mercoledì 31 gennaio 2018

Microsociologia
L'Italia? Una Repubblica fondata sui portinai


L’Italia è un paese socialmente  ingessato, bloccato, paralizzato.
Alcuni miei amici desiderano liberarsi del portinaio negligente e infedele. Antefatto. Nonostante  le  mancanze siano serie  nessuno dei condomini  ha  però il coraggio di esporsi e sfidare i sindacati e la sorte davanti al giudice del lavoro. Sicché, invece di licenziarlo apertamente, il condominio pensa di ricorrere a un escamotage. Quale? Si pensa, approfittando di alcuni lavori in corso,  di deliberare in assemblea  "la soppressione del servizio di portineria", per "sopraggiunte e insostenibili spese straordinarie".   E che di conseguenza, eccetera, eccetera. 
Come  finirà?  Che il giudice del lavoro, al quale il portinaio  licenziato surrettiziamente, comunque si rivolgerà, mangiata la foglia,  darà ragione all’ex dipendente, come  nel novanta per cento  dei casi giudicati da questa magistratura speciale, istituita dal fascismo e recepita, tagliati via i riferimenti   al corporativismo, dall'Italia repubblicana.  Quindi il condominio dei miei amici, dopo due o tre anni (perché questa è la durata media  dei giudizi  in materia),  dovrà  rifondere spese, danni, eccetera.  A Napoli si dice “cornuti e mazziati”.
Qual è il succo della storia?  Che l’Italia non si è ancora liberata delle pesanti bardature sociali di origine fascista.  I tribunali del lavoro, divenuti  nel dopoguerra,  riserva di caccia del socialismo welfarista giudiziario,  andrebbero cancellati,  imponendo così il ricorso  alla giustizia civile.  Come nei paesi normali
Non si è ancora capito che più si rendono complicati i licenziamenti,  più prolifera quell’arte di arrangiarsi  che ci ha resi famosi del mondo.  Lo specialismo giudiziario - e qui parla il sociologo - crea burocrati specialisti, se si vuole sacerdoti del diritto positivo che condividono  la stessa religione.  Detto altrimenti:  il giuslavorismo  è il proseguimento del socialismo ( e del fascismo)  con altri mezzi. E del terrorismo: in Italia  i giuslavoristi, soprattutto gli studiosi,  fuori dal coro, sono stati minacciati o addirittura uccisi, come i professori Biagi e D'Antona.
Si dirà, ma i diritti dei lavoratori, eccetera, eccetera? Esistono, ripetiamo, i tribunali civili.  Il "tribunale del lavoro" sta al  "tribunale speciale", che condannava gli oppositori al regime fascista come la giustizia civile sta invece  a un normale sistema liberaldemocratico.   La logica totalitaria da tribunale speciale è sempre la stessa:  l’imprenditore o datore di lavoro   - anche collettivo, condominiale  -  è giudicato alla stregua di un nemico del popolo welfarista,  così come gli antifascisti spediti in prigione o al  confino erano allora considerati nemici del popolo fascista. Ripetiamo,  la continuità ideologica  dello statalismo  protezionista è la stessa.  Lo Statuto dei Lavoratori socialista è il proseguimento "ideale" della Carta del Lavoro fascista.                
Quando ai miei amici - moglie a marito,   due stimati professori di liceo -   ho spiegato queste cose, mi hanno guardato come se provenissi da Marte.  E scuotendo la testa  hanno risposto  che i diritti dei lavoratori sono sacri e impongono una tutela giudiziaria specifica. Perché, sopprimendo il magistrato del lavoro,  si favorirebbe l' indiscriminata libertà di licenziamento. Al che ho alzato le braccia.  Chi è causa del suo mal  pianga se stesso.    
Del resto l’Italia  - altro principio social-fascista-lavorista -  non è, anche costituzionalmente,  un Repubblica fondata sul Lavoro?  E allora, cari amici  “beccatevi” il portinaio negligente e infedele.

Carlo Gambescia
  

            

martedì 30 gennaio 2018


L’articolessa  di Pietrangelo Buttafuoco
“Il Foglio” con  la  celtica...




Leggo  “Il Foglio” regolarmente e con piacere. Ne apprezzo il taglio liberale e  le analisi,  sempre documentate e appuntite.   Tra l’altro   - evvai con il violino! -   recensisce  i miei libri, fin troppo generosamente.
Confermo pure il mio giudizio sul simpatico romanticismo politico di un quotidiano deliziosamente, soggetto a ciclici innamoramenti, mai occasionali. Diciamo che si tratta gaddianamente di accoppiamenti giudiziosi: prima Berlusconi,  poi  Renzi, ora di nuovo  Berlusconi, dopo le elezioni forse divamperanno le nove settimane e mezzo con le  "Larghe Intese".   Nulla da eccepire: questo offre il mercato politico, ovviamente, per un lettore liberale che non voglia morire nel lazzaretto dell'antipolitica.  Quindi, bravi,  avanti  tutta!   
Però, ieri,  francamente, l’articolessa  di Pietrangelo Buttafuoco stonava (*). Certo, sappiamo, sappiamo, sappiamo: "Non condivido quel  che dici, però lotterò, eccetera, eccetera, eccetera". Tuttavia, per dirla con Totò, ogni tutto ha un limite. 
Il pezzo  sembrava scritto per  un febbricitante  giornaletto  di estrema destra con tanto di  celtica sulla testata.  Quelli, stampati come e dove capita,  con le rituali parole d'ordine:   Toro Seduto, camerata della prima ora,   gli islamici nelle veste di camerati che sbagliano,  Putin camerata senza saperlo,  Mussolini, il camerata vero della  previdenza sociale. E,  tocco finale, la macumba:  liberalismo uguale totalitarismo. Ecco qui,  un assaggino del Buttafuoco-Pensiero: "Vorrei proprio ripetermi: il liberalismo si evita il disturbo di uno stato totalitario perché serba in sé ben altra comodità, la società totalitaria" .
Insomma, tre pagine di sputi  in faccia, in  stile però Duomo di Catania,  a qualcosa  -  il  politicamente corretto liberal -  che  non ha nulla a che  vedere con   il liberalismo  di Burke, Tocqueville, Pareto, Mosca, Ferrero, Croce, Weber, Ortega,  Jouvenel, Röpke, Aron, Berlin, Freund, per citare solo alcuni nomi.
Buttafuoco ha mai letto questi autori?   Perché continuare a confondere  liberalismo e società di massa? Liberalismo archico e liberalismo macro-archico? Tradotto: l'aristocratico realismo liberale con il welfarismo collettivo del politicamente corretto? 
Lo scrittore  fascio-catanese è la punta dell'iceberg.  Figurarsi, quelli che hanno la testa (parola grossa) sott'acqua.  Quando deciderà,  certa destra che ad esempio  non va oltre  Gentile (l’ultimo Gentile, non sia mai, quello "sociale"…) -  per inciso,  un liberal-welfarista in camicia nera, un macro-archico, quindi padre  di quel politicamente corretto criticato da Buttafuoco -  quando deciderà, dicevo,  certa destra,  di  mettersi a studiare il realismo liberale?   Per  non dire sempre le stesse scemenze?  
A meno che,  non si sia fascisti fino al midollo,  quindi nemici giurati del liberalismo in tutte le sue forme. E che il tea si aspiri a prenderlo with Mussolini, se non addirittura in compagnia dell'Uncle con i baffetti.  In quest’ ultimo caso però,  come diceva il compianto Lubrano,  sorge spontanea la domanda:  che c’entra il  “Il Foglio” con la croce celtica? Anzi, uncinata?   

