lunedì 4 marzo 2019

 Macron, Zingaretti e l’insostenibile pesantezza del vecchio Pci



Che cosa ci  ha colpito ieri sera di Macron?   La sua cultura. Una capacità di inquadramento della realtà, molto al di sopra della media dei politici francesi e  italiani.  Da statista.   In particolare il suo accenno a un umanesimo europeo da recuperare  come  possibilità di ascolto, ma anche di costruzione di un’ Europa unita, non appesantita dalla tecnocrazia,  capace di parlare al mondo.  Quindi un umanesimo, politicamente riformista.
Macron ha citato, tra gli altri,  Leonardo,  Stendhal,   Freud,  Lévinas,  Eco,  Spinelli, mostrando di   privilegiare  quella  retorica della transigenza, che in qualche modo si  traduce , dicevamo,   in disponibilità di ascolto:  volontà di sedersi  al tavolo, anche con l’avversario,  e ragionare, insomma giungere a un compromesso. Che è l’incarnazione stessa della democrazia liberale. Nessun accenno diretto alle polemiche strumentali sollevate da Roma.  Nessun catastrofismo, nessuno scontro finale su altre questioni. Niente di niente, ma  pragmatismo vero. Non a corrente alternata. L’esatto contrario della retorica dell’intransigenza che anima il populismo,  di cui, in Italia, Salvini e Di Maio sono i principali rappresentanti.
Macron ha seri studi alle spalle, anche filosofici, competenze economiche e politiche, nulla di improvvisato. E soprattutto, non porta con sé il pesante bagaglio di  devastanti esperienze politiche all’interno della sinistra marxista. Macron  potrebbe essere il rifondatore della sinistra europea.  Una sinistra democratica, pragmatica, capace di parlare a tutti, fermamente  contraria  in nome  del riformismo  a  qualsiasi deriva apocalittica.  
Invece,  Nicola Zingaretti, che questa è mattina è sulle pagine di tutti i giornali, per aver vinto le primarie del Pd, è l’esatto contrario di Macron: studi ridotti, nessuna cultura filosofica, competenze da routinier, un burocrate insomma. E cosa più grave, a differenza di Macron, proviene dalla sinistra giovanile del  Pci. Ciò  significa, per dirla con Eco,  che, se Macron è un integrato,  Zingaretti è  un apocalittico.  Attenzione però,  di un tipo molto particolare, che rimanda al  vecchio Pci:  ai danni  culturali, se non addirittura biologici, della militanza comunista. Ricordate? Il furbo amministratore-agitatore del vorrei ma non posso. Tradotto: “Compagni, avete ragione, ma non è ancora venuto il momento della rivoluzione”. 
Pertanto,  con Zingaretti,  tornerà a galla, il vecchio Pci,  partito di lotta e di governo (come si diceva negli anni Settanta del secolo scorso), metà populista, metà amministratore.  Che in qualche misura, pur con modulazioni politiche differenti, continuò a comandare  nell’Ulivo prodiano come forma mentis  politica, da  Vetroni a  D’Alema  e ritorno.  Ma si potrebbe andare  ancora  più indietro   a Berlinguer, incartatosi sulla Terza Via, e al populismo, riservato alle piazze, di Togliatti. Insomma, dopo decenni, l’insostenibile pesantezza del Pci, partito di lotta e di governo,  sembra aver trovato un nuovo erede: Nicola Zingaretti.    
Sfido chiunque a trovare nei suoi  discorsi, anche di  parlamentare a Strasburgo, qualsiasi accenno all’umanesimo europeo  e all'importanza di un riformismo vero, non come furbo ripiego.  Zingaretti è un burocrate, attento però, quando occorre, a evocare gli istinti animali del  catastrofismo vetero-comunista.  Di qui, la possibilità non proprio remota, anche se negata a parole, di un’alleanza con Cinque Stelle, oppure,  quella più realistica,   di una politica della porta aperta, a colpi di populismo e di stato assistenziale, verso gli elettori  pentastellati.  

Si rifletta, a  chi ha dedicato Zingaretti la  vittoria?  “A Greta la ragazza svedese che lotta per la salvezza del Pianeta”. Booooommm!
Macron, dal quale tra l'altro Zingaretti in un'intervista all'atto della sua candidatura alle primarie volle prendere le distanze, ha ricevuto  Greta,  lodandone l’attivismo,  ma  si è  ben  guardato dall’ evocare il conflitto finale. Ha parlato,  rivolgendosi alla giovane svedese,  di “mobilitazione pacifica” e dell' importanza del dibattito e della persuasione sui grandi temi ambientali.    
In sintesi, Zingaretti strizza l’occhio all’’estremismo, Macron no. Due approcci, due mondi, due destini.  E per la sinistra italiana, un passo indietro.

Carlo Gambescia