giovedì 30 giugno 2022

Il vertice Nato e le “guerre pacioccone”

 


 In Occidente si celebra il successo del vertice Nato tenutosi a Madrid. Pura propaganda. Un consiglio ai lettori: restare a guardia dei fatti, mai perdersi dietro alla guerra delle parole.

Cominciamo dalle parole. Biden ha dichiarato che gli Usa “rafforzeranno la loro presenza militare in Europa, incluse le capacità difensive aeree aggiuntive in Germania e Italia”.

Sembra chissà che debba succedere… In realtà, per passare ai fatti, gli Usa “invieranno in Italia un battaglione per la difesa aerea a corto raggio composto da 65 militari”. Il gruppo, come precisa il dipartimento della difesa Usa, “è un’unità subordinata al battaglione per la difesa aerea a corto raggio stanziato in Germania”.

Insomma roba da ridere… Da guerre pacioccone per dirla con Attalo, gran disegnatore di vignette umoristiche nei nostri anni verdi.

Probabilmente anche i russi ridono sotto i baffi. Però a loro volta devono, per ragioni contro-propagandistiche, far finta di prendere sul serio le dichiarazioni di Biden. Sicché rispondono con altri paroloni sull’ “imperialismo americano…

Ecco le contro-dichiarazioni di Putin sul vertice Nato:

«In serata il presidente Russo Vladimir Putin ha condannato le “ambizioni imperiali” della Nato, accusando l’alleanza di cercare di affermare la sua “supremazia” attraverso il conflitto in Ucraina. “L’Ucraina e il benessere del popolo ucraino non è l’obiettivo dell’Occidente e della Nato, ma un mezzo per difendere i propri interessi”, ha detto Putin ai giornalisti nella capitale del Turkmenistan, Ashgabat. “I leader dei Paesi Nato vogliono affermare la loro supremazia, le loro ambizioni imperiali”» (*)

Sono pure e semplici schermaglie verbali. Con una differenza però, che la Russia ha attaccato in forze l’Ucraina e gli Stati Uniti giocano ai soldatini. Questi sono i fatti. Semplificando: la guerra russa, a differenza di quella Nato, non è pacioccona.

Ovviamente per i filorussi, sparsi in Europa e nel mondo, il pericolo viene da Ovest e quel che dice Putin è puro vangelo anti-imperialista.

Ma di quale imperialismo parliamo? Se, in realtà, finora, gli Stati Uniti e la Nato hanno solo abbaiato e inviato armi obsolete all’Ucraina?  Paese che invece, nonostante tutto, riesce eroicamente a resistere...  A cosa? A ciò che la stessa Nato, proprio ieri ha definito, con riguardo alla Russia, un tentativo “di stabilire sfere di influenza e controllo diretto attraverso coercizione, sovversione, aggressione e annessione [usando] mezzi convenzionali, informatici e ibridi contro noi e nostri partner”.

Magnifico. Sul piano delle parole si tratta di una definizione perfetta: una fotografia concettuale della reale natura dell’imperialismo russo, se proprio si vuole usare questo termine. Parole giustissime alle quali però non segue alcun fatto. Perché con sessantacinque soldati americani in più sul suolo italiano non si vince nessuna guerra.

Per inciso in Italia (2021)sono presenti circa 12 mila soldati americani (**): un vero esercito di occupazione… Annibale, secondo Mommsen, varcò le Alpi con cinquantamila uomini (all’inizio ne aveva centomila). Gli storici dell’età contemporanea ci dicono che nel marzo del 1945 in Italia erano presenti un milione e mezzo di soldati alleati contro quattrocentocinquantamila tedeschi e fascisti (***). Valuti il lettore.

I russi sanno benissimo che gli Stati Uniti abbaiano e che non hanno nessuna voglia di mordere. Detto altrimenti, di dare una lezione a Mosca. E così ne approfittano, andando avanti a colpi di missili sull’ Ucraina.

Concludendo, il lettore badi ai fatti, e non si perda dietro alle parole. E i fatti dicono che l’iniziativa militare è nelle mani dei russi. Il che non va bene.

Carlo Gambescia

(*) Qui (anche per le altre citazioni): https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2022/06/29/la-nato-si-rafforza-in-europa-mosca-atto-destabilizzante_dbed7404-d5c7-42c5-a8a9-e14a2bc984c3.html  .

(**) Qui: https://www.youtrend.it/2021/08/30/dove-sono-i-soldati-americani-nel-mondo/ . Link che rinvia a un accreditato studio in materia.

(***) T. Mommsen, Storia di Roma antica, libro III, Sansoni, Firenze, p. 719. Sulla campagna d’Italia 1943-1945, per i numeri, si veda la rapida ma efficace sintesi di Pietro Pastoretto, consultabile online: https://www.arsmilitaris.org/pubblicazioni/LE_FORZE_TEDESCHE_IN_ITALIA.pdf

 

mercoledì 29 giugno 2022

Svezia e Finlandia nella Nato, alcune osservazioni

 


La Turchia ha accettato l’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia. Cambia qualcosa? Una vittoria della Nato?

Ora,  oltre al fatto che non sempre ci si può fidare della Turchia  e che comunque sia i tempi tecnici saranno lunghi, esiste una questione di fondo:  la Nato resta ancorata alla strategia della lumaca, sposata dall’Occidente euro-americano.

Forse è mutato qualcosa sul piano delle intenzioni… Si tentato di far capire a Mosca che, se sfidata, la Nato interverrà. Come dire? L’intenzione c’è. Se sfidata però.

Il punto è che sulla qualità della sfida, cioè, detta alla buona, su quando il vaso sarà colmo, la Nato non si è pronunciata. Tutto è molto vago. Mentre, per ora, la Russia sta esercitando una pressione militare fortissima sull’Ucraina. Il contrario della vaghezza occidentale.

