C’era una volta il discorso pubblico
liberale…
Oggi
proveremo a tracciare la storia recente del dibattito o discorso pubblico liberale. Quando si è avvitato? Quando sono mutati lessico e toni? Quando si è fatta violenta la comunicazione?
Il convegno internazionale di Verona sulla
famiglia non è che il portato di questa involuzione. Si pensi, in particolare, agli slogan, terribili, che i due contendenti, tradizionalisti e pseudo-libertari, si
scagliano contro a vicenda.
Negli
Stati Uniti, per nobilitarle le chiamano guerre culturali. Oltreoceano, addirittura ci si uccide tra attivisti di segno contrario. Ci si ammazza sul serio: di culturale e teorico c’è molto poco. C’è invece, sotto, molta politica, come richiesta di
finanziamenti, leggi ad hoc, trattamenti
preferenziali, quote, eccetera. Da contendersi, gli uni contro gli altri armati.
Insomma,
come accade in questi giorni in Italia,
sia i tradizionalisti sia gli pseudo-libertari vogliono soldi dallo stato. Protezione totale, come variabile indipendente da ogni senso di responsabilità (come un tempo per i salari). Che dire? Individualisti con famiglie a carico dello
stato. Omo come etero. Il violento linguaggio dei diritti è lo stesso. E anche - per ricaduta - l'altissimo tasso sociale, ripetiamo, di irresponsabilità: lo stato, come agente assicuratore, ma con polizze a costo zero. L'individualista protetto è un free rider che scarica su un altro free rider, e così via, fino a quando il cerino acceso resta nelle mani dello stato...
Ma
torniamo al punto iniziale, quando sono mutati lessico e toni del dibattito
pubblico? Probabilmente con il
Sessantotto, anno di nascita della cultura dei diritti civili con pesanti
risvolti sociali. Alla crescita dell’apparato
welfarista, che ne è conseguita, si è
affiancata la cultura del piagnisteo, la
cultura collettiva delle rivendicazioni dei diritti sociali più
fantasiosi.
Pertanto, siamo dinanzi al diritto di avere dei diritti. Si chiama individualismo protetto. Che, di rimbalzo, consacra il ruolo del potere pubblico nel
redistribuirli. Un mix infernale di protezionismo e individualismo.
Si
potrebbe parlare di una sindacalizzazione dell’intera società, dove la
controparte, contro la quale gridare, è
rappresentata dai gruppi di segno contrario e dallo stato che prontamente deve intervenire, o comunque
di volta in volta dare ascolto e accogliere le richieste più contraddittorie, per ragioni
di consenso sociale. Di riflesso, più
si alza la voce, più cresce la possibilità di essere ascoltati ed esauditi. Ripetiamo,
regola che vale per tutti, tradizionalisti e pseudo-libertari.
Riassumendo:
1°) diritto di avere diritti, 2°) sindacalizzazione irragionevole; 3°) debolezza dei poteri pubblici, per corrotte ragioni di consenso
politico.
A
questi tre punti, che coprono il periodo anni Sessanta-Novanta del secolo scorso, si è
andato, ad aggiungere, come 4°) punto,
l’ “internetizzazione” del dibattito pubblico, avvenuta negli anni Duemila. Lo sviluppo della superficiale
cultura del web ha
favorito, attraverso la rete sociale, l’ulteriore sviluppo di un approccio violento e semplicistico al diritto di avere diritti.
Una
vera e propria epidemia collettiva,
fondata sull’egoismo e sull’odio, sugli strepiti dei bambini capricciosi, alla quale la politica, untuosamente, si è piegata. Di qui, l’uso, sempre più diffuso, di argomentazioni superficiali, dai toni
violenti e la conseguente crisi (per alcuni fine) del dibattito o discorso pubblico liberale, fondato sul pluralismo ragionato e ragionevole, dai toni soft e dai contenuti discussi tra esperti.
Concludendo, la battaglia culturale (si fa per dire) di Verona, tra tradizionalisti e pseudo-libertari, non è che un anello, neppure l’ultimo
crediamo, della grande catena di un individualismo
protetto, ignorante e superficiale, che, ideologicamente, risale alla
Contestazione degli anni Sessanta.
Siamo
nelle mani di bambini villani, capricciosi. E violenti.
Carlo Gambescia