martedì 31 maggio 2016

         La ragazza romana bruciata viva dall’ex fidanzato
Sara, purtroppo, non si sveglierà più   



Quel che il sociologo, se interpellato su un caso come questo, deve assolutamente evitare è il moralismo.  Quindi solo  due osservazioni.  
La prima, l’altruismo umano è l’eccezione non la regola.  Talvolta, perfino nei riguardi della prole e del gruppo parentale.  Infatti, a parte alcune particolari circostanze (guerre e calamità naturali) l’uomo è portato ad aiutare l’altro quando esiste  controllo sociale, nel senso (primordiale) di essere sottoposto al giudizio immediato dei soggetti presenti ai fatti.  Dopo di che, per emulazione,  il comportamento altruistico del singolo può estendersi agli altri attori, come si dice, in situazione. “Può”, dal momento che non sempre è così, perché il sentimento di autoconservazione tende a prevalere su quelli di aiuto ed emulazione sociale: primum vivere, insomma.  Certo, esiste il deterrente della legge - e quindi della punibilità per omissione di soccorso eccetera -  che però viene meno in assenza del suo braccio lungo: polizia, vigili, carabinieri.  Inoltre,  il deterrente del costume, che proviene dall’ambiente sociale e dall’educazione ricevuta,  si attiva,  come ricordato, davanti a  un gruppo di giudizio. Naturalmente, nessuno può escludere l’esistenza di persone particolarmente dotate, per così dire,  di cospicuo coraggio morale, ma rappresentano, come detto, l’eccezione, non la regola. Va aggiunto che l’automobile proprio per la sua conformazione materiale, non facilita i comportamenti altruistici, figurarsi quando si guida, magari da soli,   lungo  una strada buia e isolata.  Forse, come abbiamo letto, ci si poteva fermare e fare almeno una telefonata alla polizia (il che però, non avrebbe salvato Sara, per ragioni legate ai tempi di intervento). Su quest’ ultimo atteggiamento può avere influito  il peso di una diffusa  cultura  della paura  urbana,  portata a privilegiare i comportamenti autoconservativi su quelli  di  conservazione dell’altro,  tramite perfino  il solo aiuto indiretto.
La seconda cosa,  è che Sara è un'altra  vittima di quel gigantesco conflitto tra i sessi, che assume varie forme (dalla normale competizione alla reazione omicida),   innescato dalla  promozione sociale della donna all’interno della nostra società.  Ascesa inevitabile, considerata la centralità del valore di eguaglianza nel quadro concettuale del mondo  moderno:  valore che include il diritto paritario di scelta del partner, diritto  non ancora socialmente accettato da tutti gli uomini, in base, ovviamente, alla  propria condizione psichica, al costume sociale, ai gruppi di riferimento e all’educazione ricevuta.  Di qui, talvolta, quel micidiale mix psico-sociologico che può  condurre a  reazioni spietate, come quella toccata in sorte alla povera Sara.  Che, a differenza di un'altra Sara, quella  della suggestiva canzone di Antonello Venditti,  non si sveglierà più.

Carlo Gambescia               

lunedì 30 maggio 2016

Arma dei Carabinieri (*) 
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2016, lunedì 30 maggio, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO
Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio svolta nell'ambito del p.p. n 2367105 R.G.N.R. -R.R.I.T. nr. 34986, [Operazione “FINE PENA MAI”, N.d.V.] in data 29/05/2016, ore 10.45, è stata intercettata ina conversazione tra le utenze 333***, in uso a BERNASCONI SILVANO, e l’utenza 329***, in dotazione a PERSONA IGNOTA a questo Ufficio [indagine in corso]. Si riporta di seguito la trascrizione integrale della conversazione summenzionata:

[omissis]
BERNASCONI SILVANO: “Si rende conto? Negli ultimi 22 anni abbiamo avuto quattro colpi di Stato! C'è un processo verso una deriva autoritaria assolutamente pericolosa.”
PERSONA IGNOTA: “Eh…”
BERNASCONI SILVANO: “Renzi ha cambiato la Costituzione con una maggioranza artificiale, 60 deputati eletti con il centrodestra e  130 parlamentari alla Camera, dichiarati incostituzionali, incostituzionali, capito? dalla Corte Costituzionale. Una sola Camera approverà le leggi importanti.”
PERSONA IGNOTA: “Be’…”
BERNASCONI SILVANO: “In questa Camera ci sarà una grande maggioranza di un solo partito, e questo partito avrà un solo leader che sarà il padrone di tutto, del partito, del Parlamento, dell'Italia, il padrone degli italiani!”
PERSONA IGNOTA: “Mmmm…”
BERNASCONI SILVANO: “Dobbiamo capire che questo è il rischio che tutti corriamo! Tutti!”
PERSONA IGNOTA: “Ah…”
BERNASCONI SILVANO: “E’ un aspirante suddito lei?”
PERSONA IGNOTA: “Io?!”
BERNASCONI SILVANO: “Siccome nessuno di noi è un aspirante suddito, ma abbiamo ben chiaro che la persona viene prima dello Stato, che i nostri diritti, per primo la libertà, sono diritti naturali, dobbiamo opporci nella maniera più ferma a un sistema come quello che Renzi crede di costruire su misura per se stesso. Chiaro?”
PERSONA IGNOTA: “Be’, ssì…”
BERNASCONI SILVANO. “Il centrodestra unito vince, da soli si è irrilevanti. Le piace la pastasciutta?”
PERSONA IGNOTA: “Come? Sì…”
BERNASCONI SILVANO: “Ecco. Come la pasta e il sugo: disuniti non hanno senso, insieme funzionano benissimo.”
PERSONA IGNOTA: “In effetti…”
BERNASCONI SILVANO: “Visto? Siamo già d'accordo sul futuro governo: 20 ministri divisi in tre per Forza Italia, tre alla Lega e due a Fratelli d'Italia. E lo sa chi sarà il futuro leader del centrodestra?”
PERSONA IGNOTA: “Ma veramente…”
BERNASCONI SILVANO: “Sara Tarsaglia! Le piace la Tarsaglia? Sarà o non sarà una bella ragazza?”
PERSONA IGNOTA: “Oddio…”
BERNASCONI SILVANO: “Per vincere ci basta recuperare 5 milioni di voti da quei 26 milioni di astensionisti che costituiscono il 55 per cento dell'elettorato. Cosa saranno mai 5 milioni di voti?”
PERSONA IGNOTA: “A proposito…”
BERNASCONI SILVANO: “Punti del programma: separazione delle carriere dei magistrati, interventi decisi a favore dei pensionati e l'abolizione di Equitalia. Che ne dice?”
PERSONA IGNOTA: “Equitalia, uuu…”
BERNASCONI SILVANO: “Ecco![pausa] Che ne pensa?”
PERSONA IGNOTA: “Scusi, dottore…”
BERNASCONI SILVANO: “Sì? Dica pure liberamente.”
PERSONA IGNOTA: “Qui avrei un conticino…”
BERNASCONI SILVANO: “Che conticino?”
PERSONA IGNOTA: “Ma niente, un soggiorno per due persone, cinque giorni…”
BERNASCONI SILVANO: “Soggiorno?! Due persone?! Ma lei chi è? Come l’ha avuto questo numero?”
PERSONA IGNOTA: “Me l’hanno dato le signorine, dicono che salda lei…”
BERNASCONI SILVANO: “Che signorine?! Saldo cosa?!”
PERSONA IGNOTA: “Gliel’ho detto, un soggiorno per due persone, quattro giorni…Resort Taormina Magica…”
BERNASCONI SILVANO: [pausa]:“Ah. [pausa] Le signorine chi sono?”
PERSONA IGNOTA: “Barbara Paci e Alessandra Cricetelli.”
BERNASCONI SILVANO: “Ah.”
PERSONA IGNOTA: “Sarebbero 74.432 euro, dottore.”
BERNASCONI SILVANO: “Per quattro giorni di albergo?!”
PERSONA IGNOTA: “Vede, dottore, ci sono i pasti in camera, il frigobar, la spa…e poi i danni, dottore.”
BERNASCONI SILVANO: “Che danni?”
PERSONA IGNOTA: “Una festa, dottore, le signorine hanno fatto una festa nella suite, con tanti amici…cosa vuole, sono ragazzi…hanno bevuto un po’, forse anche, lei mi capisce…”
BERNASCONI SILVANO: “Per l’amor di Dio…”
PERSONA IGNOTA: “Comunque è tutto dettagliato, con le fatture, le fotografie…dove mando i documenti, dottore?”
BERNASCONI SILVANO [pausa]: “Ragionier Spiletti, 02.25.456.321.
PERSONA IGNOTA: “Grazie, dottore. Dottore?”
BERNASCONI SILVANO: “Eh?”
PERSONA IGNOTA: “Se posso permettermi…”
BERNASCONI SILVANO [profondo sospiro]: “Dica dica.”
PERSONA IGNOTA: “Ho sempre votato per lei. Ah, che idea la rivoluzione liberale…”
[BERNASCONI SILVANO chiude la comunicazione]

Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.

M.o  Osvaldo Spengler

(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)

Chi è il  Maresciallo Osvaldo Spengler?  Nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”
***

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...

lunedì 23 maggio 2016

Arma dei Carabinieri (*) 
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2016, lunedì 23 maggio, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO

Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio svolta nell'ambito della procedura riservata n. 765/2, autorizzazione COPASIR 8932/3a [Operazione NATO “ASCOLTO FRATERNO” N.d.V.] è stato effettuata in data 22/05/2016, ore 10.37, l’intercettazione di una conversazione telefonica intercorsa tra le utenze di Stato 333***, in dotazione a S.E. FINZI MATTIA, Presidente del Consiglio dei Ministri, e  347***, in dotazione a SENSINI FABIO, consulente per la comunicazione della Presidenza del Consiglio.  Si riporta di seguito la trascrizione integrale della conversazione summenzionata:

[omissis]


S.E. FINZI MATTIA: “ Il 28%!? Come sarebbe il 28%?”
SENSINI FABIO: “Sì, ma vedi…”
S.E. FINZI MATTIA: “…io vedo i numeri, e qui c’è scritto 28%! 28% di popolarità!”
SENSINI FABIO: “I sondaggi hanno un margine…”
S.E. FINZI MATTIA: “…cioè se vanno bene sono giusti, se vanno male c’è il margine di errore?”
SENSINI FABIO: “Mattia, cosa vuoi che ti dica…”
S.E. FINZI MATTIA: “Prova a dirmi perché ho il 28% di popolarità. Non ho avversari, giornali e tv sono tutti dalla mia, i sindacati stanno allineati e coperti, Confindustria mi viene a mangiare in mano, i dissidenti del partito sono così ridicoli che non li voterebbe neanche la loro mamma,  il papa ci manca solo che si iscriva da noi, l’opposizione si suicida, e io ho il 28% di popolarità?”
SENSINI FABIO [pausa]: “C’è anche la realtà, Mattia.”
S.E. FINZI MATTIA: “Perché io di cosa parlo?”
SENSINI FABIO: “Dico la realtà dei…come dire…”
S.E. FINZI MATTIA: “Dici i cosi, gli…”
SENSINI FABIO: “Sì, gli italiani, sai…la gente normale…”
S.E. FINZI MATTIA: [pausa]: “Ah.”
SENSINI FABIO: “I sondaggi li fanno con quella gente lì, Mattia.”
S.E. FINZI MATTIA: “Eh già.”
SENSINI FABIO: “C’è poco lavoro, i redditi scendono, le tasse salgono…ci sono gli immigrati, la criminalità…la disoccupazione giovanile…”
S.E. FINZI MATTIA: “Ma io cosa c’entro, scusa? Credono che un altro al posto mio risolverebbe? Che andrebbe meglio con Grilletto? Con Bertani? Con Saltini? Ma dai!”
SENSINI FABIO: “Ma no, ma no…è che non ci credono più, Mattia…in nessuno.”
S.E. FINZI MATTIA: “Tu dici.”
SENSINI FABIO: “Lo sai anche tu. Il 28% non è poi così male.”
S.E. FINZI MATTIA [pausa]. “Forse hai ragione. Il problema…”
SENSINI FABIO: “Il problema è far bastare i voti di quelli lì. Del 28%.”
S.E. FINZI MATTIA: “Be’, la legge elettorale l’abbiamo fatta.”
SENSINI FABIO: “Se passa il referendum…”
S.E. FINZI MATTIA: “No se passa il referendum. Il referendum passa.”
SENSINI FABIO: “Certo, ma…”
S.E. FINZI MATTIA: “No ma.”
SENSINI FABIO: “D’accordo.”
S.E. FINZI MATTIA [pausa] “Certo però che è un bel fastidio.”
SENSINI FABIO: “Dici questa cosa dei voti?”
S.E. FINZI MATTIA: “Sì, i voti, le elezioni, i referendum…ma perché poi? A cosa serve? La gente normale! Non ci capisce niente, la gente normale.”
SENSINI FABIO: “Quello ci puoi giurare. Certe volte…”
S.E. FINZI MATTIA: “…sì, certe volte…”
S.E. FINZI MATTIA e SENSINI FABIO [insieme] “Certe volte non ci capiamo niente neanche noi…”
[ridono]

Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.