Carlo Gambescia



         

lunedì 29 gennaio 2018

Arma dei Carabinieri (*)
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2018, lunedì 29 gennaio, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO
Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio svolta nell'ambito del p.p. n 2367105 R.G.N.R. -R.R.I.T. nr. 34986, [Operazione “FINE PENA MAI”, N.d.V.] in data 28/01/2018, ore 16.00, è stata effettuata una intercettazione ambientale presso il domicilio di BERNASCONI SILVANO. Presenti il detto BERNASCONI SILVANO E  DUDU’ [cane barboncino registrato in proprietà di NATALE FRANCESCA, convivente del sunnominato BERNASCONI SILVANO]. Si riporta di seguito la trascrizione integrale della conversazione summenzionata:

[omissis]


BERNASCONI SILVANO: “Che ne pensi del programma?”
DUDU’: “Io con la politica ho chiuso. E se mi ascoltavi…”
BERNASCONI SILVANO: “…chiudevo anch’io, lo so, lo so, cribbio come sei acido però! Peggio di una suocera.”
DUDU’: “Sì sì. Adesso ti sei messo in un bel pasticcio. Saltini, lo conosco io Saltini, uuu…quando mi ha fatto Presidente della Protezione Animali Cristiani, la peggio fregatura della mia vita.”
BERNASCONI SILVANO: “Ma se non sei mai stato meglio! L’autoblù, la cagnette che ti facevano il filo, la bella vita…”
 DUDU’: “Sì sì. Vedrai, vedrai Saltini. E la Merkel? Eh? La Merkel? Ti ricordi cosa ti ha fatto la Merkel, o no? E ci riprovi? Che poi hai un’età, insomma…”
BERNASCONI SILVANO: “Guarda che sei più vecchio te, hai dieci anni. Un anno da cane, dieci anni da uomo.”
DUDU’: “Sette anni, prego. Sette.”
BERNASCONI SILVANO: “Ah sì?”
DUDU’: “Sì bello mio. Ho settant’anni da uomo io, e te ottantuno. Fregato!”
BERNASCONI SILVANO: [pausa]“Be’ ma cosa vuoi che faccia? Vado ai giardinetti?”
DUDU’: “E perché no, scusa? Si sta benissimo ai giardinetti. Se mi accompagnassi, qualche volta, vedresti quanta brava gente che c’è. Gente educata, ammodo…modesta, va be’. E allora?”
BERNASCONI SILVANO: “Non ci sono più abituato, Dudù.”
DUDU’: “A cosa?”
BERNASCONI SILVANO: “Mah…alla vita modesta, alle piccole cose quotidiane…la passeggiata, non so, la gita fuori porta, le pastarelle alla domenica…”
DUDU’: “E quando mai l’hai fatta te, una vita così?”
BERNASCONI SILVANO: “Perché invece te? Col collare di brillanti? Il filetto sminuzzato nella ciotola? Ma dai…[pausa] Da bambino l’ho fatta. La domenica papà portava sempre a casa il vassoio delle pastarelle, che buone che erano! Come le aspettavo! Papà entrava, se era inverno portava in casa l’odore di scighera, lo sai te cos’è la scighera, milanese dei miei stivali?… col cappotto blu, a doppiopetto…rivoltato, Dudù! Erano tempi difficili, papà ci teneva a vestire un po’ un po’, ma non c’erano i soldi per il cappotto nuovo, così lo ha fatto rivoltare…”
DUDU’: “…però le pastarelle te le comprava.”
BERNASCONI SILVANO: “Sempre.”
[pausa]
DUDU’: “Vieni via, Silvano, vieni con me. Lo sai che io non ti abbandono. Restiamo insieme, tu ed io…sono gli ultimi anni, Silvano! Gli ultimi anni! Passiamoli un po’ bene, un po’ tranquilli, dai…La politica è cattiva, Silvano, io me ne sono accorto in tempo… non l’hai ancora capito, tu? Il mondo è cattivo!”
 BERNASCONI SILVANO [pausa]: “E’ troppo tardi, Dudù. Mi dispiace. Ormai…”
DUDU’: “Che brutta parola ormai.”
BERNASCONI SILVANO: “Ormai è tardi, Dudù.”
DUDU’ [pausa]: “E le pastarelle?”
BERNASCONI SILVANO: “Vai dal cuoco e te ne fa finché vuoi.”
DUDU’: “Non è la stessa cosa.”
BERNASCONI SILVANO: “Non è mai la stessa cosa, Dudù. Io l’ho capito, e tu?”

Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.
M.o  Osvaldo Spengler

(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)

Chi è il  Maresciallo Osvaldo Spengler?  Nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”
***

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...





domenica 28 gennaio 2018

Le fontanelle di Roma a secco
Il “nasone” e i suoi nemici



I romani ne hanno viste di tutti i colori. Sia i  Veri (le famose sette-otto generazioni), ormai pochissimi, sia gli Adottivi, la stragrande maggioranza,  dai calabresi a quelli, più a Est, del Bangladesh.  
Nella Città Eterna,  il vivi e lascia vivere e anche certa strafottenza, si respira nell’aria.  Dopo un po’ che si risiede nella città tra le più antiche e belle dell’ "orbe terracqueo", e sottolineo acqueo,  si diventa romani a tutti gli effetti.   Il Bangra, l’immigrato ormai proverbiale gestore del  negozietto di ortofrutta, non è  strafottente,  come  ritengono i fascio-razzisti,  perché non   italiano, ma  perché  romano.  E quindi se non ti conosce  - come il novanta per certo degli esercenti romani  non “ti caca” (pardon). Se però  "torni"  e frequenti, sono sorrisi, risate e battute, lauree conferite ad honorem (dottore, professore, avvocato). La noncuranza  si tramuta in simpatia e la  strafottenza in divertenti  sfottò sportivi.  Roma è così.    
Di conseguenza ai romani, per venire al punto acqueo  della chiusura dei "nasoni", le famose fontanelle col becco ricurvo,  che, secondo Claudio Rendina, stimato studioso di cose romane,  fanno di Roma  una “rarità mondiale”, della chiusura dicevo,  imposta dai pentecatti,  “non gliene può fregare di meno”…  E questo è il risvolto negativo, o se si vuole eufemizzare "non positivo",  della romanità. Tradotto: il tirare a campare.
Il Comune, via Acea, ha  cominciato  a chiuderle nel luglio scorso,  evocando  le solite pentascemenze  decresciste,  immediatamente  derise  dagli esperti (*),  ma tant’è, ora siamo a fine  gennaio,  e i “nasoni” , non fanno più sentire la loro bella  voce. Non cantano più alla luna, come verseggiava il Poeta.  E quel che è più brutto, neppure al sole e  tra l'indifferenza pressoché  totale dei romani, Veri e Adottivi.  Si tira avanti, tramutando con nonchalance  le defunte colonnine in minicassonetti.    
Sarò pure  uno degli ultimi romantici, ma per me  la "bevuta" alla fontanella,  si componeva di due momenti fondamentali:  il dissertarmi, facendo saltellare  lo schizzo d’acqua da un buchetto sulla canna, tenendomi a distanza per evitare la doccetta, e subito dopo, visto che si tira  su la testa,  lo sguardo al cielo, quell’Azzurro di Roma, che ti incenerisce e intenerisce, celebrato da una  montagna di scrittori. 
Ecco, ogni nasone chiuso è un pezzetto di cielo in meno.  Quindi a differenza dei miei concittadini non riesco a rassegnarmi.  Evidentemente, un Bangra è più romano di me. Meglio così. Tutte le vie continuano a portare a Roma.   