Pertanto la Nato sembra avere accettato, quanto meno a livello di intervento militare, di lasciare che la Russia porti a termine la sua operazione speciale. È vero che l’Ucraina viene rifornita di armi, ma solo per difendersi. Non si pensa, per ora, a nessuna controffensiva. Insomma l’iniziativa è nelle mani dei russi.

L’ idea di fondo è indebolire la Russia attraverso le sanzioni e il contenimento militare sul campo ad opera dell’esercito ucraino. Si faccia però attenzione alla parola contenimento: al momento a livello Nato non emerge alcuna reale volontà di recupero delle province occupate da Mosca. Certo, l’Ucraina può dire ciò che vuole, ma sul piano dei fatti, ripetiamo, non si parla di controffensiva di largo respiro. Che Kiev, senza il sostegno delle truppe Nato, non può assolutamente intraprendere.

La strategia della lumaca della Nato e dell’Occidente si fonda su un' ipotesi piuttosto speranzosa:  che la Russia prima o poi, per varie ragioni (militari, economiche, politiche), sarà costretta a fare un passo indietro. Di qui l'idea di attendere che la mela cada dal ramo da sola. Di conseguenza,  le regioni contese potrebbero rappresentare preziosa merce di scambio per cominciare a trattare la pace, partendo magari da un cessate il fuoco, seguito da un armistizio, e così via, lungo un circuito finalmente virtuoso.

Il problema è che si tratta di una strategia di lungo periodo, che, a nostro avviso, per ragioni di diversità culturale, accresce il disprezzo e il sentimento di superiorità dei russi verso l’Occidente. Qualcosa che esula dalla sfera militare e che rimanda all’antropologia culturale panslavista che permea – ma diremmo devasta – l’élite moscovita.

Quanto più si lascia l’iniziativa militare ai russi tanto più si favorisce una visione dell’Occidente come imbelle e corrotto. Pertanto la strategia della lumaca non diminuisce l’aggressività russa ma la rafforza.

Si capirà bene che, di conseguenza, l’ingresso della Svezia e della Finlandia nella Nato non può preoccupare la Russia, dal momento che, come gli animali feroci, fiuta, la paura che coglie e trafigge l’Occidente al solo risuonare della parola guerra. Perciò Mosca, per ora, non farà alcun passo indietro.

Un’ultima cosa, la strategia della lumaca, implica un’altra aggressione , ma interna, che l’Occidente, infligge a se stesso: quella al tenore di vita. Attendere che la Russia si stanchi imporrà sacrifici sui consumi che i popoli euro-americani – a differenza dei giapponesi (forse) – non sono in grado di sopportare.

Pertanto la strategia della lumaca ricorda la famosa spada a doppio taglio: nel senso che può portare vantaggi iniziali, ad esempio nessuna perdita occidentale sul campo, insieme però a conseguenze negative di lungo periodo, come le gravi proteste sociali che potrebbero essere sfruttate dai partiti filorussi, soprattutto in Europa, per un cambio di regime e di alleanze politiche.

Concludendo, non si confonda l’euforia politica e mediatica sull’ingresso di Svezia e Norvegia nella Nato, con la dura e cruda realtà dell’assenza di qualsiasi iniziativa sul campo militare. È vero che si è parlato ieri di portare le forze Nato a trecentomila uomini, neppure fossero due, tre milioni… In realtà, per ora sono solo parole.

Comunque sia, si tratta di una misura di dispiegamento militare che richiede tempi organizzativi non brevi. E che quindi si sposa perfettamente con la strategia della lumaca. Capito, l’antifona?

Carlo Gambescia

martedì 28 giugno 2022

Il “Bibbidi Bobbidi Boo” del price cap

 


Il price cap rinvia a concetti e scelte tecniche che non tutti sono in grado di capire, a cominciare dagli stessi giornalisti economici. Sicché, Mario Draghi, dispiace dirlo, gioca su queste difficoltà cognitive. Come la fatina di Cenerentola. Insomma, il price cap come una specie di “Bibbidi Bobbidi Boo”.

Un passo indietro. Il price cap, o “prezzo controllato” dell’ energia, fu “reinventato” in Gran Bretagna, durante i primi anni del governo di Margaret Thatcher per gestire i prezzi delle imprese pubbliche privatizzate ed evitare che assumessero posizione dominante sul mercato. Quindi si trattava di una misura, che almeno in teoria, doveva favorire la libera concorrenza. Si stabiliva un prezzo rimunerativo, che per un periodo di tempo, da tre a cinque anni, non poteva essere superato, per evitare sovrapprofitti e favorire così la concorrenza tra i vari fornitori, in particolare quelli che riuscivano a produrre addirittura al di sotto del price cap.

Fu elaborato dal professor Stephen Littlechild, all’epoca sconosciuto economista, su richiesta della Lady di Ferro. A un certo punto però, la Thatcher, che sulla misura aveva ceduto, semplificando, alla sinistra del partito, si accorse che il sistema non funzionava, perché i prezzi fissati erano comunque favorevoli alle imprese privatizzate e disincentivavano la concorrenza. Inoltre il meccanismo, era farraginoso (commissioni, sottocommissioni, eccetera). Però la “baracca” rimase in piedi, fu ereditata dai laburisti e dura tuttora, nella veste welfarista di bolletta calmierata per i consumatori “in condizioni di povertà energetica”.

Si noti come una misura nata per incrementare il libero mercato, si sia trasformata nel tempo in un forma di sussidio sociale al consumo. Però, ecco il punto: chiunque non conosca l’intera storia può continuare a credere di essere davanti addirittura a una misura liberista. Ecco qui il “Bibbidi Bobbidi Boo” di Mario Draghi.