M.o  Osvaldo Spengler

(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)


Chi è il  Maresciallo Osvaldo Spengler?  Nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”
***

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...



venerdì 20 maggio 2016

Precipita aereo  di linea  egiziano, probabile attentato
La  sostenibile leggerezza dell’Occidente



Le guerre non piacciono a nessuno. Giusto.  Tuttavia,  l’Occidente euro-americano  non solo fa tutto il possibile per evitarle, ma quando costretto, le combatte  malvolentieri, al risparmio. La causa di questa scarsa voglia di incrociare le spade va ricondotta all'imperante retorica pacifista, sfruttata  dai politici, fraintesa dalla gente,  che crede, o auto-ingannandosi, pretende di credere, ovviamente con l'aiutino del buonismo mediatico, che la pacificazione universale, nonostante tutto (sul nonostante torneremo),  sia a portata di mano. Insomma, che la guerra sia ormai fuori dalla storia. 
Ecco perché la notizia della caduta di un aereo Egyptair,  frutto più che probabile di una bomba jihadista,  non desta alcuna attenzione tra la gente come tra i politici. Come del resto  le cattive notizie che quotidianamente giungono  dalla Siria, dall'Iraq e dall' Afghanistan, dove un pugno di centurioni, malvisto dall’opinione pubblica pacifista e poco sopportato in patria dai politici, anche di destra, difende i confini dell’Occidente.  L'ordine, si fa per dire, è attutire, diluire, elaborare. In una parola minimizzare.  Pertanto chi se ne frega  (pardon)  di un aereo egiziano... Figurarsi, di un paese dove comanda  un generale fascista e torturatore...  Antitesi vivente  del paradigma dell'uomo  politico progressista e pacifista...    
Retorica militarista, la nostra? Per giunta amara, se non cattiva, da nostalgici di un immaginoso passato coloniale?  Forse.  In realtà però,  la cosa più grave è che chi scrive non ha mai amato la guerra e soprattutto militari e turrite. Ma una cosa è non essere  fanatici delle stellette, un’ altra bambinoni fasciati arcobaleno. I quali,  nonostante tutto ( guerre  e attentati),  si illudono che le cose si aggiusteranno da sole, perché basterà porgere l’altra guancia al nemico e continuare a vivere come se nulla fosse. 
Si tratta di una ubriacatura che potrebbe costare molto cara, alla quale  nessuno reagisce. La “gente”, perché vuole vivere in pace, senza sacrificare nulla al dio Marte.  Il che è scontato. I politici, perché temono l’impopolarità della guerra. Il che è meno scontato.  Gli intellettuali (a parte rare eccezioni) ,perché imbevuti di cultura pacifista, socialista, umanitarista,  pseudo-cristiana. Il che  è imperdonabile.
Insomma, tutti -  per paura, per calcolo, per vanità  - sperano che le cose si risolvano da sole. Niente di più facile, sempre per  gli stessi,  dichiarare, come recita il titolo di un libro già celebrato in Italia, che chi ci  uccide non avrà il nostro odio...    
Purtroppo, siamo davanti alla sostenibile  leggerezza dell’Occidente.  Sostenibile però  fino a quando? Intanto  è caduto un altro aereo civile. Avanti il prossimo.

Carlo Gambescia



giovedì 19 maggio 2016

La scomparsa di Marco Pannella
Perché non possiamo non dirci pannelliani

Marco Pannella (1974) Fonte: http://www.reteagatergon.com/2010/05/17/un-esempio-di-lotta-e-liberta-laura-arconti


Una volta che la  gigantesca onda di  melassa mediatica di queste ore sarà passata, che cosa resterà del lider màximo radicale?  Si può parlare di eredità  politica?  Forse, ma in senso diffuso (come vedremo più avanti). E  di  metodo? Sì.  Soprattutto se pensiamo  ai mitici scioperi della fame, metodo di lotta , a dire il vero solo apparentemente non violento,  dal momento che la violenza (si tratta comunque di un atto costrittivo),  viene esercitata non contro gli altri,  ma contro se stessi. E ci vuole ancora più fegato. Siamo   dinanzi  all’individuo che, liberamente,  mette in gioco la propria vita.   Certo,  i soliti malevoli diranno che Pannella smetteva di digiunare sempre un minuto prima…  E sia.  Nessuno è perfetto.
Il che però ci riporta all’individualismo puro,  di cui  il  leader radicale  resta l'assoluto  portabandiera,   in un' Italia dove gli individui  "tengono" sempre famiglia: per lo Stivale, si potrebbe parlare di individualismo azzeccato o spurio.   Pannella liberale, libertario, anarchico?  Sono etichette…. Ciò che  non va mai dimenticato quando si parla di lui,  è l’odio nutrito da comunisti e cattolici  nei suoi riguardi,  cartina tornasole di un individualismo puro estraneo a qualsiasi tipo di chiesa:  Pannella  non era di destra né di sinistra.  Di qui la sua impoliticità, spesso non compresa da coloro che lo liquidavano o come un “frogio” di sinistra, o come  un “nemico dei lavoratori” al servizio della destra economica. L'approccio al pensiero di Panella (e quindi alla sua eredità "politica")  non può che essere  apofatico: si può dire ciò che Pannella non era. E non era, come detto,  un azzeccato. Sicché, tutti coloro,  liberali o meno, che non si riconoscono nella logica gruppale degli azzeccati storici (comunisti, fascisti, democristiani) o transeunti ( berlusconiani, grillini, e così via)   non possono non dirsi  pannelliani.
Ci sono oggi  in giro individualisti puri del suo calibro? O meglio della sua tempra?  No. E il partito radicale?  Che ne sarà dell’ unico amore vero  di tutta la sua vita?  Della sua sola tentazione azzeccante?  Come tuttora  in India capita alle vedove, il partito radicale  finirà, nolente o volente, per salire sulla  pira. 

Carlo Gambescia
                                 
Elementi per la Cittadinanza
Democrazia?  
Diritti e doveri
di Giuliano Borghi




1.Gli uomini possiedono diritti, ma hanno anche doveri. Gli uni sono in diretta proporzione con gli altri, ed è proprio in questa stringente relazione che gli uomini possono trovare protezione non solo contro il dispotismo totalitario, ma anche dal permissivismo liberale. Diritti e doveri non possono esser considerati indipendenti gli uni dagli altri e gli uni non sono più “naturali” degli altri. Non vi è, insomma, niente di ricevuto o di dovuto, ma tutto è da acquistarsi e da difendersi. Esistono gli uomini, esistono i popoli, quello, invece, che non esiste è l “uomo in sé”. Gli uomini, pertanto, non sono detentori in astratto di “diritti” presunti “naturali”, ma possono disporre realmente di diritti solamente quando questi si ritrovino radicati in una reale appartenenza ad un popolo. Anzi, unicamente quando siano elevati al rango e alla dignità di Cittadini, dimoranti in una Città. Un popolo, una nazione non rispetta i diritti individuali che per quel tanto che essi derivino da sorgenti conformi alla sua storia. Ogni comunità politica, storica e culturale, così, deve vedersi riconosciuto in proprio la prerogativa di specificare la natura delle protezioni che intende assegnare ai suoi membri. E’ la totale sovranità politica, giuridica ed economica che si pone come condizione imprescindibile del rispetto concreto dei reali diritti individuali. Al di fuori della sovranità non vi è garanzia di diritto e neppure libertà. Libertà come appartenenza, come legittimazione del legame che unisce l’uomo alla Città nel preciso significato di Libertà-Partecipazione. Sempre ricordando che si è singolarmente liberi se libero è il popolo al quale si appartiene e che è da questa identica appartenenza  che è possibile trarre una identica capacità di diritti e del loro esercizio. 

