenti scolastici apicali (i vecchi presidi di una volta), minacciando sanzioni disciplinari, di laicizzare le festività natalizie.

Cosa dire? Laicizzare, parola grossa. Perché l’ Italia dai Patti lateranensi in poi ha cessato di essere uno stato laico. Per dire una sciocchezza, basta accendere, alle 11, ogni domenica la televisione pubblica, per capire come siamo messi.

Ora che i fascisti sono tornati al governo, il fenomeno non potrà non accentuarsi. E infatti quel che si legge all’articolo 1 è tremendo. Siamo davanti a una dichiarazione di guerra (di religione): “la Repubblica valorizza, preserva e tutela le festività e le tradizioni religiose cristiane quale espressione più autentica e profonda dell’identità del popolo italiano”. Roba appunto da manganello e aspersorio.

Che dice la chiesa cattolica? Per ora tace. La compagnia politica non è delle migliori. Non in linea con la visione di sinistra – così dicono – di papa Francesco.  Il re, come dicevamo, potrebbe essere meno monarchico dei monarchici...

Resta comunque il fatto che la religione dovrebbe rinviare a quello che un tempo si chiamava aulicamente il “foro interiore” dell’individuo. La sua coscienza. E invece, nell’anno di grazia 2023, si torna a una visione collettivistica. Come recita l’articolo 1: “identitaria”, quindi pubblica. Parola magica per fascisti e nazisti.

In realtà, la scuola, a cominciare da quella dell’obbligo, in primo luogo non dovrebbe essere pubblica, e in secondo luogo, in quanto separata da qualsiasi forma di culto – qui pensiamo anche alle pseudo-religioni repubblicane – dovrebbe occuparsi solo di istruire. La scuola educatrice è pericolosa.

O comunque sia  -  e ciò deve  valere soprattutto  per chiunque creda (onestamente) nei valori della pedagogia socialista o cattolica -   solo un sistema privatizzato  potrebbe garantire a ogni individuo (o famiglia, se minore) di scegliere – eventualmente – che tipo di “educazione” ricevere. Anche socialista o cattolica. Ma a proprie spese.

E la questione redistributiva? Chi non può, perché povero, eccetera? Borse di studio in base al merito e alle capacità. Meglio se private. Lo “stato etico”, che viene contrabbandato come laico, rappresenta in realtà il prolungamento di un’idea redistributiva che conduce al predominio della scuola pubblica e al conflitto tra le varie tesi identitarie dei partiti. Cioè parliamo  delle stesse forze politiche che vogliono impossessarsi della scuola per indottrinare i cittadini, proprio con la scusa dello “stato etico” (educatore).  In realtà, stato  "à la carte".

Ora è il turno di Fratelli d’ Italia. Poi  magari di qualcun altro. Perciò il male andrebbe tagliato fin dalle radici. Come? Privatizzando.

Quanto detto, qui in Italia, al momento è irrealizzabile. Pura utopia. E di conseguenza si parla di presepi, identità, e altre mitologie reazionarie. Si chiama anche nazional-cattolicesimo. Molti italiani, per varie ragioni, non sanno ancora in quale avventura rischiano di imbarcarsi credendo vere le pericolose baggianate identitarie di Fratelli d’Italia. Si chiamano guerre di religione.

Il che spiega il nostro uso del condizionale. Nel senso che solo se si verificasse una rivoluzione liberale, allora forse si potrebbe, eccetera, eccetera. Ma così non è. Oggi al potere ci sono i nipoti e bisnipoti di Mussolini. L’"Uomo della Provvidenza" che firmò i Patti Lateranensi.

Che malinconia.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.orizzontescuola.it/non-piu-natale-ma-festa-dinverno-ma-arriva-il-disegno-di-legge-di-fratelli-ditalia-che-sanziona-i-presidi-che-vietano-il-presepe-testo/ .