Una lettera per Andrea Marcigliano
Caro Andrea,
Questa è
una lettera pubblica a te rivolta. E di scuse. Consentimi però, prima, di inviare i miei ringraziamenti collettivi agli autori dei numerosissimi attestati di stima, giuntimi ieri in forma privata. Devo sinceramente dire che avrei preferito
leggerli in calce alla mia replica. Comunque capisco.
Vengo a noi. Tra i commenti apparsi sulla pagina di Campi, uno mi ha colpito in particolare, il tuo. Certo,
quel che ieri hai scritto di A Destra per caso mi ha ferito. Forse,
se all’epoca tu avessi recensito il libro,
muovendo critiche, anche le più spietate, forse
il commento di ieri non ci sarebbe stato. Forse, e tre, saremmo rimasti amici.
Il condizionale è d’obbligo,
perché purtroppo è vero che in quel libro, scritto a quattro
mani (che io, sia chiaro, ancora considero preveggente, soprattutto nei riguardi della parabola finiana) sei liquidato con una battuta, infelice e ingiusta. E non mia. Però come coautore, non potevo e non posso sfuggire (come dire?) alla “chiamata di correo”. Tuttavia, posso ancora scusarmi. E pubblicamente. Ovviamente, a nome
mio.
Dico questo, perché a differenza, di un altro commentatore sempre
di ieri, di cui ricordo in altra occasione, molto lontana, una servile telefonata di scuse, ordinatagli
in alto, tu Andrea sei un uomo dalla schiena dritta, oltre che colto,
conoscitore di lingue straniere e dalle grandi capacità di lavoro. Nonostante
il silenzio di questi anni, ricordo
ancora con piacere, oltre ai sempre interessanti scambi di idee, quando mi onorasti, pubblicando con
Settimo Sigillo, di cui ero direttore
editoriale, un ottimo volume sui
comunitaristi americani.
Un abbraccio, credimi, sincero.
Carlo