martedì 31 gennaio 2023

Pareto, Panebianco e le guerre per procura

 


Angelo Panebianco ha dedicato un notevole editoriale (*) al concetto di “guerra per procura”, impiegato polemicamente da filorussi e pacifisti per ragioni ovviamente diverse: i primi per dipingere gli ucraini come burattini americani, i secondi per incrementare il principio, esteso a russi e americani, del ” tutti i guerrafondai pari sono”.

Invece a suo avviso le guerre per procura non esistono. E di conseguenza a tenere i fili delle guerre locali non sarebbero “i pupari”, le grandi potenze, ma le forze locali. Che, secondo una reale pressione dal basso (e non dall’alto), imporrebbero alle potenze maggiori di intervenire, quindi accodarsi, eccetera,eccetera.

Pertanto, queste le sue conclusioni, l’aggressione russa all’Ucraina non sarebbe una guerra per procura dell’Occidente contro Mosca, ma una guerra locale, scatenata dai russi, che ha coinvolto l’Occidente. Che ha fornito armi che però non sarebbero servite a nulla senza lo spirito di resistenza dell’intero popolo ucraino al tentativo russo di “schiavizzarlo”.

Sicché, in ultima istanza, metodologicamente – tra l’altro Panebianco ha pubblicato notevoli studi in argomento – non sono i governi a decidere (le élites), ma i popoli (le masse). E sull’onda di reazioni coesivo-emotive. In politica internazionale perciò l’attore principale, decisivo se si vuole, sarebbe il popolo, o comunque la pubblica opinione, e non il governo.

Siamo davanti a un elegante tentativo di coniugare democrazia (la spinta sovrana dal basso) e scienza politica (ricerca delle regolarità) sulla base di una teoria emozionale dell’uomo ancorata, dal punto di vista delle reazioni compositive (collettive), a un residuo (ciò che psicologicamente non muta) tipico del comportamento sociale dell’uomo.

Un residuo che Pareto denominava persistenza degli aggregati: non si vuole sparire, si vuole continuare a esistere, con i propri cari, amici, colleghi, cittadini, eccetera. Un residuo che si nutre anche di un elemento di territorialità, ravvisato, sempre per dirla con Pareto, nella persistenza delle relazioni con i luoghi e dei viventi con i morti.

Come si può intuire, condividiamo l’impostazione di Panebianco, che abbiamo qui sviluppato ricorrendo a Pareto.

Però il punto metodologico è che la tesi della preminenza dei popoli, o delle pubbliche opinioni, sui governi, va estesa anche agli aggressori, che iniziano guerre, come giustamente sostiene Panebianco, che non sono mai per procura.

Il che significa, per tornare all’aggressione russa, che anche  dietro Putin, come del resto alle spalle di Zelenski,  c’è  un popolo.  E di conseguenza, stando questa volta alle tesi del Cremlino, l’aggredita, a livello di pubblica opinione, sarebbe invece la Russia, costretta a difendersi attaccando per non essere divisa “spezzettata”, eccetera, eccetera. E qui torna il paretiano concetto di persistenza degli aggregati. Anche i russi non vogliono veder morire i propri cari, quindi appoggiano il loro leader…

Come uscirne?

Dal punto di vista metodologico è impossibile. Dal momento che non c’è una regolarità che valga per le emozioni dei russi e un’altra che valga per quelle degli ucraini. Sul piano analitico la neutralità dei valori impone che, proprio perché tale, sia estesa a tutti i  contendenti. La persistenza degli aggregati vale per i russi come per gli ucraini e di conseguenza anche per gli occidentali.

Dal punto di vista culturale invece il discorso è molto diverso. Perché, su questo piano, i valori liberal-democratici incarnati dall’Occidente euro-americano, che l’Ucraina condivide, sono diversi dai valori autocratici propugnati dalla Russia.

Esiste una potenziale frattura. Perché la persistenza degli aggregati da forma neutrale può assumere contenuti che non sono neutrali. Il che pone, per farla breve, una questione fondamentale: i valori politico-culturali occidentali sono moralmente superiori ai valori  russi? Insomma, come distinguere, quando occorra, i buoni dai cattivi?

Chi scrive propende per la superiorità dei valori liberal-democratici (magari come peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre). Invece i popoli dell’Occidente, stando ai sondaggi, tentennano e di conseguenza anche i governi.

Qui tra l’altro risiede la differenza tra relativismo metodologico e culturale, tra scienza politica ed etica politica. Ma questa è un’altra storia.

Dei russi invece non si sa nulla. Ufficialmente seguono compatti il Cremlino. Cosa che potrebbe essere vera, considerata la tradizione di passività di quel popolo, anche se non si può escludere lo scossone improvviso.

Comunque sia, per tornare all’Occidente, se si tentenna sulla bontà dei propri valori, non si può fare la guerra e neppure la pace.

Qui è il vero problema. Purtroppo.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.corriere.it/opinioni/23_gennaio_29/non-guerra-procura-scelta-definitiva-kiev-df9578ae-a001-11ed-a89a-ab57ad67871c.shtml .

lunedì 30 gennaio 2023

Adam Smith e Alfredo Cospito

 


Come comportarsi con chi mette in discussione, come l’anarchia, i fondamenti stessi di una società come la nostra che garantisce all’individuo una libertà che non ha precedenti storici?

