Macron, Zingaretti e l’insostenibile pesantezza
del vecchio Pci
Che cosa ci ha colpito ieri sera di Macron? La sua cultura. Una capacità di
inquadramento della realtà, molto al di sopra della media dei politici francesi
e italiani. Da statista. In particolare il suo accenno a un umanesimo
europeo da recuperare come possibilità
di ascolto, ma anche di costruzione di un’ Europa unita, non appesantita dalla
tecnocrazia, capace di parlare al mondo.
Quindi un umanesimo, politicamente
riformista.
Macron ha citato, tra gli
altri, Leonardo, Stendhal, Freud, Lévinas, Eco, Spinelli, mostrando di privilegiare quella retorica della transigenza, che in qualche modo si traduce , dicevamo, in disponibilità di ascolto: volontà di sedersi al tavolo, anche con l’avversario, e ragionare, insomma giungere a un
compromesso. Che è l’incarnazione stessa della democrazia liberale. Nessun accenno diretto alle polemiche strumentali sollevate da Roma. Nessun catastrofismo, nessuno scontro finale su altre questioni. Niente di niente, ma pragmatismo vero. Non a corrente alternata. L’esatto contrario della retorica
dell’intransigenza che anima il populismo,
di cui, in Italia, Salvini e Di Maio sono i principali rappresentanti.
Macron ha seri studi alle spalle,
anche filosofici, competenze economiche e politiche, nulla di improvvisato. E
soprattutto, non porta con sé il pesante bagaglio di devastanti esperienze politiche all’interno
della sinistra marxista. Macron potrebbe essere il rifondatore della sinistra
europea. Una sinistra democratica,
pragmatica, capace di parlare a tutti, fermamente contraria
in nome del riformismo a qualsiasi
deriva apocalittica.
Invece, Nicola Zingaretti, che questa è
mattina è sulle pagine di tutti i giornali, per aver vinto le primarie del Pd,
è l’esatto contrario di Macron: studi ridotti, nessuna cultura filosofica,
competenze da routinier, un burocrate insomma. E cosa più grave, a differenza
di Macron, proviene dalla sinistra giovanile del Pci. Ciò significa, per dirla con Eco, che, se Macron è un integrato, Zingaretti è
un apocalittico. Attenzione però, di un tipo molto particolare,
che rimanda al vecchio Pci: ai
danni culturali, se non addirittura biologici,
della militanza comunista. Ricordate? Il furbo amministratore-agitatore del vorrei
ma non posso. Tradotto: “Compagni, avete ragione, ma non è ancora venuto il momento
della rivoluzione”.
Pertanto, con Zingaretti, tornerà a
galla, il vecchio Pci, partito di lotta e di governo (come si diceva negli anni Settanta del secolo scorso), metà populista, metà
amministratore. Che in qualche misura, pur con modulazioni politiche differenti, continuò a comandare nell’Ulivo prodiano come forma mentis politica, da Vetroni a D’Alema e ritorno. Ma si potrebbe andare ancora più indietro a Berlinguer, incartatosi sulla Terza Via, e al populismo, riservato alle piazze, di Togliatti. Insomma,
dopo decenni, l’insostenibile pesantezza del Pci, partito di lotta e di governo, sembra aver trovato un nuovo
erede: Nicola Zingaretti.
Sfido chiunque a trovare nei suoi discorsi, anche di parlamentare a Strasburgo, qualsiasi accenno
all’umanesimo europeo e all'importanza di un riformismo vero, non come furbo ripiego. Zingaretti è un burocrate, attento però, quando occorre,
a evocare gli istinti animali del
catastrofismo vetero-comunista. Di qui, la possibilità non proprio remota, anche se
negata a parole, di un’alleanza con Cinque Stelle, oppure, quella più realistica, di una politica della porta aperta, a colpi
di populismo e di stato assistenziale, verso gli elettori pentastellati.
Si rifletta, a chi ha dedicato Zingaretti la vittoria?
“A Greta la ragazza svedese che lotta per la salvezza del Pianeta”. Booooommm!
Macron, dal quale tra l'altro Zingaretti in un'intervista all'atto della sua candidatura alle primarie volle prendere le distanze, ha ricevuto
Greta, lodandone l’attivismo, ma si
è ben guardato dall’ evocare il conflitto finale. Ha parlato,
rivolgendosi alla giovane svedese, di “mobilitazione
pacifica” e dell' importanza del dibattito
e della persuasione sui grandi temi ambientali.
In sintesi, Zingaretti strizza
l’occhio all’’estremismo, Macron no. Due approcci, due mondi, due
destini. E per la sinistra italiana, un passo indietro.
Carlo Gambescia