lunedì 10 febbraio 2025

Il paradosso della spada

 


Google si è subito allineata alla decisione di Trump di cambiare il nome del Golfo del Messico in Golfo d’ America.

Il gigante digitale, che stando alle cronache complottiste, minacciava la nostra libertà, si è inchinato, senza fare una piega alla spada politica.

Il che suggerisce una riflessione. Tutta la letteratura, sul potenziale liberale e illiberale del digitale, sembra avere perso di colpo tutto il suo fascino. Perché?

La tecnologia rinvia all’uso che ne fa l’uomo, e l’uomo agisce sulla base dei più vari criteri, tra i quali c’è il fondamentale criterio politico, che a sua volta rimanda al potere di comandare e di essere obbediti.

Ovviamente il potere politico si basa sulla forza e sul consenso, o comunque su una combinazione sociale di questi fattori. Di conseguenza quanto più il potere è esteso e concentrato, per ragioni di forza o consenso, tanto più diviene difficile per l’individuo micro o macro (dal singolo cittadino al gigante economico) sottrarsi al dovere di obbedienza.

Il che significa che l’ultima parola, piaccia o meno, spetterà sempre alla spada. Si rifletta su un punto preciso: l’essere umano può rifiutare di piegarsi, opponendo a sua volta spada a spada. Il che spiega, almeno in parte, la lunga sequenza storica di guerre e rivoluzioni. E questa è la prima parte del paradosso della spada.

Passiamo alla seconda. Se Google si fosse rifiutata di cambiare la denominazione del Golfo del Messico cosa sarebbe accaduto? Che sarebbero seguite misure punitive. Diciamo illiberali. Un terreno sul quale Trump sembra muoversi a suo agio. 

Per capirsi: Google Maps, sul piano formale, può anche essere una meraviglia della tecnologia digitale, però dei suoi contenuti, in ultima istanza, decide la spada politica. Nel caso specifico ha deciso quella sovranista, o per meglio dire dei “patrioti”: si legga pure nazionalisti sfegatati.

Si può osservare che il nostro ragionamento è piuttosto semplicistico. Perché il mondo moderno è caratterizzato da leggi, mercati, scienza e tecnica, nonché da quel fenomeno ideologico conosciuto come liberalismo che sembra giustamente preferire alle pallottole le schede elettorali. Insomma il moderno è una realtà complessa che non disdegna, anzi promuove la pacificazione. Detto altrimenti, il rifiuto dell’uso della spada.

Purtroppo, le intenzioni, per quando buonissime e condivisibili come quelle liberali, non sono sufficienti. La tecnologia, anche come impresa economica, se spinta nell’angolo dalla spada politica, “deve obbedire” con un qualsiasi altro cittadino.

Si potrebbe definire questo nostro tempo, grosso modo, dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, come il nuovo tempo della spada. Del rifiuto, spesso anche grossolano, della pacificazione liberale.

Pertanto appellarsi ai meriti della tecnologia, oppure evocarne i demeriti non serve assolutamente a nulla. Magari nutrendo l'illusione  che la tecnologia, per forza propria, condurrà a un’età dell'oro, di pace, eccetera, eccetera.

E qui, come detto, veniamo alla seconda parte del paradosso della spada: perché, come insegna la metapolitica, l’idea di pacificazione liberale, che rimanda al rifiuto della spada, andrebbe difesa proprio sfoderando la spada. Cosa che al liberale ripugna.

Esiste, però – ne abbiamo parlato in un nostro libro (*) – una forma di liberalismo politico, archico, triste, realista, perché costretto ad agire talvolta di controvoglia, ma ad agire. E qui si pensi a una figura come quella di Churchill, che ebbe il coraggio di rispondere alla sfida di Hitler. E vinse. Oppure a liberali come Raymond Aron, lucidissimo, capace, negli anni della Guerra Fredda, di “immaginare il disastro” di un cedimento di tipo pacifista al comunismo sovietico (**). E quindi perfettamente in grado di non sottovalutare, quando necessario, il ricorso alla spada.

Ora, proprio alla luce del liberalismo triste, il paradosso della spada, non sembra privo di logica. Perché una logica c’è. Purtroppo. E si chiama lotta per l’esistenza.

