lunedì 4 luglio 2011

Modesta  difesa ( o quasi) del  bordello…
di Carlo Gambescia



Nell’udienza di lunedì scorso, il Pubblico ministero Pietro Forno, a proposito  delle serate  Bunga Bunga, ha  parlato di «bordello». Facendo riferimento ad un «sistema strutturato per fornire ragazze disponibili a prostituirsi» .  Salvo poi, nella serata  ritrattare, secondo alcuni, goffamente: «Non ho mai detto che Arcore era un bordello. Il termine bordello è stato utilizzato come riferimento storico alla divisione dei compiti prevista dalla legge Merlin che, come noto, prevedeva la soppressione delle case chiuse».
 Se si apre un dizionario,  alla voce bordello si legge: «1. Casa di tolleranza, postribolo; 2. luogo malfamato, ambiente corrotto, 3. pop. Chiasso, fracasso confusione ».
Ora, giudici a parte,   mettere sullo stesso piano,   come spesso  si legge sui giornali ferocemente antiberlusconiani, le serate Bunga Bunga  e quelle di   una casa di tolleranza, con tanto  di scampanellate e marchette, è improprio, come spiegheremo più avanti.   Forse, sì può parlare di luogo malfamato? Mah… dalla lista delle personalità chiamate a testimoniare non pare proprio… Ambiente corrotto?  Certo, se si dà credito all’Accusa,  l’ambiente non poteva  non essere corrotto… Ovviamente,  la Difesa sostiene il contrario. Quindi, per ora,  siamo 1 a 1.  Dobbiamo perciò sospendere il nostro personale giudizio, fino ai tempi supplementari (se non addirittura ai calci di rigore) della sentenza definitiva. Chiasso, fracasso, confusione?  I vicini, a quanto risulta, non si sono mai lamentati.
Battute a parte,  occorre fare un passo indietro.  
Robert  Musil, a proposito di un suo personaggio, scrisse: «Certo, se si vuole assolutamente definire prostituzione il vendere per denaro soltanto il proprio corpo, e non, com’è costume,  l’intera persona, allora bisogna dire che Leona, occasionalmente esercitava la prostituzione».
Il lettore prenda nota: «Vendere l’intera persona». Ma le ragazze del Bunga  Bunga, vendevano (ammesso e non concesso che si vendessero…) l’intera persona? Stando alle intercettazioni, no. Insomma, non agivano da professioniste del vecchio bordello (la prostituzione dell’intera persona come fine in sé), ma  giudicavano il Bunga Bunga  un  mezzo (non coinvolgente la propria persona più di tanto), per arrivare ad altro:  televisione, cinema  e, certamente, anche soldi.  Certo, possiamo condannarle moralmente. Ma nulla più.    
Ovviamente,  il ragionamento può sembrare cavilloso: per la legge si configura il reato di prostituzione, quando c’è un corrispettivo in denaro, punto e basta. Tuttavia, le professioniste del bordello appartenevano a un mondo affettivamente ricco e  tutto sommato più onesto.  Come prova, e  in modo suggestivo, la vecchia raccolta curata dal grande Giancarlo Fusco (Quando l’Italia tollerava). Il bordello, per  molti “clienti”, era una specie di seconda e accogliente casa “chiusa”. Perché, mettere il vendita l’intera persona,  per la prostituta, socialmente dichiarata ( e “schedata”), significava non puntare ad altro: era quel che faceva…  Di qui, la chiara divisione dei ruoli, ma anche  un clima di affettuosa “tolleranza”,  talvolta intimità, tra “signorine” e clienti abituali.
Certo, la sensibilità attuale  non si riconosce più in un mondo spazzato via, e per certi aspetti giustamente. Ma proprio per  tale ragione, che c’entra il Bordello con il Bunga Bunga?

                                                                  Carlo Gambescia                


venerdì 1 luglio 2011

L'infermiera rumena massacrata di botte
Storie di ordinaria violenza





« Stav’ a passa’ j’ho dato solo du’ pugni e me ne so’ ‘annato via. E che sarà mai...». Ecco la giustificazione di uno dei due ventenni coinvolti a Roma nell’aggressione notturna a colpi di casco ai danni di un altro giovane, rimasto gravemente ferito. E per quale motivo? Punirlo per gli schiamazzi all’ uscita da un locale, dove si era esibito, con altri amici, in un concerto dal vivo.
Che dire? Lo stupore manifestato dal giovane, ricorda quello di un altro “violento normale”: il ragazzo romano che uccise, con un pugno, ripreso dalle telecamere della metropolitana, una giovane infermiera rumena, allontanandosi tranquillamente come se nulla fosse…
Facile moralismo? Le aggressioni, stando alle statistiche, dilagano non solo a Roma ma in tutte le principali città italiane. E riguardano, in particolare, gli under venticinque, tra l’altro quasi due aggressioni su tre, sono imputabili a cittadini italiani. Quindi il fatto, sociologicamente, non può essere addossato, come al solito, all’immigrazione clandestina o meno.
Che fare, al di là della pura repressione del reato? Le campagne contro il bullismo a scuola sono importanti sotto il profilo educativo. Tuttavia, nelle fasce di età tra i diciotto e i venticinque anni, pesano anche disoccupazione e flessibilità. Un lavoro stabile accresce l’ auto-rispetto e il senso di responsabilità sociale. Certo, poi ciascuno si esprime secondo la cultura ricevuta. E qui un ruolo negativo è giocato da quel culto della violenza, come mezzo più rapido per ottenere giustizia, ormai celebrato in chiave multimediale. Non vogliamo, ovviamente sostenere la facile tesi che il giovane, subito dopo la visione di un film violento, esca di casa pronto a uccidere… Tuttavia, non aiuta sicuramente la gratuità di certa violenza, un tempo solo televisiva e cinematografica, oggi invece alla portata di tutti grazie a YouTube. Si pensi a quei giovani e giovanissimi, capaci di spendere l’intera giornata davanti a un Pc ingurgitando messaggi, socialmente pericolosi, contenuti in prodotti (dal film al videogioco), spesso segnati dal totale disprezzo per la vita umana. Il rischio, come mostrano le cronache, è di finire per confondere la violenza reale con quella virtuale. Il clic sulla tastiera con quello di un grilletto.
Purtroppo, resta una questione, non nuova, che tuttavia molti sembrano tuttora ignorare: quella della crescente insofferenza verso gli altri. Si tratta di una condizione che innerva le moderne società di massa. Dove l’individuo, per riflesso, è portato a distinguersi dall’altro, anche ricorrendo all’uso della violenza, vista come mezzo di normale realizzazione dei propri, si far per dire, “valori”.
E così, una notte, con un bel colpo di casco ci si libera di un ragazzo che in qualche misura ci infastidisce. In fondo, che sarà mai…

Carlo Gambescia