martedì 28 luglio 2015

Un articolo di Umberto Curi su “La Lettura
Nichilismo prêt-à-porter




Domenica abbiamo comprato “La lettura”. Che dire? Una elegante rassegna di ovvietà  culturali, confezionata per coloro che si mettono in fila davanti ai cinema dove proiettano i  film di Nanni Moretti, per poi spostarsi,  davanti agli ingressi del Festival della Filosofia di Modena o di quelli dell’Economia di Trento, e così via. Un  gaio e dotto nichilismo prêt-à-porter.  Perciò non si tratta di relativismo. Magari lo fosse: perché il relativismo taglia non infiora.  Semplificando:  insegna  che se vuoi essere bianco (mettiamo) ti devi comportare così e così; se vuoi essere giallo, invece così e così; se vuoi essere rosso, eccetera, eccetera.  Ma che - ecco la lezione, anzi il taglio netto -   non puoi essere bianco,  giallo, rosso  al tempo stesso. Chiaro no?
E invece  su “La Lettura”, sempre semplificando,  si insegna  l’esatto contrario: che il giallo può essere  rosso, bianco, eccetera. Insomma  si decostruisce,  a partire dal concetto aristotelico di identità: il nemico numero uno  di tutti i romanticismi filosofici.
Un esempio?  Si prenda l’articolo di Umberto Curi, gran maestro  di antilogie (postmodernamente intese, quindi decostruzioniste).  Già il titolo è tutto un programma: “Non sempre il naufragio è un sinonimo di fallimento” (p. 9).  Partendo da una sentenza attribuita a Zenone di Cizio (“Naufragium feci, bene navigavi”), si argomenta  -  riducendo il ragionamento al  suo osso filosofico -  che il  naufragare non va inteso in senso hegeliano (della pedagogia  dialettica del naufragio,dalla quale si  può imparare via  sintesi), né in chiave erasmiana (dell’ammaestramento, dal  naufragio per imparare a navigare meglio), ma, secondo una linea di pensiero  - e ti pareva… -  che va da Nietzsche a Blumenberg,   come “pieno compimento”, perché “dolce è il naufragio stesso”.
Ora, un naufragio è un naufragio ( basterebbe chiedere ai congiunti dei poveretti a bordo dei barconi  affondati nel  Mediterraneo)… E va evitato, a ogni costo. Di qui  l’importanza della lezione aristotelica: A è uguale ad A e diverso da B, con tutto quel che ne consegue: un naufragio è un naufragio, e quindi, ripetiamo, va evitato, di qui la bravura del timoniere eccetera ( tesi respinta da Curi).  Ma si sa i  filosofi -  e pertanto anche Curi -  amano lavorare di cesello  su  metafore e simboli.  Però,  ecco il punto, qui si tesse l’elogio di chi vuole andare a fondo, perché  “dolce è il naufragio stesso”… ( la linea sottesa è Leopardi-Schopenhauer-Nietzsche, il sottile "veleno" di Colli e Calasso). Non è relativismo è nichilismo.  Andare a fondo per il gusto di andare a fondo: amare il nulla, per il gusto di abbracciare il nulla. 
E con questo tipo di approccio,  ormai veicolato e apprezzato  a livello di cultura media,  l’Italia  (ma anche l’Europa e l’Occidente, perché la traiettoria nichilista è a lunga gittata) dovrebbe affrontare le prossime sfide politiche, economiche e forse militari?  Poveri noi.  
Carlo Gambescia      

          

lunedì 27 luglio 2015

Arma dei Carabinieri (*)
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2015, lunedì 28 luglio, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO
Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio svolta nell'ambito della procedura riservata n. 765/2, autorizzazione COPASIR 8932/3a [Operazione NATO “ASCOLTO FRATERNO” N.d.V.] è stata intercettata, in data 27/07/2015, ore 16.41, una conversazione intercorsa tra l’ utenza di Stato: n. 334**** in uso a S.E. FINZI MATTIA, Presidente del Consiglio dei Ministri, e l’utenza privata 338***, in uso Al SEN. SEN. GIALLINI JIMMY. Si riporta di seguito la trascrizione integrale della conversazione summenzionata:

[omissis]

SEN. GIALLINI JIMMY: “Allora come va coi compagni?”
S.E FINZI MATTIA: “Chi?”
SEN. GIALLINI JIMMY: “Bertani, Cumerlo, D’Alemagna…i comunisti, dai.”
S.E FINZI MATTIA: “Ci credete sul serio?!”
SEN. GIALLINI JIMMY: “A cosa?”
S.E FINZI MATTIA: “Che ci sono i comunisti. Pensavo fosse uno spin, e invece…ma guarda…”
SEN. GIALLINI JIMMY: “I comunisti ci sono eccome, Mattia.”
S.E FINZI MATTIA: “A me non risulta, ma se lo dici tu…”
SEN. GIALLINI JIMMY: “Guarda, è matematico. Chi vuole lavorare per vivere? Nessuno. Se per vivere senza lavorare hai bisogno dei soldi degli altri, sei comunista. Se ci riesci coi soldi tuoi, sei liberale. Non si può ancora dire in pubblico, ma è così.”
S.E FINZI MATTIA: “Allora sarei comunista anch’io.”
SEN. GIALLINI JIMMY: “Tu sei nel periodo di transizione. In mezzo al guado, diceva Berlinguer. Io sono qua per tenderti la mano.”
S.E FINZI MATTIA: “Ma che carino, grazie.”
SEN. GIALLINI JIMMY: “Di niente, mi fa piacere.”
S.E FINZI MATTIA: “A me adesso servono i voti, Jimmy. Tu in cambio cosa vuoi?”
SEN. GIALLINI JIMMY: “Niente.”
S.E FINZI MATTIA: “Niente?!”
SEN. GIALLINI JIMMY: “Niente. Mi sdogani, e basta. Ci aiutiamo nella transizione.”
S.E FINZI MATTIA: “Scusa ma non ti seguo. Transizione?”
SEN. GIALLINI JIMMY: “Certo, transizione. Tu devi compiere la transizione da comunista a liberale, io che liberale sono già devo fare outing.”
S.E FINZI MATTIA: “Ma perché, sei…?”
SEN. GIALLINI JIMMY: “No, assolutamente. Io voglio poter dire, a testa alta, che sono liberale: cioè che vivo bene, senza lavorare, coi soldi miei. Basta con l’invidia, per la Madonna!”
S.E FINZI MATTIA: “Non è proprio uno slogan da campagna elettorale.”
SEN. GIALLINI JIMMY: “Infatti: e qua entri in campo tu. Cos’è il Partito della Nazione? E’ un partito liberale o no?”
S.E FINZI MATTIA: “Bè, sì. Però…”
SEN. GIALLINI JIMMY: “Lo so. Liberali veri, cioè gente che vive senza lavorare coi soldi suoi ce n’è troppo poca per vincere le elezioni. Ma quanti sono gli italiani che vorrebbero diventare dei veri liberali?”
S.E FINZI MATTIA: “Cioè vivere senza lavorare coi soldi loro? Tutti.”
SEN. GIALLINI JIMMY: “Vedi? Partito della Nazione, cioè Partito di Tutti.”
S.E FINZI MATTIA [pausa]: “Interessante…anche se…”
SEN. GIALLINI JIMMY: “…tu mi obietterai: ‘Ma è impossibile che tutti gli italiani vivano senza lavorare coi soldi loro’.”
S.E FINZI MATTIA: “Mi togli le parole di bocca.”
SEN. GIALLINI JIMMY: “E allora? Agli italiani dobbiamo proporre un ideale, non la piatta, meschina realtà. ‘Vuoi diventare un vero liberale? Vuoi vivere senza lavorare coi soldi tuoi? Vota il Partito delle riforme, vota il Partito della Nazione!’ “
S.E FINZI MATTIA: “Niente male.”
SEN. GIALLINI JIMMY: “E chi saranno i nostri nemici? I comunisti, quelli che vivono senza lavorare coi soldi degli altri.”
 S.E FINZI MATTIA: “La casta.”
SEN. GIALLINI JIMMY: “La casta, i comunisti, che differenza c’è? Sempre di tasse campano.”
S.E FINZI MATTIA: “Quindi subito taglio delle tasse, è questo che vuoi?”
SEN. GIALLINI JIMMY: “Subito no. Prima privatizziamo tutto, ma proprio tutto: sanità, scuola, forze armate, ENI, ENEL, tutto: così i soldi degli altri diventano soldi nostri. Come dicono i comunisti? ‘Espropriare gli espropriatori.’ “
S.E FINZI MATTIA: “Guarda, Jimmy, è una visione interessante, ma mi sembra un po’ utopistica…”
SEN. GIALLINI JIMMY: “Quanti voti avete preso con la fola del comunismo? Se non era utopistico quello…Ce l’avete nel DNA, Mattia, l’utopia è il vostro brand: nessuno lo sa vendere come voi.”
S.E FINZI MATTIA: “Ci devo pensare un po’ su, Jimmy.”
SEN. GIALLINI JIMMY: “Tu pensaci. Però pensa anche  ai voti in Senato, Mattia.”

Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.

M.o  Osvaldo Spengler

(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)

Chi è il  Maresciallo Osvaldo Spengler?  Nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”

sabato 25 luglio 2015

Giornali e cultura di destra
Da Augusto Del Noce all’elogio del delatore



Giorni fa  leggevamo sul “Tempo” di Roma,   l’elogio compiaciuto del giornalista delatore, che aiuta le forze di polizia a battere il terrorismo islamista.  In fondo, si tratta della versione questurina, al servizio della Ragion di Stato, che fa da contraltare a quella  tramarola e giudiziaria di certo giornalismo di sinistra, naturalmente,  al “servizio della verità” .  Come dire: 1 a 1.  Che tristezza.  Parliamo di  un giornale  sul quale scriveva Augusto Del Noce.
Ma è un po’ tutta la stampa di destra (“Giornale”, “Libero”, “Quotidiano Nazionale”)   che perde colpi, rilanciando -  con la bava alla bocca, of course -  campagne  razziste e antisinistra, senza mai proporre soluzioni, se non parole d’ordine tipo “Prima gli Italiani!”, Abbasso i gay, viva la Famiglia!”, “Governo Ladro!”, eccetera.  Un'eccezione  - parziale -  è rappresentata dal “Foglio” che eleva il tono, talvolta magnificamente, senza però mutare l’area di tiro.  Peccato.
Un quadro desolante. Che facilita l’esclusione,  dell’opinionismo di destra dai grandi dibattiti mediatici, già saldamente nelle mani di navigati orchestratori di centrosinistra e sinistra. Ovviamente, parliamo di opinionismo serio,  non di quello folcloristico, ma non meno pericoloso,  di derivazione leghista e neo-fascista. Perciò, anche se fossero ammessi a corte, i nostri intellettuali di destra, non saprebbero cosa dire.  Del resto la catastrofe culturale del Pdl è lì a testimoniare un vuoto di idee purtroppo storico.
Perché storico?  Per una ragione molto semplice.  In Italia,  la cultura liberale, pur vantando  nobilissime origini,  nel secondo dopoguerra, stretta  tra cattolici, comunisti e fascisti,  non è riuscita a imporsi politicamente, né culturalmente. Di conseguenza, senza alcuna base autenticamente liberale, la cultura della destra si è barcamenata  fra  il tartufismo cattolico e  il nullismo neofascista. O ancora peggio,  ha sposato la causa della destra puramente economica. Il che, di riflesso,  ha spinto molti liberali a sinistra (ma questa è un’altra storia).
Il resto è cronaca…
Carlo Gambescia
      


lunedì 20 luglio 2015

Arma dei Carabinieri (*)
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2015, lunedì 20 luglio, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO
Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio ambientale svolta nell'ambito della procedura riservata n. 765/2, autorizzazione COPASIR 8932/3a [Operazione NATO “ASCOLTO FRATERNO” N.d.V.] è stata registrata, in data 18/07/2015, ore 11.32, una conversazione intercorsa S.E. FINZI MATTIA, Presidente del Consiglio dei Ministri, e BERNASCONI SILVANO, ex Presidente del Consiglio. La conversazione si è svolta all’esterno di capanno sito sull’isola di Montecristo (Mar Tirreno), ed è stata registrata a mezzo microfono direzionale posto sul peschereccio “Bella Gina”. A causa della notevole distanza e delle condizioni ambientali avverse, l’audio è incompleto. Si riporta di seguito la trascrizione integrale della conversazione summenzionata:

[omissis]