Infatti, a prima vista non si capisce bene quale sia la relazione tra il price cap thatcheriano e il price cap, semplificando laburista. In realtà c’è ma sul filo dell’ambiguità. Ci spieghiamo meglio.

Se l’ipotesi rinvia al price cap thatcheriano, la si interpreta come una semplice misura rivolta a tagliare i profitti delle imprese, stabilendo un limite massimo all’ acquisto di gas russo. Però parliamo di un concorrente non interno ma esterno al sistema. Chi pagherà la riduzione dei profitti delle imprese, se manca la redistribuzione interna tra bravi e meno bravi nei profitti come nell’ipotesi, per così dire, thatcheriana ? Lo stato, of course. E qui la Lady di Ferro si incazzerebbe (pardon).

Se l’ipotesi rinvia invece al price cap laburista, significa semplicemente che lo stato finanzierà in bolletta la differenza tra prezzi reali e prezzi amministrati. Si parla, con la mano sul cuore, come Draghi appunto, del price cap in favore del consumatore “in condizioni di povertà energetica”: per la stessa serie dei “meno fortunati”… Anche qui però pagherà lo stato, of course. Senza neppure alcuna ombra di ritorno alla libera concorrenza.

Ricapitolando, l’introduzione del price cap, non è una misura per favorire la concorrenza, ma per costringere le imprese a non comprare gas russo e per sovvenzionare i consumatori a rischio. Si tratta di una misura dirigista, per alcuni giustificata dalla guerra.

Quel che però infastidisce è il “Bibbidi Bobbidi Boo” di Draghi, che giocando sull’ignoranza cognitiva degli stessi addetti ai lavori, la presenta come una misura perfettamente in linea con l’economia di mercato. Cosa che non è.

Il price cap danneggerà la Russia? Qui viene fuori la natura ambigua del provvedimento. Perché, alla fin fine, il danno che può essere provocato dipende dalla natura quantitativa dei tagli e dalla capacità nel tempo (nel tempo, si faccia attenzione) di sovvenzionare i consumatori. Due fattori divergenti, ma correlati: perché quanto più si taglia tanto più si sovvenziona. Pertanto, sullo sfondo del price cap si intravede l’ombra del razionamento energetico, che in qualche misura è il Convitato di Pietra, da quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Altro che price cap.

Attenzione, qui si rischia il  razionamento ad infinitum per danneggiare i russi, anche giustamente, ma in una guerra non dichiarata che però  ha tutte le caratterisitiche della guerra dichiarata. Per capirsi; come se Churchill, avesso detto ai suoi tempi, vi prometto lacrime e sangue ma non  siamo in guerra con la Germania. 

Ciò significa, per tornare a noi,  che la guerra non è mai cominciata e che  perciò non può mai finire. Capito come siamo messi? 

Perché invece non parlare chiaramente alla gente? Perché usare il “Bibbidi Bobbidi Boo” ?

Per la semplice ragione che a livello politico non si sa ancora bene che linea adottare nei riguardi della Russia: non si vuole fare la guerra, ma neppure si riesce a fare la pace. Si combatte, per “interposto stato”, l’Ucraina, fornendo però armamenti in misura limitata. Perché in fondo si spera che la Russia si stanchi, e faccia un passo indietro: però non si sa come e quando.

Di qui, il pericolo del razionamento ad infinitum, perché non c’è una linea strategica precisa. Se ci si passa la battuta, come capita di leggere sui social, “nessuno ci dice di che morte moriremo”… Ci si balocca con il price cap. E intanto il tempo trascorre.

Abbiamo parlato più volte di strategia della lumaca. Che discende direttamente dal fatto di non sapere quando la guerra finirà. O meglio dal non voler sapere, perché si preferisce andare avanti, giorno dopo giorno. In fondo, cosa che non si dice ma si pensa, sono gli ucraini a morire sotto le bombe russe.

Questa mistura di cinismo e vigliaccheria spiega però i giochi di parole tipo price cap. Un’arte, anche per guadagnare altro tempo, in cui Mario Draghi sembra essere maestro. O se si preferisce, il vero mago del “Bibbidi Bobbidi Boo”.

Carlo Gambescia

lunedì 27 giugno 2022

Liberalismo, quattro eretici e un funerale

 


In attesa di leggere attentamente “Il Foglio” di oggi, dedicato all’ Eresia liberale (*), diciamo subito che il titolo non convince: l’eresia implica la credenza in una chiesa, di cui si fa parte, e di cui si mettono in discussione i dogmi. Eretico, etimologicamente, è chi sceglie di mettere in dubbio una o più verità rivelate. In sintesi, l’eresia presuppone il dogma.

In realtà, il liberalismo in Italia, se proprio si vuole parlare di eresia liberale, non ha mai sfidato, e decisamente, il dogma della chiesa democratico-ugualitaria, che invece frequenta tuttora.

Perciò di eretici veri ne possiamo ricordare pochini.

Pareto, era sicuramente un liberale eretico. Come probabilmente, Gaetano Mosca, grandi teorici dell’elitismo politico. Nonché Benedetto Croce, filosofo alieno da qualsiasi “fola egalitarista”. Probabilmente, lo fu anche Luigi Einaudi, poco o affatto amante degli arruffoni statalisti. Ecco perché, a parte, qualche sbandata iniziale, dovuta ai tempi magmatici, successivi alla “grande guerra”, tutti è quattro diffidarono del fascismo plebeo. Forse Pareto, meno degli altri. Ma non ebbe tempo per ricredersi: morì nell’agosto del 1923. Croce, Mosca, Einaudi invece presero le distanze appena compresa la natura dittatoriale e militarista del regime instaurato da Mussolini.