A questo pensavamo a proposito del caso Cospito e delle proteste delle organizzazioni anarchiche. Certo, una società deve saper difendersi. Però, il punto è che sul nemico le opinioni sono differenti, proprio perché la nostra società consente a ogni individuo di esprimere liberamente il proprio pensiero e di attuarlo, però a una condizione: di non nuocere agli altri.

Gli anarchici che cosa vogliono? Una società senza stato. Chi è il nemico degli anarchici? Lo Stato. Il che complica le cose.

Un passo indietro. Il liberalismo moderno, dopo secoli di monopolio politico statale, ha fatto la sua e nostra fortuna puntando sulla progressiva riduzione del ruolo dello stato. Come? Seguendo, secondo le ricostruzioni postume, la lezione smithiana. Di qui la limitazione della sfera d’azione statale alla difesa esterna, alla polizia e giustizia interna, alla realizzazione di opere pubbliche capaci di favorire la libertà economica (come strade e istruzione).

Si è però trattato di un cammino non intenzionale: Adam Smith non si sarebbe definito liberale, anche perché il termine non esisteva ai suoi tempi. Perciò siamo davanti a un processo culturale, politico, economico che solo nel Novecento si è autodefinito liberale. Per capirsi: nel caso del liberalismo, come altre volte nella storia, la pratica ha preceduto, e di molto, la teoria.

L’anarchico, per contro, vuole imporre – intenzionalmente quindi – la sua visione della società, in alcuni casi, come quello di Cospito, con la violenza contro persone e cose (*). Nel caso dell’anarchismo, ma anche di altre teorie sociali costruttiviste come l’utilitarismo e il marxismo, la teoria precede la pratica, nel senso che si vuole costruire, anche con la violenza, o comunque con il ricorso alla forza, una società dalle fondamenta.

Certo, anche il liberalismo, una volta “scoperto” dagli intellettuali si è tramutato, secondo alcuni detrattori, in una ideologia di conservazione sociale, diciamo dell’esistente, perché teso a imporre, si dice, una sua idea di società. Di qui la lotta senza quartiere che ha condotto Cospito in carcere.

Però, se parliamo di liberalismo novecentesco, anche Cospito in qualche misura è liberale, anzi ultraliberale, perché porta alle conseguenze ultime l’ideologia liberale. Infatti parliamo di teoria non di pratica.

Si rifletta, Adam Smith non sapeva di essere liberale, Cospito invece è fiero di essere anarchico. E vuole che tutti lo siano per il “loro” bene. Invece Smith riteneva di non sapere assolutamente nulla del bene di ogni singolo individuo, sicché credeva, a nostro avviso giustamente, che la migliore soluzione fosse quella di permettere agli individui di perseguirlo – il bene – da soli, in piena libertà.

Smith consigliava, Cospito impone. Questa la differenza tra il liberalismo inconsapevole delle origini e il liberalismo consapevole di oggi, anche nelle sue forme anarchiche. Il punto perciò è cognitivo. In sintesi: “io conosco ciò che è bene per te”.

Non desideriamo entrare nel merito della questione penale. Però Cospito, sebbene storto e pieno di spine, è un ramo novecentesco della grande quercia liberale: il ramo costruttivista, quello del liberalismo consapevole diciamo.

Sul punto si pensi al ramo welfarista e liberalsocialista, che pretende proprio come l’anarchismo di sapere – di conoscere – ciò che sia bene per ogni singolo individuo. Fino al punto di usare come una pistola puntata contro il cittadino la burocrazia del welfare state.

La violenza del welfarista è morale (anche se non sempre), quella dell’anarchismo è materiale (anche se non sempre). Il welfarismo e l’anarchismo – ripetiamo – pretendono di conoscere a menadito ciò che sia bene per ogni singolo. Una follia sociologica.

Che fare allora? Degli aspetti penali, come detto, non desideriamo parlare. Per fare una battuta, eventualmente, chiederemmo punizioni esemplari innanzitutto per liberalsocialisti e welfaristi… Che il potere lo gestiscono sul serio.

In realtà, quel che che ci interessa è la questione cognitiva. Qui riteniamo di poter dire la nostra. Si deve tornare alle radici senza nome, si deve tornare a liberalismo inconsapevole di Adam Smith.

Carlo Gambescia

(*) Qui per una sintesi biografica: https://it.wikipedia.org/wiki/Alfredo_Cospito .

domenica 29 gennaio 2023

“Libero” e i cento giorni del governo Meloni

 


Oggi su “Libero”, quotidiano pseudoliberale, si inneggia ai “cento giorni” del governo di Giorgia Meloni. Sul punto già siamo intervenuti (*)

“Libero”, non potendo esibire grandi risultati o quantomeno un adombramento di grandi risultati, come suo solito, la butta in caciara: sul nessun “crollo” come invece profetizzavano “i gufi rossi”. Quindi avanti per altri “1.725 giorni”… Insomma la cultura imbecille del “Tiè!”. Il famoso manico d’ ombrello di Alberto Sordi. Finissimo politico.