Carlo Gambescia

 

(*) Carlo Gambescia, Liberalismo triste. Un percorso: da Burke a Berlin, Edizioni Il Foglio, 2012.
(**) Si veda in argomento Jerónimo Molina, L’immaginazione del disastro. Raymond Aron realista politico, Edizioni Il Foglio, 2024.

domenica 9 febbraio 2025

Trump e il “White House Faith Office”

 


Altro ordine esecutivo di Trump. In effetti si tratta di un rilancio. O se si preferisce di un potenziamento. Il “White House Faith Office” ( o Ufficio della Fede della Casa Bianca) andrà a sostituire il “White House Office of Faith-Based and Community Initiatives” or “White House OFBCI”, istituito nel 2001 da Bush figlio (*). Molti lettori ricorderanno, il cosiddetto conservatorismo compassionevole che animò superficialmente la presidenza Bush. Tutto molto blando.

Come del resto sotto le successive presidenze Obama e Biden. Va detto che lo stesso Trump, durante il suo primo mandato non spinse eccessivamente sull’acceleratore dell’integralismo religioso cristiano.

Per contro, sembra che ora  voglia fare sul serio. Potenziandone i compiti e chiamando al vertice del White House Faith Office una telepredicatrice, già sua madrina spirituale: il pastore evangelico Paula White-Cain. Figura ultraconservatrice, tra l’altro chiacchierata, per alcuni infortuni economici. Cooptata, unitamente ad altri due collaboratori, altrettanto reazionari (**).

La scelta suona come minacciosa, perché se per un verso si parla di uno strumento “a difesa della libertà” per l’altro si sottolinea la necessità di utilizzarlo per “combattere le forme antisemite, anti-cristiane e ulteriori forme di pregiudizio anti-religioso” (Sec. (a) 4 – i). Inoltre si introduce un non precisato meglio rapporto di “collaborazione con il Procuratore Generale, o un designato del Procuratore Generale, per identificare le preoccupazioni sollevate da entità religiose” (Sec. (a) 4 – x).

Infine sotto il profilo organizzativo i vari Centri periferici per la fede coordineranno, raccordandosi con Washington, le varie attività, anche nell’ambito della concessione di finanziamenti pubblici e del monitoraggio di quelli privati (esentasse) (Sec. (a) 4 – iv-ix).

L’intento ideologico, oltre a quello giustissimo di perseguire l’antisemitismo, è di privilegiare la fede cristiana, nella versione evangelica e fondamentalista.

Già nel 2001 Bush junior venne criticato perché il White House OFBCI – fatto innegabile – interferiva con il tradizionale principio americano di libertà religiosa, a suo tempo così ben colto da Tocqueville ne La democrazia in America e racchiuso nel I Emendamento.

Che per l’ appunto recita che il “Congresso non potrà porre in essere leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione o per proibirne il libero culto”.

Ora Trump, come detto, addirittura potenzia. E in contrasto, come pare, con la Costituzione.

Il che chiama in discussione la teoria dei poteri impliciti. Ci spieghiamo meglio.

Negli Stati Uniti la dottrina dei poteri impliciti, che definisce l’ampiezza ed i limiti d’azione di un’autorità, pubblica o privata, rinvia all’ applicazione della "necessary and proper clause" (clausola necessaria e propria) contenuta all’Art. 1, sez. 8, comma 18, della Costituzione, che attribuisce al Congresso il potere di adottare tutte le leggi necessarie ed opportune per l’esercizio dei poteri enumerati nella sezione stessa e di tutti gli altri poteri che la Costituzione conferisce al Governo degli Stati Uniti. Quindi, per estensione logica, secondo alcuni osservatori, anche al Presidente.

Secondo questa teoria se lo scopo è legittimo e costituzionale, allora, sempre per estensione logico-giuridica, tutti i mezzi che sono appropriati e vengono adottati chiaramente al fine di perseguirlo, e che non sono espressamente vietati dalla Costituzione, sono legittimi e  costituzionali.

Nel caso del “White House Faith Office” siamo dinanzi a un ordine esecutivo del Presidente, strumento non previsto espressamente dalla Costituzione, che tuttavia all’Articolo II, statuisce il principio, generico tra l’altro, di conferimento al Presidente del potere esecutivo. Però, ecco  i  due  punti critici:  1) un ordine esecutivo, già costituzionalmnete ballerino,  che va a potenziare il ruolo della religione cristiana,  in  contrasto 2)  con il I emendamento.

Qui ovviamente entra in gioco il tradizionale ruolo del potere giudiziario nell’arginare il potere esecutivo. Il che può portare inevitabilmente a conflitti costituzionali. Ma, per oggi, non desideriamo imbrogliare troppo le cose.

Insomma Trump conferma le sue propulsioni, diciamo così, politicamente fondamentaliste, anche nella sfera religiosa. Di qui il pericolo, già abbastanza concreto, di debordare e di avviare involuzioni autoritarie, se non addirittura di altro genere, nel sistema politico statunitense.