Carlo Gambescia


                        

sabato 27 gennaio 2018

Sulla razza



Pitirim Sorokin, dopo una serrata analisi delle  “scuole antroporazziali”, giunge  alle conclusioni che il concetto di razza sia  una costruzione sociale e che, di conseguenza,   sul piano scientifico, qualsiasi prova a favore o contro, finisca sempre per collidere con l’impermeabilità degli uomini -   tenacemente attaccati alle credenze -   al cambiamento cognitivo (1).
Detto in altri in termini, si può giungere, come poi è accaduto, alla smentita scientifica del concetto non solo di superiorità di una razza rispetto ad altre, bensì dello stesso concetto di razza, senza per questo spostare di un solo millimetro la consapevolezza collettiva nei diversi gruppi etnici -   dunque una credenza -  a proposito della  superiorità morale degli uni sugli altri.  Una "prevalenza"  morale, in alcuni casi, come quando la modernità “bianca”   parla di “razza bianca”,  fondata inevitabilmente  sulla presunta superiorità della scienza.  Si tratta di un'osservazione importante:  perché se è vero che l’etnocentrismo ha origini antichissime,  è altrettanto vero che negli ultimi secoli, al culto della superiorità  verso lo "straniero" e il "barbaro",   si sono date basi scientifiche.  Insomma,  l’etno-scientismo rappresenta un fenomeno del tutto nuovo e devastante:  che  ha dato vita a quella scienza della razza e del sangue, che il  nazionalsocialismo, impregnato di torbido romanticismo,  ha condotto alle  estreme conseguenze.
Va sottolineato che per reazione  nei moderni  manuali di sociologia la voce razza è stata o espunta o marginalizzata  per demolirla,  confidando, forse troppo,  nel classico trinomio scienza-conoscenza-virtù. Il che infatti,  proprio per quella persistenza delle credenze evidenziata da Sorokin,  ha provocato contro-reazioni, addirittura di rigetto:  contraccolpi che confermano quanto sia difficile cambiare la mentalità sociale, che come un "basso continuo"  ci accompagna in modo apparentemente naturale:  a tratti si sente di più,  a tratti di meno,  ma si sente.
Ad esempio, il fatto  che  il mondo  di oggi sia nato da una guerra vittoriosa ma catastrofica contro il razzismo armato  e  che  il culto collettivo  della razza, nonostante tutto, sia  ancora socialmente  pericoloso,  comprova quanto  sia difficile, se ci si passa la metafora,  non farsi trascinare dal moto ondoso dell’etnocentrismo: quel permettere che la nostra ragione individuale si addormenti, cullandosi, ignara della prossima mareggiata,  al dolce  dondolio collettivo della  risacca dei luoghi comuni e delle frasi fatte. Purtroppo, non ci stancheremo mai di ripeterlo, l’uomo sociale al capire preferisce sempre il credere.
Che fare?  Vigilare, e insistere, comunque sia, sui processi educativi, senza però concedere nulla al nemico. Anzi ai due nemici principali della civiltà liberale:  1) il  nemico esterno, il razzismo,  di cui abbiamo già detto, e  quello 2) interno,  che nel suo assalto - in linea di principio  giustificato -  al razzismo,  estende però  le sue   critiche  all’Occidente, e in particolare ai valori che lo hanno fatto grande:  dalla democrazia liberale  all’economia di mercato.  
Un tempo,  questa ideologia si autodenominava  “terzomondismo”, oggi ha  assunto il nome di   “multiculturalismo”: una forma di razzismo rovesciato, anti-occidentale, che identifica razza e cultura, semplificando,  liberalismo  e razza bianca.  Quindi in ogni bianco ci sarebbe un liberale schiavista, quindi un cripto-capitalista, insomma uno sfruttatore e un colonialista, di ritorno o meno. 
In realtà,  il peccato originale del multiculturalismo consiste nella presunzione di colpevolezza dell’Occidente liberale. Come dire:  tutti uguali, ma gli occidentali meno degli altri, l'odiata razza bianca.  
Così però  non può andare.  Anche perché, per reazione, i razzisti interni  fanno  il gioco dei razzisti esterni. Una miscela esplosiva.

Carlo Gambescia  

 (1) P.A. Sorokin, Storia delle teoria sociologiche, Città Nuova Editrice, Roma 1974, Intr. di T. Sorgi,  vol. I, cap. V, pp. 211-300    

venerdì 26 gennaio 2018

"Giorno della Memoria"
Leggi razziali: 
il  silenzio di Togliatti  




Non possiamo non concordare con il Presidente Mattarella, che in occasione delle celebrazione del "Giorno  della Memoria" al Quirinale,  definisce  le leggi razziali del 1938 “ un capitolo buio, una macchia indelebile, una pagine infamante della nostra storia”. Dove  “si rivela al massimo grado il carattere disumano e il distacco definitivo della monarchia dai valori del Risorgimento e dello Statuto liberale”. 
Così come non si può non  condividere  un altro passo del suo intervento,  quello dove si asserisce che  “sentir  dire che il fascismo ebbe alcuni meriti ma fece due gravi errori, le leggi razziali e l'entrata in guerra, è  un affermazione gravemente sbagliata e inaccettabile, da respingere con determinazione” Dal momento, si legge, che “ razzismo e guerra  non furono deviazioni o episodi rispetto al modo di pensare del fascismo  ma diretta e inevitabile conseguenza”. (1)
Sarebbe  però  giusto -   quindi non solo dal punto di vista storiografico -  ricordare   anche  la posizione  assunta all'epoca dai comunisti italiani, totalmente proni, a partire da Togliatti,  ai  terribili tatticismi di Stalin, al quale tornava utile, nel novembre del 1938, non  inimicarsi, anche indirettamente, la Germania hitleriana, proprio in vista del patto dell’anno successivo (2).
Se si prende una delle più interessanti storie del Pci, quella di Spriano, scritta negli anni Sessanta e Settanta del Novecento,  si scopre che in argomento non c’è una riga pubblica di Togliatti, allora  in Spagna, ma comunque  attento, come noto,  all’evolversi della situazione italiana (3).  Stesso silenzio,  quando si sfoglia l’eccellente, per tanti  aspetti,  biografia di Giorgio Bocca (4).Inutile, infine, cercare (e trovare) qualcosa di Togliatti sulle leggi razziali  nelle pagine raccolte da Gianpasquale Santomassimo (5).
La posizione  del "Migliore" fu, di rimbalzo,  quella di tutti  i comunisti italiani  fedeli a Mosca, attenti in quel momento  a non intralciare le scelte di Stalin.  Quindi fu un atto di  realismo politico?  Oppure per dirla con  Mattarella,  “diretta e inevitabile conseguenza” di un  totalitarismo comunista uso a privilegiare, leninisticamente, qualsiasi mezzo pur di perseguire i propri fini?    
Resta comunque, di fatto,  la macchia della  grave sottovalutazione  delle “leggi razziali”. Brutto episodio  che destava  imbarazzo  anche in Spriano,  storico serio.  Come  si evince   dalla lettura del capitolo dedicato  al biennio 1938-1939,  intitolato  a Eugenio Curiel, teorico della “democrazia progressiva”: interessante figura di ebreo antifascista in bilico tra socialismo e comunismo, “martire della Resistenza” e medaglia d'oro,  di cui il Pci  però non si fidava più di tanto, perché presunto amico di frequentatori di “canaglie trotskiste”, in primis,  Eugenio Colorni,  altro ebreo martire.  
Capitolo, dove Spriano, annotava, quasi di sfuggita, l’evoluzione totalitaria del fascismo, per non diffondersi troppo, almeno così a  noi pare,  sugli scabrosi  silenzi comunisti in materia di leggi razziali.  E Spriano, ripetiamo,  era  uomo e studioso cristallino  che  scriveva a quarant’anni  di distanza dai fatti.
Ecco, nel  "Giorno della Memoria", anche di questo si dovrebbe parlare. Del silenzio di Togliatti e dei comunisti italiani.  

