Che esista una cultura politica di destra, almeno dalla Rivoluzione francese, è un dato inoppugnabile. Con il termine cultura politica intendiamo un insieme di idee e di principi organizzativi sull’uomo e la società.
Il punto di partenza della cultura politica di destra è la divisione, che risale alle assemblee rivoluzionarie francesi, tra destra e sinistra: tra il pro e contro le carte dei diritti, le costituzioni, l’uguaglianza dinanzi alla legge e l’esercizio delle libertà politiche e civili.
La destra contesta il mondo moderno, e in particolare l’individualismo, cioè l’idea che ogni individuo sappia ciò che è bene per se stesso, senza necessità di mediazioni di natura ultraterrena o terrena.
Politicamente parlando la cultura di destra si è qualificata in reazionaria, conservatrice, pseudorivoluzionaria. E, cosa non secondaria, ha sempre rivendicato il suo antiliberalismo.
La cultura della Restaurazione, contraria alla sovranità del popolo e alle Carte, fu reazionaria: si pensi a una figura come Carlo X.
La cultura, successiva che per il resto del XIX secolo si oppose al costituzionalismo liberale, fu invece conservatrice: si pensi alla differenza tra Cavour e Bismarck.
Infine la cultura novecentesca, quella che aveva raccolto il testimone da reazionari e conservatori, si autodefinì addirittura rivoluzionaria dal momento che giudicava insulso l’individualismo, scorgendo nel liberalismo una pura e semplice cultura conservatrice delle istituzioni: si pensi all’antiliberalismo di Mussolini e Hitler, un imbevibile miscuglio di reazione (fini) e modernità (mezzi). Una inquietante pagliacciata finita in modo tragico.
In realtà, come detto, poiché il fascismo condivise la critica reazionaria alla modernità, quindi alla rivoluzione individualistica, la sua fu una cultura pseudo-rivoluzionaria. Proprio nel senso dell’etimo: di “falso” (“pseudo”) rivoluzionarismo, Perché non liberava l’individuo ma lo inquadrava, o per meglio dire imprigionava, nello stato-partito unico.
La rivolta contro il moderno, nelle sue varie fasi, non disdegnò mai il ricorso alla violenza. La cultura del colpo di forza, della spallata alle istituzioni, faceva già parte integrante della cultura di destra. Tuttavia con il fascismo e il nazismo, che teorizzavano la violenza diretta contro i nemici politici, la parte si fece tutto. Pertanto la cultura di destra, soprattutto nel Novecento è cresciuta nutrendosi e celebrando apertamente l'uso della violenza politica.
All’indomani della durissima sconfitta del 1945, la cultura di destra, dopo aver capito a proprie spese la natura inclusiva delle istituzioni democratiche, ripiegò verso la conquista silenziosa del potere. Di qui però i conflitti al suo interno tra sostenitori della marcia, pacifica o quasi, attraverso le istituzioni e i seguaci del rovesciamento violento.
In Italia oggi sono al governo i seguaci della marcia attraverso le istituzioni. La violenza vera e propria è stata apparentemente accantonata. Sopravvive però l’autoritarismo: il far valere in modo fermo e duro l’autorità dello stato, mantenendosi, per ora, al confine tra forza, come monopolio dell’uso legittimo della violenza, e ricorso, oltre la legge, alla violenza pura e semplice.
Autoritarismo, che, quanto ai contenuti, nonostante siano passati più di due secoli dalla Rivoluzione francese, si nutre della storica incomprensione dell’individualismo moderno. Come del resto si evince dalla difesa, da parte della destra attuale, di valori chiaramente anti-individualistici, olistici (da “olos”, greco, “tutto”), come Dio, patria e famiglia.
Va osservato che il fascismo nella sua critica al liberalismo recuperò il cesarismo, cioè la forma plebiscitaria che consacra un capo carismatico, lungo una linea politica, che costeggia la cultura politica di sinistra, che va da Robespierre a Napoleone I e III, irrorando le idee di Lenin, Mussolini, Hitler. Di qui quel respirare una certa aria da sinistra pseudo-rivoluzionaria, incarnata dalle correnti “di sinistra”, movimentiste del fascismo, per limitarsi al caso italiano.
Movimentismo che trae forza da una visione costruttivista della politica e della società, ovviamente antiliberale, che accomuna fascisti e comunisti, nel nome dell’anti-individualismo di derivazione giacobina. Sicché i due estremi antiliberali si toccano.
Ovviamente il plebiscitarismo, come forma di democrazia diretta è l’esatto contrario della democrazia rappresentativa liberale. Va sottolineato che l’elemento plebiscitario, che salta il momento della discussione, tipicamente liberale, per valorizzare quello della decisione, tipicamente cesarista, di un capo consacrato dal popolo, è tuttora vivo nella destra. Infatti sebbene in forma attenuata, si ritrova nel presidenzialismo plebiscitario che vuole ridurre al minimo il contrappeso politico rappresentato dalla discussione parlamentare. Il sale del liberalismo.
Questa destra può farsi liberale? Non crediamo. Perché dovrebbe accettare l’individualismo moderno.
Cosa, come abbiamo visto, che rifiuta, sistematicamente, da almeno due secoli.
Carlo Gambescia
P.S. Dimenticavamo, Buona Pasqua a tutti!