lunedì 31 marzo 2014

Il dibattito sull’ “abolizione” del Senato
Politica della logica



Piccola premessa. In uno dei suoi libri più belli l’economista Giuseppe Palomba dimostrò come  il dibattito politico, sul piano logico,  rischiasse regolarmente di  finire  dominato  non dalla logica della politica  bensì dalla  politica della logica,  e perciò di degenerare


in un dibattito dialettico [dove]  in mancanza della sintesi [si] procede per compromessi, [dove]  il costo delle disputa diventa sempre più  pesante e la patologia  del ragionamento assume le forme più gravi del cavillo, della speciosità, del sofisma (G. Palomba,  Lezioni di Economia Politica,  Roma Veschi s.d. ma 1975, pp. 33-34) .


Ora, la discussione  sull’ abolizione-trasformazione del Senato in Camera non elettiva,  è una  riprova, diremmo perfetta,  della  degenerazione logica evidenziata da Palomba. Ce ne fossero oggi di economisti così (ma questa è un’altra storia…).   
Infatti,  agitare i  fantasmi del  pericolo  per la democrazia (Grasso) e  della svolta autoritaria (appello promosso da Libertà e Giustizia)  indica  assoluta cattiva fede o,  peggio,  cecità ideologica   Come, per contro,   è sbagliato ridurre  tutta  questione a un semplice  problema di  tagli (Renzi ):  una democrazia funzionante non ha prezzo.  Il che  andrebbe spiegato anche alla destra qualunquista, politica e giornalistica…            
Pochi punti (tratti da G. Sartori, Ingegneria costituzionale comparata, il Mulino, Bologna 2013).
In primo luogo, non è  vero che il monocameralismo sia antidemocratico. Esiste  in Danimarca, Finlandia, Grecia, Israele, Lussemburgo, Nuova Zelanda,  Portogallo Svezia, Turchia, Islanda e Norvegia, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Slovacchia.
In secondo luogo, il  vero punto della questione non è che il bicameralismo funzioni meglio dell’unicameralismo o viceversa, bensì che di regola una delle due camere  deve sempre  prevalere  sull’altra.  Il bicameralismo perfetto,  come quello italiano  non funziona,   crea situazioni di stallo e alla lunga determina la nascita di movimento politici antisistemici.
In terzo luogo, se al bicameralismo perfetto, si associa, come in Italia, un sistema elettorale, che facilità la formazione di maggioranze diverse nelle due camere,  si unisce il peggio del bicameralismo perfetto con il peggio della metodologia elettorale.
Di questi tre punti si dovrebbe  discutere,  non di altro.  Purtroppo, dove prevale la politica della logica…

Carlo Gambescia

sabato 29 marzo 2014













Epigramma
di Robert  Lowell

Pensa a Leonida forse e agli opliti
scintillanti di liberazione
mentre si pettinavano l'un l'altro le botticelliane
chiome dorate alle termopili   amici e amanti, 
sposa e sposo  
e prendevano posizione per morire

                                 (trad. di Rolando Anzilotti)


giovedì 27 marzo 2014

Giancristiano Desiderio, Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce, Liberilibri, Macerata 2010, pp. 378,  euro 19,00 - 


http://www.liberilibri.it/giancristiano-desiderio/218-vita-intellettuale-e-affettiva-di-benedetto-croce.html



Benedetto Croce tra Risorgimento, fascismo, guerra e dopoguerra
 di  Teodoro Katte Klitsche de la Grange