S.E. FINZI MATTIA: “Bello, qui.”
BERNASCONI SILVANO: “Grazie.”
S.E. FINZI MATTIA: “Sicuro che non lo conosce nessuno, questo posto?”
BERNASCONI SILVANO: “Nessuno. Ci venivo con Dudù, quando non ne potevo più di tutto l’ambaradan…lo sai anche tu com’è.”
S.E. FINZI MATTIA: “Eccome. E Dudù come sta?”
BERNASCONI SILVANO [pausa]: “Mah. Lasciamo perdere. Poi vedi, in cima a queste rocce, con il rumore del vento e delle onde, non ti possono spiare.”
S.E. FINZI MATTIA: “Senti, Silvano…” [pausa]
BERNASCONI SILVANO: “Su, parla liberamente.”
S.E. FINZI MATTIA: “Ho paura, Silvano.”
BERNASCONI SILVANO: “Benvenuto nel club.”
S.E. FINZI MATTIA: “No, dico, hai visto il povero Trippas?”
BERNASCONI SILVANO: “Ho visto sì.”
S.E. FINZI MATTIA: “Mi hanno detto…mi hanno detto che nell’ultima riunione, sai? Diciassette ore? Quando ha calato le braghe? Mi hanno detto che a un certo punto, lo hanno…[registrazione inaudibile]
BERNASCONI SILVANO: “Sul serio?”
S.E. FINZI MATTIA: “Sul serio. E il giorno prima sua moglie, per la strada, un tale la avvicina e le fa…[registrazione inaudibile]
BERNASCONI SILVANO: “Eh.”
S.E. FINZI MATTIA: “Mi serve un consiglio, Silvano. Tu…tu ci sei già passato, in un certo senso…”
BERNASCONI SILVANO: “Togli pure ‘in un certo senso’ “
S.E. FINZI MATTIA: “Insomma, e se viene il mio turno cosa faccio?”
BERNASCONI SILVANO: “Cosa vuoi fare? Niente fai.”
S.E. FINZI MATTIA: “Tutto qui?”
BERNASCONI SILVANO: “Se devi cascare, caschi. L’importante è cadere bene.”
S.E. FINZI MATTIA: “Io non ce li ho, i tuoi soldi.”
BERNASCONI SILVANO: “Non è questo. Devi preparare la tua caduta.”
S.E. FINZI MATTIA: “Cioè?”
BERNASCONI SILVANO: “Se pensi che vogliono farti cadere, devi cominciare a fare degli errori, apposta. Così loro capiscono che non vuoi lo scontro frontale, e male che ti vada perdi il posto, ma tutto finisce lì. Ti ricordi cosa mi ha detto l’Abbronzato?”
S.E. FINZI MATTIA: “ ‘Non cadi, e se cadi cadi in piedi’ “
BERNASCONI SILVANO: “Esatto.”
S.E. FINZI MATTIA: “Sarebbe questo cadere in piedi? Ti hanno condannato, il tuo partito è distrutto…”
BERNASCONI SILVANO: “L’ho distrutto io, facendo accordi con te.”
S.E. FINZI MATTIA: “Sì, ma…”
BERNASCONI SILVANO: “…ma come vedi sono ancora qui. Ci ho rimesso un po’ di soldi, ho passato qualche ora a fare animazione all’ospizio, ma sono ancora qui.”
[lunga pausa]
S.E. FINZI MATTIA: “Io non me l’aspettavo che fosse così.”
BERNASCONI SILVANO: “Cosa?”
S.E. FINZI MATTIA: “La politica. Che fosse così…così…”
BERNASCONI SILVANO: “Così cattiva?”
S.E. FINZI MATTIA: “Sì. [pausa] Figurati che credevo di essere il più bastardo di tutti…”
BERNASCONI SILVANO: “Anch’io.”
[ridono, si danno pacche sulle spalle]
S.E. FINZI MATTIA: “Grazie.”
BERNASCONI SILVANO: “Di niente, figurati.”
S.E. FINZI MATTIA: “No, davvero, grazie.”
BERNASCONI SILVANO: “Tutto sommato non si sta male, sai? Meno responsabilità…vedi le cose in un modo diverso. E poi tu sei giovane…”
S.E. FINZI MATTIA: “Che errore faresti, al posto mio, per mandare un messaggio? Per fargli capire che non cerchi lo scontro?”
BERNASCONI SILVANO: “Dev’essere un errore che non farebbe neanche un bambino. Non so, promettere una cosa talmente impossibile che non ci crede nessuno. Vediamo…”
S.E. FINZI MATTIA: “Le tasse. Prometto di abbassare le tasse.”
BERNASCONI SILVANO: “Buono. Meglio precisare un po’.”
S.E. FINZI MATTIA: “Prometto di abolire l’IMU sulla prima casa.”
[scoppiano a ridere insieme]
BERNASCONI SILVANO: “Sì, però voglio le royalties.”
S.E. FINZI MATTIA: “Come no, per te abolisco l’IMU anche sulle seconde case.”
[ridendo, si allontanano]
Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.

M.o  Osvaldo Spengler


(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)


Chi è il  Maresciallo Osvaldo Spengler?  Nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”

domenica 19 luglio 2015

Caso Crocetta-Tutino-Borsellino, pubblico e privato ai tempi delle procure
Il Privato è politico:  
nulla è  cambiato dal 1968




Nel Sessantotto,  l’immaginario di sinistra  celebrava chiassosamente la politicizzazione della vita privata. Si diceva, anzi si megafonava,   il “privato è politico”: tutto è politica, tutto può servire alla causa della rivoluzione antiborghese, proletaria e femminista.   Dopo di che sono giunti gli anni del cosiddetto  riflusso, del privato e della privacy.  Fino al ridicolo della montagna di carte da firmare e leggere persino  quando si  acquista una scatola di formaggini.
Esageriamo? Forse.  
Di certo, abbiamo semplificato. Però,  in realtà, l' ideologia rivoluzionaria (secondo alcuni pseudo) del  privato come politico,  continua a funzionare e dominare nelle procure e nei media,  grazie al sapiente e complice uso delle intercettazioni telefoniche: fatto privatissimo, opportunamente utilizzato  per condurre campagne politiche. Ultimo caso quello  Crocetta-Tutino-Borsellino.  Una scemenza, di pessimo gusto, detta al telefono, quindi privatamente, che, una volta uscita sui giornali, quindi pubblicizzata,  ha scatenato un putiferio fin troppo prevedibile.  
Ora, non ci interessa  il  “cui prodest?”. Uno, perché significherebbe fare il gioco (per alcuni sporco) del teatrino politico-giudiziario e mediatico. Due,   perché  l' “ola” collettiva,  tipica mitomania da stadio, preferiamo lasciarla ai patiti dei talk show politici. Tre, perché, con Sciascia,  temiamo gli effetti  perversi del  “professionismo” antimafia. Ma questa è un’altra storia.  
Quel che invece resta fondamentale , ripetiamo,  è come certo immaginario di sinistra (tutto è politica, privato compreso) -  che ha contagiato anche  la  destra mediatica, non priva di sessantottini pentiti - continui a prevalere nelle procure e nei media,  in barba a qualsiasi principio di legalità e di difesa dei “dati personali”,  sul "rigoroso rispetto" dei quali - chiediamo scusa per la caduta di stile -   gli stessi di cui sopra  (giornalisti e giudici)  ci rompono le palle quotidianamente.

