Il nuovo libro di Alain de Benoist
Il liberalismo?
Un errore antropologico...
Un errore antropologico...
Il nuovo libro di Alain de
Benoist, Contre le libéralisme. La
société n’est pas un marché (1),
pone un serio problema pre-interpretativo: quello di una classificazione delle varie
forme di antiliberalismo. Esiste un lavoro di Holmes, che risale a più
di venticinque anni fa (2), notevole
negli intenti e sviluppi, ma che non offre alcuna precisa tassonomia. Anche il
ponderoso volume di Sternhell, uscito nella seconda metà degli anni Duemila, non offre molto di più sul piano classificatorio (3).
Una questione di metodo
Come procedere allora? Diciamo che
a grandi linee politiche, esistono l’antiliberalismo cattolico, marxista, fascista, nazista. Per contro, sul piano
prepolitico, esistono due grandi categorie cognitive: l’antiliberismo olistico e l’antiliberalismo costruttivista.
Il primo rinvia, al rifiuto di
considerare l’ individuo un’entità a se
stante, avulsa dalla società: una parte
che, come si dice, non può fare a meno del tutto.
Il secondo, considera la società,
come un prodotto sociale, qualcosa che è frutto di un preciso disegno costruttivo
e ricostruttivo, che discende dalle scelte ideologiche di una specie di Uomo Collettivo.
Ad esempio, il marxismo come il nazismo
sono forme di antiliberalismo costruttivista, il cristianesimo e il
tradizionalismo, con la loro proiezione
verso un'età dell’oro pre-storica o metastorica sono forme di antiliberalismo
olistico. L’antiliberalismo
costruttivista rinvia a istanze
trasformative, mentre l’antiliberalismo
olista, curiosamente, rimanda, almeno in prima battuta, a istanze quietistiche.
Va detto però, che al di là delle
tassonomie, spesso olismo e costruttivismo, finiscono, in alcuni autori, per ricongiungersi. Si pensi, come
accade in Marx, al rapporto tra classe, parte di un tutto
sociale, che però disparirà in chiave
ricostruttiva nel comunismo. Oppure a quello evoliano tra filosofia regressiva delle caste, come
parte di un tutto, individuato in un processo storico ciclico, e il ruolo, decisamente, costruttivista, quanto meno
sul piano dell’esemplarità, delle élite sacrali e guerriere.
Lo stato sociale ottimo
Tuttavia, il volume di Alain de
Benoist, pur partendo da posizioni olistiche va a collocarsi all’interno
dell’antiliberalismo costruttivista. Il
suo lavoro, per dirla in termini medici,
pur avendo i caratteri della diagnosi e
prognosi (olistica) non può negarsi alla terapia (costruttivista). Il che spiega,
come ammette lo stesso padre della Nouvelle Droite, l’approccio alla questione
in termini di “un travail de philosophie politique qui s’efforce d’aller à l’essentiel, au coeur de l’idéologie libérale, à partir d’une analyse critique
de ses fondement, c’est-à-dire d’une antropologie essentiellement fondée sur l’individualisme et sur l’économisme”.
Siamo davanti, insomma, a un
lavoro di filosofia politica, dunque valutativo, perché rinvia a un giudizio,
semplificando, sull’ "ottimo stato" o se si preferisce, più in generale, sullo stato sociale ottimo. Un ottimo, si intende, per la società, come si evince
dal giudizio negativo che viene dato dell’individualismo come dell’economismo. Valutazione negativa che attraversa l’intero libro, e
che, a sua volta, rimanda all’azione politica, come costruzione di un ordine
diverso, anti-individualista e antieconomicista. Dunque antiliberale. Di qui, ripetiamo, la natura, tutto sommato, costruttivista dell' antiliberalismo
debenoistiano.
Ora però, un approccio costruttivista,
implica, il rifiuto sociologico dell’eterogenesi
dei fini, vera e propria regolarità sociologica. E in nome di che cosa? Della credenza nella
corrispondenza, nelle azioni sociali ( e dunque anche politiche), dei mezzi con i fini. Per capirsi: si vuole il bene si ottiene il bene, si vuole
il male si ottiene male. Semplice e lineare.
Per o della società?
In realtà, si tratta di un
approccio esiziale dal punto di vista dell’analisi
politologica e sociologica, perché presuppone una valutazione dello stato sociale
ottimo per la società, non della società. Ossia, non rinvia a una valutazione delle cose come sono, prendendo atto del fatto che gli uomini spesso vogliono il
male e ottengono il bene e viceversa. Di qui, la necessità, per ogni studioso sociale, di attenersi sempre non a
un ottimo filosofico imposto dall’alto (per),
dando giudizi di buono o cattivo, ma
all’ ottimo della società, così come si esprime di fatto, secondo i parametri
di una determinata società: dell’ottimo della. Si chiama relativismo, ed è fondato sulla sospensione del giudizio. Weber docet.