Ad oltre mezzo secolo da quella, classica, di Nicolini, esce questa biografia di Croce, ad opera di Giancristiano Desiderio. Nato l’anno della terza guerra d’indipendenza e morto nei primi anni della Repubblica, la vita di Croce ha (quasi) coinciso con il periodo monarchico della storia unitaria. Nutrito degli ideali risorgimentali di costruzione dello Stato nazionale e liberale, nel crepuscolo della vita il filosofo si trovò a dover operare per la conservazione di quello Stato e far risorgere la nazione sconfitta.
Desiderio, nei dieci capitoli svolge un accurata e gradevole esposizione della vita e del pensiero del filosofo, attenta non solo agli eventi della vita pubblica, ma anche ai rapporti d’amicizia (primo fra tutti quello con Giovanni Gentile) e affettivi.
L’opera investe ambiti estesi e differenti, perché il pensiero e la vita di Croce furono ricchi e l’attività (letteraria, filosofica, politica) ininterrotta e lunga, per cui, nella spazio di una recensione, non è dato render conto di tutto.
Ci soffermiamo perciò sul dilemma di Croce nell’ultimo periodo della sua vita. Il Risorgimento aveva coniugato strettamente la libertà (politica) della comunità a quella individuale. L’Italia era stata voluta come patria libera e indipendente di cittadini liberi. Non c’era contrasto tra libertà degli antichi  e quella dei moderni (per dirla à la Constant): l’una e l’altra erano conseguenza dello Stato liberal-monarchico.
Questo vincolo s’incrinò gravemente con il fascismo e si spezzò con l’entrata in guerra. Come scrive Desiderio: “Ma, una volta coinvolta anche l’Italia in guerra, cosa sperare e augurarsi: la vittoria o la sconfitta? La Grande guerra, che pur cambiò il mondo, fu per l’Italia ancora una guerra dallo spirito risorgimentale… I due doveri – verità e patria -, per quanto si cominciasse a snaturarli e pervertirli, erano ancora tra loro in equilibrio e coniugabili l’uno con l’altro e Croce li tenne insieme nel suo spirito… Con la seconda guerra mondiale le cose erano ormai completamente diverse… Una vittoria dell’Italia fascista alleata della Germania nazionalsocialista avrebbe voluto dire il trionfo delle barbarie e l’asservimento dell’Europa e dell’Italia. La guerra non era conciliabile con il Risorgimento: ne era la negazione. Non era Croce ad essere cambiato. Era la patria che non era più la stessa. Ecco perché Croce non parlò di «fine del patriottismo» bensì di «sospensione»”.
Si capisce lo stato d’animo del vecchio patriota, culminato nel famoso discorso del 24 luglio 1947 alla Costituente contro la ratifica del Trattato di Pace (che il filosofo preferiva chiamare “Dettato” di pace), e che giustamente Desiderio definisce “profetico”. Carattere che condivide col discorso che pronunciò nella stessa occasione Vittorio Emanuele Orlando. Croce “vide lungo”: “E non vi dirò che coloro che questi tempi chiameranno antichi, le generazioni future dell’Italia che non muore, i nipoti e i pronipoti ci terranno responsabili e rimprovereranno la generazione nostra… vi dirò quel che è più grave, che le generazioni future potranno sentire in se stesse la durevole diminuzione che l’avvilimento, da noi consentito, ha prodotto nella tempra italiana, fiaccandola”. Similmente disse Orlando “L’Italia non può opporre al disfacimento cui l’atto la vorrebbe condannare che il fatto della sua esistenza come grande e gloriosa Nazione; e questo fatto è insopprimibile, malgrado ogni iniquità… non mettete i vostri partiti, non mettete voi stessi di fronte a così paurosa responsabilità. Questi sono voti di cui si risponde dinanzi alle generazioni future; si risponde nei secoli di queste abiezioni fatte per cupidigia di servilità”. Erano l’infiacchimento e il servilismo i mali – sempre presenti nella storia d’Italia -, che i due vecchi patrioti avvertivano e temevano. Correttamente l’autore sostiene che “La democrazia liberale di Croce non poteva esistere senza il fondamento della storia italiana che, nei suoi caratteri essenziali, doveva costituire il patrimonio comune della politica e della cultura che senza questo retroterra, avrebbero dato vita ad un paese diviso e a una democrazia fragile”; cosa puntualmente avvenuta.
Perciò non si può dire che Croce e Orlando non avessero visto giusto; a quel “dettato” ne sono seguiti altri, nonché “compiti a casa”, ramanzine, punizioni, recentemente anche da Stati, come la Germania, che la guerra non l’avevano vinta e non avevano titolo di vincitori. Per cui la sconfitta non è solo un fatto storico e politico, è anche un fatto spirituale se portata nell’animo e un popolo vi si adagia (s’infiacchisce), anche ad opera di “maestrini del pensiero” che più che di questo – ne sono stati, quelli del secondo dopo guerra, scarsamente  forniti- possono insegnare come far carriera.
Cioè tutto il contrario di quello che potevano (e volevano) insegnare veri maestri del pensiero (e di vita) come Croce e Orlando.

Teodoro Katte Klitsche de la Grange



Teodoro Katte  Klitsche de la Grange è avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/  ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),Funzionarismo (2013).