Certo, si può anche ridere. In realtà, tutto questo fa male all’Italia, diciamo alla cultura della pubblica opinione. Si tratta di una vera e propria guerra culturale tra destra e sinistra che va avanti da Tangentopoli e dalla discesa in campo del Cavaliere. Un altro finto liberale, che non poco ha contribuito allo scadimento generale del discorso pubblico. Siamo davanti a una brutta telenovela politica, diremmo addirittura volgare, alla quale anche la sinistra non si è tuttora sottratta.

Questi toni ora triviali, ora esasperati, ora servili, privi di qualsiasi contenuto concreto (idee e programmi), li si ritrovava un tempo solo nella pubblicistica neofascista e dell’ultrasinistra. Ripetiamo: la qualità del dibattito politico negli ultimi trent’anni ha raggiunto uno specie di grado zero, sotto il quale c’è solo il segno meno della guerra civile.

Pertanto, per tornare a “Libero”, un giornale liberale serio, liberale vero, deve scrivere non delle mancate catastrofi, ma della totale assenza di idee e programmi liberali che caratterizza i primi cento giorni del governo Meloni. Altro che polemizzare con la sinistra sulla falsariga del “Secolo d’Italia” anni Settanta.

In realtà, nel governo in carica non si è intravista né si intravede alcuna svolta e neppure indizio di svolta liberale

Che significa svolta? Si pensi ai provvedimenti di Margaret Thatcher e Ronald Reagan nei primi cento giorni.

La prima varò una serie di misure monetariste (non è una parolaccia…), a partire dall’aumento del tasso d’interesse e dal taglio della spesa pubblica. Che ridussero l’inflazione e rilanciarono, dopo una iniziale caduta, la crescita del Pil che durò per tutti gli anni Ottanta.

Il secondo varò una riduzione delle tasse del 25 per cento, da diluire in quattro anni però reale, che favorì la ripresa dei consumi e una fase di crescita del Pil che durò anch’essa per tutti anni Ottanta.

Per verificare si osservino i dati sul Pil britannico e americano prima e dopo l’ascesa al potere di Margaret Thatcher e Donald Reagan (**).

Grazie a loro la spesa pubblica non fu più, concettualmente parlando, una variabile fuori controllo. O comunque, come nel caso di Reagan, se vi fu aumento, fu a anche causa – quindi più che giustificato – di un programma militare come quello dello Scudo Stellare che secondo gli analisti fu una specie di colpo grazia per l’autostima sovietica.Sicuramente Reagan non spese un dollaro in costosi e inutili programmi assistenziali. Fu una rivoluzione liberale.

Giorgia Meloni cosa ha fatto? Ha diminuito il superbonus… Roba da comiche finali.

Di questo deve parlare un quotidiano liberale. E non favorire un clima avvelenato in cui nessuno, a colpi di “Tié!”, abbia mai la meglio.

Carlo Gambescia


(*) Qui: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/giorgia-meloni-tra-retorica-vittimismo-e-spirito-di-rivalsa/ .
(**) Si veda qui (la prima tabella). Anche gli avversari non possono disconoscere i fatti:https://www.lavoce.info/archives/8625/le-conseguenze-economiche-della-signora-thatcher/ .

sabato 28 gennaio 2023

Per chi suona la campana


 

Discutere della presenza di Zelensky a Sanremo può sembrare cosa inutile, uno stupido dettaglio, perché l’Ucraina aggredita dalla Russia ha necessità non di chiacchiere ma di armi, armi vere, altro che i quattordici carri armati tedeschi…

E invece no. Perché purtroppo vi sono momenti, apparentemente privi di importanza, quando, passeggiando, dall’alto di un ponte, il nostro occhio coglie all’improvviso tra le acque tutta la sporcizia, per non usare un altro termine, mentre viene a galla.

Ecco, nel no a Zelensky, presentato da non pochi giornali popul-pacifisti, come “trasversale”, la sporcizia morale italiana si manifesta per quello che è. Viene a galla la fetida schiuma di un paese moralmente arretrato, familista, politicamente immaturo, che, chiuso nel suo stupido egoismo, a questo punto diremmo collettivo (perché stando ai sondaggi due terzi degli italiani, abbandonerebbero l’Ucraina al suo triste destino), non vuole rendersi conto che le bombe e i missili su Kiev indicano, per dirla con le parole di un grande scrittore non più di moda, Hemingway, che la campana per l’Occidente è suonata, e da un pezzo. In Ucraina è in gioco il futuro dell’ Italia, dell’Occidente e dell’umanità. Ma nessuno vuole ascoltarne i rintocchi.

Si noti il silenzio di Amadeus, che è un poco l’alter ego canoro di Giorgia Meloni, tra l’altro ancora attesa a Kiev, e che a sua volta tace (certo, un Presidente del Consiglio, si deve tenere lontano dalla Rai. Ovviamente, quando fa politicamente comodo…).

Inutile parlare del no di parassiti televisivi, ex decrepiti baroni universitari in camicia nera, comunisti e fascisti mai pentiti, ma pure di finti liberali terzopolisti. Questa, per inciso, sarebbe la trasversalità decantata da non pochi giornali. Gli stessi che danno del burattino a Zelensky.