Pertanto, le parti
più deboli del libro sono quelle
dove si discute di condizione sociale ottima, criticando il liberalismo, che come riconosce lo
stesso pensatore francese è una filosofia
individualistica. Ossia lo si critica sulle basi di una filosofia olistica, che è l’esatto
contrario dell'individualismo. Si sovrappongono i propri desideri politici a un'analisi obiettiva della realtà.
Di conseguenza, una
volta scelta la filosofia valutativa è fin troppo
semplice, sulle basi della stessa, criticarne un’altra. Pensiamo al riguardo, alla lunga Introduction (pp. 9-51), scritta crediamo ex novo (rispetto agli
altri capitoli, già pubblicati altrove come articoli e saggi), a Qu’est-ce que le libéralisme? (pp. 53-89), a Critique de Hayek (pp.
191-242): capitoli dove
si sviluppa, più spiccatamente,
una critica di tipo olistico al
liberalismo, che può avere valore, ripetiamo, se si condividono i punti di
partenza del pensatore francese. Siamo sul piano, per ripetersi, dell’ottimo per. Di uno studio non oggettivo ma valutativo del liberalismo.
Il conflitto euristico
Pertanto, in sede di recensione,
sarebbe inutile criticare l'antiliberalismo debenoistiano, in nome di
altri punti di vista, ad esempio quello pro liberale, opponendo magari versione
caricaturale a versione caricaturale: individualismo a olismo. Avremmo soltanto, petizioni di principio contro altre
petizioni di principio.
In realtà, siamo davanti a un
conflitto euristico, che probabilmente innerva l' impianto valutativo del libro, e che di riflesso non
consente al pensatore francese di
accorgersi delle conseguenze epistemologiche del suo approccio. E in particolare della frattura cognitiva tra momento
istituzionale e momento movimentista dei
fenomeni sociali (una regolarità metapolitica), come si evince dalla lettura dei capitoli più seriamente impregnati di costruttivismo, come
Communitariens vs. libéraux (pp.
91-130), Libéralisme et identité (pp.131-145), Démocratie représentative e
démocratie partecipative (pp. 243-250) e Libéralisme et démocratie (pp. 251-265). Dove si profila, sempre semplificando, la
condizione sociale ottima, secondo lo scrittore francese, fondata
sulla democrazia diretta, sulla comunità locale come fonte di identità, e al tempo stesso sul
senso storico di appartenenza alla
nazione: insomma, sul movimento, o su una società in costante stato nascente. O se si
preferisce, per usare la terminologia debeinostiana, di derivazione schmittiana, sulla primazia del potere costituente sul potere costituito. Il che non risulta possibile sotto il profilo sociologico
e pericoloso sotto quello politologico perché il mito dello stato nascente politico rinvia, prima o poi, al plebiscitarismo o
alla tirannia dei comitati.
Reductio ad unum e politeismo cognitivo
Infine, quanto ai capitoli sulla Figure du Bourgeois (pp. 143-189” , sulla Troisième
âge du capitalisme (pp. 267-293),
sul precariato (pp. 307-320), sul concetto di valore e sul denaro (pp. 321-340),
siamo davanti a piccoli capolavori dell’enciclopedismo
debeinostiano. Dove riaffiora,
finalmente, il suo antico e pregevole politeismo cognitivo. Di qui, non più la reductio ad unum olistica e costruttivista,
ma la descrizione di un sociale e di un economico ricchi di sfumature. Non
cambia il suo giudizio su liberalismo e
capitalismo, per de Benoist, fenomeni collegati, ma ne offre un quadro più affascinante e complesso rispetto agli altri capitoli, se ci si passa l'espressione, militanti.
Crediamo, o meglio supponiamo, che esista nel pensiero
di Alain de Benoist, un riaffiorante conflitto insoluto, tra politeismo cognitivo, che in qualche modo caratterizzò anche il pensiero di Sorel, ma in chiave di conflitto tra leggi storiche ed eccezioni storiche, come le grandi figure.
Pensiamo, forse fin troppo immaginosamente, al politeismo come a un fiume carsico che attraversi il pensiero debenoistiano, quale giusto
rispetto della ricchezza delle forme sociali. Al quale però si opponga l' incedere, alla luce del sole, delle imponenti e limacciose acque dell'olismo e del costruttivismo, come riduzione delle forme a contenuti di un pensiero unico.