***
Croce il il Mourinho della filosofia italiana.
di Carlo Gambescia   

Se c’è un cosa che subito colpisce della biografia  di Croce,  scritta da Giancristiano Desiderio, giornalista, studioso di  filosofia, insegnante, è l’atteggiamento difensivista, un po’ trapattoniano.  Un “Primo: non prenderle” che però gli consente di  infilare  in contropiede  e  vincere  l’ undici  anti-crociano.   Undici si fa per dire,  perché  gli avversari di Croce, ancora oggi,  sono molti di più e  duri a cedere.   Si pensi solo alla polemica, non certo edificante,  poi  sfociata in tribunale,  risalente a qualche anno fa (di  cui  tra l’altro si parla nel libro) tra Roberto  Saviano,  lo scrittore "camorrologo"   e  Marta Herling,  nipote di  Croce. Chi non ricorda o desideri  saperne di più si legga il  libro oggetto di questa recensione…     
Desiderio, autore del Divino pallone,  sicuramente apprezzerà la metafora calcistica… La nostra -   avviso per chi  non ami  Croce né il calcio -  sarà un recensione  in stile “Domenica sportiva”, “Il calcio minuto per minuto”, eccetera. Lettore avvisato mezzo salvato.   
Parliamo  di  un libro ottimamente  articolato, per dirla con Brera, in dieci  normolinei  capitoli, (anzi undici, considerando il ghiotto saggio bibliografico) -  per  l’appunto come una squadra di calcio -  che  si apre guardingo (1. La vita come opera filosofica), prendendo subito le distanze dalla corriva  «leggenda del  Croce olimpico», ossia del filosofo con la testa tra le nuvole.  Per poi prendere le misure,  tenendo palla  a centrocampo,  grazie anche a un elegante fraseggio,  nei due  successivi capitoli (2. Casamicciola; 3. Angelina): un terremoto (1883) e una grave malattia (1913) che portano via al filosofo, rispettivamente, prima mezza famiglia (genitori e sorella)  e poi la compagna (Angela Zampanaro). E Croce per due volte viene  sfiorato dall’idea del  suicidio. Altro che nuvolette…  Senza dimenticare che tra le due date  Croce, oltre a innumerevoli e importanti ricerche di storia locale,  smonta il positivismo,  minimizza il  marxismo, costruisce la sua  filosofia della spirito e diventa senatore.  Insomma, si fa un nome, pur essendo    partito da “zero tituli”.  Se, ci si perdona l’accostamento,  diventa  il Mourinho della filosofia italiana.     
Qui, Desiderio entra nella metà campo avversaria, occupandola con  tre densi capitoli,   dedicati a  momenti fondamentali. L’incontro con Giovanni Laterza (4. Giovanni Laterza): due organizzatori che si trovano, abbracciano e creano dal nulla o quasi,  un importante capitolo di storia editoria italiana;  ; il primo conflitto mondiale (5. La  guerra): Croce rifiuta il grigioverde intellettuale, pur restando  fedele alla patria ;  il fascismo (6. Gli Hyksos) : Croce respinge e ridicolizza la mistica della  camicia nera,   rompe del tutto con Gentile, profeta di un’ etica  dello stato fascistizzato.
Dopo di che Desiderio, passa all’attacco e realizza  tre  reti. Tradotto: tre  ficcanti  capitoli in cui  affronta, sempre  in chiave di sviluppo biografico,  il liberalismo crociano (7. la libertà),  quale forma mentis degna di  uomini liberi, creativi, non dogmatici,  concreti perché immersi nella realtà, senza per questo cadere nell’economicismo;  il suo europeismo (8. L’Europa), che  profeticamente scorge, andando  oltre  i mali della guerra e della boria nazionalista,  la  possibilità di riallacciare i nodi  di  un comune destino; la storia italiana ( 9. L’Italia), come faticoso cammino verso le idee  ( da coniugare)  di  patria e libertà        
Negli ultimi minuti, ormai padrone del campo, Desiderio, ritorna sul rapporto Hegel-Croce (10. Hegel),  dando il giusto spazio all’importante ruolo giocato nell’ultimo Croce, dalla categoria della vitalità, come trascinante fattore pre-dialettico: un primum movens, forse,  di cui la dialettica  non può fare a meno. Si tratta di un terreno, quello della vitale,  esplorato, partendo proprio da Croce,   in chiave di reinvenzione del liberalismo tout court,  anche da Corrado Ocone,  altro instancabile cursore del centrocampo liberale.   
Non contento,  in piena “Zona Cesarini”, Desiderio mette a segno  la quarta rete (Saggio bibliografico):  un bellissimo gol  all’incrocio dei pali, palla colpita di collo pieno  su assist di una squadra di autori, consultati,  studiati e meditati, utilissima per chiunque desideri approfondire.
Insomma, risultato finale:  Croce 4  Anticrociani  0.  Veramente una bella partita.  Ci chiediamo, e chiediamo a Desiderio:  a quando la “Supercoppa”?  Fuor di metafora: a quando  una bella storia del liberalismo italiano? 

Carlo Gambescia


mercoledì 26 marzo 2014

La video-parodia dei marò di Luca e Paolo
Tanto rumore per nulla




Certe polemiche  sono immotivate. In Italia, ormai  si ride di  tutto e tutti, dal Papa a Napolitano.  Non si salva nessuno. Allora,  perché prendersela  se  “Glass”, il nuovo programma comico di Ricci,  tira in ballo in nostri marò prigionieri in India?          
Anche perché,  se si osserva bene,  la vide-parodia  di Luca e Paolo,   non è  rivolta  contro  i due marinai e le istituzioni militari (a parte il sottotesto sulla presunta gabbia dorata in cui i due vivrebbero), ma critica  principalmente i diversi governi (destra, sinistra, larghe intese)  che si sono succeduti.   L’unica a salvarsi  sembra essere la Bonino,  idoletto dei radical  chic.  Così come la Carrà,  da sempre bersaglio  della sinistra al caviale  viene  chiamata in causa, con altri “specialisti” del genere,  come sgradevole  simbolo del  talk show patriottardo.
Tutto sommato, Ricci & Co. non hanno infierito, restando nei limiti del  qualunquismo, magari  di  sinistra: Bonino vs Carrà.  Ma, come evidente,  senza esagerare.  Un Vauro,  per dire, ci sarebbe andato molto più pesante… 

Concludendo:  tanto rumore, per nulla. 

Carlo Gambescia

martedì 25 marzo 2014

Plebisciti,  bugie e videotape…  
Veneti siate seri


A nostri lettori, sempre così attenti,  non sarà sfuggito questo video messo in Rete da alcuni giorni:




Nel quale, pur in modo scherzoso, per un verso si allude alla forza trascinante dell’idea indipendentista, addirittura capace di mettere in crisi un truce  dittatore come Hitler,  per l’altro si elencano, giocando sul violento sfogo del dittatore,  le prepotenze e gli errori perpetrati da uno stato sempre più invadente  verso  una regione tra le  più produttive. 
Chi voglia approfondire direttamente l’argomento  può visitare il sito dei Promotori del Referendum e leggere la corposa documentazione sulla necessità di fare ciao ciao all’Italia (https://www.plebiscito.eu/public/perche-votare/le-ragioni-del-si ). Per inciso, notiamo che nella  HomePage  nonostante   sia in bella evidenza  un link dedicato,   “Le ragioni del no”,  attendono ancora di vedere la luce …
Non desideriamo entrare nel merito della  questione politico- economica né dei risultati del plebiscito.  Del resto, abbiamo già accennato  alla forza economica del Veneto,  frutto di una diffusa e trainante capacità imprenditoriale, purtroppo  penalizzata da un fisco occhiuto.  Così come non possiamo non riconoscere che la tradizione della “Repubblica veneta” è sicuramente meno inventata di altre… Tradotto: la Padania non è mai esistita, la Serenissima sì.
Però vorremo fare un’osservazione, prendendo spunto  proprio  dal video. Cosa vogliamo dire?  Che esprime una percezione sbagliata dell’intera questione: nel senso che  il  Veneto non è un territorio militarmente occupato, al servizio di una feroce macchina bellica,  né  l’Italia  può essere messa sullo stesso piano del  Terzo Reich.
Il nostro  è un Paese  libero, così libero da consentire ai suoi cittadini di mettere liberalmente  in discussione l’appartenenza stessa alla  Repubblica.  Il che non è poco. Se ipoteticamente,  oggi  Hitler fosse ancora  al potere, al primo cenno di dissenso il Veneto, se ci passa l’espressione,  verrebbe  “asfaltato”. Altro che referendum e libero dibattito…

Quindi, Veneti,  mai perdere il senso della misura, che pur avete sempre dimostrato di possedere… Insomma,  come disse   Garibaldi,  a noi romani,  siate seri.  

lunedì 24 marzo 2014

I poveri sono democratici?





Sul piano politico non c’è nulla di  più  inattendibile della  mansuetudine  attribuita ai  poveri  o comunque della bontà innata che animerebbe i ceti più bassi.  Qui, il  buonismo di stampo progressista, che celebra la naturale propensione alla democrazia e alla tolleranza   di poveri, operai e disoccupati  è  totalmente  fuori strada.
Una buona guida alla questione è  rappresentata dalla classica opera di Seymour Martin Lipset,  eccellente politologo americano scomparso nel 2006,  L’uomo e la politica (1960), dove si mostra in modo paradigmatico  come «isolamento sociale  e culturale», «mancanza di sicurezza economica e psicologica» predispongano i «ceti più bassi all’autoritarismo».  Lasciamo la parola Lipset:

«È chiaro che tale insicurezza sociale  incide sulla politica e gli atteggiamenti di ciascun individuo. Un forte stato di tensione esige uno sfogo immediato, e ciò si riscontra spesso nella ostilità che  si crea contro un capro espiatorio e nelle ricerca di soluzioni a breve scadenza con l’appoggio di gruppi estremisti. Gli studi infatti rivelano che i disoccupati sono meno tolleranti verso le minoranze di chi ha  un lavoro, e più facilmente tendono ad essere comunisti se appartengono al mondo operaio e fascisti se fanno parte della classe media». (S.E. Lipset, L’uomo e la politica, Edizioni di Comunità, Milano 1963, pp. 116-117, in particolare  pp. 99-137 (“L’autoritarismo della classe operaia”).


Si potrebbe pensare che l’analisi di Lipset  sia  in qualche  misura datata,  perché  troppo condizionata dal “complesso di Weimar” e dal  clima della  “guerra fredda”.   In realtà, il politologo americano,  oltre a spiegare il nesso tra deprivazione economico-culturale e  antidemocrazia,  individua alcuni tratti sociologici,  molto  utili  per analizzare e comprendere un fenomeno in crescita  come quello del  populismo  anti-europeo.

Osserva Lipset:

«L’accettazione delle regole  della democrazia presuppone un certo livello di cultura e un senso di sicurezza  personale. Meno uno è disinvolto e sicuro, più tende ad accogliere una visione semplificata della politica e meno riesce a capire perché debba tollerare coloro con i quali non va d’accordo; del resto gli riesce anche più difficile  comprendere o tollerare una visione gradualistica dei mutamenti politici» (Ibidem, p. 118).


Insomma, si vogliono risultati,  subito e a qualunque costo.

«Questo risalto dato a ciò che è immediatamente percepibile, e questo interesse per ciò che è personale e concreto, si spiega con la mancanza di  prospettive di  ad ampio respiro e con incapacità di percepire le complesse possibilità e conseguenze della azioni umane: il che spesso si traduce  in una generale predisposizione a sostenere movimenti politici e religiosi di carattere estremista, e in un grado generalmente più basso di liberalismo sulle questioni di natura non economica» (Ibidem, p. 122)

Riassumendo,

«Tutto ciò favorisce la tendenza a vedere la politica e i rapporti personali in termini di bianco o nero, crea un  desiderio di azione immediata, un’impazienza di parlare e di discutere, una mancanza  di interesse verso organizzazioni che hanno prospettive di ampio respiro, mentre determina nell’individuo la predisposizione a seguire capi che descrivono con sfumature demagogiche le forze cattive (si apolitiche che religiose) che stanno cospirando contro di noi » (Ibidem. p. 125).


Ora, se per un verso,  Lipset  “smonta” il mito del povero, dell’operaio, del  disoccupato, mansueti  e quasi istintivamente  democratici,  per l’altro mette in  primo piano la necessità della crescita economica e culturale, crescita che però,  inevitabilmente, declina  nei periodi di crisi. Di qui,  l’emergere, ieri   dei  movimenti fascisti e comunisti, oggi,  di quei populismi, nei quali  è possibile rivenire i  tratti sociologici,  così ben individuati dallo studioso americano.  Ovviamente, per l’Italia,  qualsiasi riferimento al  MoVimento Cinque Stelle  non è assolutamente casuale…  


Carlo Gambescia

sabato 22 marzo 2014

 


                          


                     Ode a Venezia

                             di Arnaldo Fusinato

È fosco l'aere, il cielo è muto,
ed io sul tacito veron seduto,
in solitaria malinconia
ti guardo e lagrimo,
Venezia mia!