Cosa dire? Che il tanfo è talmente forte, che non si riesce a respirare.

Ieri scrivevamo di una destra normale (*). A dire il vero, qui manca un paese normale. La solidarietà all’ Ucraina, morale, politica, militare (e perché no? Canora), in un’Italia normale (moderna, liberale, occidentale) sarebbe scattata immediatamente. Cioè il problema Zelensky neppure si sarebbe posto, dando fin dall’inizio come scontata la sua presenza a Sanremo.

E invece no. Brutta gente che per tutta vita e in tutte le sedi ha fatto politica, sale in cattedra, firma manifesti e si nasconde dietro il cipiglio della  doverosa apoliticità del festival sanremese.

Dei pacifisti a senso unico meglio tacere.

Che tristezza, la campana suona e nessuno risponde. Grande Hemingway, che in Spagna combatté sul serio all’insegna del “No pasarán!”. Poi “passarono”. Ma si cadde con le armi in pugno.

Qui, se continua così, “pasarán”, eccome. E tra genuflessioni, sorrisi e ringraziamenti.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/avremo-mai-una-destra-normale/ .

 

venerdì 27 gennaio 2023

Avremo mai una destra normale?

 


È veramente amaro constatare dopo quasi ottant’anni la connivenza politica tra destra ed estrema destra. Certo, in teoria, gli interessati negano, ma nei fatti è così. Del resto si tratta di un accoppiamento poco giudizioso che viene da lontano. La destra europea, tra le due grandi guerre mondiali, scelse il fascismo e le dittature. Optò, perfino con entusiasmo, per il verbo dell’estrema destra antiparlamentare, antiliberale, anticapitalista.

In questo modo la destra perse ogni rispettabilità liberale. Nonostante ciò, soprattutto in Italia, ci si vanta ancora di aver “inventato” il fascismo, nemico totale del liberalismo.

Storici come De Felice e Nolte hanno spiegato chiaramente che la destra di estrazione borghese rinunciò negli anni Venti e Trenta al liberalismo. Perché prigioniera della paura, magari in parte comprensibile, di finire schiacciata sotto il tallone del comunismo. Questa destra borghese si negò a rivendicare dinanzi alle dittature fasciste l’essenza politica di quel geniale processo di costituzionalizzazione della politica  e di  liberalizzazione degli scambi che nel secolo XIX fu la forza, anche di attrazione, dell’Europa e dell’Occidente

Ne uscimmo, pagando tutti un prezzo altissimo: quello di una guerra mondiale contro il nazi-fascismo.

Una lezione che oggi pare dimenticata. Si pensi all ’attuale alleanza di governo. Ideologicamente sembra riproporre quei “blocchi nazionali” che nel primo dopoguerra portarono al potere i fascisti: Forza Italia (incluso un pugno di moderati che non contano nulla) rappresenta la destra pseudo liberale, più retriva, che sogna il capitalismo assistito; la Lega si mostra intrisa dello stesso spirito razzista, prima nazionalista e poi fascista; Fratelli d’Italia neppure nasconde la sua nostalgia per il Ventennio. Ignazio la Russa, fascista dichiarato, è diventato Presidente del Senato, seconda carica dello stato. Tutto normale? Bah…

La cosa più grave è che su una sfida all’Occidente, come quella rappresentata dall’Ucraina aggredita dalla Russia, il redivivo “blocco nazionale” si sia schierato dalla parte dei russi. Ovviamente in modo ipocrita, predicando l’equidistanza, come Forza Italia e Lega, oppure in modo burocratico, senz’anima, come Fratelli d’Italia. Salvo poi, come accade a proposito di Sanremo, sbranare Zelensky (*). O peggio ancora lasciare che lo si sbrani, in silenzio, come fa Giorgia Meloni …

Diciamo la verità: in un paese normale e con una destra normale, liberale e filoccidentale, neppure lontanamente si discuterebbe sul collegamento televisivo dell’aggredito Zelensky con il Festival di Sanremo.

Invece di plaudire in Italia si polemizza su un amico dell’Occidente, liquidandolo come un burattino e un servo.

Si discute, anche aspramente, giocando sull’antica incomprensione collettiva delle rivoluzioni liberali. Un atteggiamento reazionario che rimanda alla cultura della Controriforma cattolica, ostile alla modernità. Uno schema mentale che sembra tuttora condizionare gli italiani, nonostante il processo di secolarizzazione sociale.

Sotto questo aspetto la celebrazione del Giorno della Memoria è un’occasione fondamentale per rivendicare i valori liberali, dal momento che parliamo della stessa destra filofascista che non aprì bocca sulle leggi razziali del 1938. E qui si pensi, come tragico esempio di un’epoca di vergognosa connivenza politica, al silenzio di Vittorio Emanuele III.

Da un punto di vista liberale, la celebrazione del Giorno della Memoria e la difesa dell’Occidente, a cominciare da quella dell’Ucraina aggredita, vanno insieme, perché rinviano allo spirito del 1945, di una guerra vinta in nome dei valori liberali. Quindi attenzione ai proclami  e ai comportamenti politici non conseguenti. Parliamo di uno spirito, quello del 1945, inviso alle destre fasciste e filofasciste di ieri come di oggi. Mai dimenticarlo.