2. Va messo bene in rilievo e chiaramente specificato, rispetto alla genericità del termina “ demos”, chi è il popolo, chi è chi con concretezza deve intendersi quale portatore del diritto di appartenere alla città Questo chi non è altro, e altro non può essere altro, che il cittadino responsabile, l’individuo che si è determinato per una ulteriore qualificazione, quella appunto di appartenere volontariamente ed attivamente a una città , in una guisa politica che più correttamente dovrebbe essere chiamata, per questo, politocrazia. Dire politocrazia, implica riconoscere che essa è il regime politico che consacra i diritti politici dell’uomo in quanto cittadino, rifiutare che la cittadinanza possa essere l’esito di un mero dato anagrafico, o di un occasionale ius soli, riconoscere che il suo statuto è unicamente politico e sapere che essa pretende e impone rgorosamente a tutti coloro che cittadini vogliono davvero essere e da cittadini vogliono vivere, una consapevole e attiva partecipazione politica sorretta da un palese assenso, continuamente rinnovato, ad una voluta consociatio politica. La cittadinanza attiva sancisce l’appartenenza a un popolo, vale a dire a una cultura, a una storia, a un destino e all’unita politica con la quale esso si è dato una forma. Cittadino, quindi, può essere solo colui che abita nella Città e proprio da questa appartenenza riceve la possibilità di vivere concretamente da uomo libero. Tutto questo richiede una virtù civica, che ridisegna positivamente la libertà come atto che permette all’uomo di compiere i suoi fini specifici, e non come mera “ assenza di costrizioni”e si lega spontaneamente ad una idea di servizio e di partecipazione, al punto tale che gli individui solamente comportandosi come cittadini possono godere massimamente della loro libertà. La cittadinanza si merita, non si acquista, perché è proprio il suo possesso attivo che rende operative le condizioni per le quali i cittadini, proprio perché tali, possono godere di una eguaglianza di diritti, di possibilità, di doveri, al godimento dei quali non partecipano coloro che non hanno cittadinanza

3. La crescente difficoltà del rapporto tra gruppi etnici diversi, tra cittadini e stranieri, comunitari o meno che siano, pone la domanda su quale possa essere un modello praticabile di accoglienza, saggiamente capace di integrare l’identità con l’alterità, almeno per quanto riguarda quelle genti straniere che manifestano la loro intenzione di prendere dimora definitiva nell’ambito del popolo italiano. Possono sorreggere l’immaginazione, traducendole al presente, due istituzioni giuridico-politiche che nel nostro passato hanno saputo orientare efficacemente, e per lungo tempo, la vita politica e sociale nelle temperie assai difficili e problematiche dell’incontro-scontro con genti straniere: la foederatio e l’ hospitalitas.
Con la prima norma si richiede allo straniero un patto, una conditio sine qua non, di alleanza e di fedeltà alla Città, come condizione necessaria per poter usufruire dei diritti sociali ed economici di prerogativa usuale dei cittadini.
Con la seconda norma si pone un avveduto viluppo di diritti politici, di prestazioni e di contro prestazioni, di compensi per i benefici elargiti, in coerenza con il significato di hospes come “colui che compensa il mio dono con un controdono”. L’istituto giuridico dell’hospitalitas si rivolge, pertanto, agli stranieri ai quali sono riconosciuti diritti eguali ai cittadini, fa proprio il significato di ospite, di hospes, come “colui che è in relazione di compenso” e stabilizza il proprio fondamento sull’idea che un uomo è legato ad un altro uomo dall’obbligo di compensare una certa prestazione della quale è stato beneficiario.
Giuliano Borghi

Giuliano Borghi, docente di filosofia politica nelle università di Roma e Teramo. Ha pubblicato studi su Evola, Platone, Nietzsche, il pensiero tragico e la filosofia della crisi.  Si occupa in particolare dei rapporti tra pensiero politico ed economico dal punto di vista dell'antropologia filosofica.

mercoledì 18 maggio 2016

Dibattiti
Democrazia?
Un mezzo  disastro…




Ebbene sì,  non crediamo  nella democrazia.  Tuttavia, la pensiamo  come  Churchill: gli altri sistemi politici sono decisamente peggiori,  sicché  facciamo  buon viso a cattivo gioco. 
Democrazia… Di che si parla però?  In realtà, al di là della forma di regime o stato,  la  prima  distinzione che riteniamo fondata  è di tipo cognitivo:   tra  retorica politica e  realtà, i famosi fatti. La retorica politica, parla alle emozioni, la realtà  alla ragione.  E la ragione, in particolare quella storica e sociologica, insegna - ecco la seconda partizione fondamentale, che discende dalla prima -  che ogni sistema politico si suddivide in una minoranza che governa e in una maggioranza che è governata.  Diciamo che  la realtà (sociologica e storica) è aristocratica,  la retorica democratica.  E che perciò la democrazia è un mezzo disastro... O una mezza verità (retorica). Decida  il lettore... Dopo, però. 

La vera domanda
Pertanto,  la vera domanda non è come mettere in condizione il popolo di governare ma come metterlo nella (migliore) condizione di scegliere coloro che lo governano.  
Si dirà, allora -  se la realtà è aristocratica e la retorica democratica - come mai  i governi democratici hanno sostituito i governi aristocratici?   Come  mai, insomma,  non siamo più governati - almeno in Occidente -  dai nobili?   Perché il problema di fondo  di ogni regime politico,  non è la forma  politica (le istituzioni) ma la sostanza sociale (la selezione e il ricambio delle élite dirigenti).  E la nobilità  ha dimostrato  -  secondo alcuni storici, dopo il Primo Conflitto Mondiale  -  di non essere più in grado di esprimere élite in grado di comandare. Di qui, la piena conquista del potere (in tutto i suoi gangli) delle élite borghesi, cominciata, grosso modo,  all’inizio dell’età moderna. E per gradi, lentamente.   

Il problema fondamentale
Insomma,  il problema fondamentale delle  democrazie  a direzione totalmente borghese e in chiave popolareggiante (sistema che ha meno di un secolo di vita),  è  come  riuscire a  conciliare la retorica democratica (che eleva l' eguaglianza, parificando,  ben oltre l'aspetto formale, capacità  e impegno) con la selezione delle élite ( che valorizza l'ineguaglianza, delle intelligenze e delle volontà). Perché, purtroppo, non è affatto vero, sociologicamente parlando, che l’estensione dell’istruzione e del voto a tutti  abbiano migliorato la selezione delle élite (che per secoli, per inciso,  avveniva  sui campi di battaglia),  dal momento che l’istruzione, quando rivolta a tutti, proprio perché tale, perde di qualità e determina un livellamento che non giova alla selezione dei migliori,  perché si va a pescare, se ci passa la brutta metafora,  in  un lago più grande ma con pesci più piccoli e meno saporiti. Del resto,  lo stesso suffragio universale, proprio perché si rivolge a tutti, non può non trasformare la logica politica nella politica della logica.  Per usare, la stessa metafora: per vincere si deve promettere  una miracolosa moltiplicazione dei pani e dei pesci ( del famoso lago, che, grande o piccolo, lago rimane...).  Sicché diviene logico, non ciò che ha un valore politico permanente (logica della politica), ad esempio la selezione dei migliori, ma ciò che è politicamente logico (politica della logica), ad esempio, promettere tutto a tutti, in barba a ogni criterio selettivo, pur di vincere  “quelle” elezioni politiche.  Di qui, purtroppo,  il fascino irresistibile  della democrazia, legato alla sua  mitica promessa di eguaglianza sostanziale (nei punti di arrivo, uguali per tutti).    

