mercoledì 19 settembre 2007

Ancora su Beppe Grillo

L'onestà è un valore politico?




Che cos’è l’onestà? E’ un valore pubblico o privato? E se è un valore pubblico è anche un valore politico? Ed eventualmente, quale ruolo può svolgere da punto di vista programmatico nel movimento "inventato" da Beppe Grillo?
Prima una premessa, piuttosto lunga ma utile per capire.
Basta sfogliare qualsiasi buon dizionario, per scoprire che dal punto di vista etimologico la parola onestà deriva dal temine latino honestum, onorato, che a sua volta discende da honos honoris, onore: onesto è colui che opera secondo i principi giuridici e le leggi morali della virtù e dell’onore. Inoltre il concetto di onore implica tre elementi sociologici: il sentimento della propria dignità; il desiderio di attirare la stima altrui, rispettando le norme di cui sopra; e per effetto di ricaduta sociale , il costituire un esempio per gli altri.
Ora, chiedere a gran voce come fa Beppe Grillo, che gli uomini politici debbano essere di “specchiata onestà”, indica due cose.
In primo luogo, che nelle istituzioni politiche attuali e negli uomini che ne fanno parte, virtù e onore sono tenuti in scarsa considerazione, per usare un eufemismo.
In secondo luogo, che questi uomini politici rappresentano un cattivo esempio per i cittadini. Infatti, se il desiderio di attirare la stima altrui rispettando le norme sociali e morali, non si traduce in comportamenti positivi, e dunque emulabili, i cittadini in misura crescente, finiscono per adottare, nella pratica quotidiana, lo stesso criterio della doppia verità (teorica e pratica), usato in alto: asserire una cosa (onesta) per farne un'altra (disonesta). L’onestà è perciò un “fatto socioculturale” a natura diffusiva ed emulativa . Inoltre, in Italia, il dibattito sulla “questione morale” si è sempre storicamente accompagnato alla critica della partitocrazia. E qui si pensi alle feroci critiche al “parlamentarismo” corrotto, nel periodo che precede Prima Guerra Mondiale; critiche poi coagulatesi nel primo fascismo (movimento). Ma, pur semplificando, si ricordi anche il ruolo svolto da correnti e gruppi politici come l’azionismo, il Pci Berlinguriano, il Msi almirantiano, il movimento “Mani Pulite” e infine il cosiddetto “Grillismo”.
Ora, una volta stabilito che l’onestà è un “fatto socioculturale” e che in Italia la sua rivendicazione si è sempre accompagnata alla critica della partitocrazia, va chiarito, se l’onestà sia o meno un valore politico in sé.
Come dovrebbe aver capito chi ci abbia seguito fin qui, si tratta di un valore “prepolitico”. Per farla breve: non crediamo nel “partito degli onesti”. Cioè in un particolare partito che si ponga "programmaticamente" come l' esclusivo difensore dell’ l’onestà.
L’onestà, almeno a nostro avviso, proprio perché è “fatto socioculturale”, deve innervare tutti i partiti e, soprattutto, la società nel suo insieme ( o comunque in larga parte). Dal momento che un partito che ponga se stesso come “maestro di moralità”, rischia di mettere fuori gioco tutti gli altri partiti, perché ritenuti, a torto o ragione, immorali, innescando così pericolose dinamiche monopartitiche. E, sotto questo aspetto, la parabola del fascismo dovrebbe essere istruttiva. Insieme, ovviamente, a quella dell’ antifascismo di impianto azionista, altrettanto settario e “monopolizzante” della “moralità” italiana. Come ad esempio mostrano, proprio in questi giorni, i velenosi articoli di Scalfari, contro il grillismo.
Certo, è comprensibile che un movimento sociale come quello di Grillo, ancora agli inizi, e in una situazione moralmente compromessa come quella italiana, non possa non puntare su un tema forte come quello dell’onestà. Ma fare della sola onestà un programma politico stabile, resta a nostro avviso pericoloso. Perché trasforma l’onestà, da elemento socialmente unificante, in “arma” politica per individuare, dividendo la società in buoni e cattivi, il nemico “interno” (il “corrotto”) ed espellerlo dal consorzio civile, come una specie di nemico dell’umanità. Anche a rischio di travolgere le libertà politiche. E', in certo senso, la stessa logica che anima il fondamentalismo dei cosiddetti diritti umani, difesi a suon di bombe...
La questione morale è importante, ma va affrontata in termini di processi sociologici e non politici: di formazione e selezione delle élite dirigenti. Si tratta, insomma, di dinamiche di lungo periodo. Il che significa, ribadiamo, che l’onestà in quanto “fatto socioculturale” non può essere introdotta per legge. O peggio ancora, attraverso i processi di piazza. Certo, è comprensibile che il grillismo, appena nato, cerchi di evitare il rischio di essere fagocitato dalla politica politicante. E quindi è più che giustificata, ripetiamo, la sua durezza nei riguardi dei corrotti.
Tuttavia, ci sembra saggia l’idea di Grillo, di limitarsi a promuovere, per ora, liste civiche locali, sulla base dell’attribuzione di un bollino di “qualità” circa l’onestà dei promotori. Spetterà poi a questi  ultimi fare politica, sulla base di programmi concreti.
Ovviamente, Grillo dovrà attendersi critiche dall’esterno, da parte dei politici di “lungo corso” che metteranno in discussione la sua autorità morale, e dall' interno, da parte dei “grillisti impazienti" di fare politica, “grande politica”.
Pertanto riteniamo che la soluzione del “bollino” sia ragionata ma provvisoria. Legata, certo, ai risultati politici delle future elezioni amministrative. Ma anche al fuoco mediatico, sicuramente non benevolo, cui verrà sottoposto nei prossimi mesi, il grillismo. E ai suoi effetti di ricaduta sulle dinamiche interne al movimento (tra moderati e radicali) , nonché sul carisma di Grillo.
Comunque sia, occorrono nervi saldi. E perseveranza, soprattutto organizzativa, perché i tempi della politica, particolarmente in Italia, sono lunghi. 
Carlo Gambescia