Carlo Gambescia
          
(2) Si veda W. Laquer ( a  cura di), Dizionario dell’Olocausto, Einaudi, Torino 2007, ad vocem ("Russia e Unione Sovietica"), in particolare, pp. 661-669.  Sul rapporto tra Togliatti e  Stalin,  si veda   E. Aga-Rossi e V. Zaslavsky,  Togliatti e Stalin. Il Pci e la politica estera italiana, il Mulino, Bologna 1997; il volume si occupa del periodo successivo alla cosiddetta "Svolta di Salerno",  ma resta comunque indicativo di una sudditanza totale.  
(3) P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, Einaudi, Torino  1976, in particolare  cap. XV, pp. 274-308 (“Curiel e le ‘forze progressive in Italia”).
(4) G. Bocca, Togliatti La Biblioteca di Repubblica, Milano 2005.
(5) P. Togliatti, Opere scelte, a cura di P. Santomassimo,  Editori Riuniti, Roma 1981.


giovedì 25 gennaio 2018

Par condicio televisiva
Ma quali élite contro il popolo... 




Ci sono  notizie che in termini di significato, se si vuole di senso come direzione degli eventi,  vanno oltre la notizia stessa.  Veniamo subito al punto.  Prima però la notizia.
L’Agcom  ha richiamato

diverse emittenti per il mancato rispetto della par condicio sono stati deliberati dall'Agcom in relazione al periodo15-21 gennaio. Deciso un forte richiamo al TgLa7 per il tempo concesso a M5S e Lega a svantaggio di altri partiti; un forte richiamo a Tg4 e a Studio Aperto in relazione all'elevato tempo di notizia fruito da Forza Italia; un richiamo a Sky Tg24 per l'eccessivo tempo destinato a M5S, LeU e Lega; un richiamo a Rainews per lo squilibrio registrato nei tempi di parola a favore di LeU.


Naturalmente, gli interessati hanno protestato, come Mentana ad esempio,  adducendo il bassissimo minutaggio complessivo, eccetera, eccetera. Come se non si conoscesse il taglio editoriale populista , filogrillino, del TgLa7.  Per non parlare dell’antirenzismo  nevrotico di tutti gli altri, compreso quello schizofrenico delle reti berlusconiane. Un clima mediatico di cui approfitta anche Salvini, non meno pericoloso.
Il vero punto della questione, mediocremente  bilanciato (per ora) dalle Reti  non richiamate da Agcom, è rappresentato dalla tesi  politica che si è sposata a larga maggioranza: quella populista. Un  pregiudizio  estesosi  anche coloro che possono essere definiti, per dirla con Pareto,  i plutocrati del giornalismo. Un verbo antipolitico,  per giunta, si pensi a Rainews  - ma questa forse è un’inezia da teatrino politico  -  rete foraggiata  con fondi pubblici. 
L’ Italia purtroppo non si ancora ripresa dall' anti-castismo giustizialistico tipo  "Le iene" e dal declinismo assistenzialistico del mugugno con seconda casa.  Due ideologie stupide e  plebee che incoraggiano, al tempo stesso,   disfattismo e miracolismo politico. Si pensi al fenomeno Cinque Stelle, cresciuto sull’onda salvifica di uno scontento inventato,  in un paese che si crede alla frutta, e che invece non è neppure all’antipasto. Detto in altri termini:  siamo ricchi, come asseriscono le statistiche mondiali,  eppure crediamo  di essere sull’orlo dell’abisso. Quindi ci si piange addosso, comodamente seduti ai tavoli  eleganti di una apericena.                  
E  questo grande piagnisteo, per tornare al punto, è  favorito mediaticamente, non da  soldatini affamati del giornalismo come Paragone, ma  da fior di giornalisti affermati e ricchi  come Mentana,  ingaggiati da miliardari come Cairo.  Per non parlare della tribù pluto-giustizialista  di  Sky...
In questi giorni si fa tanto colore su Davos,  sulle leggendarie  sazie élite economiche  contro il popolo alla fame.  In realtà, crediamo sia in atto un riposizionamento, come provano, in mezzo a tante chiacchiere  femministe o meno contro Trump,  i suoi  sgravi fiscali  di cui beneficeranno soprattutto i ricchi.   Certo, per ora si tratta di un esperimento populista, per giunta tipicamente americano, che però vede nascere un’ alleanza tra le famigerate élite -   Trump di dove viene? -   e un  popolo bue incoraggiato ad arte nei suoi stupidi risentimenti carnivori, non ultimo quello "sovranista". 
Insomma, sotto,  c'è qualcosa di più. Si noti come  a difendere il libero mercato contro il protezionismo  siano rimasti solo i politici, culturalmente, di vecchia  generazione,  socialdemocratici e liberali:  di ieri le dichiarazioni antiprotezioniste della Merkel e del nostro Gentiloni.  I due  rischiano purtroppo di finire per fare la  famosa guardia al bidone di benzina vuoto.  Perché  le élite economiche  si stanno riposizionando.  Certo, lentamente.
Intanto però,  i Mentana  del pluto-popu-(giorna)lismo fanno il proprio lavoro. 
P.S. Qualcuno avvisi gli scemi dei Social...


Carlo Gambescia                

   

mercoledì 24 gennaio 2018

Bagnai e  Salvini
Dio li fa, poi li accoppia



Diciamo che alla fine, come scrivevo il 9 marzo del 2015 (*), Bagnai, alla stessa stregua del Domenico Soriano di Eduardo, la mignotta (pardon) Filumena-Clio,  "storicamente" parlando,  l'ha sposata. E infatti si presenta alle politiche  con Salvini, contemporaneo sottoprodotto di Clio: un populista dai facili costumi, un "hitlerino" della Bovisa alla guida di un tir, targato Lega. 
Che tristezza... Ma è quello che passa il convento - oggi - dell'occasionalismo politico.
Notare prima,  tutti (isole comprese),  la dichiarazione di Bagnai:

"L'euro oggettivamente favorisce la divergenza fra le economie dell'eurozona: come ho spiegato tante volte, anche in sedi scientifiche perché queste sono verità scientificamente accertate fino a che qualcuno non vorrà scientificamente contestarle, l'euro, che è una moneta forte per noi e debole per la Germania avvantaggia la Germania".Lo ha detto Alberto Bagnai, economista "no-euro" e candidato con la Lega alle prossime elezioni, parlando a Montecitorio."Questo significa - ha aggiunto - che c'è un processo di disgregazione in atto oggettivo che prescinde da quello che io o Borghi o Salvini o Renzi o Berlusconi possono auspicare e desiderare. Noi siamo solo uomini, poi ci sono le forze dell'economia e le forze dell'economia stanno agendo. Basta guardare cosa succede alla produttività italiana dal momento in cui fissiamo il cambio con l'euro ad oggi: c'è una divaricazione costante, questo significa che qualsiasi tentativo di tenere insieme i pezzi di questa unione disfunzionale è destinato a costare sempre di più nel tempo e a fallire poi alla fine di questo percorso come è successo peraltro storicamente tante altre volte. Abbiamo decine di casi di unioni monetarie che sono andate per aria".
"Quello che vediamo nei dati ci dice che noi ci stiamo sgretolando, il che significa che o diventeremo una colonia dell'asse franco-tedesco, cosa rispetto alla quale vorrei una riflessione di chi sta al governo, oppure che il sistema esploderà e noi dobbiamo essere pronti a gestire questi scenari". (*)

Bagnai evoca  “forze oggettive” dell’economia che imporrebbero, eccetera, eccetera, per poi però “soggettivizzarle,  evocando, da tronista della  retorica,  l’ Italia “colonia” dell’  “asse franco-tedesco”.   Per onestà, va detto, che  anche i  pro-euro, si appellano alle stesse forze.  Insomma, protezionisti e liberoscambisti (per usare due termini classici)  rinviano a processi oggettivi di "assoluta" cogenza scientifica, di cui la storia sarebbe - e ti pareva -   testimone. Hirschman, parlerebbe di  scontro tra opposte retoriche dell'intransigenza.  E' proprio così?   Oppure,  chi ha ragione e chi no?
In realtà, va detto che protezionismo e libero scambio,   se si vuole essere scientifici sul serio,  vanno insieme.   Ci si protegge per svilupparsi meglio, come diceva il caro vecchio Friedrich  List, che si appellava a forze pre-economiche (cultura, creatività, eccetera),  e  non  esclusivamente alla storia  prêt-à-porter delle singole unioni monetarie:  i “dati oggettivi” di Bagnai, “dati”, soprattutto quelli econometrici sulle asimmetrie odierne, che sono di “scenario” , e che quindi  ognuno può piegare  politicamente a quello che cazzo (pardon) vuole.     
Detto altrimenti concettualizzando:  i difensori della moneta unica guardano, in un mondo di blocchi geopolitici, all’unificazione, se si vuole all’Europa-Nazione,  quindi  tengono in considerazione, scientificamente parlando,  i due aspetti. I protezionisti, o sovranisti,  tenendone in conto solo uno,  invece, guardano,  allo Stato-nazione. Che in un mondo di giganteschi  blocchi geopolitici  può solo far sorridere.   Altro che “asse franco-tedesco”…  
In sintesi:  sarebbe scientifico tenere in considerazione i due aspetti,  Bagnai invece ne contrabbanda euristicamente solo uno.  A onor del vero, non tutti i liberoscambisti di Bruxelles, tengono nel dovuto conto, insieme a Smith,  List.  Ma una cosa è mediare politicamente, magari anche con battute d'arresto cognitive, tentando comunque di ricondurre  le ragioni degli uni  e degli altri a  un comune denominatore scientifico, un’altra, come fa Bagnai, giocare con un nazionalismo, che scorporato dalle prime fasi monetarie-doganali, può provocare, come è accaduto,  solo risentimenti, miseria e  guerre.  
E qui viene a galla il suo romanticismo politico. Per dirla con Carl Schmitt, visto che lui di nazisti veri,  se ne intendeva. Ci spieghiamo:  Bagnai, dal momento che a sinistra non se lo filava nessuno, perché evidentemente, nonostante le professioni di fede, i "compagni"  sentivano  puzza  di  fascismo come regime reazionario di massa (per dirla con Togliatti), Bagnai, dicevo,  pur di  dare corpo al suo protezionismo pseudo-scientifico (perché tiene conto di un solo aspetto),  come tanti  fascio-socialisti, del bel tempo che fu, appena si è presentata, ha  colto  l'occasione -  ecco l'occasionalismo storico  del  "romanticista" politico - per buttarsi  con l’estrema destra, protezionista.  Da manuale. Un Bombacci con cattedra.
Salvini, che culturalmente  naviga a vista, e dal momento  che "du gust is megl che uan" (per fare la coppia con Borghi, l'altro economista della foto), appena ha notato la gambetta scientifica  nuda dell'accademico  Bagnai,  lo ha fatto salire sul tir della Lega.  E lui, il Nostro, è stato ben felice di saltare su.  E di accasarsi, come si diceva all'inizio.
Insomma, dio li fa, poi li accoppia. 

Carlo Gambescia







martedì 23 gennaio 2018

Politiche 2018

Il programma del Centrodestra? 
Il nulla,  strutturato


A memoria,  ci sembra  sia  la sesta rivoluzione liberale proclamata dal Cavaliere. Credergli, oppure no?  
Il programma del Centrodestra (1)  è  un fritto misto, dove sono giustapposte  misure  peroniste (“azzeramento della povertà assoluta”,  “pensione alle mamme”,  “raddoppio dell’assegno minimo”) e  liberali ( “flat tax”,  senza però indicare quanto e come,  abolizione   dell’ imposta sulle donazioni, dell’ imposta di successione, delle tasse sulla prima casa,  del  bollo sulla prima auto e delle tasse sui risparmi).  
Berlusconi, insomma,  non rompe con il paternalismo, né evoca, ancorché fuori tempo massimo,  rivoluzioni reaganiane. Per giunta -  suo vecchio pallino antipolitico - vuole introdurre il vincolo di mandato, che,  trasformando il parlamentare in schiavo del partito,  assume solo  il bieco significato  di una resa definitiva  alla partitocrazia.     
Inoltre, sull’immigrazione, pur  con toni più soft  (fino a  un certo punto),  il Cavaliere si allinea  alle idee del “buttiamo la chiave, chiudiamoci in casa”  di  Salvini  & Co.  Con un tocco finale ( altro suo vecchio pallino):  un bellissimo  “Piano Marshall per l’Africa”.  I dittatori locali si preparano a ringraziare.  Quanto all'Europa,  diciamo che il suo è un "sovranismo" rivisitato, del tipo "Sì all'Europa, ma Italia sovrana". Insomma, il  "sì, ma..." che scontenta tutti,  da Juncker a Salvini.
Non che i programmi del Pd, del M5S, LeU e minori,  siano più brillanti.  Diciamo, che tutti insieme, non prevedono un taglio alle tasse, per ora solo annunciato,  nelle proporzioni indicate da Berlusconi (al 23 per cento, per tutti: questa la novità).   L’unica - eventuale -  differenza economica  sarebbe qui.
Però, ecco il punto,  anche vincendo -  cosa che è tutta da vedere - Berlusconi avrebbe un numero sufficiente di  senatori e deputati per dettare la linea liberale  ai suoi alleati di destra, che liberali non sono?  L’ultima volta che il Cavaliere vinse le elezioni, il Pdl (con Fini dentro)  era quasi al 38 per cento e la Lega Nord a poco più dell’8 (2). Ora invece le proporzioni, stando ai sondaggi, rischiano di essere quasi paritarie, come del resto prova l'accordo su una  realistica  distribuzione interna dei collegi tra Fi, Lega, FdI e centristi: 40-35-15-10  (3).  
Per giunta  il micro-partito di Fratelli d’Italia (che naviga intorno al 5/6 percento), già statolatrico (pardon, sovranista...) di suo,   una volta al governo, pur di acquisire visibilità, non potrà non tentare di differenziarsi dai due soci di maggioranza, o comunque, di gravitare, secondo la bisogna, dall’uno all’altro, accrescendo così la conflittualità interna. Infine, contare sulla fedeltà governativa della cosiddetta "quarta gamba" democristiana rasenta il puro atto di fede.
Come si può notare  il Centrodestra, che stando ai sondaggi potrebbe arrivare primo, non  ha però  la necessaria compattezza politica per governare,  ammesso e non concesso che riesca a perseguire un numero congruo di seggi (4). Insomma,  ricatti e minacce di abbandonare la maggioranza da parte degli  pseudo-alleati  sarebbero all’ordine del giorno.  Il che quindi  spiega  il programma  fritto misto, esito di una tregua armata  tra Berlusconi,  Salvini, Meloni e post-democristiani.Tregua, fino a un certo punto: si vedano le reazioni di oggi degli "alleati" leghisti (pardon, sovranisti...), al tour timidamente semi-europeista  del Cavaliere a Bruxelles. 
Alleati infidi, programmi politici, a dir poco confusi,  verdetto delle urne,  nella migliore delle ipotesi, da maggioranze risicate:  il Centrodestra  naviga verso il nulla.  Diciamo un nulla strutturato,  intorno a promesse irrealizzabili.  Altro che rivoluzione liberale... 