Esistono rimedi?
Paradossalmente, una democrazia, per durare, oltre che su un buon tasso di sviluppo economico, prodotto da una libertà economica diffusa, dovrebbe reggersi su metodi non democratici,  ma liberali e meritocratici al tempo stesso, in grado di favorire  la  selezione delle élite  e degli stessi votanti, pur rispettandone l’eguaglianza formale (giuridica, dei punti di partenza). Il  Churchill, citato all’inizio,  in fondo la pensava proprio così.  Del resto,  non siamo costituzionalisti e non possiamo (né dobbiamo addentrarci in questo campo).  Di sicuro però,  i metodi liberali e meritocratici non portano voti. Churchill, ad esempio, sconfisse Hitler,  ma non gli elettori laburisti.   

Contraddizioni
Ci si chiederà: come mai, allora, da circa un secolo, come dicevamo,  siamo governati dalle democrazie pienamente borghesi, anzi popolar-borghesi?  
In primo luogo,  vanno però ricordate le  terribili "interruzioni" totalitarie tra le due guerre. O invece "prosecuzioni"  della democrazia con altri mezzi?  I totalitarismi  di massa,  in qualche misura possono essere visti come  continuazione ultrademocratica, plebiscitaria della democrazia  nella sua versione diretta, non rappresentativa.  
In secondo luogo,  negli ultimi settant’anni, hanno giocato a favore delle democrazie gli eccellenti tassi di sviluppo e il  benessere diffuso. E, in terzo luogo,  paradossalmente, ha giocato un ruolo importante, di stabilizzazione politica, la decrescente partecipazione politica che  ha distinto l’intero Occidente.  Meno si partecipa,  piaccia o meno,  più un sistema politico è stabile.  Naturalmente,  i livelli di stabilità, sul piano qualitativo (della "resa"),  sono legati alla qualità delle élite dirigenti. Qualità,  che in democrazia, come abbiamo visto,  è  fortemente a rischio, perché la selezione aristocratica rappresenta l’esatto contrario delle premesse-promesse (politiche ed elettorali) della democrazia.  Pertanto sarà difficile che le attuali democrazie popolar-borghesi,  a basso "rendimento", riescano ad auto-riformarsi,  Di qui,  il pericolo, magari in nome delle stesse premesse-promesse democratiche, ma radicalizzate, di nuove "interruzioni" o parentesi  dittatoriali se non totalitarie.

Liberalismo aristocratico
Qualche lettore, concludendo, non approverà questo nostro liberalismo  aristocratico, realista, archico, triste, che si rivolge ai migliori in tutti i campi, profondamente diffidente del popolo, in fondo démodé. 
Però  l’Ottocento, l’età per eccellenza  dei “notabili” liberali, come ammette,  non Benedetto Croce (sarebbe fin  troppo facile), ma Karl Polanyi,  avversario del liberalismo, fu un’ età, tutto sommato,  di pace e progresso.  L’esatto contrario del periodo storico  in cui stiamo entrando. 

Carlo Gambescia                    

                                           

martedì 17 maggio 2016

 Religione, etica  e società  al tempo di Francesco
Un  problema  trigonometrico
di Antonio Dentice d'Accadia





Quasi un preambolo… 
La prospettiva dell’etica cristiana letta nel rapporto tra etica laica e realtà contemporanea (negli aspetti religiosi, quotidiani e politici) è un fatto assai sensibile d’una certa variabilità percettiva. Spesso il problema si caratterizza in un maelstrom nebuloso, strutturato in declinazioni purtroppo facili all’amorfismo o, viceversa, a rigide iper-sintesi tout court.   
Ogni verifica dovrebbe appropriarsi d’un tatto formale e terminologico, quanto d’una affilata analisi, spietata soprattutto verso essa stessa nel definire i mezzi di studio e i modi attuativi.
Nel preambolo qualificativo poniamo: la scienza (sacra e non), come ricerca del vero; la politica, come arte del governo; l’economia, come ricerca dell’utile; e l’etica, come atto del discernimento. Lo studio necessariamente veste degli attributi etici (d’una qualsiasi forma) e attraverso essi spazia in un vasto quadro, tra crisi dei valori e rinnovamenti.
La sociologia paretiana poneva il distinguo tra valori, valori ritenuti tali, forme novelle e l’accanimento terapeutico nel tentativo del ripristino di idee ormai transitate. La domanda parrebbe essere: cosa rimane?
 
La tradizione dell’Occidente
L’Occidente ha una tradizione cristiana divisa e metabolizzata nelle varie ramificazioni d’un albero millenario in virtù dell’autenticità del Logos (tale poniamo). Radicali trasformazioni sono avvenute, sono tutt’oggi e saranno in futuro. Perché la storia le impone, noncurante di intenzioni cristallizzanti e ignoranti un fatto primario: la stessa cristallizzazione altro non era che forma ex-novo d’una precedente trasformazione.
Nel processo sublimante (o inversamente, nella deposizione) l’equivalente del Logos consisterà nella stessa natura del processo, tra rigidità e fluidità concettuali (a seconda del momento). Pretendere una fissità fasica, confondendola colla totalità sistemica, porterebbe all’interruzione del messaggio evangelico (fattispecie del trascendente). Da qui gli attriti anche in seno alla Chiesa, tra rinnovamento alla luce dell’importanza sostanziale, tensioni conservatrici e vie mediane. 
Il processo tra differenti stati qualitativi, nello specifico nel frazionamento tra umanità e messaggio evangelico, è pensabile come deposizione tra stato aeriforme e materia solida. Il Logos si rende a propria volta pensabile come pioggia la cui generazione nuvolare è invisibile all’occhio nudo, ma dagli effetti meno invisibili nel nutrire il terreno seminato e infine: «Porta frutto», visibilità.

