domenica 31 marzo 2019

La Guerra Santa pro o contro la famiglia
C’era una volta il discorso pubblico liberale…



Oggi proveremo a tracciare  la storia recente  del dibattito o discorso pubblico liberale.  Quando si è avvitato? Quando sono mutati  lessico e toni? Quando si è fatta violenta  la comunicazione?   
Il  convegno internazionale di Verona sulla famiglia non è che il portato di questa involuzione. Si pensi,  in particolare,  agli slogan, terribili,  che i due contendenti,  tradizionalisti e pseudo-libertari, si scagliano contro a vicenda.  
Negli Stati Uniti, per  nobilitarle  le chiamano guerre culturali.   Oltreoceano,  addirittura  ci si uccide tra attivisti di segno contrario.  Ci si ammazza  sul serio:  di culturale e  teorico c’è molto poco.  C’è invece, sotto,  molta politica, come richiesta di finanziamenti,  leggi ad hoc, trattamenti preferenziali, quote, eccetera. Da contendersi, gli uni contro gli altri armati.  
Insomma,  come accade in questi giorni in Italia, sia i tradizionalisti sia gli pseudo-libertari vogliono soldi dallo stato.  Protezione totale, come variabile indipendente da ogni senso di responsabilità (come un tempo per i salari).  Che dire?  Individualisti con famiglie a carico dello stato.  Omo come etero. Il  violento linguaggio dei diritti è lo stesso.  E anche -  per ricaduta  -  l'altissimo tasso sociale, ripetiamo,  di irresponsabilità:  lo stato, come agente assicuratore, ma con polizze a costo zero. L'individualista protetto è un  free rider che scarica su un altro free rider, e così via, fino a quando il cerino acceso  resta nelle mani  dello stato...    
Ma torniamo al punto iniziale, quando sono mutati lessico e toni del dibattito pubblico?  Probabilmente con il Sessantotto, anno di nascita della cultura dei diritti civili con pesanti risvolti sociali.  Alla crescita dell’apparato welfarista, che ne è conseguita,  si è affiancata la  cultura del piagnisteo, la cultura  collettiva  delle rivendicazioni dei diritti sociali più fantasiosi. 
Pertanto,  siamo dinanzi  al diritto di avere dei diritti.  Si chiama individualismo protetto. Che, di rimbalzo, consacra il ruolo del potere pubblico nel redistribuirli.  Un mix infernale di protezionismo e individualismo.
Si potrebbe parlare di una sindacalizzazione dell’intera società, dove la controparte, contro la quale gridare,  è rappresentata dai gruppi di segno contrario  e dallo stato  che prontamente deve intervenire, o comunque di volta in volta dare ascolto e accogliere  le richieste più contraddittorie, per ragioni di consenso sociale. Di riflesso, più si alza la voce, più cresce la possibilità di essere ascoltati ed esauditi. Ripetiamo, regola che vale per tutti, tradizionalisti e pseudo-libertari.
Riassumendo:  1°) diritto di avere diritti, 2°) sindacalizzazione irragionevole; 3°) debolezza dei poteri pubblici, per corrotte  ragioni di consenso politico. 
A questi tre punti, che coprono il  periodo  anni Sessanta-Novanta del secolo scorso, si è andato, ad aggiungere, come  4°)  punto,  l’ “internetizzazione”  del  dibattito pubblico,  avvenuta negli anni Duemila.  Lo sviluppo  della  superficiale  cultura  del web   ha favorito, attraverso la rete sociale, l’ulteriore sviluppo di un  approccio violento e semplicistico al diritto  di avere diritti.
Una  vera e propria epidemia collettiva, fondata sull’egoismo e sull’odio, sugli strepiti dei  bambini capricciosi,  alla quale la politica, untuosamente, si è piegata.  Di qui, l’uso, sempre più diffuso,  di argomentazioni superficiali,  dai toni violenti e la conseguente  crisi (per alcuni fine) del dibattito o discorso pubblico liberale, fondato sul pluralismo ragionato e ragionevole, dai  toni soft e dai contenuti discussi  tra esperti.    
Concludendo,  la battaglia culturale (si fa per dire)  di Verona, tra tradizionalisti e pseudo-libertari, non è che un anello, neppure l’ultimo crediamo, della  grande catena di un individualismo protetto, ignorante e superficiale, che,  ideologicamente,  risale alla Contestazione degli anni Sessanta.
Siamo nelle mani di bambini villani, capricciosi. E violenti.


Carlo Gambescia