Qui però, la domanda chiave: di quante divisioni elettorali disponevano Mosca e Pareto, Croce, Einaudi? Zero. In Italia, la plebaglia, anche imprenditoriale, alla libertà ha sempre preferito la sicurezza, al rischio, le mance dello stato, e così via, fino al Reddito di cittadinanza…

Il liberalismo reale, di governo, il filone  storico, fino a Giolitti, e quello repubblicano, post 1945, di pura e semplice testimonianza partitica, per alcuni partitocratica, spentosi tra Malagodi e Zanone, di eretico, non hanno mai avuto nulla. Si può parlare, per i due filoni,  di un comune e sincretico liberalismo macro-archico che scorge nello stato il sacerdote deputato al rito redistributivo in onore del dogma democratico-ugualitario.

Giolitti, pur eccellente figura di pragmatico, si guardò bene, dal confutare, anche con i fatti, il dogma democratico-ugualitario. Dopo il 1945, si cominciò addirittura a parlare, rifiutando perfino il trattino, di liberaldemocrazia. Ci si cimentò, maldestramente, nel tentativo di unire gli opposti: ma come si può essere al tempo stesso, meritocratici, quindi aristocratici, e democratici, magari addirittura liberalsocialisti? Eppure, ancora oggi si insiste nella funesta opera dell’ embrassons nous.

Quanto a Cavour, da ricomprendere tra i grandi statisti liberali dell’Ottocento, a partire da Guizot e Peel (conservatori intelligentissimi, meritocratici, e per questo liberali), si trattò di una specie di misteriosa e bellissima congiunzione astrale. Un miracolo politico-astrologico. Cavour, nell’opera di unificazione italiana, mise tutto se stesso, fino a distruggersi fisicamente. Un caso unico. Irripetibile.

Insomma, se proprio si vuole usare questo termine, si potrebbe parlare di quattro eretici: Pareto, Mosca, Croce, Einaudi. E un funerale: quello del liberalismo.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.giornalone.it/prima-pagina-il-foglio/

domenica 26 giugno 2022

I tre pacifismi e l’impoliticità dell’Occidente

 


In Occidente, il pacifismo, nel senso di una dottrina sociale che ritiene basti porgere l’altra guancia, ha radici cristiane nel Sermone della Montagna.

Alcuni studiosi sostengono che Gesù si riferisse al nemico privato e non pubblico.Purtroppo ciò che conta dal punto di vista storico e sociologico resta l’interpretazione in chiave esclusivamente pacifista che nei secoli ne è stata data.

A dire il vero, al pacifismo cristiano va ricondotto il concetto di guerra giusta, nel senso di una guerra difensiva, per contrastare l’ aggressore. Concetto dilatatosi, come nel caso delle Crociate, fino al punto di presentare la guerra crociata, come guerra difensiva, con caratteri liberatori, dall’espansionismo islamico, all’epoca a dire il vero già in fase di parziale riflusso.

L’Illuminismo moderno, nella sua versione utopistica, ha recepito la lezione cristiana, laicizzandola. Di qui, il progetto di un paradisiaco mondo privo di guerre, già nell’ “al di qua”.

La guerra, piaccia o meno, risponde ad altre logiche: logiche di potenza e di inimicizia mortale, che nulla hanno a che vedere con i disegni morali, seppure nobili, del cristianesimo e dell’illuminismo utopistico.

Ovviamente esistono varie tipologie di pacifismo. Se ne possono distinguere tre.

Il pacifismo cristiano e illuminista rientra nell’alveo del pacifismo altruistico. Nel senso che la pace è un fine, non un semplice mezzo per perseguire altri obiettivi. Si punta realmente al miglioramento del genere umano e vi si crede sinceramente. Se la politica, rinvia a potenza e inimicizia, il pacifismo altruistico rimanda alla fragilità umana e all’ amicizia. Nella migliore delle ipotesi il pacifismo altruistico è impolitico, nel senso di imprudente; nella peggiore, antipolitico, perché si oppone alle regolarità della politica, anzi, addirittura si propone di “abolirle”.

Il pacifismo utilitaristico rimanda invece a una concezione del pacifismo come mezzo, per perseguire o difendere altri fini. Si ritiene la guerra non un male in sé, come nel caso del pacifismo altruistico, ma come fenomeno che va giudicato sulle base delle conseguenze. Di qui i calcoli per stabilire i vantaggi e gli svantaggi dell’ intraprendere una guerra. Quindi si respinge non la guerra in quanto tale, come nel caso del pacifismo altruistico, ma una determinata guerra, che può essere utile o meno. Il pacifismo utilitaristico non è impolitico né antipolitico, come pure politico. Il suo carattere dipende dalle circostanze e dall’utilità che si può trarre o meno dal fare o non fare una guerra.

Esiste poi un terzo tipo di pacifismo, quello strumentale, di tipo propagandistico, che viene usato per giustificare la guerra agli occhi del mondo. Ci si presenta come difensori del pacifismo altruistico, e nemici di qualsiasi calcolo, legato al pacifismo utilitaristico. In genere, il pacifismo strumentale è usato dagli stati aggressori per giustificare l’aggressione. Sotto questo aspetto il pacifismo strumentale è squisitamente politico, perché serve a nascondere una politica di potenza, cioè l’idea che la guerra sia la prosecuzione della politica con altri mezzi.

Per capire meglio questa tripartizione quale migliore esempio dell’invasione russa dell’Ucraina?

L’Occidente euro-americano, piuttosto indeciso sulla  linea strategica (parola grossa…), è diviso al suo interno tra pacifismo altruistico e utiitaristico. La Russia ha invece giustificato l’ invasione ricorrendo al pacifismo strumentale.