Logos, etica religiosa e storia
Dal Logos all’etica religiosa, che fisiologicamente s’impone nel tessuto sociale ad esso collegato da un rapporto interdipendente. L’uno si esplicita (si offre) e l’altro ne possibilizza l’atto. In quest’accettazione l’etica religiosa concrea l’etica sociale in senso ampio, quindi l’etica politica e l’etica economica.
Il problema sorge al setaccio del grado di variabilità storico-geografica di quest’etica religiosa e delle proprie derivazioni. Una fede può essere protesa tra due opposte estremità. La prima estremità determinante dilatazione dei principi nell’incontro ecumenico colle altre fedi, siano esse tangenti o secanti. L’altra estremità tendenzialmente determinante contrazione dei principi, rivolgendoli in sé.
Al primo polo abbiamo gli “ecumenisti” e al secondo l’ala “conservatrice”, una persistenza aggregativa volente maggior grado di fissità – se non nel sistema – almeno nella formalizzazione dei principi (che è diverso dal definire “i principi in quanto tali”). I primi accusati nell’ipotesi dell’evanescenza e i secondi nel pericolo dell’inadattabilità, probabilmente preoccupazione dell’attuale pontificato. 
Se il Logos è formalizzabile invariabile, l’etica religiosa che ne deriva è per contrapposizione sensibile a grandi (e relativi) metamorfismi. Ricordiamo la culla giudaica, poi le realtà protocristiane, la paolina, l’incontro ed il sincretismo colle realtà mediterranee ed italiche. La manifestazione sociale del messaggio evangelico prosegue quindi tra dilatazioni e contrazioni, rimanendo tale e affidata alla misura valutativa di coloro che ne guidano il percorso. E’ la storia che procede ingoiando i decenni e masticando i secoli, col “già digerito” che diventa (quasi) assiomatico.
 
 Messaggio evangelico   e organicità teologica
Volendo indagare l’entità dei valori contenuti nell’etica religiosa sono immediatamente individuabili alcune categorie di sottoinsiemi (in relazione tra esse): dottrina, ecumenismo, nuovo dialogo pontificio e realtà percepite dai fedeli diversamente stratificati.
 Tentiamo di distinguere il messaggio evangelico dal corollario derivante: la realtà di Cristo, Cristo unigenito del Padre e l’idea di una fratellanza cristiana delineata dai concetti di amore e perdono. E’ a causa dell’immediatamente percepito, ad esempio, che in estremo Oriente la figura di Cristo è spesso associata al Buddha, nell’idea della perpetua serenità e compassione.
 Rispetto a molte fedi il Cattolicesimo, in quanto teocrazia elettiva, ha la particolarità di una precisa organicità teologica. Questa organicità nel corso della storia ha definito una certo controllo delle dilatazioni.
Gli ultimi due pontificati, con diverse modalità, hanno dovuto fare i conti con vecchie e inedite crisi, col collasso dei sistemi e soprattutto con le problematiche interne. Il peso dei secoli è evidente, è chiaramente percepito. Questo fatto è facilmente visibile nel susseguirsi tra Papa Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco I. E’ sufficiente questa particella temporale (2005-2013) per intendere gli effetti della maggior dicotomia tra contrazione/dilatazione etica al tempo della globalizzazione.
 
Una lettura trigonometrica
Principi, etica e società. La questione può essere letta nella forma di un problema trigonometrico: dati tre elementi, determiniamo gli altri segmenti e angoli. I tre elementi sono esprimibili nelle forme dei principi cristiani, dell’etica religiosa (che ne deriva) e della successiva etica sociale (interconnessa alla seconda).
Al centro dei principi cristiani abbiamo il Logos. Nel secondo elemento, l’etica religiosa, abbiamo la variabilità nella storia (quindi “della” storia). Nell’etica sociale abbiamo invece la proporzionalità diretta o inversa (a seconda dei periodi) col secondo elemento.
Ciò disegna un doppio rapporto svolgentesi sull’asse del divenire, colle problematiche supplementari delle possibili simmetrie ecumeniche, dalle rotazioni e dalle traslazioni determinate dalla variabilità del secondo e del terzo elemento.
Da un punto di vista strettamente cristiano la bussola all’interno di questo enorme e complesso quadro storico-sociale dovrebbe consistere nella fedeltà alla propria natura. Ovvero, nel corso delle trasformazioni ricercare la possibilità della contemporaneità tra valori costanti e fluidità parametrica.
Fissato un punto (il Logos al centro emanante i principi), riuscire ad esprimere le trasformazioni nell’ordine delle simmetrie radiali, garantendo quella costanza del fondamentale. Fondamentale, che alla prova d’ogni vicissitudine storico-geografica saprà rimanere fedele a se stesso e, di conseguenza, al sacro.

Per non concludere…
L’indagine non garantisce necessariamente un diritto (o un obbligo) solutivo, bensì la semplice esistenza di una ricerca compartecipata nella finalità dell’autentica riflessione. Sarebbe folle pensare il contrario.
Tuttavia, la riflessione se assunta nel senso delle scienze fisiche può cercare reciprocità tra fenomeno riflessivo e fenomeno dell’assorbimento. Il primo convoglia la luce del trascendente, la trasmette, la comunica (Logos) e la racconta in forma comprensibile… quindi assorbibile.  Il secondo fenomeno è quello della fede, che assimila la luminosità e (almeno in un primo momento) la trattiene.
Nei mutamenti sociali, nell’ordine delle simmetrie radiali, diventa importante la contemporaneità tra futuro storico e verità dell’intimità individuale nel rapporto col Logos.

Antonio Dentice d’Accadia


Antonio Dentice d'Accadia (Caserta, 25 Luglio 1983) è un saggista, conferenziere ed il principale biografo e studioso dell'economista Giuseppe Palomba. E' autore di opere di filosofia economica, di metafisica, di sociologia e di indagine alla poetica nel rapporto tra Weltanschauung e Vision. Ha scritto anche articoli sull'arte figurativa e collabora in ricerche storiche.

lunedì 16 maggio 2016

Arma dei Carabinieri (*)
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2016, lunedì 16 maggio, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO

Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio svolta nell'ambito della procedura riservata n. 765/2, autorizzazione COPASIR 8932/3a [Operazione NATO “ASCOLTO FRATERNO” N.d.V.] è stato effettuata in data 15/05/2016, ore 10.37, l’intercettazione di una conversazione telefonica intercorsa tra le utenze di Stato 333***, in dotazione a S.E. FINZI MATTIA, Presidente del Consiglio dei Ministri, e  347***, in dotazione a SENSINI FABIO, consulente per la comunicazione della Presidenza del Consiglio.  Si riporta di seguito la trascrizione integrale della conversazione summenzionata:

[omissis]


