Fondazione Einaudi di Roma: Alessandro Campi contro Giuseppe Benedetto
Il bue che dice cornuto all’asino
Quel che mi ha sempre colpito, sgradevolmente colpito, di Alessandro Campi è l’ipocrisia unita a un carrierismo spaventoso. L’uomo, per carità, non è stupido. Ha una discreta intelligenza. Lo conosco dagli anni Ottanta. Però, ad esempio, scrive libri su argomenti alla moda. Ultimamente ha scoperto Machiavelli, unendolo al tema dei complotti, anch’esso molto in voga. Bingo!
Venticinque anni fa, voleva scrivere con me un' antologia sugli anti-utilitaristi francesi, allora sulla cresta dell’onda editoriale, fenomeno che "io", conoscevo bene. Delegandomi però, gran parte del lavoro, altra sua tecnica da furbetto dell’Accademia: pubblicare antologie a spese degli altri. Insieme a quella dei mega-convegni, dove lui se la cava con due paginette, accrescendo però le relazioni accademiche e il potere sui sottoposti, che con un invito, può salvare o perdere.
Nel 2010 si
offese - all’epoca stava puntando le sue
carte su Gianfranco Fini - perché in A destra per caso, osai scherzare sul suo uso dei gomiti, già evidente, ai tempi
della Nuova Destra fiorentina. Tra l’altro,
un mese prima che uscisse il mio libro (scritto con Nicola Vacca), mi aveva proposto di far parte del Comitato
della “Rivista di Politica”. I miei libri, non pochi, da allora, attendono ancora un recensore. Che fair play, con chi non gli può essere utile...
Alessandro Campi
Ogni sua mossa è calcolata al millimetro. E, quando si dice il caso, alla fin fine, risulta sempre schierato con i vincitori. Ovviamente del
momento. E' abilissimo nel cogliere l’attimo. E nell’infierire
sui perdenti, o presunti tali, con
battute all’arsenico. Lo si osservi
nelle sue apparizioni televisive e pubbliche. Da ultimo, si è scagliato contro
Calenda, facendo il gioco, quando si dice il caso, delle destre vincenti.
Dicevamo delle sue mosse calcolatissime. Prima Alemanno,
quando la Destra sociale di An contava qualcosa: ricordo una sua ansiogena telefonata, per chiedermi di scusarlo con il direttore,
per non aver potuto scrivere un articolo per “Area”.
Giuseppe Benedetto
Poi
Berlusconi, difeso in tribune
radiofoniche. In seguito, Fini, proprio nel momento
della rottura con il Cavaliere, del quale si fece mentore a colpi di interviste
quotidiane in stile Travaglio. Addirittura Monti, se
ricordiamo bene, a proposito di una sua candidatura in Scelta Civica. Forse, furono solo voci, ma conoscendo il personaggio...
Si immagini,
quindi la mia sorpresa, nel leggere
sulla pagina Fb di Campi, questa difesa di Corrado Ocone, per alcuni dimessosi, per altri cacciato dalla Fondazione Einaudi di Roma.
Alessandro Campi
Leggo
della cacciata (perché di questo si tratta...) di Corrado Ocone dalla
Fondazione Einaudi di Roma (dove dirigeva la Scuola di Liberalismo ed era a capo del Comitato
scientifico). La causa della repentina rimozione sarebbe stata la sua
partecipazione ad un convegno di studi d'ispirazione 'sovranista': un atto
giudicato lesivo non si capisce bene di cosa. La Fondazione Einaudi
di Roma (nulla a che vedere con la Fondazione Luigi Einaudi torinese) ha avuto negli
ultimi anni vicende travagliate, anche sul lato economico. Ci sono
già stati allontanamenti forzati e dimissioni. L'impressione di molti è che il
suo presidente, Giuseppe Benedetto, abbia più ambizioni politiche che interessi
scientifici e culturali reali. Ma questi sono aspetti secondari. La questione
vera è l'atteggiamento intollerante tenuto nei confronti di Ocone. Conosco
pochi, tra gli studiosi della sua generazione, che abbiano un profilo da
liberale per così dire cristallino, intransigente, rigoroso e conseguente come
lui. Lo testimonia ciò che scrive da anni,.Mettere in discussione il
liberalismo di Ocone è (mi si perdoni la metafora d'alleggerimento) come
mettere in discussione la fede per la Juventus di Giampiero Mughini. Debbo dedurne che
chi andrebbe cacciato dalla Fondazione Einaudi, per manifesto illiberalismo, è
semmai il suo presidente; ovvero chiunque abbia deciso la defenestrazione di
Ocone. Al quale, per quel che serve, va la mia amichevole solidarietà. Ma il
segnale - ecco il punto al di là del caso personale - è brutto assai. Basta
discostarsi dai percorsi intellettuali consolidati (che sono poi anche quelli
più sterili e noiosi) per venire colpiti alla stregua di eretici (non di
capisce peraltro rispetto a quale ortodossia). Ma la battaglia delle idee è
anche questo: trovi sempre qualcuno che, non sapendo cosa rispondere alle tue
argomentazioni, prova semplicemente a chiuderti la bocca. Ed è anche per questo
che merita di essere combattuta sino alla fine. Un abbraccio, caro Corrado.
Il problema non
credo sia Corrado Ocone
e neppure la libertà minacciata, argomento tirato fuori dalle destre
post-fasciste (si fa per dire), ogni volta che possono
rovesciare sui liberali tutto l’armamentario ideologico del Ventennio. Una "narrazione", quella del "manifesto illiberalismo" liberale, sulla quale i fascisti costruirono l'alleanza con Hitler.
Per inciso, se fossi Ocone,
al sentirmi attribuire da Campi,
un “profilo
da liberale per così dire cristallino, intransigente, rigoroso e conseguente”, opporrei una toccatina,
proprio come era uso fare, si
racconta, il suo maestro ideale,
Benedetto Croce, che non era superstizioso, però…
E allora qual è il punto? Se fosse un sincero difensore della libertà, Campi, collaboratore del “Messaggero" e del "Mattino", sarebbe insorto in occasione del “dimissionamento” il giugno scorso
del direttore del "Mattino", perché fermamente contrario alla svolta populista (*).
Caro Campi, dove
eri? Perché per Corrado Ocone ti spendi e per Alessandro Barbano non hai speso una parola? Le tue preoccupazioni per "la battaglia delle idee"? E per l'importanza del "discostarsi da percorsi intellettuali consolidati"? Dove erano allora?
Facile rispondere. Perché i
populisti erano e sono sulla cresta dell’onda. E
il professore di Perugia, da buon opportunista, non vuole perdere l’ennesimo treno. Diciamo che non ha mai rinunciato a studiare da ministro, come scrivevo in A destra per
caso. Dunque non
si sa mai…
Capito? Giuseppe
Benedetto, presidente della Fondazione Einaudi di Roma, persona - preciso -
che non conosco, nutrirebbe “più ambizioni politiche che interessi scientifici e
culturali reali”? Ora, ammesso e non concesso che sia così.
E lui, Campi? Il bue che dice
cornuto all’asino.
Carlo Gambescia
(*) Me ne sono occupato qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2019/03/liberta-di-stampa-perche-e-mattino.html