In questo modo però sembra che nessuno voglia fare la guerra e che tutti siano dalla parte dei grandi ideali di pace. Come orientarsi?

Intanto, individuando l’aggressore: la Russia. Quindi il pacifismo russo è decisamente strumentale: Mosca parla di pace ma vuole cancellare l’Ucraina.

Quanto all’Occidente, sembra che al momento prevalga il pacifismo utilitaristico: si punta sulla pace solo perché si ritiene la guerra non sufficientemente rimunerativa, sotto vari profili (sociale, economico, morale). Di qui, l’ uso strumentale del pacifismo: si parla di pace, ma non si fa nulla perseguirla.

Qui va fatta una puntualizzazione: cosa significa non fare nulla per perseguire pace? Vuol dire, piaccia o meno, rifiutarsi di fare la guerra per imporre, una volta vittoriosi, la pace. Di conseguenza, ci si nasconde dietro il pacifismo altruistico, attardandosi però nei calcoli…Un atteggiamento decisamente impolitico, per alcuni addirittura antipolitico.

Pertanto nella migliore delle ipotesi il pacifismo occidentale è impolitico, mentre quello russo è politico. Il che significa che la Russia ha la forma mentis giusta per affrontare questa guerra e forse per condurla vittoriosamente a termine. Mentre l’Occidente cincischia, indeciso a tutto, blaterando di pace, davanti chi, come la Russia, parla di pace, facendo però la guerra.

Sul punto specifico si può dire che la Russia mette abilmente a frutto le radici pacifiste-crociate del cristianesimo, essendo estranea all’illuminismo, non solo utopistico. Per contro l’Occidente resta invischiato nell’illuminismo utopistico, come pure nel pacifismo utilitaristico.

Sicché la Russia attacca, mentre l’Occidente tentenna, prigioniero della sua impoliticità.

Carlo Gambescia

sabato 25 giugno 2022

“Diritto di aborto”, liberalismo e democrazia, una riflessione

 


Si chiamano anche guerre culturali. Sono una specie di anticipazione della guerra civile e di religione, come un tempo, neppure troppo lontano, quando ci si scannava in nome di dio.

Un esempio? La Corte federale Usa ha annullato la sentenza che da cinquant’anni dava copertura federale alle interruzioni di gravidanza. Perciò ora i singoli stati, possono limitare ciò che polemicamente, dai difensori come dagli avversari, viene chiamato diritto di abortire. Che tutti insieme – parliamo di avversari e difensori – oggi celebrano o condannano, con riflessi ideologici in tutto l’Occidente, come provano i titoli caldi dei giornali di mezzo mondo come pure le crude polemiche social.

Qual è il segreto storico del liberalismo? Di evitare le guerre civili. Insomma di circoscrivere i conflitti di opinione nell’ambito di un tollerante relativismo. Di lasciare che sul piano della vita privata siano i singoli a decidere, a maggior ragione quando si tratti di questione intime come quella di mettere al mondo o meno un figlio. La modernità liberale si è estrinsecata nella vittoria della decisione privata su quella pubblica.

Ovviamente, fin quando è stato possibile. E qui veniamo a un altro aspetto della modernità, contrastante con quello liberale: l’aspetto democratico-ugualitario.

Qual è l’errore storico della democrazia ugualitaria ? Di legiferare su tutto, pubblico e privato, in nome di un’uguaglianza, rappresentata da diritti uguali per tutti, diritti che però riflettono il voto di maggioranze che pretendono di saperla più lunga della minoranze. Come anticipato, la democrazia maggioritaria è l’esatto contrario della modernità liberale, perché punta alla vittoria della decisione pubblica su quella privata.

La magistratura, che dovrebbe essere a guardia della modernità liberale, cioè del diritto privato, si è così trasformata nella lunga mano del diritto pubblico. Nel senso della difesa delle decisioni prese da una democrazia maggioritaria che scorge nell’estensione del diritto pubblico la sua finalità.

In questo contesto democratico-ugualitario, di certo, ripetiamo, non liberale, il problema non è più ( e non solo) il contenuto di ciò che si decide, il diritto o meno di abortire, ma la forma, il come, dove e quando esercitare tale diritto. Che cosa ha decretato la Corte federale? Che i singoli stati, quindi un’entità pubblica, non l’individuo privato, possono decidere o no in merito. Per dirla in maniera diversa: il diritto di abortire o meno diventa una gentile concessione dello stato allo cittadino.

Sicché il diritto privato diventa una risorsa politica maggioritaria, che inevitabilmente si tramuta in diritto pubblico. Di qui, l’altrettanto inevitabile conflitto culturale, pronto a tradursi in guerra civile tra minoranze, disposte a tutto, pur di diventare maggioranze e così poter legiferare trasformando in diritto pubblico, opinioni private, se non intime, come quella di decidere se mettere o meno al mondo un figlio.

Come se ne può uscire? Lasciando che le persone, nel loro intimo, decidano liberamente cosa fare in base alle proprie idee private di bene o male: quindi depenalizzare ma anche non legiferare. L’aborto non va punito né celebrato. Rinvia, come decisione, alla sfera individuale, diremmo intima, quindi, prepolitica e pregiuridica. La decisione individuale è qualcosa che è al di là del bene e del male in chiave giuridico-pubblica. Siamo davanti a un fatto privatissimo. E come tale deve essere trattato, lasciando al singolo la libertà di decidere o meno, come, dove, quando. Parliamo di una società libera e aperta, in grado di offrire servizi scalari di mercato. La nostra non è una società patriarcale: quindi, ripetiamo, non vieta e non celebra, ma fornisce, privatamente, su richiesta del singolo, servizi.