Un bel problema.

Carlo Gambescia

(*) Qui https://www.whitehouse.gov/presidential-actions/2025/02/establishment-of-the-white-house-faith-office/ .

(**) Qui: https://www.whitehouse.gov/presidential-actions/2025/02/president-trump-announces-appointments-to-the-white-house-faith-office/ .

sabato 8 febbraio 2025

Preparare il passaporto?

 


Cari amici lettori, in Italia le cose, politicamente parlando, andranno sempre peggio. La decisione di Giorgia Meloni di appoggiare l’ordine esecutivo di Trump sulle sanzioni americane contro la Corte Penale Internazionale(*) , non è un’occasionale scelta di campo, ma una vera e propria svolta ideologica.

Non sottoscrivendo la dichiarazione condivisa in sede  ONU da 79 paesi contrari alle decisioni di Trump (**), l’Italia ammette ufficialmente, come una qualsiasi dittatura, di essere nemica dei diritti umani e dell’ idea di una giustizia internazionale tesa a difendere i diritti dell’uomo.

Si può osservare che Trump è stato eletto dal popolo, che gli Stati Uniti sono un paese democratico, che l’isolazionismo trumpiano non è assimilabile al fascismo o all’ideologie autarchiche difese dalle dittature.

E sia. Però, qui, il vero pericolo è nel fatto che il primo partito al governo in Italia, Fratelli d’Italia non ha mai fatto i conti con il fascismo, a suo tempo nemico della Società delle Nazioni e amico di Hitler.

Il sostegno a Trump, piaccia o meno, si riallaccia all’ideologia fascista e al suo odio per i diritti dell’uomo e per le istituzioni internazionali poste a difesa. E non a una tradizione politica americana, per quanto antipatica e dannosa per l’umanità.

Molti dimenticano una cosa fondamentale: che l’Italia è il paese che ha “inventato” il fascismo. Se Trump, per così dire, può rivendicare le tradizioni di un isolazionismo democratico, che però negli anni Trenta favorì la scalata al potere di Hitler, l’Italia ha un grave precedente antidemocratico: quello del rifiuto “categorico”, per citare Mussolini, dei diritti dell’uomo.

Ripetiamo, ammesso e non concesso che Trump sia in buona fede, dietro la decisione dell’Italia di sostenerlo aleggia il fantasma del fascismo. O quantomeno, come da tempo osserviamo, quello della tentazione fascista (***)

Inoltre, se dietro la decisione di Trump vi fosse non l’isolazionismo democratico (che però come la storia dimostra, favorisce i prepotenti politici), ma, cosa priva di precedenti in 250 anni di storia americana, un progetto involutivo di trasformazione degli Stati Uniti in democrazia autoritaria, se non in uno stato parafascista o addirittura fascista (****), per l’Italia, sotto l’ombrello protettivo, di un dittatore a Washington, sarebbe molto più facile regolare i conti. E con chi? Con coloro che Giorgia Meloni, usando il classico lessico evocativo fascista, bolla come gli “anti-italiani”, cioè chiunque non la pensi come un governo nemico dei diritti dell’uomo.

Pertanto gli italiani consapevoli di quello che si rischia hanno due possibilità: o un’opposizione politica dura, che spieghi in modo chiaro e netto cosa accade, ovviamente finché sarà possibile, oppure chiedere per tempo il rilascio del passaporto e così votare con i piedi.

A dire il vero, rimane anche una terza possibilità, conoscendo gli italiani, più verosimile: quella di fare finta nulla e pensare ai fatti propri.

Cosa già capitata una volta. Il risveglio però fu brusco.

Carlo Gambescia

(*) La CPI (o ICC), istituita il 17 luglio 1998 ed entrata in vigore nel luglio 2002, conta 124 Stati membri (33 dall’Africa, 19 dall’Europa orientale e 25 dall’Europa occidentale, e altri come il Canada). Gli Stati Uniti, Israele, Russia e Ucraina non sono membri della Cpi. Anche Cina e India non riconoscono la giurisdizione della Corte. Il tribunale è formato da 18 giudici, provenienti ciascuno da un Paese diverso, eletti dagli Stati membri: il mandato è di 9 anni non rinnovabili. Qui: https://www.icc-cpi.int/ .

(**) Tra i 79 paesi firmatari della dichiarazione ONU, che tra l’altro costituiscono circa due terzi dei Paesi che hanno ratificato lo statuto sulla Cpi, oltre al Canada figura la quasi totalità dei paesi europei: Gran Bretagna Francia, Germania, Belgio, Grecia, Irlanda, Paesi Bassi, Svezia, Bulgaria, Danimarca, Finlandia, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Lussemburgo, Estonia, Spagna, Cipro, Lettonia, Croazia, Austria e Malta. Qui: https://www.un.org/en/events-and-news .