Fra i rotti nugoli dell'occidente
il raggio perdesi del sol morente,
e mesto sibila per l'aria bruna
l'ultimo gemito della laguna.




Passa una gondola della città.
"Ehi, dalla gondola, qual novità ?"
"Il morbo infuria, il pan ci manca,
sul ponte sventola bandiera bianca!"




No, no, non splendere su tanti guai,
sole d'Italia, non splender mai;
e sulla veneta spenta fortuna
si eterni il gemito della laguna.
Venezia! l'ultima ora è venuta;
illustre martire, tu sei perduta...
Il morbo infuria, il pan ti manca,
sul ponte sventola bandiera bianca!




Ma non le ignivome palle roventi,
né i mille fulmini su te stridenti,
troncaro ai liberi tuoi di' lo stame...
Viva Venezia!
Muore di fame!




Sulle tue pagine scolpisci, o Storia,
l'altrui nequizie e la sua gloria,
e grida ai posteri tre volte infame
chi vuol Venezia morta di fame!


 Viva Venezia!
L'ira nemica la sua risuscita
virtude antica;




ma il morbo infuria, ma il pan le manca...
Sul ponte sventola bandiera bianca!




Ed ora infrangasi qui sulla pietra,
finché è ancor libera,
questa mia cetra.
A te, Venezia,
l'ultimo canto,
l'ultimo bacio,
l'ultimo pianto!




Ramingo ed esule in suol straniero,
vivrai, Venezia, nel mio pensiero;
vivrai nel tempio qui del mio core,
come l'imagine del primo amore.




Ma il vento sibila,
ma l'onda è scura,
ma tutta in tenebre
è la natura:
le corde stridono,
la voce manca...




Sul ponte sventola
bandiera bianca! 


                                    Arnaldo Fusinato (Schio, 25 novembre 1817 – Roma, 28 dicembre 1888),  poeta e patriota italiano.



giovedì 20 marzo 2014

I libri della settimana: Antonio Dentice d’Accadia, Giuseppe Palomba. Tra scienza ed esoterismo, pref. di Luigi Braco, Tipheret, Acireale-Roma 2013, pp. 160, euro 15,00; Id., L’economista Giuseppe Palomba. Metafisica dell’economia,pref. di Angelo Calabrese, grafica di  Antonio Orlando , Bonanno Editore, Acireale-Roma 2013,  pp. 112, euro 10,00 -http://www.bonannoeditore.com/it/libri_autore.php?id=1338




Habemus Papam!  Anzi, se il lettore ci  perdona  latino maccheronico e  caduta di stile,  Habemus Palombam!   Nel senso che, finalmente, Giuseppe Palomba (1908-1986), metaeconomista, geniale e dimenticato, ha trovato il suo biografo.  Parliamo di Antonio Dentice d’Accadia,  laureato in economia,  poco più di trent’anni, con spiccati interessi sociologici, storici, linguistici,  antroposofici, grafologici, tendenzialmente  creativo e  poliedrico  quanto Palomba.           
I volumi  sono addirittura due: Giuseppe Palomba. Tra scienza ed esoterismo eL’economista Giuseppe Palomba. Metafisica dell’economia. Dimenticavamo: anche Dentice d’Accadia è casertano come Palomba.  Il che come vedremo ha la sua importanza. Ma lasciamo  che sia proprio l'autore a spiegarlo:

«Ho conosciuto questo particolare personaggio qualche anno fa, per puro caso, in un fortuito incontro, trovandomi per tutt’altra ricerca, nella biblioteca di San Nicola la Strada, in provincia di Caserta, Giuseppe Palomba nacque nel paese dove attualmente risiedo e tempo dopo la sua scomparsa la famiglia donò alcuni libri della collezione privata  alla biblioteca del Comune (da allora porta il suo nome). Ed è stata proprio  la collezione di Palomba ad aprirmi una finestra  interessante nel suo universo: quasi una cinquantina di testi trattavano in varie lingue lascienza occulta, senza farsi mancare numerose e precise annotazioni per mano dello stesso professore; accurate dediche dei discepoli al loro carissimo maestro, a testimonianza dell’affetto e della considerazione di cui godeva  nell’ambiente iniziatico» (Giuseppe Palomba. Tra scienza ed esoterismo , p. 13, d’ora in poi GP-TSE,  il corsivo è nel testo). 

A proposito di quest'ultimo aspetto, va  segnalato il ricco corredo iconografico: il lettore potrà verificare  da sé, visivamente,  il valore delle dediche e della annotazioni. Una meraviglia.