Una decisione che se però viene limitata in nome del bene o del male, non è più tale, perché inevitabilmente rimanda a una qualche forma di articolazione giuridica pubblica rivolta a stabilire, al posto dell’individuo, ciò che è bene e ciò che è male. Il che riconduce alle guerre culturali, civili, eccetera, sui diritti come risorse politiche maggioritarie da scagliare come pietre contro le minoranze di turno.

Ovviamente privilegiare la decisione, come fatto privato, in una società welfarizzata, democratico-ugualitaria, dove il privato è una pura e semplice concessione del pubblico, resta molto difficile, se non impossibile.

Oggi infatti prevale l’idea, in fondo socialista, che l’individuo, soprattutto per ragioni economiche, sociali ed educative, sia incapace di decidere da solo. Di qui, la necessità di strutture pubbliche che lo educhino ad essere libero. Strutture burocratiche che inevitabilmente, come nel caso della prevalenza del diritto pubblico sul privato, si sostituiscono alle libere decisioni del singolo.

Incredibile. Più si proclama la libertà del singolo più lo si incatena alle decisioni di giudici e commissioni, più si tradisce la modernità liberale, più ci si scontra in guerre culturali sull’appropriazione di risorse giuridiche pubbliche che il welfarismo imperante tramuta automaticamente in diritti sociali “somministrati” dalle Asl.

Ecco il vero problema. Altro che essere pro contro il diritto di interrompere la gravidanza.

Carlo Gambescia

venerdì 24 giugno 2022

L’Ucraina, l’Europa e il “Generale Tempo”

 


Che Ucraina e Moldavia abbiano incassato il sì del Consiglio Europeo allo status di  nazioni “candidate” all’Ue è comunque un fatto positivo. Che L’Unione dipinga la cosa come un fatto storico, addirittura epocale, rientra nella guerra delle parole in corso con la Russia per propagandare l’ immagine dell’Ue come unita, compatta e quant’altro.

Va però detto che Mosca aveva già fatto trapelare da giorni, mettendo le mani avanti, che non scorgeva alcun pericolo nell’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea.

In realtà, Mosca ne è infastidita. Però, dal momento che serviranno alcuni anni per l’incorporazione (come osservava malignamente sul “Messaggero” il furiere Prodi: il “Capitano Doppio Bollo”, dell’Unione Europea, non proprio impopolare in Russia), non si può parlare di svolta storica, come invece pretende Ursula von der Leyen.

In realtà, il problema fondamentale è rappresentato dalle armi. Quanto più l’Ucraina si arma, tanto più per la Russia le cose rischiano di complicarsi.

Tuttavia – ecco il punto fondamentale – non si riesce ancora capire se l’Ucraina riceva ciò che chiede e con continuità. Probabilmente, la Russia scatenerà un’offensiva estiva nella parte orientale del paese, e solo in quel momento si scoprirà se i rifornimenti di armi all’Ucraina sono stati accurati e costanti. Sul punto siamo piuttosto pessimisti.

Un passo indietro. Si è parlato di una Russia con il “freno tirato”. Per alcuni osservatori, in genere filorussi, si tratta di una scelta voluta per non “vincere troppo” e così evitare di allargare la guerra. Insomma, buon senso russo o semplice spirito pratico.

Per altri osservatori, alcuni neutrali, altri filo-occidentali, la Russia mostra invece di non essere all’altezza di una guerra di aggressione, per ragioni storico-organizzative legate al secolare scollamento tra Russia legale e reale. Che spiega la diffidenza, con conseguenze negative sul campo, che regna sovrana tra élite politiche e stato maggiore, tra stato maggiore e quadri intermedi, e tra ufficiali e truppa.

Chi ha ragione? Difficile dire.

Come umili sociologi, non esperti di strategia militare, riteniamo però che se offensiva estiva vi sarà, sarà decisiva per la durata delle guerra. “Durata”,  il lettore prenda nota della parola.

Se i russi non riusciranno a “sfondare”, in modo definitivo, quanto meno nelle regioni che reclamano, la guerra rischia di prolungarsi “almeno” fino alla primavera del 2023.

Va perciò ammesso che il sì alla candidatura Ue può “fare morale” tra i soldati ucraini. Però non può bastare. Perché servono armi, armi, armi, per resistere, resistere, resistere. Insomma, non crediamo bastino i quattro lanciarazzi Himars americani inviati a ridosso di una possibile offensiva russa.

Mai come in questo momento si tocca con mano la mediocre strategia della lumaca dell’Occidente euro-americano cui abbiamo più volte accennato (*).

Detto in altri termini: con l’invio di armi adeguate l’Ucraina potrebbe riprendere addirittura l’iniziativa e costringere la Russia a fare un passo indietro.

O meglio, l’Ucraina “avrebbe potuto”… Perché l’Occidente cincischia, fin dall’inizio dell’invasione russa, nascondendosi dietro il rischio di una guerra atomica, che nessuno nega per carità.

Perciò dal punto di vista militare, di un’offensiva ucraina, potrebbe essere già tardi. Infatti, “per evitare l’apocalisse”, come si ripete a Bruxelles e Washington, si è lasciata l’iniziativa ai russi, rischiando così, come dicevamo, che la guerra si prolunghi. A quale prezzo però ?

In realtà, il rischio atomico attiene più alla retorica politica, in particolare pacifista, che alla realtà politica. Nessuno nega che pericolo non vi sia. Però, ogni giorno di guerra che trascorre la situazione economica si complica, il dissenso dei partiti filorussi europei cresce, senza che la spesa pubblica possa fermarlo. Mentre la Russia che non ha problemi di opposizione interna può tirare il fiato e riorganizzarsi, come sta accadendo.

