domenica 17 marzo 2019

Da Parigi a Christchurch. Come difendersi dai nemici della libertà
 Appel au soldat!




Abbiamo più volte affrontato la  questione dei gilet gialli francesi. Anche perché  tra le varie interpretazioni offerte da media e dai social non ne abbiamo trovata una valida.  Si va dal piagnisteo e comprensione verso un pugno di bambini viziati e violenti, come si è visto ieri a Parigi, all’etichettatura  liberal-populista (non liberale)  delle manifestazioni  come effetto di una  giusta  rivolta fiscale.
Da parte delle istituzioni, francesi, ma il discorso potrebbe essere europeo (in Italia si è perfino permesso che i loro cugini agguantassero il potere), si pretende di trattare la questione  con  gli strumenti dei tempi normali: contenimento (di polizia)  e promesse (di riforme).
Dietro questa posizione si nasconde un  ottimismo fuori luogo.  Ci spieghiamo subito: si ritiene, sostanzialmente, che la persuasione democratica continuerà ad avere la meglio, come negli ultimi settant’anni. Gli estremisti, prima o poi,  si stancheranno (non si capisce perché), l’economia ripartirà (non si capisce come) e tutto tornerà come prima.  Insomma, il "vissero felici e contenti"...
Purtroppo, la questione è un’altra. E riguarda il pessimo rapporto con l’uso della forza che distingue le attuali democrazie, imbevute di  pacifismo  cristiano e socialista.  Strumento ideologico  utile, ma per i tempi normali.  Nello stato di eccezione, conduce alla rovina.   
E per capire quanto sia diffusa, a livello politico e sociale  questa  incomprensione della realtà,   occorre riflettere sulla reazione collettiva, tutto sommato ambigua, come notava l’amico Fabio Brotto, al terribile massacro di islamici  in Nuova Zelanda.  Per un verso, infatti, ci si è stupiti, della ferocia, per l’altro si teme una reazione.  Però, ecco il punto,  tutti insieme, popolo ed élite illuminate o meno, si sono ben guardati dal dichiararsi “tutti islamici”, come accaduto invece in  circostanze simili, ma di segno opposto, all'insegna del siamo   “tutti americani”, “tutti francesi”, “tutti tedeschi”.   
Parigi, sabato 16 marzo 2019
Qual è il senso profondo, sociologico, di  questo atteggiamento? Che è  in atto una guerra tra Occidente e Islam, di cui l’Occidente non vuole prendere atto.  E così ficca la testa nella sabbia. Tanto le cose -  si dice -  con un minimo di buonsenso da tutte le parti, andranno a posto da sole...  Però, dal momento che  la verità si vendica, per vie talvolta misteriose, qualcosa si deve  pure avvertire, magari  a livello inconscio.  E infatti,   ci si guarda bene, collettivamente,  dal dichiararsi  “tutti  islamici”.  E quindi di schierarsi con il nemico.  Così come è in atto, per tornare al punto iniziale, una guerra interna all’Occidente, tra i nemici delle istituzioni liberali  e  i suoi  difensori. Questi ultimi, però come dicevamo,  rifiutano pubblicamente di prenderne atto. Ricorrendo alle interpretazioni di comodo ricordate all'inizio.  Dal momento che, come si ripete, le cose, anche stavolta andranno a posto da sole.  Insomma,  non è possibile, si ritiene fiduciosamente, che le persone non capiscano...  Però, nonostante l'alto tasso  di saccarosio politico,  l'angoscia nei comuni cittadini cresce, perché la gente normale si chiude in casa. E quel che è peggio, scorge il nemico (perché non esce), ma non  sta neppure con le istituzioni.
Perché si rifiuta il concetto di guerra?  Sul piano esterno e interno?  E di riflesso, quello dell’uso della forza verso i nemici esterni e interni?  
Il gilet giallo che saccheggia e distrugge negozi, simbolo del benessere in cui oggi tutti  viviamo,  e il suprematista bianco che ammazza  decine di islamici, perfettamente integrati, sono frutto della debolezza dell’Occidente, non della sua forza.  O  meglio nascono dal  rifiuto dell’uso della forza, quando necessario, per difendere la società aperta: quel benessere e quell' integrazione.  
Il selfie del suprematista,  autore degli  attentati terroristici  
nelle moschee di Christchurch .
Sembra, insomma,  che l’iniziativa privata, se si ci  si passa la battuta,  funzioni bene solo nell’ambito della guerriglia urbana e del terrorismo  razzista.  E questo perché, cosa paradossale,  i poteri pubblici, venendo meno alle intuizioni smithiane,  si rifiutano di tutelare l'ordine pubblico interno (e in prospettiva la pace esterna),  procrastinando l' uso della  forza contro i gilet gialli  e i suprematisti. 
Si rifletta: i cittadini normali si nascondono, perché intimoriti, quindi non vanno in piazza né per saccheggiare né per gridare siamo tutti islamici.  E più la paura cresce, perché queste organizzazioni, dai gilet gialli ai gruppi razzisti, non vengono "spente",  puntando sulla repressione (spietata, ma chirurgica, perché saremmo ancora in tempo), più aumenta il rischio che il resto della popolazione, fiutando la crescente debolezza degli attuali governanti,  si schieri  con i populisti e i razzisti, favorendo la  trasformazione delle nostre società da aperte a chiuse. Gli uomini - mai dimenticarlo - alla libertà preferiranno sempre la sicurezza. Le belle parole non bastano.
Pertanto,  quale  può  essere  la lezione per chi  al governo, come in Francia o altrove,  creda fermamente nella società liberale?   O combattere  o perire. 
Serve un atto di forza.  Per dirla  nella lingua D’Oltralpe,   un Appel au soldat!   
I soldati non ci sono?  Oppure non vogliono o non possono rispondere?  Allora periremo, la società aperta, sarà sostituita da qualcosa di completamente diverso. E di terribile.  Solo questione di tempo.  
                           

Carlo Gambescia