Carlo Gambescia


(4)  Qui un nostro articolo in argomento:   http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.it/2017/12/elezioni-politiche-2018-non-vincera.html        

lunedì 22 gennaio 2018

Arma dei Carabinieri (*)
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2018, lunedì 22 gennaio, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO
Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio svolta nell'ambito della procedura riservata n. della procedura riservata n. 945/3, autorizzazione NATO n. 219/2a [Operazione “FOLLOW UP” , N.d.V.] è stata intercettata in data 20/01/2018, ore 16,25 la seguente conversazione telefonica tra le utenze 333.***, intestata a FINZI MATTIA, SEGRETARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO e 356***, intestata a SENSINI FABIO. Si riporta di seguito la trascrizione integrale della conversazione summenzionata:
[omissis]


FINZI MATTIA: “Bravo Fabio, bravo! Hai visto che successo con gli Stati Uniti d’Europa?”
SENSINI FABIO: “Be’, grazie…”
FINZI MATTIA [ride]: “Li ho fregati tutti! [ridarella] Di qua o di là! Per l’Europa o contro l’Europa! Se la fanno sotto tutti!”
SENSINI FABIO: “Ehm…Mattia?”
FINZI MATTIA: “La faccia di Di Maggio! La faccia di Saltini! La faccia di Bernasconi! Dio come godo, come godo, come godo!”
SENSINI FABIO: “Mattia?”
FINZI MATTIA: “Eh?”
SENSINI FABIO: “Ti ricordi che cosa ti ho detto, prima di darti il testo del discorso?”
FINZI MATTIA [pausa]: “Veramente no.”
SENSINI FABIO: “Ti ho detto: ‘Attenzione che in campagna elettorale per ora funziona, ma è un gioco pericoloso.’ Ti ricordi?”
FINZI MATTIA: “Sì…non bene…perché pericoloso?”
SENSINI FABIO: “Hai sentito solo ‘in campagna elettorale funziona’, vero?”
FINZI MATTIA: “Sai com’è…”
SENSINI FABIO: “Eh lo so…è un gioco pericoloso perché non sappiamo ancora cosa succede in Germania. Se i socialdemocratici non fanno il governo con la Merkel, a parlare di Stati Uniti d’Europa facciamo la figura dei parolai, diamo una palla gol al centrodestra. Se invece i socialdemocratici tedeschi fanno il governo con la Merkel, lo fanno con la stessa parola d’ordine nostra, gli Stati Uniti d’Europa. Gli italiani odiano la Germania, Mattia, diamo una palla gol al centrodestra.”
FINZI MATTIA: “Cazzo ma allora cosa mi fai dire?!”
SENSINI FABIO: “E cosa vuoi che ti faccia dire? Tutto va ben madama la marchesa? Votateci ancora perché con noi resta tutto così?”
FINZI MATTIA [pausa]: “Sì ma…”
SENSINI FABIO: “Sì ma niente, Mattia. Perdiamo voti, Mattia, perdiamo di brutto. Così non si può restare, indietro non si può tornare, quindi…”
FINZI MATTIA: “Quindi avanti, dici tu.”
SENSINI FABIO: “Quindi avanti.”
FINZI MATTIA: “E gli Stati Uniti d’Europa vuol dire andare avanti? Avanti dove?”
SENSINI FABIO: “E chi lo sa? Stai tranquillo, mica lo decidiamo noi.”
FINZI MATTIA: “Ah ecco. Per fortuna.”

Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.

M.Osvaldo Spengler


(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)


Chi è il  Maresciallo Osvaldo Spengler?  Nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”
***

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...