Non siamo sicuri che de Benoist se ne avveda. Perché, come accade nel libro, la stessa reductio ad unum che egli addebita al liberalismo, finisce per animare la sua epistemologia olista e
costruttivista. E questa è un’altra
prova dell’ esistenza dell' eterogenesi dei fini sociali e anche intellettuali.
I rischi della società di massa
Infine, in Conserver quoi? Les équivoques du conservativisme (pp. 295-306), si
adombra invece, proprio in chiave ipercostruttivistica, un’alleanza tra conservatori,
meglio se con trascorsi di sinistra, e
popolo, come nell’Ottocento si proponeva sempre in
chiave antiliberale, da parte dei controrivoluzionari, quella tra grandi proprietari e popolo della campagne
delle città, contro la democrazia rappresentativa e il libero scambio. Un passo indietro.
Del resto, il libro sembra ignorare un aspetto fondamentale della società
moderna, aspetto spesso ignorato anche
dai liberali, non quelli archici però (4): la società di massa. Che piaccia o meno, è un effetto non previsto - o previsto da pochi pensatori come Tocqueville, altro liberale archico - della
democratizzazione del mondo, che rischia
sempre di tradursi in tirannia delle maggioranze. Diciamo che è
un rischio, non una sentenza passato in giudicato. Che però può divenirlo tutte le volte che si
prova a separare, come insegnava sempre Tocqueville, la democrazia dal
liberalismo. Una sintesi che, nonostante le critiche che riceve, alcune senz'altro giuste, resta però l’unica
modalità politica, imperfetta quanto si voglia, per impedire, ai nostri giorni, il dominio dell’uomo-massa.
Gli effetti indesiderati
Di conseguenza, parlare di
comunitarismo, identità, partecipazione, significa, di fatto, semplicemente favorire gli istinti
collettivi peggiori, tra i quali, c’è
quello gregario di fedeltà nel carisma di un capo… Tutti i discorsi valutativi debenoistiani
rischiano di sfociare, ripetiamo o nel plebiscitarismo o nella tirannia dei
comitati. In un mondo, dominato da élite, non più "globalizzate", come si legge, ma
localizzate. Tuttavia, non per questo,
migliori delle altre. Anzi, forse
perché più vicine, ancora più tiranniche e pericolose.
Insomma, Alain de Benoist, pur criticando, e giustamente certa spoliticizzazione delle società liberali,
sembra non avvedersi del ruolo di alcune costanti della metapolitica, come la
ferrea legge delle élite, individuata, pur dando al fenomeno nomi di
differenti, da Mosca, Pareto, Michels. Il che significa, come del resto è sempre stato,
che la democrazia partecipativa, verrebbe subito usurpata, non dai partiti, oggi
comunque rappresentati "liberal-democraticamente" in
Parlamento, ma da ristretti gruppi, dominati, come in tutte le comunità umane,
dalle personalità più ambiziose, dunque avide di potere. In nome del popolo sovrano,
ovviamente…
Conclusioni (o quasi)
Qualcuno potrebbe ritenere, che dietro le nostre critiche metodologiche, si nasconda una scelta liberale. E che quindi il nostro non sia altro che individualismo metodologico. E sia. Nessuno è perfetto. Però le regolarità o costanti metapolitiche, come le altre questioni, da noi ricordate, vanno oltre l'olismo e l'individualismo. E ogni studioso serio di politica dovrebbe prenderne atto.
Altrimenti il rischio è quello di scrivere libri solo per credenti. Non per nulla, Alain De Benoist, citando il
teologo John Milbank, accetta la sua idea del liberalismo, come “d’abord une “erreur anthropologique” . Quasi un peccato.
Carlo Gambescia
(1) Alain de Benoist, Contre le libéralisme. La société n’est
pas un marché, Éditions du Rocher,
Monaco 2019, pp. 352, Euro 19,90 - https://www.editionsdurocher.fr/livre/fiche/contre-le-liberalisme-9782268101217 .
(2) Stephen Holmes, Anatomia
dell’antiliberalismo, Edizioni di Comunità, Milano 1995.
(3) Zeev Sternhell, Contro l’Illuminismo. Dal XVIII secolo alla
Guerra Fredda, Baldini Castoldi
Dalai, Milano 2007.
(4) Sul termine “liberalismo
archico”, si rinvia al nostro Liberalismo
triste. Un percorso: da Burke a Berlin Edizioni Il Foglio, Piombino (LI)
2013.