(***) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/search?q=T.+Kunnas%2C+La+tentazione+fascista .

(****) A dire il vero, anche se non ufficializzato da Trump durante la campagna presidenziale è agli atti il Project 2025, vero e proprio programma di governo, curato dalla Heritage Fundation, dal chiaro taglio reazionario. Si veda qui: https://www.project2025.org/ .

venerdì 7 febbraio 2025

Le destre del patto scellerato…

 


Quando persero le destre il diritto a governare? Dopo il patto scellerato con il fascismo. 

Scegliendo il fascismo, ad eccezione dei conservatori britannici e dei repubblicani statunitensi e di altre piccole riserve politiche (Australia, Canada, Nuova Zelanda), le destre dimostrarono, senza ombra di dubbio, una preoccupante inclinazione all’autoritarismo e di apprezzamento per Hitler e Mussolini.

Va onestamente riconosciuto che almeno fino al 1935-1939, addirittura negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, i due dittatori, elevati a efficace barriera contro il comunismo, riscossero fiducia. Un cristallino conservatore britannico come Neville Chamberlain, a differenza del più pragmatico Churchill, confidò fino all’ultimo nella parola data di Hitler. Con conseguenza disastrose. Che invece Churchill aveva intuito.

Se si ripercorre la storia post 1945 si scopre che nel mondo occidentale (euro-americano e propaggini, anche importanti come il Giappone) la destra (nelle sue varie sfumature, conservatrice, tradizionalista, religiosa, reazionaria, eccetera) è stata sempre, a prescindere diciamo,  confinata ai margini dai governi di centro e di centro-sinistra. O comunque monitorata e solo raramente, caso per caso, coivolta politicamente, senza  alcuna volontà di integrarla.  Anche per una palese immaturità democratica della stessa destra.

La formula che da allora ha governato l’Occidente è stata quella di un governo riformista, che tiene fuori comunisti, fascisti e conservatori, quando sospetti di collusioni o riedizioni. Una formula che ebbe successo, soprattutto sul piano dello sviluppo economico. Però con costi sociali – va riconosciuto – molto elevati sul piano della spesa pubblica.

Un riformismo welfarista dai lineamenti cristiani, socialisti e liberali, dai colori più o meno accentuati secondo il paese. Esclusi Stati Uniti e Gran Bretagna, nazioni dal bipartitismo forte, nel resto dell’Occidente, con maggioranze variabili, si registrò la prevalenza della formula riformista.

Il tutto per tenere fuori una destra, che, come si diceva e con ragione, non dava affidabilità democratica. E che di conseguenza, talvolta esplicitamente, talaltra tacitamente, veniva tenuta fuori dal governo.

Come ogni altra formula politica, il riformismo non poteva non entrare in crisi, per un verso perché il potere logora, per l’altro perché le masse elettorali, a differenza delle élite dirigenti ( ma neppure tutte), rinnovandosi generazionalmente, tendono a dimenticare. E nel caso specifico a scordare lo scellerato patto tra conservatori e fascisti tra le due guerre. E con esso, pur recependolo sotto altre vesti linguistiche, come nel caso del “sovranismo”, il vocabolario concettuale della tentazione fascista: nazionalismo, protezionismo, razzismo.

Inoltre la diffusione (riformista) del welfare si è dimostrata un’arma a doppio taglio: per un verso ha moltiplicato i diritti sociali, per guadagnare consenso, per l’altro ha favorito la crisi fiscale dello stato.

Sotto questo aspetto le reazioni liberali di figure come Ronald Reagan e Margaret Thatcher furono un onesto tentativo purtroppo breve, di “riqualificare” la destra rifiutando qualsiasi tentazione fascista.

Inoltre, la crisi fiscale dello stato, sorta di Convitato di Pietra del welfarismo, ha provocato il fenomeno dello sciovinismo welfarista, cioè dello stato sociale solo per gli autoctoni: cavallo di battaglia delle destre del nuovo patto scellerato (semplifichiamo il concetto).

Il primo, nel mondo occidentale, che riabilitò una destra che continuava a non nascondere la sua simpatia per il fascismo fu Berlusconi. Che, praticamente a freddo, trascinò al governo i post missini. Favorendo l’integrazione passiva, cioè con serie riserve mentali da parte dei post fascisti, da sempre anticapitalisti e antiliberali. Perciò inadatti a governare una società aperta.