Detto questo, resta la vera e unica domanda. Avremo mai una destra normale? Capace di fare finalmente i conti con il fascismo e di riscoprire la grande lezione del liberalismo e dell’Occidente?

Carlo Gambescia

(*) Ne abbiamo già parlato ieri: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/zelensky-e-sanremo/ .

giovedì 26 gennaio 2023

Zelensky e Sanremo

 


Gianni Borgna, storico della canzone italiana e politico mite (sulla sua tomba si può leggere la seguente iscrizione: combattete per i vostri diritti ma fatelo con grazia”), riteneva che Sanremo, soprattutto, quello degli anni Duemila, non fosse più solo un show, ma un grande spettacolo aperto al mondo e all’etica della politica.

Forse non tutti ricordano che nel 1999 Fabio Fazio, quell’anno conduttore, portò a Sanremo niente di meno che Gorbaciov e la moglie Raissa. Un mese dopo, iniziarono i bombardamenti della Nato contro la Serbia per porre termine alla repressione della maggioranza albanese in Kosovo. Circa un mese prima della serata finale, alla quale avevano partecipato i coniugi Gorbaciov, 45 civili kosovaro-albanesi erano stati uccisi dalle forze speciali di Milosevic (Massacro di Racak).

Questo per ricordare che non erano tempi miti neppure quelli . Va anche riletto ciò che Gorbaciov disse in conferenza stampa  sulla caduta dell’Unione Sovietica, proprio in termini di etica della politica:

«Paradossalmente (…) la prima risposta l’aveva data addirittura Lenin, appena quattro anni dopo la rivoluzione, quando ebbe a scrivere che avevano commesso un errore, non avendo considerato il problema di come coniugare l’interesse personale dell’individuo con la costruzione socialista di una società. E arrivò alla conclusione che si dovesse trovare il modo di conciliare questi due principi. Questa (…) passò alla storia come la Nuova teoria economica. Lenin poi morì e la successiva lotta per il potere portò Stalin, un capo malato. E diventammo uno stato totalitario con tutto quello che ne consegue, con le vittime e il controllo delle menti umane. I regimi totalitari, però, anche quando risolvono i problemi interni, non riescono a sopravvivere. L’economia totalitaria di fronte alle sfide del progresso tecnico-scientifico non ha retto la sfida ed è stata sconfitta». (*)

Va ricordato che Rifondazione Comunista, all’epoca divisa tra Bertinotti e Cossutta, aveva appena affondato il Governo Prodi. Però sia Bertinotti che Cossutta, nemici in parlamento, ritrovando improvvisamente l’unità ideologica, criticarono da duri e puri la partecipazione di Gorbaciov, a Sanremo.

Sotto questo aspetto, e veniamo a Zelensky, chi si è manifestato contro la sua partecipazione? Vauro, neocomunista e falco filorusso (**). E ovviamente tutti coloro – inclusi numerosi neofascisti (i due estremi si toccano sempre) – che odiano Zelensky perché dialoga con l’Occidente, proprio come Gorbaciov. In realtà, l’ultimo presidente dell’Unione Sovietica aveva perfettamente compreso che il totalitarismo non paga. Qui la sua grande lezione etico-politica. Anche dal palco di Sanremo.

Si faccia attenzione su un punto: l’odioso linguaggio che viene usato contro Zelensky è lo stesso impiegato contro Gorbaciov: un traditore, un servo, un burattino, un pagliaccio.

Per dirla alla buona, il lupo totalitario perde il pelo ma non il vizio.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.firstonline.info/festival-sanremo-gorbaciov-ventanni-fa-la-canto-alla-politica/ .
(**) Qui: https://www.imusicfun.it/news/sanremo-2023-vauro-contro-la-scelta-di-ospitare-zelensky-mentre-al-bano/ .

mercoledì 25 gennaio 2023

La lezioncina pacifista del “Bulletin of the Atomic Scientists”

 


Il principale errore dei pacifisti, per usare un parolone, è nell’unilateralità antropologica. L’uomo non è un agnello né un lupo, per usare un metafora antica quanto il genere umano.

In realtà l’uomo è un animale imprevedibile, e in questo senso pericoloso.

Sotto tale aspetto giunge a proposito l’appello del “Bullettin of the Atomic Scientists” (*).

Secondo questa organizzazione, che si presenta come apolitica, ma che in realtà è di orientamento pacifista e socialista, con l’invio in Ucraina dei carri armati tedeschi e americani a gittata più lunga, saremmo, secondo l’Orologio dell’Apocalisse, creazione del Bulletin, a un minuto e mezzo dall’Armageddon. Alla nascita nel 1947 l’Orologio segnava sette minuti alla mezzanotte atomica.

In realtà, è tutto fittizio: i parametri sono fissati dal “Bulletin” stesso, e perciò sono autoreferenziali e vincolati alle tesi pacifiste e socialiste. Semplificando: “Meglio russi che morti”.

Parliamo di un’organizzazione che perciò si muove alla stregua di tanti altri gruppi di pressione, enfatizzando, strumentalizzando, eccetera. Si badi, la logica del gruppo di pressione è quella del successo, tutti gli altri valori, ad esempio libertà e dignità, sono sempre in subordine.