Carlo Gambescia                     

sabato 18 luglio 2015

Immigrati, alta tensione a Roma e Treviso
Gli opposti estremismi




Sempre la solita sceneggiata: braccia tese, tricolore, bandiere leghiste e tanta bava alla bocca.
Si dice,  ma il problema esiste: troppi immigrati, troppi clandestini, poche risorse, scarso lavoro eccetera, eccetera.  Probabilmente, c’è del vero: la Repubblica, dopo aver promesso tutto a tutti, addirittura costituzionalmente,  sembra non essere in grado di gestire il fenomeno migratorio. Del resto ci si è messa anche l’Ue con i suoi regolamenti   Il che però significa che si tratta di  una questione organizzativa. Nel senso di sedersi intorno a un tavolo, trovare le risorse, controllare i flussi e intervenire militarmente,  se necessario, anche in Africa Settentrionale.
Su questi punti si dovrebbe essere d’accordo: tutti i partiti politici (dicesi, idem sentire). E invece no. Certa sinistra estrema, per fortuna politicamente minoritaria,  aspira a trasformare l’Italia in una Repubblica Socialista degli Immigrati, peace and love. Per contro,  certa destra, altrettanto minoritaria, sembra puntare sul linciaggio,  aizzando  la folla, come ieri.  Sogna la  Repubblica Fascio-Leghista del filo spinato, dei cani, e delle mitragliatrici.   Quando si dice l'album di famiglia...
Alla fin fine, ripetiamo, a destra come a sinistra, si tratta di  nostalgici mai rassegnatisi  ai verdetti del 1861,  del 1945, del 1989-1991.   Minoranze, illiberali,   che proiettano sull’Altro, in chiave positiva o negativa,  le proprie storiche  frustrazioni politiche. Tradotto: la voglia di rivincita.  E che invece, cosa più grave, non hanno mai provato a fare esami di coscienza politica (chi siamo? da dove veniamo? quante stupidaggini, terribili stupidaggini abbiamo commesso? eccetera, eccetera).
Due opposti estremismi da contrastare.  Come? Con il buongoverno. Una parola…

Carlo Gambescia                 

lunedì 13 luglio 2015

Arma dei Carabinieri (*)
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2015, lunedì 13 luglio, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO
Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio svolta nell'ambito della procedura riservata n. 765/2, autorizzazione COPASIR 8932/3a [Operazione NATO “ASCOLTO FRATERNO” N.d.V.] è stata intercettata, in data 12/07/2015, ore 16.41, una conversazione intercorsa tra le utenze di Stato: n. 06**** in uso a S.E. FINZI MATTIA, Presidente del Consiglio dei Ministri, e 06***, in uso a SENSINI FABIO, consulente per la comunicazione della Presidenza del Consiglio.  Si riporta di seguito la trascrizione integrale della conversazione summenzionata:

[omissis]

S.E. FINZI MATTIA: “Questa linea è sicura?”
SENSINI FABIO: “Sicura.”
S.E. FINZI MATTIA: “Sei sicuro?”
SENSINI FABIO: “L’ha appena controllata il maresciallo Ghini.”
S.E. FINZI MATTIA: “Sì, ma Ghini da dove ci viene?”
SENSINI FABIO: “Mattia, sta con noi da dieci anni!”
S.E. FINZI MATTIA: “Va bè. [pausa] Il punto è: chi c’è dietro?”
SENSINI FABIO: “Non lo so. Secondo me, nessuno in particolare.”
S.E. FINZI MATTIA: “Cosa vuol dire, ‘nessuno in particolare’?”
SENSINI FABIO: “Che non c’è bisogno di pensare a un complotto. Sono quasi trent’anni che si va avanti così, non vedi che sono tutti intercettati?”
S.E. FINZI MATTIA: “Ma per la Madonna, io sono il Presidente del Consiglio!”
SENSINI FABIO: “Allora non lo eri. E poi non è la prima volta che intercettano un Presidente del Consiglio.”
S.E. FINZI MATTIA: “Un conto è Berlusconi, un conto sono io. Non sono dalla nostra, i magistrati?”
SENSINI FABIO: “I magistrati magari sì, ma non ci sono solo i magistrati.”
S.E. FINZI MATTIA: “Cioè?”
SENSINI FABIO: “I magistrati intercettano a tappeto, ma chi sceglie quali intercettazioni far uscire? A volte i magistrati, a volte chissà.”
S.E. FINZI MATTIA: “Cioè, dici i Servizi?”
SENSINI FABIO: “Forse.”
S.E. FINZI MATTIA: “D’Alema! Per quanto tempo ha tenuto il COPASIR? Quello ha dietro gli americani!”
SENSINI FABIO: “Può darsi.”
S.E. FINZI MATTIA: “Forse, può darsi, chissà…ma come si fa a lavorare, così, me lo spieghi?”
SENSINI FABIO: “Nervi saldi, Mattia. Il pericolo peggiore è la paranoia.”
S.E. FINZI MATTIA: “Sì, dici bene tu…[pausa] ma secondo te, in confidenza…potrebbero avere anche le intercettazioni mie e di…”
SENSINI FABIO: “…non per telefono.”
S.E. FINZI MATTIA: “Ma non era sicura questa linea?”
SENSINI FABIO: “Sì, ma non si sa mai. Comunque ho capito. Non lo so, può essere.”
[lunga pausa]
S.E. FINZI MATTIA: “Dio, Dio…ti rendi conto che se escono quelle, io…è la mia vita, Fabio, i miei affetti…”
SENSINI FABIO: “Su, su, non ci fasciamo la testa prima di rompercela.”
S.E. FINZI MATTIA: “Fai presto a dire, tu.”
SENSINI FABIO: “Guarda che nel mio piccolo ce l’ho anch’io, una vita.”
S.E. FINZI MATTIA: “Scusa.”
SENSINI FABIO: “Te la senti di lavorare un po’? C’è da mettere a punto la dichiarazione su Atene.”
S.E. FINZI MATTIA: “Fai tu, poi mi mandi una email.”
SENSINI FABIO: “Come vuoi.”
S.E. FINZI MATTIA: [pausa] “Eee…senti, Fabio. E se mettessi le mani avanti? Se ne parlassi subito, con mia…”
SENSINI FABIO: “Non per telefono.”
S.E. FINZI MATTIA: “Insomma, hai capito.”
SENSINI FABIO: “Se te la senti e sai come reagisce.”
S.E. FINZI MATTIA: “Come faccio a saperlo?”
SENSINI FABIO: “Secondo te se lo immagina?”
S.E. FINZI MATTIA: “Non lo so. [pausa] Forse se lo immagina ma non se lo dice.”
SENSINI FABIO: “Allora meglio di no, ti pare?”
S.E. FINZI MATTIA: “Cazzo.”
SENSINI FABIO [pausa]: “Te lo devo chiedere, però non ti arrabbiare.”
S.E. FINZI MATTIA: “Dai.”
SENSINI FABIO: “Vuoi che la mettiamo sotto controllo?”
S.E. FINZI MATTIA: “Cooosa?!”
SENSINI FABIO: “Per sapere come reagirebbe in caso…”
S.E. FINZI MATTIA: “Ah.”
SENSINI FABIO: “Se prevediamo la reazione, la possiamo controllare. Ridurre il danno, capisci?”
S.E. FINZI MATTIA: “Sì, sì. Certo che…”
SENSINI FABIO: “Mi rendo conto.”
S.E. FINZI MATTIA: “Non mi rendo conto bene neanche io, figuriamoci tu.”
SENSINI FABIO [pausa]: “Allora lo facciamo?”
S.E. FINZI MATTIA [pausa]: “Va bene. [pausa] E chi pensi di incaricare?”
SENSINI FABIO: “Ghini.”
S.E. FINZI MATTIA: “Quello che ha controllato questa linea.”
SENSINI FABIO: “E che sta con noi da dieci anni.”
S.E. FINZI MATTIA: “Dopo però non lo voglio vedere più.”
SENSINI FABIO: “Dopo gli diamo una bella promozione e lo mandiamo via.”
S.E. FINZI MATTIA: “Allora d’accordo così. Sai che ti dico? Ho bisogno di un po’ di relax, vado da…”
SENSINI FABIO: “Non per telefono.”

Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.
M.o  Osvaldo Spengler

(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)

Il Maresciallo Osvaldo Spengler, nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”

giovedì 9 luglio 2015

Il “dono” di Evo Morales
Papa Francesco  
tra  falce, crocefisso  e martello


  
Mah…  Se si pensa alle persecuzioni  subite  dal cristianesimo  nei paesi del socialismo reale,  il regalo di Evo Morales  a Papa Francesco  sa di beffa…   Oppure no,  c’è un precedente:  nella Spagna della Guerra Civile  si inscenò la pubblica fucilazione di (una statua) di Gesù.  Perciò i miliziani rossi, simbolicamente,  inchiodarono il Cristo alla falce e martello (*).


Certo,  i doni ufficiali, anche se di cattivo gusto, non si possono rifiutare. Ma il sorriso del Papa non  sembra di circostanza. Eppure da quel che si dice della Bolivia ( dove chi non ha la tessera del partito di Morales non ha assistenza  né lavoro)  il vecchio lupo rosso, indio o meno, non sembra aver perduto né pelo né vizio...
Da sempre,  personaggi come Morales  dichiarano  di sapere, alla perfezione  ciò che  è bene per ogni singola persona… E una volta  agguantato  il  potere “implementano”,  di regola con le cattive...   
Papa Francesco, per contro,  a parte quando deve criticare la società aperta,  si considera,   come ha  più volte sottolineato, incapace di giudicare. 
Un aneddoto. Pareto  consigliava  all’amico Pantaleoni, che si dichiarava conservatore, di non criticare il Re: “Se sei conservatore, o comunque vuoi comportarti coerentemente come tale   -  questo il succo della lettera  -   non puoi attaccare la monarchia, istituzione conservatrice per eccellenza: a me non piace, ma io  non sono conservatore,  guarda al fine,  la conservazione dello stato monarchico, e sorvola sui mezzi”.
Francesco  commette lo stesso errore.  Dovrebbe giudicare, proprio  perché Papa e depositario di una dottrina,  e  invece non  giudica,  o peggio giudica coloro che non sono in sintonia con la sua personale visione del mondo, per alcuni molto spostata a sinistra.
Proprio come Pantaleoni, il Papa  non guarda al fine per concentrarsi solo sui mezzi. Dovrebbe favorire la  conservazione dell’istituzione  e invece la critica  e si bea di  ricevere crocefissi catto-comunisti.  Inseguendo  una fin troppo  facile popolarità mediatica che non ha nulla a che vedere con le vere conversioni.  In questo modo però, il  rischio qual è?  Disorientare i vecchi fedeli  senza acquisirne nuovi.   

Carlo Gambescia

                       

mercoledì 8 luglio 2015


L'ultima del professore...
Bagnaimaria


Alberto Bagnai in divisa da economista

Nell'intervista (qui sotto) Bagnai  parla con grande enfasi  di democrazia e partecipazione:  lui che ha una  formazione da econometrista (seminari e lezioni  da Quattro più Quattro di Nora Orlandi)... Patetico.   Del resto, si sa, la statistica applicata alle variabili economiche è  argomento di conversazione nei bar di quartiere e nei mercatini rionali...  
La sua battaglia contro l'Euro si è fatta  ridicola e pretestuosa.  Probabilmente, la vis polemica  gli ha preso la mano, perché,  pur di continuare a cavalcare  l'onda della popolarità guadagnata grazie ai rigurgiti nazionalisti  anti-Euro,  sta veramente scendendo in basso.  





Possibile che Bagnai  non capisca che il problema  non è (economico)  la moneta unica, ma (politico e sociologico) l'Europa unica?  Questione, certamente enorme,  che rinvia a politiche economiche sostenibili in uno stato nazionale e,  al tempo stesso,  meno sostenibili in un'Europa che stato nazionale non è ancora.
Cosa vogliamo dire?  Che fare  un passo indietro significa  tornare alle politiche economiche  nazionali: la scoperta dell'acqua calda.  Mentre perseverare nella costruzione europea, passando per l'Euro,  implica sicuramente conflitti interni e sacrifici:  docce gelate.  Ma in una prospettiva più ampia - ecco il punto -  di futura  unità politica europea, in un mondo di blocchi.  Unità,  che, ovviamente, richiede tempo,  perché i cambiamenti di mentalità , eccetera, eccetera. 
In questa  Europa, per ora purtroppo a bagnomaria,  si inserisce  Bagnai  che vuole  fare un passo indietro.  Liberissimo.  Tuttavia  il nostro Bagnaimaria  si permette  pure di evocare il pericolo fascista...  Imputandolo ai sostenitori dell'Euro. Insomma,  siamo al carta che vince, carta che perde... Il fascismo era un ultranazionalismo partorito dall'Italia  nell'Europa degli uni contro gli altri armati... Che c'entra  con l'Europa del Parlamento europeo e delle libere elezioni, qualunque cosa si pensi delle sue istituzioni economiche?  Un'altra Europa,  rispetto a quella della guerra civile.
In realtà, qui a rischio di fascismo c'è solo Bagnaimaria che sul fuoco, mai completamente spento del nazionalismo,  vuole versare la  benzina  del sovranismo economico.   Capito, che genio?   

Carlo Gambescia             

P.S.
Colta al volo  oggi sul   blog di Bagnaimaria (http://goofynomics.blogspot.it/2015/07/quelli-che-tsipras-e-fuuuuuuuurbo-aka.html ) : «Allora: io sto lavorando a un paper che spero di consegnare in giornata a Diego Fusaro per Phenomenology and Minds. Si chiama Europe's paradoxes e descrive lo spiaggiamento della sinistra europea, determinato dal suo progressivo adagiarsi su posizioni pinochettiane». Che profondità di pensiero. Cosa aggiungere? Dio li fa poi li accoppia. 



lunedì 6 luglio 2015

La vittoria dei no in Grecia
I soliti  cretini 
in piedi tra le macerie


Anche Hitler avrebbe unito l’Europa. Sotto il tallone di ferro  nazista. Perciò paragonare la Merkel, che porta le scarpette  basse dell'Euro,  all’uomo che teorizzò  la Soluzione Finale  è pura propaganda.  Come del resto difendere Tsipras con la scusa che il popolo è dalla sua parte.  E che significa?  Anche i tedeschi  votarono  per  il  Cancelliere nazista. 
Storia antica. Ricordate, volete libero Barabba o Gesù? E quelli risposero Barabba.  Quindi calma e gesso.  Si tratta di un principio politico organizzativo, non epistemologico:  anche la democrazia,  come per il diritto divino dei monarchi, è un puro e semplice atto di fede.
Perciò che resta del “vittorioso” referendum greco? Conti Correnti confiscati  e debiti  crescenti,  un capo, anzi un capetto,  un destino o quasi (perché si poteva evitare), e un popolo, anzi il 60  di un 63 per cento di votanti…  E, probabilmente, tante rovine.  Con i soliti cretini in piedi.   P.S. Mi dicono però,  davanti alle banche...          