Alcuni esempi di dediche e annotazioni 
( Antonio Dentice d'Accadia, Giuseppe Palomba. Tra scienza ed esoterismo, cit., pp. 43, 44, 85)

Entriamo nel merito. Lo scopo principale dei due lavori -  come dire, concatenati -  è  di  provare come  dietro il pensiero economico palombiano (cosa inconsueta  nel curriculum di un economista) si celi un consistente fondo filosofico-esoterico. Non per niente abbiamo definito Palomba metaeconomista, perché riteniamo che egli parta dall'economia per andare oltre l'economia. Quindi la nostra sintonia con la tesi di Dentice d'Accadia è assoluta. 
Parliamo però di un cammino che  avrà bisogno di qualche anno per sedimentarsi. Il  Palomba degli anni Trenta, giovane professorino, per sua stessa ammissione,  non si discosterà dal materialismo  medio dell’economista tipo, di ieri come di oggi.  Va detto subito che la ricostruzione biografica e critica, pur con accenni al periodo successivo e comunque  abilmente condotta da Dentice d’Accadia,  si arresta, grosso modo, alla prima metà degli anni Cinquanta.
Il che non è un male, perché  il  momento  di svolta del pensiero palombiano -  l'economia che deve farsi  metaeconomia, come punto non di ritorno -   crediamo risalga alla catastrofe del Secondo Conflitto Mondiale.  Come del resto  sembrano  comprovare i  volumi,  in particolare il primo, pubblicati da Palomba nel 1946: La crisi della civiltà moderna e Pagine di un economista (cfr. L’economista Giuseppe Palomba. Metafisica dell’economia, passim, d’ora in poi  EGP-ME).  Sui quali Dentice d’Accadia concentra, in modo ammirevole, tutto il fuoco analitico a sua disposizione.
Ma quali sono, per così dire,  queste “attività” extra-curricolari?  La parola a  Dentice d’Accadia:

« Gli interessi del professor Giuseppe Palomba andavamo ben oltre l’economia, la matematica e la sociologia, esprimendosi in un singolare ed eccentrico ecletticismo che lo arricchiva di: alchimia spirituale, magia, taoismo, antroposofia steineriana, cabala ebraica, buddhismo, Tutte dottrine che si finalizzavano nella comprensione della natura divina dell’essere umano e nella sua trascendenza e santificazione, oltre ad avere sviluppato una forma molto personale e particolare di cristianesimo iniziatico. Tra gli interessi figurano anche: il templarismo, l’arte della divinazione (astrologia, tarocchi, ecc.) e la storia della religioni (GP-TSE, p. 21, il corsivo è nel testo).

Un variopinto e non comune  mosaico di  predilezioni dell’anima (almeno per un economista accademico)  che   darà  vita a una  serie di fasi e  incontri, in cui

«troviamo esoteristi, filosofi, gnostici di fama mondiale. Con alcuni di loro  avrà modo di relazionarsi direttamente e di riceverne anche le lodi: Oswald Spengler, Julius Evola, René Guénon e Frithjof Schuon, che lo inizierà [nel 1948, ndr] all’islamismo mistico a Losanna. Tornerà  cristiano   nel 1953, vivendone comunque  una profonda dimensione personale e probabilmente pessimista. Ricordiamo inoltre la sua appartenenza a una Massoneria di Rito Scozzese Antico e Accettato di Napoli » (Ibidem) .

Oswald Spengler e Giuseppe Palomba!  Relazione a dir poco sorprendente, considerando  la scontrosità manifestata dal pensatore tedesco negli ultimi anni di vita. Vorremmo veramente saperne di più.
Ma torniamo ai volumi. Quale leggere per primo?  Il nostro consiglio, che  poi è lo stesso dell’autore, è di iniziare con Giuseppe Palomba. Tra scienza ed esoterismo. Perché  in questo modo si possono subito cogliere  le influenze esoteriche, occultistiche e magiche, tra l’altro esposte  in maniera molto dettagliata, diremmo esaustiva, anche dal punto di vista delle dottrine stesse, e quindi della possibilità per il comune lettore di addentrarsi in una  una materia che a prima vista  può apparire ostica.
Il centro analitico  è rappresentato dalla teoria dei quattro universi, che Palomba mutua (e reinventa) dall’estetica dell’arte di Stanislao de Guaita, « tra i giganti dell’occultismo dell’Ottocento e maestro del noto Oswald Wirth», come osserva Dentice d’Accadia (GP-TSE , pp. 109-113). Uno schema (ma considerarlo tale forse è riduttivo)  grazie al quale Palomba  distilla  in chiave analogica  un processo di regressione verticale nelle sfere  della metafisica,  della politica,  dell’economia.  Processo che si sviluppa  attraverso quattro fasi:  solare (di perfezione), lunare (di accettabile riduzione della perfezione),  venerea  (di deformazione della fase precedente), saturnina  (nichilista).
Tematica molto affascinante, ben approfondita da Dentice d’Accadia  in Giuseppe Palomba. Metafisica dell’economia (libro che quindi va letto dopo). Ma leggiamo le sue osservazioni.

«In coda al trattato di sociologia [La crisi della civiltà moderna, ndr] Palomba dopo aver descritto il modularsi dell’umanità  tra i  quattro universi, trae delle conclusioni e definisce una soluzione al problema della crisi  moderna servendosi di una tabella riassuntiva della codificazione. Nella colonna di sinistra compaiono i quattro universi, dal superiore all’inferiore (Sole, Luna, Venere, Saturno), nell’ultima colonna a destra vi sono i riferimenti ai metalli (Oro,Argento, Rame, Ferro) allo scopo di mostrare  la corrispondenza archetipica (…). Sul piano metafisico, gli universi agiscono oscurando gradualmente il principio etico: sul piano politico, oscurando quello libertario e su quello economico oscurando il principio utilitario»( GP-TSE, p. 82-83 ).

