Marx ed Engels nel Manifesto, cosa ad alcuni sfuggita, tessono l’ elogio della borghesia. Una classe, che con la sua visione cosmopolita del mondo, la sua voglia di fare affari, il suo amore per il progresso tecnico, stava sbaragliando le vecchie aristocrazie controrivoluzionarie, liberando contadini e campagne dalle prepotenze di preti e nobili, eccetera, eccetera.
La libertà di mercato, insomma, come strumento di liberazione. Come noto però, nella visione di Marx la libertà svolgeva un ruolo strumentale, perché al servizio di una filosofia della storia che avrebbe inevitabilmente condotto al potere, per reazione dialettica, un proletariato sempre più sfruttato e impoverito dalla borghesia.
Diciamo che in Marx, mercato e borghesia hanno funzione di rottura rivoluzionaria, di passaggio finale al regno dei fini (Kant riletto al contrario). Semplificando, il mercato è transeunte, il socialismo immanente al materialismo storico-dialettico, come gloriosa sintesi finale.
A questo pensavamo, leggendo L’ illusione liberista. Critica dell’ideologia di mercato (Laterza), di Andrea Boitani, economista neokeynesiano (per sua ammissione) della milanese Cattolica .
In verità, sembra di leggere un pamphlet antiliberale di Costanzo Preve o Alain de Benoist, senza però quell' irriverente vena di utopia anticapitalista, tipica nei due pensatori.
Boitani, per un verso – la pars destruens – ricorre a tutti i peggiori stereotipi contro il mercato, per l’altro – la pars construens – vuole conservarlo sotto vetro, come i reperti anatomici nei polverosi studi medici di una volta. Come? Introducendo le famigerate “regole”, tanto care ai liberalsocialisti. Tradotto, più tasse, più burocrazia. Boitani ha cuore di burocrate. Altro che irriverente.
Per capirsi, se per Marx ed Engels, la borghesia andava lasciata fare, per Boitani, invece va spennata, e con metodo. Quindi, in certo senso, per l’economista della Cattolica la borghesia si merita il peggio, restando in vita, ma in catene fiscali.
Sotto questo aspetto, Boitani, a differenza di Marx, è ancora più pericoloso, perché è un nemico interno: un traditore della borghesia, quella dei tempi di Marx. Dal momento che la borghesia di oggi – per capirsi di “Repubblica e centrosinistra e dintorni – lo coccola, gli offre tè e pasticcini. Che Boitani, da professore ben educato, sorbisce con il mignolo alzato. Perché? Per la semplice ragione che i salotti buoni di oggi, sotto sotto sperano di potersi rifare domani trafficando con l’economia pubblica.
Altra fissa di Boitani e di tutti i liberalsocialisti, neokeynesiani, eccetera (li si chiami come si vuole) è la riduzione delle disuguaglianze: la parola magica, pronunciata tra un pasticcino e l’altro, in mezzo alle buone dame laiche di carità
In realtà le disuguaglianze sono molla di sviluppo, perché, per dirla brutalmente, la fame aguzza l’ingegno. Furono carestie e catene feudali a spingere gli avi contadini dei borghesi a scappare in città. E da lì iniziò la grande rincorsa, celebrata persino da Marx.
Boitani invece, vuole più tasse, più stato, più catene. Non più feudali ma statali. Ancora peggio. E soprattutto, al posto del mercato privilegia l’economia mista, fonte invece di sprechi e di corruzione.
Boitani, totalmente privo di senso del ridicolo, porta come buon esempio di intervento pubblico quello che ha caratterizzato la pandemia…
Vive in un mondo suo. Probabilmente come tutto il filone liberalsocialista crede nello stato stazionario, cioè in una situazione sociale immaginaria di pieno benessere e piena occupazione, alla quale il mercato, nulla toglie nulla aggiunge. Sicché diverrebbe quasi inutile. Il reperto anatomico di cui sopra.
Siamo oltre l’utopia marxiana. Marx, però era odiato dai borghesi, all’epoca fieramente consapevoli del proprio valore. Viveva nelle caverne internazionaliste. Boitani invece collabora alla Voce.info, rilascia interviste alla luce del sole, offre consigli graditi a Letta. E prende il famoso tè con le signore di cui sopra. Affezionate lettrici dei giornali del Gruppo Espresso, per capirsi.
Diciamo che questa borghesia decadente, che si vergogna delle disuguaglianze, molla di progresso, ha l’economista che si merita.
Si dirà che usiamo un linguaggio forte. Si legga il pamphlet di Boitani. Poi ne riparliamo.
Carlo Gambescia