Berlusconi infranse il patto riformista cristiano-socialista-liberale: una diga che, crepa dopo crepa, una volta crollata – ironie della storia – avrebbe portato trent’anni dopo al governo in Italia e negli Stati Uniti due leader dalle fortissime pulsioni autoritarie, capaci di risvegliare gli spiriti animali del fascismo: Donald Trump e Giorgia Meloni.

Pertanto le tesi della non affidabilità democratica della destra e della necessità di tenerla fuori dal governo era giustissima. Certo, si può discutere sui metodi. Anche perché il riformismo, facendo di tutta l’erba un fascio (è proprio il caso di dirlo), non è mai riuscito a comprendere l’importanza di un’alternativa liberale di tipo reaganiano-thatcheriano, che, basterebbe solo rileggersi i discorsi, era ed è lontanissima dalla destra incarnata da Trump e da Giorgia Meloni ( e se continua così anche dal liberalismo autoritario, così pare, di Javier Milei).

Proprio in questi giorni sembra di vedere un vecchio film. Si rifletta su un solo punto: la rivolta di Trump, notizia di ieri, contro lo stato di diritto (che cosa sono i tribunali internazionali per la difesa dei diritti dell’uomo se non l’incarnazione perfetta dello stato di diritto?), ricorda l’odio nutrito dal Hitler e Mussolini contro la Società delle Nazioni. Anche l’Italia sembra porsi sulla stessa linea di attacco di Trump. Ma si stia pure sicuri, altri paesi seguiranno, una volta conquistati dallo sciovinismo welfarista delle destre del patto scellerato.

Il diritto di difendersi dalle aggressioni portate contro Israele,  Ucraina e  altri paesi è più che giustificato. Ma è altrettanto giustificata, nell’ottica di uno stato di diritto, internazionalmente diffuso, la necessità di indagare sugli eventuali abusi, senza parzialità di sorta.

In realtà Trump non difende Netanyahu e Israele. Li “usa” per distruggere lo stato di diritto. E come alcuni sostengono anche per interessi personali. Proprio come Berlusconi. I due leader, mai dimenticarlo, si ritengono grandi amici di Putin… Il quale, non venne ai funerali del Cavaliere, solo perché temeva di essere arrestato.

Concludendo: 1) il comportamento delle destre tornate al potere prova che i timori del passato erano  e sono giustificati; 2) la formula cristiano-socialista-liberale è logora politicamente e fiscalmente; 3) l’alternativa liberale, anche per colpa delle riserve mentali del riformismo welfarista, è venuta meno da un pezzo, e diciamolo pure anche a causa di molti politici liberali che prima di perdere la testa per Trump e Giorgia Meloni, l’avevano persa per Berlusconi, o che comunque, con pochissimo discernimento, pur di non far vincere l’ odiata sinistra (in realtà la formula riformista), preferivano e preferiscono spostarsi verso la destra, anche estrema ; 4) il futuro sembra essere delle destre del patto scellerato.

Carlo Gambescia

giovedì 6 febbraio 2025

Trump e il “resort” Gaza. Oltre il dottor Stranamore

 


L’idea trumpiana di trasformare Gaza, dopo aver deportato i palestinesi, in un “resort”. In una specie di nuovo Club Méditerranée, è qualcosa su cui riflettere. Non è proprio il caso di riderne. Come vedremo con Trump andiamo ben oltre il dottor Stranamore.

Riflettere su cosa? Non solo sull’idea in sé. Al di là della proposta bislacca, la storia, piaccia o meno, fin dagli Egizi e Assiri, registra brutali “deportazioni” (perché di questo si tratta) di interi popoli (a cominciare proprio dagli ebrei). Merita invece una riflessione la tecnica decisionale: il modo di procedere, addirittura peggiore, di quello di Hitler, che, tra il 1935 e il 1939, prima di decidere una delle sue conquiste lampo, almeno i generali li sentiva.

Invece secondo l’informatissimo “New York Times”, oltre che Netanyahu, Trump ha preso in contropiede gli stessi suoi collaboratori. Ha fatto tutto da solo, senza ascoltare nessuno (**).

Quest’uomo è veramente pericoloso. Dalla sua automobile presidenziale, “la Bestia”, completamente blindata, come racconta Obama nelle sue memorie (***), il presidente degli Stati Uniti può ordinare un attacco in qualsiasi parte del mondo. Cosa vogliamo dire? Che Donald Trump in questo momento è l’uomo politico più potente della terra. Può veramente decidere della guerra e della pace.

Ora, un sano realismo politico, imporrebbe la riduzione delle provocazioni, o comunque delle decisioni politiche non necessarie e generatrici di conseguenze difficili da controllare.

