lunedì 18 marzo 2019

Un articolo di Alessandro Orsini
Trump,  terrorista suprematista?




Ieri sul “Messaggero”,  Alessandro Orsini,  cercava di  convincere i lettori circa  l’assenza di qualsiasi legame  fra Trump e il terrorismo suprematista.  Come, da ultimo, in Nuova Zelanda.  
Un articolo infarcito di esempi storici, però piuttosto recenti, per così dire “a breve”. Per provare che quando il  terrorismo suprematista  colpisce,  al potere, negli Usa,  si trovano  i democratici. A far  tempo dal famoso attentato di Oklahoma City del 1995.  Quindi nessun legame. Anzi, come si fa intuire, i  cattivi sarebbero proprio gli imbelli democratici.       
Tra l’altro, Orsini, propone una sua teoria del terrorismo, quella dell’ “incapsulamento sociale” ( modello DRIA),  basata su una specie di autismo politico. Tradotto: vado d’accordo solo  con chi abbia le mie stesse idee, ignorando qualsiasi altri tesi contraria.  Modello che,  a dire il vero, spiega tutto e spiega niente,  perché ricorda il  banalissimo  meccanismo comunicativo del Social,  come, del resto,  qualsiasi altra dinamica  dell’inclusione settaria,  quale  reiterazione del medesimo.  Però, ecco il punto, non tutte le sette  si armano e uccidono i diretti ( e presunti) nemici.  Storicamente parlando,  e non dunque per esempi recenti, molte sette, si pensi alla diaspora confllttualista, interna alla post-Riforma protestante,  abbracciarono la causa del pacifismo. Quindi il modello dell’incapsulamento sociale, zoppica concettualmente.   
Cosa vogliamo  dire? Che  gli esempi  storici (recenti)  e il modello DRIA (che spiega tutto e niente),  sono presentati da Orsini, come eccellenti e obiettive armi  euristiche. Presentati...    In realtà, sono armi  retoriche. Per quale ragione? Perché si vuole ribattere - per carità,  anche a ragione  -  alle tesi di una sinistra intellettuale, che, in modo altrettanto retorico, sostiene, su basi prettamente ideologiche, che Trump e i suprematisti sarebbero la stessa cosa, anzi che il primo sarebbe diretta causa dei secondi. Di qui, l’attuale escalation.
Ora, a dire il vero,  che sia esistita, non solo  affinità ideologica, ma anche di fatto,   tra un miliardario e un terrorista, non sarebbe  novità assoluta: dal treno di Lenin  agli aerei di Osama.  Ma nel caso di Trump, si dovrebbe provarla. E sul punto la sinistra tace.
Come rispondere allora?   C’è un legame (o meno) tra il populismo razzista, professato da Trump  e gli attentati suprematisti?  Diciamo pure  che il miliardario americano, assurto alla Casa Bianca, è la punta dell’iceberg, per così dire, cognitivo.  Insomma,  non tanto del terrorismo suprematista, alla stregua di una specie di “Imperatore” del KKK, che dia ordini,   quanto  di un approccio semplicistico alla politica, dunque cognitivo. Che consiste  nell’indicazione al popolo, stravolgendo tempistica  e  modalità  del dibattito pubblico, di un  capro espiatorio,  quale  soluzione finale, e semplicistica,  di tutti problemi. Basta schiacciare il foruncolo...
Come ammette lo stesso Orsini “la logica di chi lotta non è la logica di chi vuole comprendere”. Perfetto. Ovviamente, Orsini, si considera tra coloro che vogliono "comprendere". Del resto è un professore.    
Però, curiosamente sembra sfuggirgli  un fatto fondamentale, denso di gravissime conseguenze pratiche. Che  una volta ammessa, sul piano cognitivo,  l’esistenza di un capro espiatorio ( il nero,  l’immigrato, l’islamico, il gay, eccetera, eccetera), premere il grilletto resta la cosa più facile da fare.   Perché è vero, che “la politica è lotta per la conquista e conservazione del potere”, ma resta  altrettanto vero  che il ricorso  all’uso della forza,  sebbene talvolta necessario, anzi addirittura ricorrente,  non è l’unica risorsa della politica.  Lo diviene invece, sempre,  quando si introduce la logica semplicistica del capro espiatorio. 
Se ci si  perdona, la banale metafora alla Cacciari,  Clinton e Obama svolgevano verso  questo tipo di logica semplicistica il ruolo del Katéchon, di coloro che frenavano. Trump, per metterla sull’automobilistico,  invece, spinge a tavoletta. Da autentico irresponsabile.  Di qui la sua pericolosità.  Che a Orsini, studioso che vuole “comprendere”,  sembra invece sfuggire.  

Carlo Gambescia