Oltre “la non sconfitta” in Basilicata
La crisi del Pd come crisi del
riformismo
Si
rimprovera al PD, il più grande partito italiano di centrosinistra, di non dire cose di
sinistra. In Basilicata non è andato nuovamente a fondo, forse ha recuperato qualcosa, ma alleandosi con altri partiti probabilmente
più spostati a sinistra che al centro. Insomma, la
gestione Zingaretti, sembra proporsi di dire cose di sinistra.
Però, che
cosa significa dire di cose sinistra?
Bobbianamente, meno disuguaglianze.
Formali o sostanziali? Di
partenza o di arrivo? O tutte e due le cose? Quindi più statuto dei lavoratori e più welfare.
Lo stato sociale però costa. A
meno che non si punti decisamente sulla crescita economica. Ma come? Lasciar fare al
mercato... Guai, non è di sinistra. Allora, ricorrendo agli investimenti pubblici? Quindi più
tributi. Oppure più debito pubblico... Ma
finanziato da chi? Quindi, patrimoniale, forse... E con
le questioni ambientali, altro cavallo di battaglia, come la si
mette? Come conciliare grandi opere infrastrutturali con
la salvaguardia dell’ambiente? Tutela che, sempre a sinistra, ha assunto sapore millenaristico?
Queste
le contraddizioni concrete, sulle quali poi si erge la nobile ma fragile torre della battaglia per i diritti, che si riconnette nuovamente con
la questione dell’uguaglianza (e con le contraddizioni tra uguaglianza di
partenza e di arrivo), ma anche con quell’eccesso di legiferazione e di sprechi burocratici indotti che, messi
insieme, rischiano sempre di trasformare l’esercizio dei
diritti in corsa a ostacoli.
Non
è dunque facile dire cose di sinistra, soprattutto se in concorrenza con i
movimenti populisti, di destra e
sinistra, che giocano al rialzo, come
sta accadendo in Italia, liquidando la
sinistra, come il partito dei ricchi che vuole imbrogliare cittadini e lavoratori.
Certo,
si può giocare tatticamente, sulle contraddizioni del populismo, attendendo
il fallimento del suo versante sinistro, rappresentato dal Movimento
Cinque Stelle. Ma il vero problema è che dal punto di vista strategico, ammessa e non concessa la liquefazione dei pentastellati, il PD continua a barcollare, come l’intera sinistra nella storia d’Italia, tra riforme e rivoluzione.
La
dicotomia può sembrare desueta, dal momento che
il leninismo è alle spalle. Tuttavia, quel che manca alla sinistra, e al PD, è una robusta cultura riformista. La sinistra italiana in qualche misura è trascorsa dai sogni berligueriani di improbabili Terze
Vie a un blairismo orecchiato, senza passare attraverso la tappa intermedia ma
importante e formativa della solida socialdemocrazia. La stessa ala centrista del PD, post-democristiana, è tuttora su posizioni -
semplificando - cripto-dossettiane, al
fondo pauperiste. Certo, è vero che la crisi della sinistra riguarda anche altre nazioni europee. Ma il nostro Paese non ha grande cultura liberal-democratica alle spalle. Mai dimenticare che il fascismo ha natali italiani.
Ad esempio, il capitalismo italiano, per ragioni di
tardivo sviluppo, di liberale ha sempre avuto poco. Di qui, l’assenza di un produttivo confronto storico, a
parte alcune eccezioni, tra borghesia liberale e riformismo socialista. E su che cosa? Sulla necessità e sui reciproci vantaggi di
non tirare il collo alla gallina dalle uovo d’oro: il capitalismo.
Di
questo mancato confronto storico, sfociato
invece nella critica della democrazia
liberale, dello stato di diritto e del
mercato, insomma dell’orizzonte
imprescindibile di ogni autentico riformismo, approfittò il fascismo.
Oggi,
invece, sembrano approfittarne i populisti. Pertanto il problema, non è dire cose di
sinistra, perché le dice già Di Maio, e addirittura Salvini, come ai suoi tempi le diceva Mussolini. Ma dire cose riformiste. Però, come si fa a dirle senza
una seria tradizione socialdemocratica alle spalle?
Carlo Gambescia