La scomparsa di Pino Caruso, mercenario
di Lucera...
Un illuminista negativo
Con Pino Caruso se n'è andato un
altro frammento di quella sicilianità colta, artefice di una ermeneutica delle cose, metà illuminista, metà pessimista. La stessa che
ritroviamo in Pirandello, Tomasi di Lampedusa, Sciascia, Bufalino, e persino in certe pagine
(poche) di Camilleri.
Illuministi negativi. Consapevoli delle pericolose pieghe della natura umana, ma
non ignari della possibilità di
descriverle, e dunque della salvezza, più privata che pubblica, per predestinazione letteraria. Che può anche trasformarsi in civile, ma per ricaduta. Involontariamente, senza esami di stato.
Questo atteggiamento, da anime elette e
combattute, fu prerogativa anche di un
gigante della scienza della politica, come Mosca, dell’Amari,
grande storico del Melting Pot siculo-musulmano, del Pitrè speleolgo disincantato dei costumi profondi siciliani (ma non solo). E ripetiamo - certo, in
forma scalare - anche di Pino Caruso. Evidentemente, c'è qualcosa nell'aria, nel mare e nel sole della Sicilia che illumina e ammonisce. E che, in fondo, salva. Chi voglia salvarsi, ovviamente.
Ridere, questa la prerogativa della poetica di Caruso (per usare un termine letterario, oggi in disuso), ma con un
occhio al male nell’uomo, così spesso incapace di ridere di se stesso. Il mondo è imperfetto. Ridiamone, coscienti che una
risata non ci salverà: illluminiamolo, ma senza grandi speranze, se non quella
di ritrovarci in pochi a testimoniare la bellezza della ragione.
Di Caruso invito a leggere L’uomo comune, raccolta di racconti
ripubblicata da Marsilio nel 2005. Ma anche
i suoi aforismi, usciti in più volumi. Libri che fotografano
un’anima mai pacificata con se stessa e con il mondo. Ma, perfettamente cosciente,
che la pace non è di nessun mondo.
Sulle origine “bagaglinesche” di Caruso e sulla sua
collaborazione con Castellacci (quello delle donne non ci vogliono più bene) e Pingitore, si sono fatte mille illazioni (“è fascista”,
non è fascista, eccetera, eccetera), secondo il
piano misterioso della improvvidenziale
stupidità dell’estremismo ideologico italiano, a destra come a sinistra .
In realtà, come tutto
l’illuminismo crepuscolare siciliano,
Caruso era un impolitico.
Ma, ecco il punto: proprio a un impolitico come lui, si
deve l’esecuzione, sommessa ma non meno
intensa, di una delle più belle
canzoni sulla fine del colonialismo
europeo. Fenomeno storico, che oggi in pochi rimpiangono, perché, come si dice, contrario alla "marcia inesorabile della storia". In realtà, si rinunciò alle colonie, contrariamente a quel che si
crede, per debiti. Costavano troppo. E ne pagarono le conseguenze, fino
alla caduta di Saigon, soldati e mercenari, mandati in Asia e Africa a combattere, una guerra, contro i cosiddetti movimenti di liberazione, alla quale la politica, paurosa di perdere soldi e voti, aveva voltato
le spalle.
Il testo del “Mercenario di
Lucera, quarantacinque giri del 1967, è di
Pingitore, la musica di Dimitri Gribanovski,
il genio musicale occulto del Bagaglino, di cui ancora si sa poco. Caruso
la esegue sul filo del mesto ricordo di chi, dall’Ade, ricorda a tutti, che era assolutamente consapevole di combattere una guerra perduta,
perché impolitica. Non perché politica.
Di conseguenza, nella canzone, di fascista c’è poco, anzi punto. Le "mignotte" sono “dolci”. Non carne da macello
sessuale. Inesistente anche la traccia pacifista,
altrettanto politica. Si inneggia alla morte, come supremo dono della vita, contro quei borghesi egoisti, per i quali le
colonie costano troppo. A Salò invece si moriva
sotto la bandiera nazista, vittime di un altro duplice egoismo politico, hitleriano e mussoliniano.