S.E. FINZI MATTIA: “Ti do un aumento.”
SENSINI FABIO: “Grazie, Mattia, ma non c’è bisogno.”
S.E. FINZI MATTIA: “ ‘Io sono cattolico ma faccio politica da laico: ho giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo.’ Colpo di genio, Fabio! Bravo!”
SENSINI FABIO: “Mi piace vincere facile, Mattia.”
S.E. FINZI MATTIA: “Vincere facile è difficile, Fabio. Ti meriti l’aumento.”
SENSINI FABIO: “Dovresti darlo al papa, l’aumento. Con i passaggi gol che ci fa…”
S.E. FINZI MATTIA: “Strano però. Dice che i gesuiti sono così furbi…”
SENSINI FABIO: “Infatti furbo è furbo, hai visto come ha fregato tutti i suoi gufi? Mai che si lasci inchiodare su una posizione, gli sposta di continuo il terreno di scontro, dice e disdice, li divide, li manda nel pallone…”
S.E. FINZI MATTIA: “Ma allora perché si è lasciato incastrare così? Sulle unioni civili il Vaticano si è suicidato…li asfaltiamo, e l’unica cosa che riescono a dire è che forse era meglio non porre la fiducia…patetico…”
SENSINI FABIO: “Senti, io di teologia non mi intendo…”
S.E. FINZI MATTIA: [ridendo] “Come?! Non eri cattolico anche tu?”
SENSINI FABIO: [ridendo] “q.b., come te…scherzi a parte, secondo me si sentono soli.”
S.E. FINZI MATTIA: “Si sentono soli?”
SENSINI FABIO: “Hai presente quando è morto Stalin?”
S.E. FINZI MATTIA: “Stalin?”
SENSINI FABIO: “Stalin. Come si sono sentiti i comunisti di tutto il mondo?”
S.E. FINZI MATTIA: “Soli?”
SENSINI FABIO: “Soli. Soli, abbandonati, spaventati. Stalin era il papà. Papà cattivo se vuoi, ma papà.”
S.E. FINZI MATTIA: “E lo Stalin dei cattolici chi sarebbe?”
SENSINI FABIO: “Gesù Cristo.”
S.E. FINZI MATTIA: “Sei matto?”
SENSINI FABIO: “Aspetta. Quanto tempo è passato, fra la morte di Stalin e il crollo del comunismo?”
S.E. FINZI MATTIA: “Vediamo…trentacinque anni?”
SENSINI FABIO: “Una generazione. Gesù Cristo muore, e lascia detto che torna presto e porta il Regno di Dio sulla terra. Lo hanno aspettato duemila anni.”
S.E. FINZI MATTIA: “Dici che si sono stancati?”
SENSINI FABIO: “Più che stancati, secondo me si vergognano. Si vergognano di averci creduto, si vergognano di essere stati dei coglioni…”
S.E. FINZI MATTIA: “Tipo Walter Poltroni, D’Altema e compagnia cantante?”
SENSINI FABIO: “Esatto. A questo punto, cosa vuoi che dicano? ‘Scusate, ci siamo sbagliati’? Fanno finta di niente, alzano un po’ di polverone, si appellano ai sentimenti e all’identità, provano a riciclarsi…”
S.E. FINZI MATTIA: “Uhm…vuoi dire, tipo Vertinotti?”
SENSINI FABIO: “Tipo Vertinotti. E dopo Vertinotti, chi arriva?”
S.E. FINZI MATTIA: “Niki Svendola.”
SENSINI FABIO: “Niki Svendola. E cosa fa Niki Svendola? Qual è la sua funzione storica?”
S.E. FINZI MATTIA: “Fa tante chiacchiere profetiche e poetiche, maledice il capitalismo, minaccia sfracelli, e al momento di votare sulle cose serie vota sempre con noi. Perché altrimenti cosa fa, il comunismo?”
SENSINI FABIO: “Ecco. Il Vaticano, la CEI, i preti in generale cosa fanno, adesso?”
S.E. FINZI MATTIA: “Uguale a Niki Svendola.”
SENSINI FABIO: “Perché altrimenti cosa vuoi che facciano? La Crociata? Il Regno di Dio?”
S.E. FINZI MATTIA [pausa]: “Poveracci, però…”
SENSINI FABIO: “Sì, un po’ fanno pena…”
S.E. FINZI MATTIA: “Secondo te non ci credono proprio più? Neanche il papa?”
SENSINI FABIO: “Mah…tu ci credi?”
S.E. FINZI MATTIA: “Io? Cosa c’entro io?”
SENSINI FABIO: “Non sei cattolico?”
S.E. FINZI MATTIA: “Anche tu.”
SENSINI FABIO: “Ci credono come noi, Mattia. E vogliono sopravvivere.”
[lunga pausa]
SENSINI FABIO: [ride] “Come diceva Romano Brodi…”
S.E. FINZI MATTIA e SENSINI FABIO [insieme, ridendo]: “I cattolici devono diventare adulti…”

Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.
M.o  Osvaldo Spengler

(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)


Chi è il  Maresciallo Osvaldo Spengler?  Nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”
***

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...





sabato 14 maggio 2016

 Un vecchio  film di  Mario Martone
Il pane e il vino 
di Renato Caccioppoli


Ieri ho rivisto  il film di Mario Martone su Renato  Caccioppoli ( Morte di un matematico napoletano, 1992).   Gramscianamente perfido il  ritratto delle diverse borghesie meridionali, napoletane e urbane in particolare: il fratello di Renato, borghese soddisfatto; i colleghi universitari, borghesi prepotenti e parassiti;  collaboratori,  allievi  e studenti,  borghesi  in  fieri e alcuni sgomitanti; i comunisti,  borghesi fascisti travestiti.  Sullo sfondo, come in un tazebao maoista, per contrasto, il popolo, dolente e sano, ma senza senza  saperlo. Diciamo, in attesa di spiegazioni.  E lui Renato Caccioppoli,  matematico con cattedra e albero genealogico anarchico, unico  vero  antiborghese tra i filistei,  che vaga per i vicoli di Napoli fine anni Cinquanta, in impermeabile da esibizionista (ma che non si dica...),  dai gusti culturali  aristocratici,  perfino nel largo gesto: non fuma, lancia volute di fumo ai giacobini napoletani del 1799.  Che,  a dire il vero, avevano arruolato più borghesi che aristocratici. E cosa più importante, i Pagano, i Cirillo & Co.,  a differenza del "matematico napoletano",  non  avevano mai  dovuto sorbirsi le relazioni di Togliatti al Comitato Centrale.        
Disillusione, insinua Martone.  Forse  - come  si intuisce -   per quest’ultimo motivo,  Caccioppoli, che  si  era  speso per il Pci, partecipando  perfino ai comizi,  si attaccò  alla bottiglia  come un poeta maledetto qualsiasi:  candidandosi  al suicidio prima per vie biliari, poi "provvedendo da se medesimo con arma da fuoco",  secondo il  verbale di polizia.   Muore -  ecco la tesi buchariniana di Martone - per crudeltà mentale della società borghese nei suoi riguardi. Suicidio come atto di rivolta e accusa verso i filistei fascio-comunisti: il comunismo burocratico come continuazione del fascismo con gli stessi mezzi, gentilmente forniti dal sempre riaffiorante egoismo borghese. Tesi originale, come un film di Ėjzenštejn....  E il liberalismo? Borghese pure quello. Non sia mai. A Caccioppoli, come lascia trapelare Martone,  non interessano, quando interrogato dal fratello, i libri di Croce  contenuti nella biblioteca  di famiglia.  Chiede invece di  Herzen, che il fratello, borghesissimo magistrato, non sa chi sia, proprio  come  un contemporaneo concorrente dell'  "Eredità".  
A dirla tutta,  si tratta  invece  del classico suicidio  di chi ha il pane e soprattutto il vino. Come dicevano, dei giacobini,  i contadini sanfedisti senza pane né vino. Certo, era il muro contro muro, la controrivoluzione si vendicava della rivoluzione.  Tuttavia, per venire al Novecento e  tornare  alla realtà,  che c’è di più borghese del colpo di pistola con il quale il cattedratico Renato Caccioppoli mise  fine alla sua vita? 