Carlo Gambescia         

   
                                                               

Arma dei Carabinieri (*)  
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
                          (ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)

L'anno 2015, lunedì 6 aprile, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO
Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio svolta nell'ambito della procedura riservata n. 765/2, autorizzazione COPASIR 8932/3a [Operazione NATO “ASCOLTO FRATERNO” N.d.V.] è stata intercettata, in data 05/07/2015, ore 12.32, una conversazione intercorsa tra le utenze di Stato: n. 345**** in uso a S.E. FINZI MATTIA, Presidente del Consiglio dei Ministri, e 367***, in uso a SENSINI FABIO, consulente per la comunicazione della Presidenza del Consiglio.  Si riporta di seguito la trascrizione integrale della conversazione summenzionata:

[omissis]

S.E. FINZI MATTIA: “Insomma, come va a finire il referendum?”
SENSINI FABIO: “Secondo gli ultimi sondaggi…”
S.E. FINZI MATTIA: “Mi prendi in giro?”
SENSINI FABIO: “No, quelli veri.”
S.E. FINZI MATTIA: “Ah, ecco.”
SENSINI FABIO: “Gli ultimi sondaggi danno un testa a testa. Col margine d’errore statistico, la sintesi è: non si sa.”
[pausa]
S.E. FINZI MATTIA: “Se vince il no cosa diciamo?”
SENSINI FABIO: “Questa Europa va cambiata…”
S.E. FINZI MATTIA: “…sì, e poi?”
SENSINI FABIO: “Un’Europa dei popoli…”
S.E. FINZI MATTIA: “Sei matto? Come Salvini? Come la Marine Le Pen?!”
SENSINI FABIO: “Più Europa?”
S.E. FINZI MATTIA: “Per l’amor di Dio, è vecchia come il cucco!”
[lunga pausa]
SENSINI FABIO: “Ci sono!”
S.E. FINZI MATTIA: “Sentiamo.”
SENSINI FABIO: “E’ un no alla vecchia Europa…”
S.E. FINZI MATTIA: “Dai, dai che ci sei…”
SENSINI FABIO: “Questo no alla vecchia Europa è un sì, mille volte sì alla giovane Europa…”
S.E. FINZI MATTIA: “Questa l’ho già sentita.”
SENSINI FABIO: “Occavolo, hai ragione! La Giovane Europa di Mazzini!”
S.E. FINZI MATTIA: “Va bene Mazzini?”
SENSINI FABIO: “No, no…ha la fissa dei doveri, del popolo, di Dio…una faccia triste, da gufo…e poi faceva gli attentati.”
S.E. FINZI MATTIA: “Un terrorista! Ma tu per chi lavori?!”
SENSINI FABIO: “Bè, non proprio un terrorista…comunque Mazzini non va bene. [pausa] Senti un po’ qua: ‘Questo no alla vecchia Europa è un sì, mille volte sì all’Europa dei giovani.”
S.E. FINZI MATTIA: “Fuochino. Vai avanti.”
SENSINI FABIO: “Un’Europa dei giovani, con i giovani, per i giovani.”
S.E. FINZI MATTIA: “Lincoln!”
SENSINI FABIO: “Esatto. Così mandiamo anche un messaggio alla Merkel: ‘Guarda bimba che Obama sta con noi!’ “
S.E. FINZI MATTIA: “Bè…”
SENSINI FABIO: “Si fa per dire, Mattia.”
S.E. FINZI MATTIA: “E se poi la Merkel se la prende?”
SENSINI FABIO: “Per così poco?”
S.E. FINZI MATTIA: “Non hanno il senso dell’umorismo, i tedeschi. L’hai sentito Schultz?”
SENSINI FABIO: “Quando ha detto che in Grecia ci vuole un governo di tecnici?”
S.E. FINZI MATTIA: “Mi è venuta la pelle d’oca, Fabio.”
SENSINI FABIO: “Perché?”
S.E. FINZI MATTIA: “Come perché? ‘Se fai come dico io resti al governo, se no ti mando a casa e ci metto un mio dipendente.’ Dovrei stare tranquillo, secondo te?”
SENSINI FABIO: “Scusa, Mattia: ma te ne accorgi adesso?”
S.E. FINZI MATTIA: “No, ma sai, detto così, fuori dai denti, da una sede ufficiale…”
SENSINI FABIO: “Ci conviene, Mattia.”
S.E. FINZI MATTIA: “In che senso?”
SENSINI FABIO: “Se in Europa governasse solo chi vince le elezioni, noi non saremmo qua.”
S.E. FINZI MATTIA: “Ma se ho preso il quaranta per cento!”
SENSINI FABIO: “Alle europee, Mattia: alle europee. Le politiche non le abbiamo fatte.”
S.E. FINZI MATTIA: [pausa]: “Eh già. Sai, ormai mi sono abituato…”
SENSINI FABIO: “Ecco il punto: ti sei abituato tu, e si sono abituati anche gli italiani. Ma se ci pensi un attimo, è da un bel pezzo che non si fanno le politiche.”
S.E. FINZI MATTIA: “Sai che è vero? Non le ha fatte neanche ‘stai sereno’…”
[ridono]
SENSINI FABIO: “Con quella faccia, ‘stai sereno’ non lo votava neanche sua moglie…”
S.E. FINZI MATTIA: “Forse la mamma, che pure o’ scarrafone è bbello a mamma soia…”
[ridono]
SENSINI FABIO: “Insomma: noi siamo al governo perché c’è andato Montani. E chi l’ha eletto Montani? Nessuno. Nessuno Montani, nessuno ‘stai sereno’, nessuno neanche noi.”
S.E. FINZI MATTIA: “In effetti... [pausa] insomma, se vince il no cosa diciamo?”
SENSINI FABIO: “Questo no alla vecchia Europa è un sì, mille volte sì a un’Europa dei giovani…”
S.E. FINZI MATTIA: “Sììì…”
SENSINI FABIO: “Un’Europa dei giovani che cresce insieme ai giovani…”
S.E. FINZI MATTIA: “Sì, sì…”
SENSINI FABIO: “E a questi giovani, l’Europa dei giovani lancia una sfida…”
S.E. FINZI MATTIA: “Dai che ci sei…”
SENSINI FABIO: “Senti questa: ‘non chiedere cosa può fare per te la vecchia Europa: dimmi cosa vuoi fare tu, per l’Europa dei giovani!”
S.E. FINZI MATTIA: “[pausa] Kennedy. Sei un grande, Fabio.”
SENSINI FABIO: “It’s my job, Mr. President.”
S.E. FINZI MATTIA: “No, niente falsa modestia. E’ magistrale.”
SENSINI FABIO: “Che tra l’altro un pochino gli somigli.”
S.E. FINZI MATTIA: “Dici?”
SENSINI FABIO: “Va un po’ aggiustato il taglio dei capelli…”
S.E. FINZI MATTIA: “Qua devo perdere un cinque chili, basta con la pastasciutta!”
SENSINI FABIO: “E poi, se permetti…”
S.E. FINZI MATTIA: “Certo, dai.”
SENSINI FABIO: “Hai fatto caso che Maria Eleonora pare la sorella di Marylin?”
S.E. FINZI MATTIA: “Magari! No, però hai ragione, un pochino…soprattutto l’espressione…”
SENSINI FABIO: “Anche lei, se cambia pettinatura, si tinge di biondo…magari fate la dieta insieme…”
S.E. FINZI MATTIA: “ ‘Happy birthday, Mr. President…’ Che donna quella, che donna…”
SENSINI FABIO: “Niente di esplicito, di volgare, capisci? Una somiglianza appena accennata, un messaggio subliminale…non sembra, ma arriva, arriva…”
S.E. FINZI MATTIA: “No no, ho capito, una cosa sottile…bravo, Fabio, oggi sei proprio in forma.”
SENSINI FABIO: “E poi con il richiamo a Kennedy c’è un altro bonus.”
S.E. FINZI MATTIA: “Cioè?”
SENSINI FABIO: “Comunque vada il referendum, vedrai che tutti daranno addosso ai tedeschi. Se vince il sì e i greci fanno la fame, di chi è la colpa? Dei tedeschi che sono insensibili. Se vince il no e la Grecia esce dall’euro, di chi è la colpa? Dei tedeschi che sono rigidi. Anche tu, qualcosa contro i tedeschi lo dovrai pur dire.”
S.E. FINZI MATTIA: “ ‘La vecchia Europa’ “
SENSINI FABIO: “Esatto. Però non li possiamo criticare e basta, sennò…”
S.E. FINZI MATTIA: “…sennò mi mandano a casa.”
SENSINI FABIO: “E allora tu cosa fai? Prima li critichi un pochetto, la vecchia Europa, l’Europa dei giovani, eccetera. Ma quando Salvini si scatena contro la Merkel, l’austerità, la Germania, l’euro che non è l’euro ma il marco tedesco, tu cosa fai?”
S.E. FINZI MATTIA: “Cosa faccio?”
SENSINI FABIO: “Fai un discorso a reti unificate. Serio, composto, presidenziale…magro, bello, giovane, col ciuffo…il vestito scuro, la cravatta sottile, la camicia coi bottoncini…kennediano! e cominci così: ‘Ich bin ein Berliner’…”
[pausa]
S.E. FINZI MATTIA: “Cosa prendi di stipendio?”
SENSINI FABIO: “Ma, esattamente non…”
S.E. FINZI MATTIA: “Te lo faccio aumentare del venti per cento.”
SENSINI FABIO: “Grazie, Mattia, ma non c’è bisogno, può dare adito a polemiche…”
S.E. FINZI MATTIA: “Venti per cento. Te lo meriti. The best and the bestest.”
SENSINI FABIO: “The best and the brightest…”
S.E. FINZI MATTIA: “Perché io cos’ho detto?”

Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.

M.o  Osvaldo Spengler

(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)


Il Maresciallo Osvaldo Spengler, nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”

giovedì 2 luglio 2015

Il libro della settimana: Cinzia Rita Gaza, Morire, uccidere: l’essenza della guerra,  prefazione di Luigi Bonanate, Franco Angeli, Milano 2014, pp. 176,  Euro 21,00. 



La guerra in una società psichicamente e sociologicamente demilitarizzata, come la nostra,  è argomento indigesto,  anzi,  politicamente scorretto:  roba per  pochi  specialisti universitari, assediati, in  un  mondo  accademico  dove proliferano con il sorriso stampato sulla faccia   istituti per lo studio  scientifico della pace.  Per non parlare degli input mediatici alla valeriana  e di certo diffuso sentire arcobaleno a colpi ( e non)   di bandiere pacifiste. 
Perciò ben vengano libri di taglio scientifico,  capaci di affrontare senza ipocrisie  lo studio di un fenomeno che, piaccia o meno,  innerva la storia umana.  Di qui,  la giusta  necessità, di capirne costanti antropologiche, sociologiche, politiche,   nel quadro di una dinamica multiforme, dove caso e necessità condizionano  l’andamento delle vicende umane. Senza per questo dover dividere il pane con i guerrafondai di ogni colore politico
In  particolare, pensiamo a  Morire, uccidere: l’essenza della guerra (Franco Angeli), libro ora sulla nostra scrivania: un bel saggio, agile, asciutto, avvincente (le tre A), scritto da Cinzia Rita Gaza, dottore di ricerca  in Scienze strategiche e docente presso la Scuola  di Studi Superiori  dell’Università di Torino.  Parliamo  di una monografia introdotta limpidamente da Luigi Bonanate, in cui si   punta   al bersaglio  grosso: i fatti nudi e crudi.  Gaza, per limitarsi alla storia événementielle,  picchia  più duro  di un pugile di Gragnano: mandando a tappeto Churchill  a proposito  dell' area Bombing,  triste privilegio britannico (e Guernica allora?), ma anche i  baby boomers  incollati a frigorifero e televisione.  Gaza si avvale anche di uno  stile brioso  ai limiti di una divertente e piacevole scapigliatura linguistica, capace di coniugare registri alti e bassi. Tanto per capirsi: 

“ Mentre la causa [della guerra, Ndr], si presenta nelle sue epifanie storiche  come valore in franchising, omologante e cogente” ; oppure “la causa  [della guerra,  Ndr], in ultima analisi  ne costituisce una rappresentazione esteriore, una semplificazione prêt-à-porter” (p. 44). O ancora: “non gli si chiede [al soldato, Ndr] se per la patria è pronto a uccidere, perché tale prerequisito non è in discussione, è il minimo sindacale” (p. 158,  i corsivi sono nostri).   