Ecco il testo:
Son morto nel
Katanga
venivo da Lucera
avevo quarant'anni e la fedina nera
Di me la gente dice
ch'ero coi mercenari
soltanto per bottino
soltanto per denari
Ma ora che sono steso
guardate nel mio sacco
c'è solo una bottiglia
e un'oncia di tabacco
Invano cercherete
soldi nel tascapane
li ho spesi proprio tutti
assieme alle puttane
Evviva la morte mia
evviva la gioventù
lai lalalalala
lai, lalalala
Amavo un'entraîneuse
di razza congolese
però l'ho perduta a dadi
con Jimmy, l'irlandese
Salvai monache e frati
dal rogo del ribelle
ma l'ONU se ne frega,
se brucia la mia pelle
Se la mia pelle brucia
è perché son mercenario
ma il papa se ne frega
e sgrana il suo rosario
Evviva la morte mia
evviva la gioventù
lai lalalalala
lai, lalalala
Addio amiche mie
dai fiori nei capelli
addio dolci compagne
trovate nei bordelli
addio verdi colline
ormai scende la notte
i fuochi sono spenti
addio dolci mignotte
con le vostre guepières
ho fatto una bandiera
portatela agli amici
che invecchiano a Lucera
Evviva la morte mia
evviva la gioventù
lai lalalalala
lai, lalalala
Se rimanevo a casa
là nella mia Lucera
ora sarei arrivato
coi figli e la pancera
avrei la moglie grassa
le rate e la seicento
salotto, televisione,
mutua e doppio mento
Invece sono andato
in giro per il mondo
e adesso sto crepando
quaggiù nel basso Congo
Evviva la morte mia
evviva la gioventù
lai lalalalala
lai, lalalala
venivo da Lucera
avevo quarant'anni e la fedina nera
Di me la gente dice
ch'ero coi mercenari
soltanto per bottino
soltanto per denari
Ma ora che sono steso
guardate nel mio sacco
c'è solo una bottiglia
e un'oncia di tabacco
Invano cercherete
soldi nel tascapane
li ho spesi proprio tutti
assieme alle puttane
Evviva la morte mia
evviva la gioventù
lai lalalalala
lai, lalalala
Amavo un'entraîneuse
di razza congolese
però l'ho perduta a dadi
con Jimmy, l'irlandese
Salvai monache e frati
dal rogo del ribelle
ma l'ONU se ne frega,
se brucia la mia pelle
Se la mia pelle brucia
è perché son mercenario
ma il papa se ne frega
e sgrana il suo rosario
Evviva la morte mia
evviva la gioventù
lai lalalalala
lai, lalalala
Addio amiche mie
dai fiori nei capelli
addio dolci compagne
trovate nei bordelli
addio verdi colline
ormai scende la notte
i fuochi sono spenti
addio dolci mignotte
con le vostre guepières
ho fatto una bandiera
portatela agli amici
che invecchiano a Lucera
Evviva la morte mia
evviva la gioventù
lai lalalalala
lai, lalalala
Se rimanevo a casa
là nella mia Lucera
ora sarei arrivato
coi figli e la pancera
avrei la moglie grassa
le rate e la seicento
salotto, televisione,
mutua e doppio mento
Invece sono andato
in giro per il mondo
e adesso sto crepando
quaggiù nel basso Congo
Evviva la morte mia
evviva la gioventù
lai lalalalala
lai, lalalala
Certo,
nei primi versi, a "fedina nera" si può sostituire "camicia
nera". Ma sul lato B, Gabriella Ferri inneggia al Che. Diciamo
espedienti commerciali per "acchiappare" di qua e di là. La carne è debole. Tutto qui.
In
realtà, nel "Mercenario di Lucera" vita e morte si intrecciano nella loro
lucida spietatezza impolitica, come capita nei giovani e nei "diversamente" giovani. O forse capitava. Comunque sia, nulla di più lontano dalla pavidità
welfarista degli eredi
dei fascisti, oggi al governo, o
comunque in Parlamento, che chiudono i porti e buttano la chiave. Anche
gli immigrati costano troppo. Come le
colonie. Buffoni, senza un briciolo di umanità. Che mai hanno lasciato
Lucera.
Un
umanesimo dolente che invece ritroviamo in un Caruso, che accettò di cantare una canzone, in cui
evidentemente si riconosceva. Lui illuminista negativo. E per questo ne
piangiamo la scomparsa.
Carlo
Gambescia