Schema riassuntivo dei "quattro universi" e delle sfere  di ricaduta 
(Antonio Dentice d'Accadia, Giuseppe Paolomba. Metafisica dell'economia, cit., p. 84)


Principio utilitario, sanamente inteso, ossia non traviato dall'avidità. Quadratura del cerchio? Diciamo che, negli anni a venire,  intorno alla questione si articoleràl'intero pensiero metaeconomico  di Palomba, quale gigantesco tentativo epistemico di spiritualizzare  la dionisiaca e magmatica  materia di cui si compone  l' economia.  Riuscirà nell'impresa? La risposta esula dalla recensione. Servirebbero parecchi tomi... Comunque sia, torneremo sull'argomento nella chiusa.  Altra domanda: come uscire dalla gabbia d’acciaio della ciclicità?  Come evitare che ogni volta   il mondo che ci circonda si trasformi in macerie ?  Le conclusioni di Palomba, anno di grazia 1946, non lasciano molte speranze. Come osserva Dentice d’ Accadia,

«per l’economista l’intera società è già finita, per differenti motivi storici e non, nell’Opera al nero  rappresentata dalla morte, dalla putrefazione e dall’annichilimento. È cosa terribile, ma necessaria per poter procedere oltre, verso successive forme, esattamente come il bruco, che morendo nella crisalide, risorge farfalla. (…). La necessità prima è riuscire ad agire sullo spirito  dell’umanità, per mutarne la carne e solo allora gli interventi istituzionali d’ogni genere avranno un reale e rigenerante effetto» (Ibidem, p. 86).

Per ragioni di sintesi, abbiamo dovuto usare il machete, privilegiando l'analisi-esposizione dell’approccio filosofico-esoterico palombiano.  E  per due ragioni: innanzitutto per  fornire ai lettori  il significato complessivo della mission euristica di Dentice d’Accadia; in secondo luogo, per evidenziare, a nostra volta,  l’originalità filosofica di Palomba, aperta a sfrenate galoppate nelle verdi praterie dell’assoluto e della metaeconomia,  nonché, per ricaduta, costretta ad avanzare faticosamente, pur di illuminarlo,  nell' arido e polveroso terreno dell’ economia e della sociologia.  Sotto quest’ultimo aspetto, Metafisica dell’economia è ricchissimo di informazioni e intelligenti spunti critici:   dall’ originale  collegamento tra Palomba  e Max Weber alle sue critiche a Pareto, Nietzsche, Freud, per citare i maggiori, critiche che si fanno ancora più dure  nei riguardi di nazismo e fascismo. In quest’ultima (dis-)avventura politica Palomba per sua stessa ammissione, aveva in qualche modo creduto, confondendo, e quindi sbagliando, come si legge, l’universo solare con quello saturnino: una tragedia. E di quelle che segnano per tutta la vita.
A proposito di quegli anni - anni di formazione -  suggeriremmo  un approfondimento del rapporto intellettuale tra Palomba ed Enrico Leone, sindacalista rivoluzionario, mente fervida ma tormentata (un Renato Caccioppoli delle scienze sociali napoletane),  morto  in manicomio,  autore di quel monumento alla scienza politica,  noto (a pochi) con il titolo di Teoria della politica (1931):  i “tipi ”  studiati da Leone ( politici, appropriatori, produttori),  tramite Pareto, si ritrovano anche in Palomba, anch’egli di formazione paretiana (via Amoroso).  Ferma restando la diversa concezione della politica: in Palomba,  «arte del governo» (come del resto nota giustamente anche Dentice d’Accadia,EGP-ME, p.48),  in Leone ( e Pareto)  conflitto, o se si preferisce continuazione delle guerra con altri mezzi. 
Inoltre,  quel che  ora andrebbe fatto -  non è una critica ma un modestissimo consiglio -  è  mettere in cantiere  un terzo volume (se non addirittura un quarto)  sull’incidenza  di  tutta  questa  complessa filosofia  nello sviluppo di tutta l’opera del Palomba.  Si pensi a  lavori  fondamentali, post 1946,  che hanno avuto più edizioni, addirittura  fino all’inizio degli anni Settanta (di qui, l’importanza anche di uno studio attento delle diverse e successive prefazioni),  come, Morfologia economica(1956), Fisica economica (1959), L’espansione capitalistica (1960). Senza dimenticare le numerose  raccolte di saggi sociologici che giungono  persino  agli anni Ottanta.  E, ovviamente, la cospicua  serie di titoli dedicati all’economia di impresa, al credito, al bilancio contabile, all’economia matematica tout court (tema quest’ ultimo  cui accenneremo nelle conclusioni), ai rapporti tra termodinamica, economia, entropia.
Si pensi infine  a quel capolavoro di sintesi,  un autentico  gioiello teorico, di erudizione  e capacità didattica, dove sembrano  tornare tutti i principali temi  della metaeconomia palombiana, rappresentato dalle Lezioni di Economia Politica (s.d. ma 1975), testo che andrebbe ristampato immediatamente.