Abbiamo tra le mani un lavoro  ben strutturato, organico,  corredato  da una più che accettabile  bibliografia,   diviso in due parti: “Morire” e “Uccidere”: ciò che la guerra in ultima istanza ci chiede, come ben sottolinea Gaza.  Ripartite,   rispettivamente in  sei e cinque capitoli:  Parte Prima.  “1. Morire in guerra”; “2. Morire per la causa”; “3. Il sacrificio; “4. La giovane e bella morte eroica”; “5. onore di pianti”; 6.Ossimoro di guerra” .  Parte Seconda: “7. Uccidere, uccidere in guerra”; 8.L’onore del soldato”; ”9. La fiera campionaria della crudeltà”; “10. Beep-and-boom”; “11. Dopo la guerra”. Ogni parte, e seguita da Conclusioni.  Ovviamente,  non manca l’”Ultima conclusione” (pp. 163-165.  In particolare però, si raccomanda la lettura e rilettura delle "Seconda conclusione" (pp. 158-161): un concentrato stratigrafico delle tesi sostenute nel libro.  Eccellente. 
Troppo pedanti? Abbiamo addirittura  esposto,  quasi compitato,  l' Indice, titolo per titolo...  Forse. Ma come altrimenti far annusare  ai possibili lettori  la profondità tematica  del volume? Un testo   che non tralascia un solo aspetto del questione?  Insomma,  nel nostro caso, pedanteria  come  sinonimo di invito perentorio alla lettura.
Quali sono le tesi del libro?  Una volta ridotta la guerra alla sua essenza: morire e uccidere, mettendosi  sulla scia del realismo antropologico, Gaza  riconduce le  due costanti, declinate culturalmente ( quindi non in chiave brutalmente biologistica),  a forme archetipiche, che si solidificano di volta in volta  in modelli istituzionali (ad esempio,   lo stato-nazione),  simbolici ( del cittadino in armi)  collettivi (la solidarietà di gruppo), però sempre storicamente determinati. Un approccio metodologico forma-contenuto, che condividiamo: forma archetipica, contenuti storici. Sullo sfondo teorico, ricco di nomi importanti (con iceberg analitico,  Jung e Hillman),  il non citato Simmel del conflitto nella cultura moderna?  Forse.  Ovviamente stiamo semplificando.  Il libro, ripetiamo,  è ricco di  spunti, stimoli, notazioni.  Solo per fare un esempio: perché l’Occidente non vuole battersi più? Per farla breve:  cultura del figlio unico in carriera.  Gaza riprendendo le taglienti  tesi di   Luttwak  osserva:

“ Se la scarsità di un bene  (in questo caso i figli) ne aumenta il valore, questo non significa un maggiore apprezzamento  dei combattenti in quanto ridotti di numero e pertanto ‘economicamente’  preziosi: lo scenario non è quello della fine della potenza spartana a causa della strage  degli spartiati non rimpiazzabili dal normale ricambio generazionale. Il problema non riguarda nei termini di un eventuale rischio di depauperamento del patrimonio demografico nazionale, bensì in un problema di natura squisitamente emotiva: la società non  è più in condizioni di accettare perdite, anche in numero estremamente ridotto rispetto a quello relativo alla guerre del passato. Ribaltando i termini della questione, si potrebbe sostenere che il regime  a bassa natalità tipico delle società del benessere  non è causa  della maggiore dedizione alla prole  ma conseguenza:  in altre parole, i figli  non sono preziosi  perché pochi ma pochi perché preziosi, perché vogliamo dare loro  il massimo possibile in termini di benessere, salute, formazione, esperienze, cioè convogliare grandi energie di natura economica e affettiva su di un numero limitato di individui” (pp. 84-85)         


Perciò gli ultimi  seguaci di Marinetti sono avvisati…  Non c’è più materia prima, né culturale né materiale.  Per dirla, parafrasando al contrario la famosa tesi di Bouthoul, oggi l'Occidente pratica il differimento sine die  dell'infanticidio differito... Anche se, il libro, alla fin fine, è possibilista. La storia umana è fatta di revisioni culturali. Mentre la  pericolosità dell'uomo (Hobbes) incombe sempre.
Un punto infine. Osserva giustamente Gaza:

La ragione (o il complesso di ragioni) per cui gli uomini sono disposti a morire in guerra o, al contrario, sono riluttanti a mettere a repentaglio  la loro vita è, in prima istanza, connessa con la fortuna o il declino  a cui è storicamente soggetta l’idea di un valore  condiviso e aggregante, capace di trascendere l’individuo, che richiede di essere strenuamente difeso o ardentemente esaltato. Che si chiami patria  o nazione, fede o ideologia, è un valore  che viene recepito come atemporale e totalizzante, tanto che  porta gli uomini a relativizzare il valore della loro vita  singola e transitoria. Si può forse rinvenire una sorta di sinusoide  storica che individua  le fasi nelle quali il principio di appartenenza  sale nella borsa-valori  degli ideali (nella polis greca, nella Roma repubblicana, nelle campagne napoleoniche, nelle guerre nazionali e nazionalistiche)  e fasi nelle quali questo scende. Le prime sono quelle che  determinano una diffusa disponibilità  al sacrificio, che trova rispondenza  nell’approvazione sociale; le seconde sono attraversate da riluttanza, scetticismo e pragmatismo” (89-90).
  

In realtà,  qualcuno  è già volato sul nido del cuculo.  Un tentativo ravvicinato del terzo tipo  (la  sinusoide storica, il valore condiviso, eccetera) -   metodologicamente,  sorta di fusione  a freddo tra sociologia quantitativa e qualitativa -  rimanda non tanto  ai lavori del citato  Bouthoul (grande polemologo, oggi dimenticato, forse talvolta troppo frettoloso e vendicativo nelle conclusioni), quanto all’ opera di Pitirim A. Sorokin: Social and Cultural Dynamics  (1937-1941). Dove il flusso e riflusso tra senso di appartenenza e individualismo (semplificando) in relazione al “fattore  polemico”  (per usare la terminologia di Julien Freund),  viene agganciato alle forme culturali prevalenti:  idealismo, ideazionalismo, sensismo.  E con tanto di  grafici: pieni zeppi dei  sinusoidi di cui sopra... Secondo il grande sociologo russo, naturalizzato americano, più una cultura si fa totalitaria ed egoistica, più è facile  che  diventi polemica. Inoltre  Sorokin,  studia  anche la relazione statistica, tra modelli di interazione sociale (contrattualistico,  familistico, coercitivo)  e dinamica polemologica.  Le sue tesi  (che ovviamente non sono vangelo) hanno trovato  conferma  nelle  indagini di  Quincy Wright, autore del   monumentale A Study of War (1942). In seguito,  l'atteggiamento verso le tesi sorokiniane si è fatto  più critico: si veda al riguardo  William Eckhardt, Transitions, Revolutions, and Wars, in  J.B. Ford, M.P. Richard C. Talbutt, Sorokin and Civilization. A Centennial Assessment (1996). Comunque sia, Sorokin resta un grande pioniere. E non potevamo non ricordarlo.
In conclusione,  un ottimo libro, quello di Cinzia Rita Gaza.  E poi...  Un saggio che   si apre   con una citazione dell’amico Claudio Bonvecchio e si chiude con un' altra di Ernst Jünger...  Il massimo, diciamo così,  dell'anti-mainstream.   Perciò  leggerlo e  diffonderlo  è  un dovere. 
Carlo Gambescia