Da Parigi a Christchurch. Come difendersi dai nemici della libertà
Appel au soldat!
Abbiamo più volte affrontato la questione dei gilet gialli francesi. Anche
perché tra le varie interpretazioni
offerte da media e dai social non ne abbiamo trovata una valida. Si va dal piagnisteo e comprensione verso un pugno di bambini viziati e violenti,
come si è visto ieri a Parigi, all’etichettatura liberal-populista (non liberale) delle manifestazioni come effetto di una giusta rivolta fiscale.
Da parte delle istituzioni,
francesi, ma il discorso potrebbe essere europeo (in Italia si è perfino
permesso che i loro cugini agguantassero il potere), si pretende di
trattare la questione con gli strumenti dei tempi normali: contenimento (di polizia) e promesse (di riforme).
Dietro questa posizione si
nasconde un ottimismo fuori luogo. Ci spieghiamo subito: si ritiene, sostanzialmente, che la persuasione democratica continuerà ad avere la meglio, come negli ultimi
settant’anni. Gli estremisti, prima o poi, si stancheranno (non si capisce perché), l’economia
ripartirà (non si capisce come) e tutto tornerà come prima. Insomma, il "vissero felici e contenti"...
Purtroppo, la questione è un’altra.
E riguarda il pessimo rapporto con l’uso della forza che distingue le attuali
democrazie, imbevute di pacifismo cristiano e socialista. Strumento ideologico utile, ma per i tempi normali. Nello stato di eccezione, conduce alla rovina.
E per
capire quanto sia diffusa, a livello politico e sociale questa incomprensione della realtà, occorre riflettere sulla reazione collettiva, tutto sommato ambigua,
come notava l’amico Fabio Brotto, al terribile massacro di islamici in Nuova Zelanda. Per un verso, infatti, ci si
è stupiti, della ferocia, per l’altro si teme una reazione. Però, ecco il punto, tutti insieme, popolo ed élite illuminate o
meno, si sono ben guardati dal
dichiararsi “tutti islamici”, come accaduto invece in circostanze simili, ma di segno opposto, all'insegna del siamo “tutti americani”, “tutti francesi”, “tutti tedeschi”.
Parigi, sabato 16 marzo 2019 |
Qual è il senso profondo, sociologico, di questo atteggiamento? Che è in atto una guerra tra Occidente e Islam, di
cui l’Occidente non vuole prendere atto. E così ficca la testa nella sabbia. Tanto le cose - si dice - con un minimo di buonsenso da tutte le parti, andranno a posto da sole... Però, dal momento che la verità si vendica, per vie talvolta misteriose, qualcosa si deve pure avvertire, magari a livello inconscio. E infatti, ci si
guarda bene, collettivamente, dal dichiararsi “tutti islamici”. E quindi di schierarsi con il nemico. Così come è in atto, per tornare al
punto iniziale, una guerra interna all’Occidente, tra i nemici delle istituzioni
liberali e i suoi difensori. Questi ultimi, però come dicevamo, rifiutano pubblicamente di prenderne atto. Ricorrendo alle interpretazioni di comodo ricordate all'inizio. Dal momento che, come si ripete, le cose, anche stavolta andranno a posto da sole. Insomma, non è possibile, si ritiene fiduciosamente, che le persone non capiscano... Però, nonostante l'alto tasso di saccarosio politico, l'angoscia nei comuni cittadini cresce, perché la gente normale si chiude in casa. E quel che è peggio, scorge il nemico (perché non esce), ma non sta neppure con le istituzioni.
Perché si rifiuta il concetto di guerra? Sul piano esterno e interno? E di riflesso, quello dell’uso della forza verso i nemici esterni e interni?
Perché si rifiuta il concetto di guerra? Sul piano esterno e interno? E di riflesso, quello dell’uso della forza verso i nemici esterni e interni?
Il gilet giallo che saccheggia e
distrugge negozi, simbolo del benessere in cui oggi tutti viviamo, e il suprematista
bianco che ammazza decine di islamici, perfettamente integrati, sono frutto della debolezza dell’Occidente,
non della sua forza. O meglio nascono dal rifiuto dell’uso della forza, quando necessario, per difendere la società aperta: quel benessere e quell' integrazione.
Il selfie del suprematista, autore degli attentati terroristici nelle moschee di Christchurch . |
Sembra, insomma, che l’iniziativa privata, se si ci si passa la battuta, funzioni bene solo
nell’ambito della guerriglia urbana e del terrorismo razzista. E questo
perché, cosa paradossale, i poteri pubblici, venendo meno alle intuizioni smithiane, si rifiutano di tutelare l'ordine pubblico interno (e in prospettiva la pace esterna), procrastinando l' uso della forza contro i gilet gialli e i suprematisti.
Si rifletta: i cittadini normali si nascondono, perché intimoriti, quindi non vanno in piazza né per saccheggiare né per gridare
siamo tutti islamici. E più la paura cresce, perché queste
organizzazioni, dai gilet gialli ai gruppi razzisti, non vengono "spente", puntando sulla repressione (spietata, ma chirurgica, perché saremmo ancora in tempo), più aumenta il rischio che il resto della popolazione, fiutando la crescente debolezza degli attuali governanti, si
schieri con i populisti e i razzisti, favorendo la trasformazione delle nostre società da aperte a chiuse. Gli uomini - mai dimenticarlo - alla libertà preferiranno sempre la sicurezza. Le belle parole non bastano.
Pertanto, quale può essere la lezione per chi al governo, come in Francia o altrove, creda fermamente nella società liberale? O combattere o perire.
Pertanto, quale può essere la lezione per chi al governo, come in Francia o altrove, creda fermamente nella società liberale? O combattere o perire.
Serve un atto di forza. Per
dirla nella lingua D’Oltralpe, un Appel
au soldat!
I soldati non ci sono? Oppure non vogliono o non possono rispondere? Allora periremo, la società aperta, sarà sostituita da qualcosa di completamente diverso. E di terribile. Solo questione di tempo.
Carlo Gambescia