L’esatto contrario di ciò che invece rischia di accadere. Le parole di Trump, come in questa occasione, hanno un enorme contenuto provocatorio. Cioè di determinare negli altri attori politici, praticamente in automatico, reazioni irritate, violente o semplicemente di sorpresa. Trump possiede una capacità destabilizzante che fa veramente paura. Il richiamo a Hitler è più che giustificato.

Il punto è che l’uomo più potente del mondo non può, anzi non deve comportarsi come un soggetto paranoide. Cioè in modo malevolo e ostile, perché convinto che gli altri vogliano danneggiarlo, persino i suoi collaboratori più stretti. Di qui la volontà di tenerli all’oscuro.

Non ascoltare nessuno non è cosa buona. Trump, cavandosela con due battute, sempre se la cosa avrà un seguito, ha deciso in un lampo e da solo del destino di dodici milioni persone (2 di palestinesi 10 di israeliani). E secondo le stesse modalità – ecco il punto interessante “di metodo”, se si vuole prospettico, della decisione politica – potrà in futuro decidere del destino di miliardi di persone. Solo perché si considera il più bravo e capace di tutti, a cominciare proprio dal suo entourage.

Per usare la classica tipologia della personalità politica coniata da Lasswell, Trump ha un carattere “drammatizzante”: "ricorre all’esibizionismo, al flirt, alla provocazione, all’indignazione, ma in ogni caso tutti questi artifici servono al compito di provocare una forte reazione emotiva nell’altra persona”. Lo si può definire un “agitatore”. “Primeggia per la vastità e molteplicità dei dettagli scarsamenti ordinati […] (***). Di qui le decisioni improvvise e senza consultare nessuno.

Molti lettori ricorderanno, come accennato, la figura del dottor Stranamore nell’omonimo film di Kubrick. Una specie di macchietta, che però rispettava una sua logica: infatti, tra un saluto a braccio teso e l’altro, si proponeva di affrontare in chiave realistica la situazione post guerra atomica. Il dottor Stranamore, tra l’altro un consigliere subordinato, ragionava da “amministratore” (altro tipo di personalità politica, studiato da Lasswell), curava i dettagli in modo freddo, eccetera, eccetera. Di qui, il contrasto comico e le risate degli spettatori.

Con Trump si va oltre il dottor Stranamore. Uno, perché è il presidente degli Stati Uniti. Due, perché non è un “amministratore”, ma un “agitatore”.

Come si dice, la realtà, anche questa volta, sembra essere superiore alla finzione. 

Purtroppo.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/trump-gaza-e-la-riviera-del-medio-oriente-199433 .
(**) Qui: https:/:/www.nytimes.com/2025/02/05/us/politics/trump-gaza-takeover.html .
(***) B. Obama, La terra promessa, Garzanti, 2020, pp. 271 e 382. Anche qui in particolare (6:05):
https://www.youtube.com/watch?v=UM-Q_zpuJGU&t=165s  .
(****). H.D. Lasswell, Potere, politica e personalità, Utet 1975, pp. 445-446.

mercoledì 5 febbraio 2025

Il lessico della tentazione fascista: difesa dei confini, ragion di stato e protezionismo

 


Difesa dei confini, ragion di stato e protezionismo sono le tre voci del nuovo vocabolario della politica mondiale. Il suo messia si chiama Donald Trump, il suo profeta Elon Musk. Con al seguito una specie di corte dei miracoli: Santiago Abascal, Marine Le Pen, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, Viktor Orbán, Alice Weidel, Javier Milei (peccato, era partito bene), nonché altri profeti minori, sparsi per il mondo, sgradevoli, striduli e cattivi, politicamente parlando.

Politicamente. Perché il male è banale, come ha insegnato Hannah Arendt. Per capirsi: sono politici che di giorno odiano i migranti e la sera a casa giocano con i bambini, con i gatti, portano a spasso il cane.

Quanto alla gente comune è facile rispondere. L’occidentale “medio”, per così dire, vuole solo vivere bene: i classici signorini viziati, intercettati da Ortega, già negli anni Trenta, che poi scelsero Franco, Hitler, Mussolini e altri criminali politici. Diritto alla felicità (poi torneremo sul punto) ma solo per “noi stessi”.

Ci volle una guerra colossale per rimettere a posto le cose. Eppure, come dicevamo all’inizio, oggi sembrano tornare in auge le parole d’ordine dei fascismi.

Fino a qualche anno fa si rideva, a proposito di qualche diatriba commerciale, ad esempio dell’Italia con la Francia, evocando ironicamente l’idea superata, così si credeva, di ammassare truppe al confine della “Patria”. Roba da cabaret televisivo.