Carlo Gambescia      

venerdì 13 maggio 2016

Unioni civili
Renzi a "Porta a Porta" o "Porta Pia"?


“Ho giurato sulla Costituzione non sul Vangelo”. Così Renzi a “Porta Pia”, pardon “Porta a Porta”. Il mio  lapsus però ha una spiegazione. Una cosa del genere, in Italia, forse non si sentiva dalla famosa Breccia di  Porta Pia, che, al suono della fanfara dei bersaglieri, mise  fine al potere temporale del Papa, taratà-tatà, taratà-tatà.
Scherzo. Ma fino a un certo punto. Il  Liberalismo dell'Ottocento più che laico, fu anticlericale, probabilmente per necessità: il pericolo nero.  Per contro,  Fascismo e Democrazia Cristiana, clericalizzarono l’Italia, sempre per necessità: il pericolo rosso.
Oggi che neri e rossi, sono finiti in soffitta ( almeno così pare), un Presidente del Consiglio, giovane e decisionista,  ricorda a tutti gli italiani che la scelta religiosa, se si vuole restare all’interno di un quadro liberal-democratico, non può non essere un fatto privato, di coscienza.  Perciò un politico non può giurare sul Vangelo.  C’è, piaccia o meno, solo la Costituzione.  Se poi si  sogna  la società teocratica, ci si colloca direttamente fuori dalla società moderna. Altro giro, altra musica. Sacra. 
Si dirà,  tra l’altro l’ho sostenuto anch’io,   Renzi predica bene ma razzola male:  sulle unioni civili  l’ “usurpatore toscano”, come lo chiamano  i nemici,  ha posto  la fiducia conculcando in nome  dell’unità di partito la libertà di coscienza. Giusto.  Secondo i dieci comandamenti liberali, avrebbe sbagliato. Però da liberale triste,  realista,  pragmatico, sono con Renzi.  Che doveva fare?   Meglio poco - che poi non è poco -  che nulla.   Pertanto,  viva  l’Italia,  viva Renzi, viva la Repubblica. Laica.

 Carlo Gambescia                    

giovedì 12 maggio 2016

Cartelle esattoriali alle vittime del Bataclan
Anche gli eroi per caso, 
devono pagare le tasse?




Talvolta  il diavolo è nei dettagli…  O comunque,  il caso  particolare - ad esempio,  una breve nota di agenzia - può ricondurre al generale.  E spiegare il senso del tutto,  per dirla  con Aristotele, padre (anche)  di quella  logica induttiva,  poi perfezionata dai moderni.  
Qual è il particolare che ha attirato la nostra attenzione?  Che i familiari di alcune vittime del Bataclan,  dopo aver ricevuto notifica delle tasse in scadenza a nome dei loro cari, morti il 13 novembre 2015, non vogliono, come invece impone  la retorica welfarista, fare il proprio dovere. Non vogliono pagare, insomma.  E per quale motivo?  Lasciamo la parola agli interessati.

« "Abbiamo già abbastanza spese e sofferenze rispetto a quello che viviamo ogni giorno. Bisognerà guardare le cose molto da vicino affinché si possa ottenere una risposta in questo senso, vale a dire un esonero delle tasse", dice la madre di una giovane vittima, Patricia Correia, ai microfoni di BFM-TV. Per Emmanuel Domenach, vicepresidente di un'altra associazione legata al massacro del Bataclan, "queste persone non sono morte per la loro attività o la loro età. Sono morte per la Francia (....) E forse la Francia deve loro qualcosa"» 


Notevole. Da un parte c’è la macchina burocratica di uno stato,  inarrestabile, che vuole, a prescindere, come Shylock,  la sua  libbra di carne.  Dall’altra, persone che, guardandosi bene  dal discutere  la logica perversa  del welfare (più servizi, più tasse), logica che infierisce non solo dalla nascita alla tomba, ma perseguita  fin nella fossa,  implorano   “l’esonero”, adducendo  motivi patriottici.  Di ritorno. Contenti loro.
Ora, quel che è accaduto al Bataclan e dintorni,   resta qualcosa di  terribile.  Però ciò  che merita una  riflessione è il combinato disposto (welfarista)  tra  stato che impone un dovere  è  cittadino che chiede di essere esentato.  Non desideriamo entrare nella casistica avvocatesca e  previdenziale   sulla natura delle pensioni di guerra, del  trattamento fiscale dei congiunti dei soldati caduti in guerra, delle vittime civili dei bombardamenti eccetera, eccetera.   Alla fine, probabilmente una soluzione tecnica si troverà e quelle cartelle verranno annullate.  Come è moralmente giusto che sia. 
Però resta un fatto, che le vittime  erano  privati cittadini:  persone, che volevano solo divertirsi, morte per colpa di un potere pubblico che non ha saputo difenderle, secondo una tradizione (sui compiti minimi dello stato) che risale, per  i moderni, al grande Adam Smith.  
Di questo si dovrebbe parlare del principio, per così dire,  ante rem: di come il potere pubblico non sia stato capace di  assicurare l'ordine pubblico interno e la difesa da possibili aggressioni esterne. E non di pelose esenzioni, post rem, che lo stato dovrebbe ora concedere dall’alto della sua benevolenza post-patriottica. Le autorità francesi, nonostante le avvisaglie, avevano sottovalutato il pericolo, eccetera, eccetera.  Qui la loro colpa: ce ne sarebbe, forse,  per una causa:  pensiamo a quelle battaglie, anche giudiziarie, di tipo libertario, molto americane, di richiesta di danni da parte di privati contro lo stato.  E invece  siamo in Francia,  dove la società civile, statalista per eccellenza, continua a dire che non c’è nessuna guerra in corso, tutto è normale eccetera, eccetera. Quindi anche le tasse? Pare di sì. Al massimo, una piccola esenzione...
Del resto,  ancora oggi, le autorità politiche francesi -  Hollande in testa (un socialista, quando si dice il caso) -  sembrano ridurre "la guerra al terrorismo" islamista,  al livello di un’operazione di polizia interna e internazionale. Insomma, tout va très bien, madame la marquise...
Cosa aggiungere? Che,  per risalire dal particolare all’universale, siamo dinanzi a un classico caso di individualismo protetto: frutto avvelenato della cultura welfarista.  Non diritti ma esenzioni… Come dire, privilegi.  E lo stato benevolo (si fare per dire) incoraggia questa forma di individualismo dimezzato,  perché così  può  dividere in fasce economiche i  cittadini, tassarli, esentarli, e, sempre e comunque, comandarli a bacchetta.
E quei poverini  del Bataclan?  Sono certamente eroi, ma  per caso.                 
    

 Carlo Gambescia