sabato 16 marzo 2019

Fondazione Einaudi  di Roma: Alessandro Campi contro Giuseppe Benedetto
 Il bue che dice cornuto all’asino
 
 
 
Quel che mi ha sempre colpito, sgradevolmente colpito,   di Alessandro Campi  è l’ipocrisia unita a un carrierismo spaventoso.  L’uomo, per carità,  non  è stupido.  Ha una discreta intelligenza.   Lo conosco dagli anni  Ottanta.  Però, ad esempio, scrive libri su argomenti alla  moda.  Ultimamente ha scoperto Machiavelli, unendolo al tema dei complotti, anch’esso  molto  in voga.  Bingo!  
Venticinque anni  fa, voleva  scrivere con me un' antologia  sugli anti-utilitaristi  francesi, allora  sulla cresta dell’onda editoriale, fenomeno che "io",  conoscevo bene.  Delegandomi però,  gran parte del lavoro, altra sua tecnica da furbetto dell’Accademia:  pubblicare  antologie a spese degli altri. Insieme a quella dei mega-convegni, dove lui se la cava con due paginette, accrescendo però le relazioni accademiche e il potere sui  sottoposti, che con un invito, può salvare o perdere.        
Nel 2010 si offese  -  all’epoca  stava puntando   le sue carte su Gianfranco Fini -    perché in A destra per caso,  osai  scherzare  sul suo uso dei gomiti,  già evidente, ai tempi della Nuova Destra fiorentina. Tra l’altro,  un mese prima che uscisse il mio libro  (scritto con Nicola Vacca),  mi aveva proposto di far parte del Comitato della “Rivista di  Politica”.  I miei libri, non pochi, da allora, attendono ancora un recensore. Che fair play, con chi non  gli può essere utile...     
Alessandro Campi
       
Ogni sua  mossa è calcolata al millimetro. E, quando si dice il caso, alla fin fine,  risulta sempre  schierato con i vincitori. Ovviamente del momento. E'  abilissimo nel cogliere l’attimo. E nell’infierire sui perdenti, o presunti tali,  con battute all’arsenico. Lo si osservi nelle sue apparizioni televisive e pubbliche. Da ultimo, si è scagliato contro Calenda, facendo il gioco, quando si dice il caso, delle destre  vincenti.    
Dicevamo delle sue  mosse calcolatissime. Prima Alemanno, quando  la Destra sociale di  An contava qualcosa:  ricordo una sua ansiogena telefonata, per chiedermi di scusarlo con il direttore, per non aver potuto scrivere un articolo per  “Area”.  
Giuseppe Benedetto
Poi   Berlusconi, difeso  in tribune radiofoniche.  In seguito,  Fini, proprio nel momento della rottura con il Cavaliere,  del quale si fece mentore a colpi di interviste quotidiane in stile Travaglio. Addirittura Monti, se ricordiamo bene, a proposito di una sua candidatura  in Scelta Civica.  Forse, furono solo voci,  ma conoscendo il personaggio...
Si immagini, quindi la mia sorpresa,  nel leggere sulla  pagina Fb di Campi,  questa difesa di Corrado Ocone, per alcuni dimessosi, per altri cacciato dalla Fondazione Einaudi di Roma. 
  
 
Alessandro Campi
22 h 
Leggo della cacciata (perché di questo si tratta...) di Corrado Ocone dalla Fondazione Einaudi di Roma (dove dirigeva la Scuola di Liberalismo ed era a capo del Comitato scientifico). La causa della repentina rimozione sarebbe stata la sua partecipazione ad un convegno di studi d'ispirazione 'sovranista': un atto giudicato lesivo non si capisce bene di cosa. La Fondazione Einaudi di Roma (nulla a che vedere con la Fondazione Luigi Einaudi torinese) ha avuto negli ultimi anni vicende travagliate, anche sul lato economico. Ci sono già stati allontanamenti forzati e dimissioni. L'impressione di molti è che il suo presidente, Giuseppe Benedetto, abbia più ambizioni politiche che interessi scientifici e culturali reali. Ma questi sono aspetti secondari. La questione vera è l'atteggiamento intollerante tenuto nei confronti di Ocone. Conosco pochi, tra gli studiosi della sua generazione, che abbiano un profilo da liberale per così dire cristallino, intransigente, rigoroso e conseguente come lui. Lo testimonia ciò che scrive da anni,.Mettere in discussione il liberalismo di Ocone è (mi si perdoni la metafora d'alleggerimento) come mettere in discussione la fede per la Juventus di Giampiero Mughini. Debbo dedurne che chi andrebbe cacciato dalla Fondazione Einaudi, per manifesto illiberalismo, è semmai il suo presidente; ovvero chiunque abbia deciso la defenestrazione di Ocone. Al quale, per quel che serve, va la mia amichevole solidarietà. Ma il segnale - ecco il punto al di là del caso personale - è brutto assai. Basta discostarsi dai percorsi intellettuali consolidati (che sono poi anche quelli più sterili e noiosi) per venire colpiti alla stregua di eretici (non di capisce peraltro rispetto a quale ortodossia). Ma la battaglia delle idee è anche questo: trovi sempre qualcuno che, non sapendo cosa rispondere alle tue argomentazioni, prova semplicemente a chiuderti la bocca. Ed è anche per questo che merita di essere combattuta sino alla fine. Un abbraccio, caro Corrado.


Il problema non credo sia  Corrado  Ocone  e neppure la  libertà minacciata,  argomento tirato fuori dalle destre post-fasciste (si fa per dire), ogni volta che possono rovesciare sui liberali tutto l’armamentario ideologico del Ventennio. Una "narrazione", quella del "manifesto illiberalismo"  liberale,   sulla quale i fascisti costruirono l'alleanza con Hitler. 
Per inciso,  se fossi Ocone,  al  sentirmi  attribuire da Campi, un  “profilo da liberale per così dire cristallino, intransigente, rigoroso e conseguente”,  opporrei  una toccatina,  proprio come  era uso fare, si racconta,  il suo maestro ideale, Benedetto Croce, che non era superstizioso, però… 
Corrado Ocone
     
E allora qual è il punto? Se  fosse un sincero difensore della libertà,  Campi, collaboratore del “Messaggero" e del "Mattino", sarebbe insorto in occasione del “dimissionamento” il giugno scorso del direttore del "Mattino", perché fermamente  contrario alla svolta  populista (*).
Caro Campi, dove eri? Perché  per Corrado Ocone ti spendi  e per Alessandro Barbano  non hai speso una parola?  Le tue preoccupazioni per "la battaglia delle idee"?  E per l'importanza del "discostarsi da percorsi intellettuali consolidati"? Dove erano allora? 
Facile rispondere.  Perché i populisti erano e sono  sulla cresta dell’onda.  E il professore di Perugia, da buon opportunista,  non vuole perdere l’ennesimo treno.  Diciamo che non ha mai rinunciato a studiare da ministro, come scrivevo in A destra per caso. Dunque non si sa mai…
Capito? Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Einaudi di Roma, persona -  preciso -  che non conosco, nutrirebbe  “più ambizioni politiche che interessi scientifici e culturali reali”?  Ora,  ammesso e non concesso  che sia così.  E lui, Campi?   Il bue che dice cornuto all’asino.

Carlo Gambescia