Allora qual è il problema? Che al momento non esistono né organizzazioni belliciste (meglio così), né diciamo “centriste” , in grado di analizzare obiettivamente la situazione e quindi controbilanciare con realismo e saggezza le tesi pacifiste.

Purtroppo siamo tutti immersi – piaccia o meno – in una situazione paradossale.

L’Occidente è in guerra con la Russia però non se ne deve parlare. Pertanto viene dato largo spazio a tutte le tematiche pacifiste, oscurando chiunque professi idee differenti. Però la guerra – guerra di aggressione russa non si dimentichi mai – è in atto. E gli ucraini, che da soli non possono farcela, devono essere armati per difendersi dall’aggressione russa che ne lede  libertà e dignità e ferisce i valori che sono a fondamento di una società aperta e liberale.

Sicché, dal momento che il clima, soprattutto in Occidente, è pacifista, i governi fanno del loro meglio per non scontentare la pubblica opinione, congelare i consensi e restare al potere.

Di qui le armi all’Ucraina con il contagocce e l’inevitabile prolungamento del conflitto. Una stasi addirittura, dietro la quale si nasconde la “speranzella” che la Russia prima o poi si stanchi, oppure – ma non si dice – che l’Ucraina crolli all’improvviso e tutto vada a posto da sè, a spese – altra cosa che vigliaccamente si tace – della dignità e libertà del popolo ucraino. Che di riflesso  è  anche quella dell’Occidente.

È triste ma è così. E, nel caso, non sarebbe neppure la prima né l’ultima volta nella storia umana.

In questo quadro di guerra-non-guerra l’evocazione del conflitto atomico viene usata dai russi, che non hanno problemi di gestione della pubblica opinione, per guadagnare tempo nella speranza che prima o poi l’Ucraina venga a miti consigli. Di conseguenza, le tesi pacifiste di organizzazioni come il “Bulletin” favoriscono, oggettivamente, la vittoria russa o comunque un pericoloso prolungamento del conflitto. Perché l’evocazione della guerra non convenzionale lega le mani all’ Occidente sul piano della fornitura di armi convenzionali. Perché le liberal-democrazie, a differenza delle dittature, hanno problemi di gestione della pubblica opinione. Perciò i russi nelle organizzazioni pacifiste, come il “Bulletin”, piaccia o meno, trovano un alleato. Qui – ammesso che sia in buona fede – il paradosso del pacifismo: persegue la pace, vista come un bene ma favorisce la guerra, il male. Classica riprova dell’effetto perverso delle azioni sociali. E soprattutto del fatto che nella dinamica sociale e politica, le intenzioni, anche buone, non bastano.

Perché siamo giunti a questo punto? Perché la Nato avrebbe dovuto reagire, o anche solo minacciare di reagire, in chiave convenzionale schierando le sue truppe (di tempo ne aveva avuto…), dichiarando però – cosa fondamentale – di non avere altro proposito che quello di respingere le armate russe oltre i confini dell’Ucraina, lasciando così ai russi la responsabilità storica di ricorrere agli strumenti di una guerra non convenzionale. Davanti alla fermezza della Nato , corroborata sul campo, i russi probabilmente avrebbero fatto un passo indietro. Il principale errore di Biden e dell’Allenza Atlantica resta quello di prestarsi fin dall’inizio all’evocazione russa della guerra atomica, addirittura rilanciando.

In questo modo, ripetiamo, si è scelto di giocare sul terreno della guerra non convenzionale, lasciando però ai russi l’iniziativa sul piano convenzionale. Occasione, che i russi non sono ancora riusciti a sfruttare data l’impreparazione militare dimostrata. Ciò significa che, a causa di bluff russo, non intuito subito, la guerra è destinata da durare. Per capirsi la Nato, come al poker, doveva andare a vedere le carte.

Un conflitto che andava subito chiuso, minacciando di far intervenire la Nato sul piano convenzionale fino all’espulsione dei russi dai confini ucraini, si è invece trasformato in una specie di piaga purulenta.

Dicevamo all’inizio che l ’uomo è un essere imprevedibile, e perciò pericoloso. Il che vuole dire che più si allungano i tempi del conflitto più il cresce rischio di una imprevedibile reazione russa. Perciò, alla fin fine, il “Bulletin” non ha tutti i torti. Il rischio c’è. Però, se ci si passa la metafora, ci troviamo in questa situazione perché la terapia da prescrivere non era quella della tachipirina delle trattativa di pace ad ogni costo con i russi (apparentemente) vittoriosi nei pressi di Kiev. Ma di amputare subito, minacciando, come detto, una reazione convenzionale, favorendo l’autodifesa ai confini dell’Ucraina. Lasciando alla Russia, la responsabilità, eccetera, eccetera.

Servivano ( e servono) realismo politico, ma anche valori morali come il senso dell’onore, l’ amore per la libertà, da difendere anche con la spada quando è impossibile ricorrere al tribunale. Nonché coraggio e gusto del rischio. Doti, purtroppo, alle quali l’Occidente, non più fiero delle sue tradizioni liberali, sembra aver rinunciato da tempo in  nome di un dolciastro welfarismo da casa di riposo.