venerdì 19 gennaio 2018

Gene Gnocchi, Claretta Petacci e il fascismo immaginario

Esiste un immaginario, cioè un insieme di pregiudizi collettivi sulla realtà,  senza  un nemico da odiare?  Ovvero,  un immaginario privo di un capro espiatorio ? No. 
Nell’universo ideologico cristiano, e poi dell’Occidente, il pregiudizio  collettivo basico è costituito dal meccanismo  del peccato,  che designa  il capro espiatorio   nel Male, incarnato da Lucifero, rappresentato storicamente  nelle sue forme più disgustose e pericolose. Nel  Novecento, la società post-cristiana, quindi largamente secolarizzata, ma nelle venature inconsce ancora cristiana,  ha  sostituito a Lucifero il totalitarismo nazi-fascista e in subordine quello comunista.
Va sottolineato  che le radici sociali dell’immaginario cristiano, affondano nelle  persecuzioni romane, così come quelle   dell’immaginario novecentesco rinviano  alle persecuzioni poste in atto dai diversi totalitarismi. 
Che poi  l’antitotalitarismo novecentesco sia più sentito di quello antiromano è una questione di distanza storica: di regola,  per giungere a una ricomposizione e designazione di un nuovo capro espiatorio occorrono secoli e secoli. E qui rimandiamo  ai classici studi di Max Weber sui profondi rapporti tra etica, economia,  politica e  religioni storiche
Attenzione però, la nostra è una spiegazione sociologica, che non giustifica il male effettivo racchiuso nelle persecuzioni romane e totalitarie,  si limita a spiegarne radici ed effetti di ricaduta sull’immaginario. 
Sappiamo benissimo di essere partiti da lontano. E sospettiamo di aver giocato con la pazienza del lettore, che a causa del titolo, a questo punto,  riterrà  di essere vittima di un  inganno.  In realtà, se   non si riconduce  ogni evento dal micro al macro, dalla micro-sociologia alla  macro-sociologia, si rischia di fare solo confusione. 
Nell’immaginario di Gene Gnocchi, che in una delle sue satire  ha definito “scrofa”  Claretta Petacci, l’amante di Mussolini, il male è rappresentato dal totalitarismo fascista, in modo così naturale e spontaneo,  che il comico  neppure si è reso conto  dei contenuti  offensivi racchiusi  nel  suo dire.
Offensivi rispetto a  chi?  Al contro-immaginario fascista ( un tempo, il  pagano) che scorge, a sua volta,  nell’antifascista  (un tempo, il cristiano) il  nemico.  O detto altrimenti,  vi si  scorge  solo  ciò che si vuole vedere, in chiave pre-razionale.  Sicché,   i contenuti -   il fatto che la Petacci fosse o meno ciò che è al centro dello scontro tra gli opposti  immaginari -  non importano, sia dal punto di vista dell'agire collettivo, che al capire preferisce il credere,  sia da quello analitico, che punta al puro capire individuale dello studioso. Perché  ciò che conta, e che regolarmente prevale,  è la forma metapolitica dell’opposizione amico-nemico, come carattere distintivo di ogni immaginario collettivo.  Conta soltanto  la necessità  di attaccare, difendersi, contrattaccare con ogni mezzo lecito o meno.
Quindi soffermarsi sui contenuti, dal punto di vista analitico,  significa  confinarsi nell'ambito del contrasto di opinioni. Per dirla in termini alti, privilegiare la dòxa:  l'opinione al lògos scientifico.
Va però ammesso onestamente che il liberalismo, per metà antico (cristiano), per metà moderno (illuminista),  non dimentico  quindi  della ciclicità delle persecuzioni, da quella anticristiane  a quelle cristiane, ha tentato, in modo ammirevole e con sforzo  titanico, di erigere intorno all'immaginario un sistema di regole comportamentali, fondate sul rispetto reciproco,  per sublimare il nemico e attenuare l’intensità del conflitto in chiave procedurale. Purtroppo nel Novecento,  anche il liberalismo,  vistosi aggredito dai totalitarismi,  non ha potuto non riplasmare il suo immaginario collettivo in chiave  spiccatamente  antitotalitaria,  sfiorando talvolta la panpoliticità.  Ciò spiega, al di là del momentaneo clamore mediatico, la comune tolleranza delle battute di Gene Gnocchi,  frutto di una convergenza  iperpolitica  in nome dell’antifascismo.
Il che però spiega pure come sia difficile esercitare l’arte della tolleranza e del rispetto:  sia da parte di chi fa le battute, sia da parte di chi le critica, sia da parte, infine, di chi desideri introdurre tolleranza e rispetto nelle relazioni umane.
Purtroppo,  esiste negli uomini   - ecco la lezione cognitiva -   un riflesso carnivoro, in chiave collettiva,  pre-razionale,  che necessita  di un nemico, e che sopravvive  allo scorrere dei secoli e dell'incivilimento.  Nel bene come nel male.  E dunque, ripetiamo,  a prescindere dai meriti o demeriti morali di Claretta Petacci. 

Carlo Gambescia                     

giovedì 18 gennaio 2018

L’editoriale del professor Cassese
Ma quali patti?
Qui siamo più divisi del 1946…




Oggi  sul “Corriere della Sera”, Sabino Cassese invita le forze politiche  a  recuperare il  “ talento smarrito per i patti” (*) .  Il succo dell’editoriale è  questo: piaccia o meno,  il proporzionale impone il ritorno a quel consociativismo che ha retto  l’Italia tra il 1946 e il 1993,   di conseguenza, sarebbe saggio fin d’ora,  pur mancando un partito perno come la Dc,  pensare  a una formula di governo inclusiva.  Tradotto: Renzi, Berlusconi e chi eventualmente ci stia.
Cassese è uno studioso di diritto pubblico, non uno storico o un politologo. E soprattutto resta un tecnico, di certo eccellente e dottissimo,  ma  ripetiamo un tecnico.  Diciamo pure  che la sua tesi  sulla necessità di mettersi d’accordo è scheletrica:   non ha buoni puntelli socio-culturali, se non, come si legge, alcuni vaghi riferimenti  al  buon senso togliattiano (svolta di Salerno ed epurazione soft)  e  al meritorio lavoro degli sherpa, come  mediatori nei grandi scenari internazionali, soprattutto conflittuali.
Ci spieghiamo meglio.
Il consociativismo, non solo e non sempre politico,  tra Dc e alleati (inclusi, in seguito, socialisti e comunisti),   rinviava a una cultura politica,  dove il terzo e il quarto potere, magistratura e mass media stavano al loro posto.  E il quinto potere, l’economia, si muoveva su un piano più nazionale che internazionale.  Infine il sesto potere, quello dei Social, padroni del risentimento sociale, era di là da venire.
Nell'Italia di oggi,  dove comandano,  contrastandosi a vicenda,  in un clima di caccia alle streghe, magistrati giustizialisti, giornalisti investigativi telecomandati, cocainomani della finanza digitale e forum di illetterati,  il  consociativismo rischia di restare una parola vuota. O peggio, considerati gli attori di cui sopra,  di essere  liquidato come uno strumento che le élite usano contro il popolo, pur  di comandare. 
Insomma,  dispiace per Cassese,  ma  per recuperare  il talento per i patti, non basta il talento pronto all’uso di un gruppo di tecnici dal passo felpato. Occorrono le condizioni culturali del buon senso, determinate dall’accordo di fondo tra i vari i poteri sociali, anche contro un pericolo comune.  Un giurista tedesco, grandissimo ma finito male,  definì questo accordo come l'altro volto della costituzione materiale.   
Quando Togliatti "sbarcò" a Salerno, ancora prima che la guerra finisse, il nemico comune  era il fascismo,  oggi potrebbe essere  un  altrettanto pericoloso  movimento   inventato da un comico, che però nessuno scorge come tale,  e che  tutti,  più o meno,  inseguono stupidamente, giocando al massacro della democrazia rappresentativa.    
Insomma, il consociativismo, rimanda  a  una  costituzione  materiale che non c’è più.  Perché, purtroppo, l’Italia di oggi è più divisa di quella del 1946. E se patto ci sarà, sarà una tregua armata: qualcosa di completamente diverso da quel che intende il professor Cassese.      

Carlo Gambescia



mercoledì 17 gennaio 2018

 Francesco e  Pio XIII     
Il Papa Alitalia e il Papa di Sorrentino   
di  Roberto Buffagni e Carlo Gambescia