E invece è proprio quello che sta avvenendo ai confini del Messico e del Canada. Trump, vuole i soldati, altrimenti minaccia di andare avanti con i dazi.

Da un lato messicani e canadesi (si parla di diecimila soldati), dall’altro lato, lo stesso numero di soldati americani. Si dice che serviranno per fare guerra al cartello della droga.

In realtà, saranno lì, per sfregiare la libera circolazione di uomini e beni. In questo modo la difesa dei confini della patria si unisce all’idea protezionista. Tenendo presente anche un’altra questione. Che Trump ripropone la vecchia idea della geopolitica di potenza. Cioè della difesa dei confini come allargamento degli stessi. E qui si pensi ad esempio alle mire sulla Groenlandia, o addirittura sul Canada e forse anche sul Messico.

Questa politica, anzi geopolitica,  rappresentata dall’ammassamento di truppe al confine (fino a poco tempo fa motivo di derisione), ha però un’ importante controindicazione: mai gettare benzina sul fuoco. Detto altrimenti, la vicinanza armata di eserciti contrapposti può portare alla classica questione sulla quale gli storici si interrogano cento anni dopo: chi sparò il primo colpo?

Ragion di stato. L’ ha evocata in Italia il governo Meloni dopo aver rimesso in libertà un torturatore di migranti. E per coprire che cosa? L’aiuto (chiamiamolo così...) che la Libia fornisce all’Italia nel difendere i confini della patria da uomini, donne e bambini, che come ai confini tra Messico e Stati Uniti, cercano solo una vita migliore. Quel famoso diritto alla felicità sancito nella Dichiarazione d’Indipendenza americana e recepito in non poche costituzioni liberal-democratiche.

Un diritto che vale per tutti, e non solo per i “signorini viziati”. E invece in nome del protezionismo ideologico lo si nega agli “altri”, agli alieni, ai non americani, ai non italiani, ai non francesi, ai non tedeschi, ai non ungheresi e così via.

Attenzione. Chi scrive non è nato a Betlemme. Ragion di stato non è una parolaccia ma un principio che in termini di male minore deve essere messo al servizio di una buona causa. Non di una generica idea di sicurezza inventata da quattro amici al tavolino del bar sport nazional-fascista.

Nel caso dell’Occidente la buona causa è rappresentata dall’idea liberale. Si pensi ai massicci bombardamenti sulla Germania, perfino all’uso delle atomiche. Ma anche alla necessità di appoggiare oggi Ucraina e Israele, con ogni mezzo. Si trattava e si tratta di far vincere il mondo libero. Insomma, l’idea liberale. Una necessità del resto comprovata dall’enorme progresso della libertà, in tutti i campi, dal 1945 ai nostri giorni.

Per contro sbattere la porta in faccia ai migranti significa sul piano ideale, violare il principio del diritto alla felicità  valevole per tutti, e su quello pratico, la distruzione della libera circolazione di uomini e beni che è il sale della società aperta.

Sono questi i valori fondamentali dell’Occidente. E’ proprio l’attuazione dell’idea liberale che ne connota la forma di governo e società rispetto a a tutte le altre. Un patrimonio di cui andare orgogliosi.

E invece tornano a risuonare parole d’ordine che riportano al lessico della tentazione fascista. E ciò avviene nell’apatia generale dei “signorini viziati”, quelli del “chiagni e fotti”, se ci si passa la caduta di stile. In sociologhese:  inorientameno anomico.

Si dirà, ma come? Cosa dice Gambescia? Trump è dalla parte di Israele. Certo. Però vuole al tempo stesso abbandonare Ucraina ed Europa a un destino di sudditanza verso la Russia. Trump vuole dividere, spezzare, distruggere l’idea stessa d’ Occidente. Il suo “America First” ricorda il “Deutschland über alles” utilizzato dal nazionalsocialismo proprio contro qualsiasi idea di Occidente euro-americano.

Trump, piaccia o meno, è sulla stessa lunghezza d’onda di Hitler. Non è antisemita, o almeno così sembra, però odia i migranti perché attentano, come spesso si legge, allo spirito e allo stile di vita americani. Trump, il messia, è razzista. Come lo è del resto Musk, il suo profeta. Per non parlare dei corifei europei.

La cosa più triste è che la gente comune, quella del “chiagni e fotti”, ha perso la memoria della grande vittoria nel 1945 dell’idea liberale e di cosa significò per l’unità dell’Occidente.

La stessa unità che Trump, evocando il lessico della tentazione fascista, vuole spezzare.