Sicché, ora, dobbiamo sorbirci la lezioncina pacifista del “Bulletin”. Che amarezza.

Carlo Gambescia

(*) Qui per il testo (in inglese): https://thebulletin.org/doomsday-clock/timeline/ . E qui per la notizia (in italiano): https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2023/01/24/lorologio-dellapocalisse-a-soli-90-secondi-dalla-mezzanotte_9ca27053-a729-490b-9e61-c90dcce224ce.html .

martedì 24 gennaio 2023

Giorgia Meloni e i primi cento giorni

 


La prima cosa che infastidisce è lo sfruttamento, peraltro privo di basi storiche, della figura di Enrico Mattei: un tangentista, per sua stessa ammissione, che acquistava petrolio sottocosto dagli arabi. Concorrenza sleale e corruzione. Ecco chi era Mattei. Che aveva però un lato buono. Mattei aveva partecipato alla Resistenza, battendosi contro il nazi-fascismo. Cosa sulla quale la Meloni glissa, tutta intenta a lucidare i suoi scheletri in camicia nera neppure nascosti tanto bene nell’armadio.

La seconda è che l’Algeria non ha un profilo politico di amica dell’Occidente. Attualmente le sue navi incrociano nelle comuni esercitazioni quelle russe nel Mediterraneo. E per dirne solo un’altra: all’Onu l’Algeria si astenuta sull’aggressione russa all’Ucraina. Si dirà che gli affari sono affari, però l’Italia rischia di ritrovarsi un’altra volta a bocca asciutta e con un nemico dentro casa. Altro che Hub italiano verso l’Europa...

Purtroppo nel discorso politico di Giorgia Meloni – cosa che si può dire dopo i fatidici “primi cento giorni” – sono ben mescolati elementi retorici, di vittimismo e di voglia di rivalsa.

La retorica della “missione italiana”, idea che, una volta morto Mazzini, ha fatto solo danni.

Il vittimismo, di chi crede gli sia stato negato l’orgoglio di poter proclamare il suo essere dalla parte giusta della storia nel 1943-1945: antico psicodramma del mondo missino e aennino.

La voglia di rivalsa, nei riguardi di una sinistra, più colta, educata, quasi aristocratica. Per capire la differenza ideale si mettano, ad esempio, una accanto all’altra le figure di Giorgia Meloni e Giovanna Melandri. Certo, la sinistra spocchiosa può anche dare fastidio. Ma sempre meglio degli arruffapopoli senza arte né parte dell’estrema destra.

Anche perché dopo cento giorni di governo, al di là delle mezze misure e rinvii (superbonus) e dei passi indietro (decreto sui rave), non è emersa alcuna idea direttrice, non diciamo di tipo liberale, perché sarebbe chiedere troppo, ma neppure di destra conservatrice ma democratica. Facciamo solo alcuni esempi.

Sulla benzina la Meloni si è comportata come un governo di sinistra: ha crocifisso i benzinai. Altro che difesa del lavoro autonomo…

Sulla riforma Nordio della magistratura la Meloni nicchia. Il suo passato manettaro non depone a favore del Guardasigilli. La telenovela politica in corso potrebbe finire con le dimissioni dell’ex magistrato da ministro. Altro che “fiducia confermata a Nordio”…

Sull’ Ucraina, la Meloni si è ben guardata da un viaggio ufficiale: cosa che avrebbe dovuto fare immediatamente per lanciare un segnale forte al titubante Occidente. E invece?  Sì, “vi siamo vicini”, però da Palazzo Chigi…

L’ unica cosa che Giorgia Meloni ha saputo fare è stata quella di perseguitare le Ong. E con una perfidia che lascia stupefatti.

Per ritornare infine sul gas, solo una cosa andrebbe fatta: varare un grande piano per la costruzione di centrali nucleari: ecco la soluzione dei nostri problemi. Ovviamente, aprendo ai privati, anche stranieri, e puntando su tecniche all’avanguardia, a zero rischi. Questo andrebbe fatto e proclamato al mondo. Altro che le chiacchiere ecologico-sovraniste da bar sport…

Certo, per costruirle servono anni (almeno dieci-quindici), quindi per l’immediato i problemi rimarrebbero. Però facciamo notare che il prezzo del gas è in caduta libera. Il mercato finisce sempre vendicarsi: il crollo della domanda ha influito sull’offerta. I russi rischiano di fare un lungo bagno caldo nel loro gas. Chi di “monocultura” ferisce (diciamo di una sola materia prima in vetrina), di “monocultura” prima o poi perisce. Però Giorgia Meloni crede negli spiriti animali del mercato? Anche qui servirebbe una risposta chiara.

Sul punto, per inciso, sarebbe interessante conoscere i costi dell’accordo con gli algerini: ci si augura che i prezzi finali non siano gli stessi – fuori mercato… – praticati da Mattei per recuperare i denari delle tangenti.

Insomma altro che a tutto gas… Dopo cento giorni Giorgia Meloni naviga ancora a vista tra retorica, vittimismo e patetico spirito di rivalsa.

Povera Italia.

