martedì 26 marzo 2019

Oltre “la non sconfitta” in Basilicata
La crisi del Pd come crisi del riformismo




Si rimprovera al PD, il più grande partito italiano di centrosinistra,  di non dire cose di sinistra. In Basilicata non è andato nuovamente a fondo, forse ha recuperato qualcosa,  ma alleandosi con altri partiti probabilmente più spostati a  sinistra che al centro.  Insomma, la gestione Zingaretti,  sembra proporsi  di dire cose di sinistra.
Però, che cosa significa dire di cose sinistra?   Bobbianamente, meno disuguaglianze.  Formali o sostanziali?  Di partenza o di arrivo? O tutte e due le cose?  Quindi più statuto dei lavoratori e  più welfare.  Lo stato sociale però costa.  A meno che non si punti decisamente sulla crescita economica. Ma come? Lasciar fare al mercato...  Guai, non è di sinistra.  Allora,  ricorrendo  agli investimenti pubblici? Quindi più tributi.  Oppure più debito pubblico... Ma finanziato da chi?    Quindi, patrimoniale, forse...  E con  le questioni ambientali, altro cavallo di battaglia, come la si mette?  Come  conciliare grandi opere infrastrutturali con la salvaguardia dell’ambiente?  Tutela  che, sempre a sinistra,  ha assunto  sapore  millenaristico?  
Queste le contraddizioni concrete, sulle quali poi si erge  la nobile ma  fragile torre della  battaglia per i diritti, che si riconnette nuovamente  con la questione dell’uguaglianza (e con le contraddizioni tra uguaglianza di partenza e di arrivo), ma anche con quell’eccesso di legiferazione  e di sprechi burocratici indotti che, messi insieme, rischiano sempre di   trasformare l’esercizio dei diritti  in  corsa a ostacoli.   
Non è dunque facile dire cose di sinistra,  soprattutto se in concorrenza con  i  movimenti  populisti, di destra e sinistra, che giocano  al rialzo, come sta accadendo in Italia,  liquidando la sinistra, come  il partito dei ricchi  che vuole imbrogliare cittadini e lavoratori.



Certo, si può giocare tatticamente, sulle contraddizioni del populismo,  attendendo  il fallimento del suo versante sinistro, rappresentato dal Movimento Cinque Stelle. Ma il vero problema è che dal punto di vista  strategico, ammessa e non concessa  la liquefazione  dei pentastellati, il PD continua  a barcollare,  come  l’intera sinistra nella storia d’Italia,  tra riforme e rivoluzione.
La dicotomia può sembrare desueta, dal momento che  il leninismo è alle spalle. Tuttavia, quel che manca alla sinistra, e al PD,  è una robusta cultura riformista. La sinistra italiana  in qualche misura è  trascorsa  dai sogni berligueriani di improbabili Terze Vie a un blairismo orecchiato, senza passare attraverso la tappa intermedia ma importante e formativa  della solida socialdemocrazia.  La  stessa ala centrista del PD, post-democristiana,  è tuttora  su posizioni - semplificando -  cripto-dossettiane, al fondo pauperiste. Certo, è vero che la crisi della  sinistra  riguarda anche  altre nazioni europee.   Ma il nostro Paese non ha grande cultura liberal-democratica alle spalle. Mai dimenticare che il fascismo ha natali italiani.   
Ad esempio, il capitalismo italiano,  per ragioni di  tardivo sviluppo,  di liberale  ha sempre avuto poco. Di qui, l’assenza di un produttivo confronto storico, a parte alcune eccezioni,  tra  borghesia liberale  e riformismo socialista. E su che cosa?   Sulla necessità   e sui reciproci vantaggi  di  non tirare il collo alla gallina dalle uovo d’oro: il capitalismo.      
Di questo mancato  confronto storico,  sfociato invece  nella critica della democrazia liberale, dello stato di diritto  e del mercato,  insomma dell’orizzonte imprescindibile di ogni autentico riformismo, approfittò il fascismo.
Oggi,  invece,  sembrano  approfittarne i populisti.  Pertanto il problema, non è dire cose di sinistra, perché le dice già Di Maio, e addirittura Salvini,  come ai suoi tempi le diceva Mussolini.  Ma dire cose riformiste. Però, come si fa a dirle   senza una seria tradizione socialdemocratica alle spalle?

Carlo Gambescia