Copertina e Indice di Giuseppe Palomba, Lezioni di Economia Politica, cit. pp.413-415) 


Un volume prezioso che consente, seppure a volo d'uccello, di scoprire il cammino percorso dal 1946. E in qualche misura di trovare una risposta circa gli esiti  della  fervida  ricerca palombiana. Siamo  al cospetto di un professore, di un Accademico dei Lincei,  che a differenza di tanti altri suoi colleghi, non ha mai tirato i remi barca, magari per pontificare su tutto e tutti: Palomba  non ha mai smesso di studiare.  Sotto questo profilo sarebbe interessante proporsi una sintetica opera di comparazione tra le Lezioni (1975), Introduzione all'Economica (1950) e il Corso di economia corporativa, 2 voll.(1940).   
Per tornare alle Lezioni (tra l' altro "dantescamente"  dedicate a François Perroux, altro economista poliedrico e dimenticato, attentissimo studioso delle relazioni fra potere ed economia) non si non  può notare, sempre  a proposito del punto di arrivo della ricerca palombiana, la notevole attenzione verso una « terza dimensione storica», quale  conquista definitiva e non più  semplice fase di un eterno processo ciclico, segnato dal ferreo declino di ogni civiltà.  Un sentiero -  certo,  in salita -  le cui tracce salvifiche Palomba sembra scorgere  nell’opera di  un  pensatore cristiano oggi altrettanto dimenticato: Teilhard de Chardin.  La citazione  è  lunga, ma merita un’attenta lettura.  Scrive Palomba:

L’opera di  Teilhard supera l’idea dei cicli cosmici, quasi compartimenti stagni, che secondo la tradizione indù, si ripeterebbero con estenuante monotonia […] . Per Teilhard cotesta cronologia non significa assolutamente nulla […]. La dottrina dei cicli storici indù diventa  un particolare  pessimistico, ma è irrilevante; la storiografia moderna fonda il suo ottimismo sull’idea di un’evoluzione puramente umana, che - per il cristiano - acquista valore efficiente solo se pensabile come riflesso dell’evoluzione dello spirito, evoluzione -  nel pensiero di Teilhard -  quasi necessaria e (diremo) fatale, che lascia all’uomo l’unica  scelta  di compierla attivamente nella durata della sua esistenza o passivamente in quella dell’esistenza cosmica; la storiografia cristiana alla Teilhard abbattendo fittizie separazioni fra scienza e fede e fornendo la possibilità di immergere la prima nella seconda, senza tuttavia confonderle ( come una conica qualsiasi, che risulta una specie particolare di sezione del cono e che non può mai assimilarsi al cono stesso), apre la strada alla conferma scientifica del dogma, come all’orientamento dell’assiomatizzazione scientifica stessa, e ciò per rendere meno aspro e meno lungo il cammino che separa lo stato umano dallo stato divino e dal Dio-Persona, cioè dal Figlio, dal Salvatore, dalla Luce increata. Defunctus adhuc loquimur!  È questa la restituzione della scienza economica ai dionisiaci spiritualizzati (Giuseppe Palomba, Lezioni di Economia Politica, Veschi, s.d. ma Roma 1975, pp. 410-411, grassetto nel testo.)

C’è veramente di che riflettere… La "terza dimensione storica", come esito di quel processo economico di spiritualizzazione dell'economia e quindi del concetto di utile. Ecco, forse,  il punto di approdo: non  ciclicità assoluta ma evoluzione spiritualizzata, frutto di un cristianesimo al tempo stesso privato e pubblico, iniziatico e collettivo. E per questo sempre solare e capace di andare oltre la vita e al tempo stesso in grado, pur non essendo del  mondo, di continuare a parlare al mondo... Chissà, potrebbe essere questo il senso del siracideo Defunctus adhuc loquimur! La nostra, inutile ripeterlo,  è una pura e semplice ipotesi di ricerca.
Molto interessante, infine, l’inciso sulla conica.  Palomba, di formazione economista matematico, si cimentò, come osserva Dentice d’Accadia «con le geometrie non euclidee, la meccanica quantistica, i gruppi di trasformazione, gli operatori hermitiani, ecc.» (GP-TSE, p. 24).  
Il che  però non  significa che l’opera di Palomba, studioso  refrattario ai confini disciplinari,  debba  essere ricondotta e studiata solo  nell’ambito delle discipline economiche a sfondo matematico, come ci è capitato di leggere (Enrico Petracca, Giuseppe Palomba, dalle radici ai confini dell’eterodossia economica, 2013, reperibile in Pdf - www.sturzo.it/files/agenda/petracca-enrico.pdf ).   È  più che lecito  designare Giuseppe Palomba tra i padri fondatori  dell’ «econofisica»,  ma a patto di  non restringerne il raggio d’azione disciplinare ai soli studiosi che, pur meritoriamente,  si sono adoperati  a relazionare,  sotto il profilo epistemologico, fisica ed economia. Insomma,  facendo a meno del surplus metaeconomico: quel vasto e affascinante  background filosofico  indagato da Dentice d’Accadia. Un universo culturale in cui, come mostra la metaeconomia palombiana, la logica dei numeri e delle cifre  rinvia sempre, seguendo un percorso   scalare e bidirezionale dal basso verso all’alto  - dall’essoterico all’esoterico e viceversa -   a una realtà  assoluta, trascendente  e di altissimo valore simbolico.  Agli occhi di certo neoscientismo bibliometrico   tutto ciò sarà pure lontanissimo dal seminato scientifico, disciplinare e soprattutto concorsuale,   ma  il  buon biografo non  può tenere conto, anzi non deve, dei soffocanti  "compartimenti stagni"  epistemologici, accademici e tabellari.  

 Dedica di Palomba a François Perroux 
(G. Palomba. Lezioni di Economia Politica cit., p. 3)

Concludendo, non possiamo non esprimere tutto il nostro apprezzamento per due libri,  dai quale i futuri studiosi di Palomba - si spera a tutto tondo -   non potranno prescindere.   

Carlo Gambescia