Insomma, bisogna distinguere tra rischio atomico come risorsa politica all’interno della normale dinamica tra minaccia, decisione, scambio, e rischio atomico come concetto millenarista, che pretende di non fare conti con la normale dinamica politica di cui sopra. Per capirsi: il pacifista è un pessimo giocatore di poker.

Il succo del nostro discorso è che la Russia, pur con i suoi problemi di “scollamento” storico, gode di maggiore coesione, seppure in chiave coattiva, dello schieramento occidentale. Ma al tempo stesso, per tornare alla metafora del poker, a causa sempre dello “scollamento storico”, non può andare oltre la coppia, al massimo la doppia coppia…

Quindi il quadro reale della situazione crediamo sia questo: il “Generale Tempo”, cioè il fattore tempo, soprattutto se l’Occidente non invierà armi a sufficienza, rischia di giocare a favore della Russia. Con gravi ripercussioni sul fronte interno, ucraino ma anche europeo.

Infatti, la crisi economica crescente, rischia di spostare l’equilibrio politico interno dei paesi Ue dalla parte dei partiti filorussi. Ciò però significa pure, per tornare alla metafora pokeristica, che si dovrebbe andare a scoprire le carte: allo showdown.

Tradotto: servirebbe una forte offensiva ucraina in grado di respingere i russi se non ai confini, molto indietro. O comunque sia, per metterli alla prova. Quindi occorrono armi (saremmo quasi tentati di dire, occorrevano…). E invece che si fa? Si mandano quattro lanciarazzi, permettendo che i russi preparino la loro.

Idioti.

Carlo Gambescia

(*) Qui ad esempio: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/ucraina-loccidente-e-la-strategia-della-lumaca/

giovedì 23 giugno 2022

Mosca e la guerra delle valute

 


Sarebbe interessante sondare la preparazione dei consiglieri economici di Putin.

Per una semplice ragione. Quale? Che l’idea di creare una nuova valuta di riserva internazionale,  basata sulle monete dei paesi membri del gruppo Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), in aperta funzione  antidollaro  e antieuro, è ridicola.

Che Mosca punti su un’idea del genere trova conferma nel messaggio inviato da Vladimir Putin ai partecipanti al forum economico dei cinque paesi, che si aprirà domani (*).

L’insipienza del “pensiero economico” russo sconfina nel ridicolo: perché, a parte lo yuan, le altre valute che dovrebbero far parte del “paniere alternativo” sono altamente volatili, rublo per primo. Quindi la guerra economica al dollaro e all’euro sarebbe destinata al fallimento, anche ammessa e non concessa la capacità della Russia di convincere i suoi partner a sposare una causa persa in partenza. Perché in economia l’unione della debolezza economica non fa la forza. Insomma, la sommatoria dell’instabilità monetaria mai darà la stabilità monetaria. Perciò gli economisti che consigliano Putin non conoscono neppure l’ ABC della scienza economica.

Ovviamente, quel che è ridicolo, non significa che non sia pericoloso. In primis, per i popoli dei Brics, in secundis per la pace mondiale. La guerra delle valute, per i russi, è una anticipazione della guerra vera e propria. Un tentativo, di stremare l’Occidente, per poi aggredirlo militarmente.

Si dirà, ma allora le sanzioni dell’Occidente? Una cosa è ragionare di sanzioni per prevenire la guerra, perché si crede nei valori della pace, della libertà economica e politica. Un’altra, puntare sulla guerra economica, come in Russia, quando si è imbevuti di valori militaristi, nazionalisti e tradizionalisti.

Si rifletta sul seguente punto. La Russia, dopo il 1991, ha perso un’occasione d’oro per trasformarsi in paese moderno, liberale, aperto, capace di far crescere il tenore di vita della sua popolazione. Detto altrimenti: di vendere frigoriferi, automobili e personal computer russi, non solo ai russi, ma anche agli occidentali.

Parliamo di un paese ricchissimo, che potrebbe tuttora competere pacificamente, e che invece continua a mostrarsi privo di quello spirito capitalistico che ha trasformato, e in meglio, l’umanità.

Uno spirito sposato invece, tra l’altro liberamente, dai paesi dell’Europa orientale, dominati in passato dalla Russia. La crisi ucraina non è altro che il portato finale o quasi di un conflitto che ha le sue radici nel rifiuto russo, per scelta e/o incapacità, della moderna società liberale.

Ciò significa che la “guerra delle valute” non è altro che un disperato tentativo di sfuggire alle proprie responsabilità ed errori dopo il 1991. In che modo? Puntando sul nazionalismo armato ed economico, o peggio ancora sull’autarchia di un aggressivo bellicismo pseudo imperiale.

Una scelta autolesionista (come del resto le decisioni di invadere l’Ucraina e tenere sotto minaccia i paesi dell’ex Patto di Varsavia) che allontana ancora di più la possibilità del popolo russo di migliorare le proprie condizioni sociali.

Se ci si perdona la brutta metafora, le mancate nozze con lo spirito capitalistico e liberale hanno provocato la riaffermazione di un nazionalismo rozzo e brutale che in questi mesi sta dando il peggio di se stesso.

Ovviamente, in Occidente, il bellicismo russo, è portato sugli altari dagli eredi degli sconfitti del 1945, come pure dai populismi e dai neocomunismi antiliberali, anticapitalisti e antiamericani. Sicché l’idea di creare una nuova valuta di riserva internazionale, basata  sulle monete dei paesi membri del gruppo Brics,  in  funzione antidollaro e antieuro, è da costoro giudicata in modo entusiastico: il capolavoro di una scienza economica “nazionale”, anzi addirittura “imperiale”, come si diceva ai tempi del Terzo Reich.

