Il libro della settimana: Valter
Binaghi e Giulio Mozzi, 10 buoni motivi per essere cattolici, pref. di Tullio
Avoledo, Laurana Editore 2011, pp. 140, Euro 11,90,
http://www.laurana.it/ |
Werner
Sombart ne Il socialismo tedesco,
raccolse 187 «denominazioni» del termine socialismo. Si andava da «socialismo
sociale » a «socialismo centralista », per cinque pagine di fila. Probabilmente
per catalogare le definizioni di cristianesimo, religione bimillenaria, non
basterebbero libri su libri… Per questa ragione non ci convince il tentativo di
Valter Binaghi e Giulio Mozzi di produrre l’ennesimo libro in argomento: 10 buoni motivi per essere cattolici,
(pref. di Tullio Avoledo, Laurana Editore 2011, pp. 140, euro 11,90 - http://www.laurana.it/).
Ci spieghiamo subito.
L’idea dei «buoni
motivi» implica una visione del cattolicesimo, di qui l’interpretazione o
definizione: l’ennesima appunto. E di che si tratta? Binaghi e Mozzi, tifano
per un «cristianesimo-cattolicesimo» dell’amore. Se si vuole, delle emozioni,
poco sociologico, molto immaginario o immaginato… Ora, qualche pezza d’appoggio
al nostro discorso.
La religione
«cristiana cattolica (…) è, prima di tutto, una narrazione: un insieme, un
coacervo di narrazioni. È una storia d’amore difficile e contrastata - come
tutte le storie d’amore - tra un creatore e le sue creature» ( Binaghi e Mozzi,
p. 25). Un creatore, «tanto innamorato da farsi ammazzare nel più umiliante dei
modi – appeso a una croce, trafitti i polsi e i polpacci, ad agonizzare per ore
– per dare prova del proprio innamoramento» (Mozzi, p. 46). Perciò, ecco il
punto, trattandosi di una religione « fondata sul comandamento dell’amore, la Chiesa è caduta, secondo
Ivan Illich, nella più pericolosa delle tentazioni: quella di voler
“controllare – fino a regolamentarlo – questo nuovo tipo d’amore. Di creare
un’istituzione che lo garantisca, lo assicuri, lo protegga, criminalizzando il
suo opposto”. Corruptio optimi pessima.
Ignorando ciò che Gesù disse davanti al suo giudice (“Il mio Regno non è di
questo mondo”), la Chiesa
ha fatto non solo di se stessa un’istituzione selettiva e conservatrice, ma su
quel modello sono anche sorte le istituzioni secolari oppressive che
l’occidente ha prodotto via, e che svelano la modernità non come l’antitesi ma
come la perversione del cristianesimo» (Binaghi, p. 51). Per inciso, l’amico
Alain de Benoist, a proposito del rapporto cristianesimo-modernità, dice più o
meno le stesse cose. Ma lui non è cristiano…
Su
queste basi, alquanto fragili sul piano della reale comprensione del funzionamento
delle istituzioni sociali (che, attenzione, sono sempre selettive, gerarchiche
e conservatrici, a prescindere dal credo…), vengono poi declinati i buoni
motivi per essere cattolici. Motivi che possono essere più meno buoni, ma che
risentono di un vizio d’origine: quello dell’assiomatizzazione del Dio
dell’amore. Tesi, nessuno lo nega, che ha un fondamento teologico nel Nuovo
Testamento. Ma che purtroppo non ne ha uno di tipo sociologico. Il che
determina, nell’argomentazione di Binaghi e Mozzi, il mancato raccordo tra
dover essere (il Comandamento dell’amore) e l’essere (il necessario
funzionamento dell’istituzione-Chiesa, per forza di cose “sociologiche”, sempre
selettiva, gerarchica, e conservatrice…). Una frattura che Mozzi e Binaghi,
cercano di colmare puntando sul ruolo del profetismo, come punta dell’iceberg
movimentista, nel nome, semplificando, di una specie di trotzkismo cristiano,
all’insegna delle rivoluzione permanente: «Il profeta è dunque colui per il
quale in qualsiasi momento, un atto di libertà è possibile. O, se preferite, è
colui per il quale in qualsiasi momento un atto di speranza è possibile: il
nesso tra speranza e libertà mi pare evidente. Qui, nella percezione che un
atto di libertà e un atto di speranza sono possibili, nascono i gesti di
coraggio. Nascono i grandi amori. Nascono le grandi intuizioni cognitive.
Nascono le idee che guidano i popoli. Nascono le accettazioni estreme, come
quella di Maria. Nascono i rifiuti estremi, come quelli dei martiri (da Stefano
a Jan Palach). Eccetera» (Mozzi, p, 119). Perciò « anche la Chiesa , come ogni comunità,
ha bisogno di essere rinnovata nello Spirito, e dunque non può fare a meno del
profeta. Dagli Atti degli apostoli apprendiamo che ogni comunità cristiana
delle origini ne aveva uno. Ivan Illich direbbe che ha maggior ragione ne ha
bisogno, perché chi custodisce il dono più grande corre il più grande rischio:
quello di organizzare una cinta muraria a difesa di quel dono anziché
diffonderlo presso le genti, o di farne il fondamento e la giustificazione di
un potere, pervertendone totalmente il significato» (Binaghi, p.127).
Che Mozzi e Binaghi,
pensino a se stessi come nuovi profeti? Mah… sospendiamo il giudizio. Tuttavia,
questo modo trotzkista (il movimento è tutto, l’istituzione nulla) di intendere
il «cristianesimo-cattolico» è molto pericoloso. Perché rischia per un verso di
distruggere un equilibrio bimillenario, frutto di necessari compromessi (perché
sociologici) tra istituzioni e movimenti, mentre per l’altro di impoverire
quella cultura della mediazione che, piaccia o meno, è necessaria a una Chiesa
che pur non essendo del mondo deve comunque parlare al mondo. O no?
Quanto
al Dio dell’amore, non essendo santi, profeti, mistici, teologi non abbiamo le
carte in regola per pronunciarci. Con onestà, ammettiamo però di non avere
tanta simpatia neppure per il Dio del Vecchio Testamento.
Di una cosa invece
siamo più certi: l’uomo non è amore né odio allo stato puro. E i preti sono
uomini come tutti gli altri (dal Papa all’ultimo parroco). Di qui, tre
raccomandazioni ai cattolici (massì, ci buttiamo pure noi…): realismo, nel
giudicare come spesso vanno, o meglio non vanno, le istituzioni della Chiesa;
massima osservanza, per quanto umanamente possibile, del Decalogo; fede
assoluta, dopo aver chiuso e riposto i manuali di sociologia, nella Provvidenza
divina. Non è molto, ma può aiutare… Anzi, aiuta e da duemila anni.
Carlo Gambescia