Papa Francesco è di nuovo in viaggio.  Ancora un volta è tornato in America Latina. Il punto però non è geografico, bensì motorio…  Anzi, psico-motorio…  Si pensi invece al Pio XIII di Sorrentino: parliamo di The Young Pope, serie che nell'insieme ci è piaciuta.
Sorrentino è molto intelligente, e anche molto furbo. Ha colto il punto della questione (dal pdv di uomo di spettacolo, ininfluente che non sia credente): la Chiesa che "si aggiorna" fa un colossale flop, un fiasco epocale, perché  getta via il suo asset principale, che è il mistero e il carisma del mistero, in altri termini il sacro.
Due passaggi in particolare: il primo, quando  Pio XIII gela una suora anziana, cuoca dei papi, troppo friendly col nuovo arrivato al Soglio pontificio, asserendo che “ci vogliono rapporti formali, perché questi generano i riti, e i riti producono ordine”.  Il secondo, quando “il giovane Papa”, con una lucidità degna di  Augusto Del Noce, dichiara al suo Segretario di Stato (parafrasiamo):   “Si deve cambiare. Non dobbiamo andare noi verso i  fedeli” assumendo pose mediatiche  accattivanti,  “sono invece i fedeli che devono  venire verso di noi”,  ispirati dal senso di mistero e ordine che la Chiesa  “deve incarnare e dettare”.      
Tradotto nel linguaggio dello spettacolo: se tu hai, per dire, Catherine Deneuve a venticinque anni, non le metti un sacco in testa e non le fai recitare la parte dell'impiegata alle poste che si innamora del postino. In termini di spettacolo, la cosa è semplicissima, è così e basta.  
L’esatto contrario di quel che fa Papa Francesco. Ci si  perdoni la caduta di stile, perché pur sempre di un papa si tratta: ma Francesco deve recitare il ruolo più impegnativo del mondo, quello del Vicario di Cristo, perché lo gradisca o no, lo creda o no, quello è il suo ruolo nel theatrum mundi. E invece che fa? Si mette un sacco in testa  e recita la parte dell’ impiegato delle poste progressista, in nome di un cristianesimo dolciastro, user-friendly, da medico (dell’anima)  senza frontiere. O se si preferisce, da cappellano aggiunto  della secolarizzazione: un Papa Alitalia (che poi l'Alitalia vada male come la Chiesa, è un altro segnale interessante: due decadenze, certo di tipo diverso,  che però si abbracciano...), dicevamo un Papa Alitalia,  sempre sul piede di partenza  che rincorre i fedeli per tutto il pianeta.  Specialista in  civettuole conferenze stampa a quindicimila metri, invece  disdegnate, come i voli a gogò, dal Pio XIII di Sorrentino. 




In realtà, il Papa dovrebbe fare il Papa, nel silenzio. Anche se  a dire il vero,  Pio XII, parlava, parlava, parlava…  Si inventò il radio-messaggio. Nonostante ciò,  Sorrentino  ha giustamente vincolato il suo   Young Pope,  per ovvie similitudini  dottrinarie all’ eredità dell’ultimo Papa romano:  sugli  aspetti dogmatici, ma anche rituali,  Pio XII era un duro.     
Pertanto,  l’idea  di Sorrentino è giusta.  E  ha un suo valore: diremmo addirittura un piacevolissimo retrogusto  sociologico,  che ci fa capire che  proprio in una società che si dice  pluralista, se il Papa si mette a ripetere  le stesse cose che sono sulla bocca di tutti gli altri,  il pluralismo, visto che siamo in argomento,  va a farsi benedire. O no?    
Inoltre, per “buttarla” ancora  sul sociologico,  la dialettica movimento-istituzione -  come conflitto  tra dover essere ed essere delle cose sociali,  tra  ideali, teologici o meno  e vita istituzionale -  non è patrimonio esclusivo della Chiesa, ma rinvia alla  natura delle "istituzioni" sociali, che essendo tali, non possono non assolvere le loro funzioni specifiche, "normalizzatrici" degli ideali e delle ideologie "movimentiste" e quindi dei conflitti.  Ciò,  nel caso della Chiesa,  rimanda alla  produzione sociale del sacro,  quale funzione "normalizzata" o "istituzionalizzata" del trascendente, di cui, come istituzione,  è storicamente "specialista". Se però la  Chiesa non produce sacro ( semplificando: trascendente normalizzato),  essa si trasforma in un'istituzione filantropica in competizione con tutte le altre istituzioni filantropiche e sociali, come sta avvenendo. Tuttavia le società hanno necessità di sacro. Quindi, poiché le società non ammettono il vuoto istituzionale, tale funzione sarà svolta da altre istituzioni, ovviamente senza alcun riferimento (almeno a livello di rischio) al trascendente normalizzato, che è tipico della Chiesa. Di qui,  il pericolo di quei  totalitarismi profani  che hanno terribilmente e tristemente  "movimentato" il Novecento.
Se poi Sorrentino ci credesse,  non diciamo  nel cattolicesimo confessionale, ma nel sacro, come ad esempio ci credeva il suo esempio/maestro/originale Fellini, sarebbe meglio, perché gli si complicherebbe il lavoro e ne potrebbe uscire un'opera più interessante, sorprendente, profonda. Fellini, specie nei suoi primi film, gira gira gira intorno a un tema antico e straordinariamente fecondo, cioè a dire l' "inginocchiati e crederai" pascaliano.



In termini di rappresentazione, il tema pascaliano si declina facendo variazioni su un tema antico e bellissimo, che ha trovato la sua prima espressione compiuta in un dramma latino del teatro gesuitico seicentesco, il Phylemon Martyr di Jakob Bidermann, SJ. Storia: in una cittadina di provincia dell'impero romano, al tempo dell'imperatore Costanzo Cloro quindi poco prima di Costantino ma in un periodo in cui ancora vige il "non licet esse christianos", c'è una vivace e folta comunità cristiana, guidata da un intellettuale e notabile della città. Tutto va per il meglio, quando arriva l'ordine imperiale: bisogna venerare la statua dell'imperatore. Il prefetto locale chiarisce ai cristiani che nessuno cerca lo scontro frontale: basta un inchino, una cosetta, e tutto andrà pacificamente avanti come prima: ma il gesto formale va fatto. Reazioni variegate nella comunità cristiana, da chi se la fa sotto a chi dice io mi faccio martirizzare a chi non sa che fare e spera di defilarsi. Il leader cristiano non ha voglia di martirio, ma non ha neanche voglia di abiurare facendo una figuraccia. Gli viene in mente un'idea geniale: assumo un attore pagano che veneri l'imperatore al posto mio. E qui entra in scena Filemone, un suonatore di flauto, attore, simpaticissimo picaro amante solo dello scherzo, del buon mangiare & bere e della topa. La paga è ottima, e dunque Filemone accetta la scrittura. Però...però però, che succede? Succede che mentre prova la parte, Filemone si converte sul serio e diventa cristiano (c'è anche l'intervento diretto di schiere angeliche, con angeloni alati in scena, trabiccoli & carrucole per farli volare, tutto il bell’ambaradan della filodrammatica antica). Filemone si presenta davanti al prefetto, rifiuta di venerare la statua dell'imperatore, si fa martirizzare, e galvanizzati dal suo esempio tutti i cristiani gareggiano per la palma del martirio. Da questo nucleo tematico Rossellini, che con il cattolicesimo aveva un rapporto molto profondo e molto italiano, ha tratto uno dei suoi film più belli, Il generale dalla Rovere, con un immenso Vittorio de Sica come nuovo avatar di Filemone.
Dalla dialettica implicita nel simbolo cattolico e barocco del theatrum mundi - maschera/volto, uomo/attore, profano/sacro, scena/realtà - nascono possibilità molto interessanti e ricche. Si attiva anche l'algebra teatrale, quella in cui meno x meno = più: il teatro nel teatro, la rappresentazione all’interno della rappresentazione dice la verità (esempio celeberrimo, la rappresentazione teatrale che nell' Amleto si recita davanti agli assassini del re).
Pagella finale di Sorrentino: il ragazzo è intelligente ma non si applica abbastanza, con i suoi mezzi potrebbe fare di più.
Pagella finale di Papa Francesco: insufficiente. Perché se le cose più acute sul Papa Alitalia, benché in modo obliquo (anche come inquadrature), le dice  un mezzo ateo come Paolo Sorrentino, e non la melliflua  “Famiglia Cristiana” che, come prevedibile,  ha stroncato The Young Pope la Chiesa cattolica è messa proprio  male. A cominciare dal Papa.                   


Roberto Buffagni e  Carlo Gambescia