Carlo Gambescia

lunedì 23 gennaio 2023

C’eravamo tanto truffati…

 


Quanti hanno capito le intenzioni di Ettore Scola? Volontarie o involontarie quanto agli effetti finali, o forse tutte e due le cose…

In realtà, un film come C’eravamo tanto amati ha la carica propagandistica di una bomba atomica, apparentemente nascosta nelle pieghe popolaresche e divertenti della sceneggiatura agescarpelliana.

A questo pensavamo, ascoltando ieri sera – casualmente – “Hollywood party”, corazzata ideologico-cinefila di Rai Radio 3. Si riproponevano alcuni spezzoni audio del film, con i puntuali commenti – ideologicamente puntuali – del commissario politico di turno. Dopo di che, incuriositi, abbiamo cercato il film su YouTube, in particolare per leggere i commenti degli sconosciuti (per la cronaca, la nostra serata si è conclusa con un Re Lear televisivo del 1960 con un Salvo Randone strepitoso).

I commenti, quasi tutti, partivano da un’incomprensione della Resistenza e dall’accettazione, consapevole o meno, della vulgata comunista sulla Resistenza come “rivoluzione tradita”. Una truffa ideologica apprezzata anche dai compagni di strada azionisti, che però si ispiravano a Gobetti.

La visione di Scola, classe 1931, affonda le radici in una visione romantica del Pci, negli anni Quaranta accucciato invece ai piedi di Mosca. Di conseguenza la rivoluzione – piaccia o meno – senza il contrordine di Stalin, al momento sazio per essere arrivato all’Adriatico, si sarebbe conclusa, con la “liberazione” degli italiani, ad opera dell’Armata Rossa. Con tutte le tristi conseguenze del caso.

Ovviamente nel 1974, anno di uscita della pellicola, questo non si poteva dire per non offendere il Pci berlingueriano e per non farsi dare del fascista.

Uno Scola, che non nascondeva la sua fede politica, un po’ romantico, un po’ opportunista. Il concetto di “rivoluzione tradita”, che mutila ideologicamente la Resistenza, che fu fenomeno eticamente bello e politicamente complesso (ne facevano parte, liberali, monarchici, cattolici moderati e perfino conservatori democratici), rientra perciò in una prima lettura storico-politica del film.

La seconda lettura è ancora più ideologicamente interessante, perché consiste nello storicamente truffaldino collegamento della mancata rivoluzione al malaffare primorepubblicano.

Addirittura – sempre il commissario politico di cui sopra – liquida il Gassman-Gianni, prima partigiano poi maneggione, come un personaggio tipico degli anni Ottanta. Come a dire del peggiore decennio della storia repubblicana. Secondo il Pci, ovviamente. Quindi, Scola profetico, rivoluzione necessaria ma tradita, eccetera, eccetera.

L’operazione culturale è la seguente: 1) Si accetta la vulgata del Pci sulla Resistenza (“Solo noi siamo i buoni”); 2) Si squalifica tutta la Ricostruzione economica, sociale e politica (“Un pugno di ladri”); 3) Si mette il fieno in cascina – questo il compito del commissario politico – per screditare la storia successiva al 1974, a partire dagli anni Ottanta (“Maledetti socialisti craxiani”)

Al commissario politico di “Hollywood Party”, per sua ammissione, piacerebbe addirittura un seguito. Magari con la consulenza storica di Marco Travaglio e dei reduci delle monetine a comando.

Dicevamo, quanti hanno capito il messaggio di questo film? Una caratteristica degli italiani – per carità il nostro è un giudizio impressionistico – è di piangersi addosso e di scaricare le colpe sugli altri. E la sinistra cinematografica alla Scola, zitta zitta, è riuscita a intercettare questo narcisismo politico incrociandolo con la versione ufficiale del Pci sulla Resistenza.

Ci troviamo davanti – va riconosciuto – a una meravigliosa operazione politico-prapagandistica. Come dicevamo una specie di bomba atomica. Perché tutti coloro che hanno visto il film non si sono accorti del riduzionismo culturale e politico racchiuso nella pellicola. Riduzionismo che poi non era solo di Scola, in fondo un romantico, ma di una sinistra manichea che ha avuto modo in seguito di dare in peggio di sé, alimentando il pericoloso populismo culturale degli anni Duemila. Un populismo, sic vobis non vobis,perché ha condotto alla vittoria Cinque Stelle e tramutato il Partito Democratico in una sua succursale. E stando ai contenuti delle primarie  non sembra  demordere.

Ma è accaduto anche di peggio. Il clima politico, degenerato “nel signora mia è tutto un magna-magna”, per reazione, altrettanto riduzionista, ha favorito l’ascesa di Giorgia Meloni e condotto alla Presidenza del Senato un ammiratore del duce come Ignazio la Russa.

Le semplificazioni politiche non pagano mai, perché ne determinano altre di segno opposto. Perciò ridurre la storia politica italiana a un specie di confronto tra guardie e ladri è imperdonabile. È una truffa ideologica che si paga sempre cara.

Attenzione, C’eravamo tanto amati, resta, “tecnicamente” , un bel film, perché Scola indubbiamente era  bravo.  Però, volente o nolente, era anche un grande mistificatore, romantico ma mistificatore.

Carlo Gambescia