Per inciso, e per usare un termine giornalistico, il fasciocomunista, in particolare europeo, pur di uscire dall’odiato sistema liberal-capitalista, porrebbe subito l’euro al servizio del rublo. Pertanto ogni vittoria elettorale delle destre europee contigue ai circoli politici russi costituisce un’ autentica minaccia sistemica.Perciò attenzione.

La Russia, così come ora si autorappresenta, è un pericolo reale per la pace mondiale. Probabilmente lo è più oggi che in passato, quando a Mosca comandavamo i comunisti. Allora esistevano i veli dell’internazionalismo a sfondo pacifista (molto a sfondo…) e del pragmatismo di stampo leninista.

Invece, una volta caduto il comunismo, per parafrasare Marx, è tornata a galla tutta la merda tradizionalista, nazionalista e militarista. E ora sono guai per tutti.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.adnkronos.com/putin-pensa-a-moneta-comune-anti-dollaro_3O4rTMDi7p7ep8Dv2M778K .

mercoledì 22 giugno 2022

Mario Draghi e la sindrome di Antonio Ferrer

 


Che delusione Draghi… La storia del tetto europeo sul gas (*), ossia che sopra agli 80 euro per Mwh non si potrà comprare (prezzo attuale 127), riporta direttamente all’Editto di Diocleziano sul calmiere dei prezzi.

L’imperatore romano, in barba alla legge della domanda e dell’offerta, volle fissare per ogni bene un prezzo politico. Il risultato fu la penuria di beni e il rialzo dei prezzi, che penalizzò traffici e consumi. Citofonare famiglia Gibbon.

Sugli effetti negativi del calmiere si possono leggere pagine memorabili, anche in un’opera oggi quasi dimenticata: I promessi sposi di Alessandro Manzoni.

“Il gran cancelliere Antonio Ferrer, pure spagnolo […] vide, e chi non l’avrebbe veduto, che l’essere il pane a un prezzo giusto, è per sé una cosa molto desiderabile e pensò,e qui fu lo sbaglio, che a un suo ordine potesse bastare a produrla. Fissò la meta ( così chiamano qui la tariffa in materia di commestibili) fissò la meta del pane al prezzo che sarebbe stato il giusto se il grano si fosse comunemente venduto trentatré lire il moggio: e si vendeva fino a ottanta: fece come una donna stata giovine, che pensasse di ringiovanire alterando la sua fede di battesimo” (*).

Il pane sparì dal mercato. Si fu costretti a prendere, scrive Manzoni, un’ inevitabile “deliberazione”: che “non c’era da far altro che rincarare il pane. I fornai respirarono; ma il popolo si imbestialì”.

I prezzi controllati, e ciò valga per gli amici della Giustizia Sociale (con le iniziali maiuscole), producono la sparizione dei beni sottoposti a calmiere, sparizione che, per ironia, colpisce proprio i meno fortunati, come li si chiama oggi.

Per capirsi, a 80 euro, nessuno avrà interesse a commercializzare il gas in Europa, sicché si avrà una flessione dell’offerta a parità di domanda. Offerta che inevitabilmente si rivolgerà verso altre aree del mercato mondiale, più rimunerative. Di conseguenza, in Europa si dovrà intervenire anche sulla domanda, cosa ancora più preoccupante ma inevitabile quando si introduce il calmiere. Come? Puntando sul razionamento.

Ricapitolando, calmiere uguale penuria, penuria uguale razionamento, razionamento uguale crollo del tenore di vita. Perciò i meno fortunati, saranno ancora meno fortunati di prima.

Cosa fare allora? Nulla. Lasciare che il prezzo fluttui e che la Russia anneghi nel suo gas invenduto. Si avrà così un calo della domanda globale che inevitabilmente influirà sull’offerta globale. Quindi i prezzi scenderanno.

Ovviamente esistono anche componenti oligopolistiche. Tuttavia quando un prezzo è fuori mercato, verso l’alto o verso il basso, è comunque fuori mercato. Sicché, inevitabilmente il mercato si vendicherà, dando così ragione al consumatore. Serve solo pazienza. Il populismo non paga: mai sostituire all’ oligopolio economico l’ oligopolio politico.

Ciò che va assolutamente evitato è la sindrome di Antonio Ferrer: fissare il prezzo del  gas a 80 quando viene venduto a 127.

Sono cose che Draghi, addottoratosi al Mit, dovrebbe sapere. E invece fa il vago. Cerca, come Ferrer, di rendersi amico il popolo, fissando il prezzo del “grano” a 80 euro il “moggio”…

Prezzo, piaccia o meno fuori mercato, che prima o poi dovrà essere aumentato, provocando l’ ira dell’ “amato” popolo che invece si desiderava difendere. Un capolavoro di insipienza economica.

Certo, lasciandolo fluttuare, il prezzo del gas potrebbe crescere, superando anche quota 127, con ripercussioni sui consumi e sul tenore di vita. Però sarebbe una situazione momentanea, non strutturale, perché, come detto, il calo della domanda agisce sul ribasso sui prezzi. Per contro, l’introduzione del calmiere, provocherebbe mutamenti strutturali, alterando la legge della domanda e dell’offerta. Tornare alla normalità sarebbe perciò ancora più complicato.

Sono cose che si studiano al primo anno di economia. Perché Draghi si comporta peggio di una matricola ignorante?

Che delusione.

Carlo Gambescia

(*) Qui la notizia: https://www.adnkronos.com/gas-dalla-russia-a-cosa-serve-un-tetto-ue-al-prezzo_5tsPCTEeKJ6j5Fh6OEWaH0?refresh_ce 
(**) A. Manzoni, I promessi sposi, Palumbo, Firenze 1969, p. 255.