Sotto questo aspetto difesa dei confini, ragion di stato e protezionismo, soprattutto la ragion di stato quando utilizzata per una pessima causa, sono i perfetti grimaldelli per raggiungere tale scopo, con il concorso, delle stesse vittime. Perché Abascal, Le Pen, Meloni, eccetera, sembrano intenzionati a collaborare fattivamente all’ opera di distruzione.

Da questo punto di vista, Trump, Musk e collaborazionisti europei stanno facendo del loro meglio per entrare nell’ Albo d’Oro (si fa per dire) dei grandi criminali della storia.

Carlo Gambescia

martedì 4 febbraio 2025

La sfida di Musk

 


Fare più grande l’Europa distruggendo l’Unione Europea, questo sembra essere il programma di Mega (Make Europe Great Again): una specie di internazionale nazionalista e populista, con simpatie neofasciste e neonaziste, sulla falsariga del Maga. Un movimento, per ora ai suoi primi passi, inventata da Musk, probabilmente in accordo con Trump, o comunque con il suo silenzio-assenso.

Il prossimo 7-8 febbraio si terrà a Madrid un incontro dei Patrioti per l’Europa (già ID, Identità e Democrazia), gruppo ricostituitosi nel luglio dell’anno passato, che con 84 deputati rappresenta la terza forza più grande all’interno del Parlamento Europeo. Uno schieramento, diciamo, da sempre a destra dell’ECR ( Conservatori e riformisti europei, 70 seggi), già presieduto da Giorgia Meloni, e che ora vede come co-presidente il terracinese Nicola Procaccini, sempre di Fratelli d’Italia,

L’incontro sarà presieduto da Santiano Abscal, leader di Vox, e vedrà presenti i principali esponenti della destra nazional-populista europea. Saranno presenti oltre a FPÖ, Vox, Fidesz di Orbán e il partito populista ANO di Babiš, Matteo Salvini della Lega , il Partito della Libertà dei Paesi Bassi di Geert Wilders, il Partito del Popolo Danese, il Chega portoghese e il Vlaams Belang belga. A questi si aggiungono singoli deputati provenienti da Repubblica Ceca (Přísaha a Motoristé/Eid e Autisti), Lettonia (Latvia First) e Grecia (Foni Logikis) oltre a un partito satellite del Fidesz ungherese (KDNP) (*)

Viene data per scontata la presenza di Musk. Che in quell’occasione lancerà il nuovo movimento. Per capire l’ importanza del suo impegno politico, va detto che un altro miliardario, ma di idee progressiste, come Soros, non è mai intervenuto a convention così politiche, ovviamente di segno contrario.

Va perciò precisato che l’impegno politico pubblico di Musk in favore dell’ultradestra internazionale non ha precedenti così espliciti e aggressivi, né a destra né a sinistra. Non si dimentichi che parliamo dell’uomo più ricco del mondo, primo assoluto nel 2025 con 416 miliardi di dollari. Una ricchezza decisamente superiore a quella di Soros ( 7.2 miliardi di dollari), diciamo in “fondo alle classifiche” di Forbes (**).

Parliamo, insomma, di una valanga politico-economica. Con la quale, anche Giorgia Meloni, pur non andando a Madrid, dovrà prima o poi fare i conti (***).

Le ragioni dell’impegno di Musk possono essere le più varie (dalla psicopatologia politica all’avidità di denaro e fama). Il vero punto, al di là delle dietrologie, è che la liberal-democrazia mondiale, nei suoi duecento anni di storia, non si era mai trovata dinanzi a una sfida del genere. 

Non siamo davanti a un appoggio esterno e limitato, come può essere la fisiologica dinamica dei rapporti tra politica ed economia, legata ai gruppi di pressione e di influenza. Ma a una vera e propria discesa in campo, dai toni spavaldi, qualcosa di patologico, perché le risorse economiche di Musk sono colossali, e possono finanziare e soprattutto comandare a bacchetta, addirittura alla luce del sole, un’intera schiera di partiti nazional-populisti. Per capirsi: una  specie di Forza Italia International, però delle camicie brune dure e pure, poco interessate alle finte nipotine di Mubarak, moltiplicata per mille.

Una realtà, nuda e cruda che ha superato ogni immaginazione complottista. Inoltre il problema Musk è amplificato dalla sua enorme disponibilità, oltre che finanziaria, di tecnologie digitali, soprattutto nell’ambito dei sistemi di comunicazione e sicurezza. 

Infine la sua azione politica è caratterizzata da un brillante (si fa per dire) uso del social media. Musk è un vero maestro – in questo preceduto da un altro sodale di Trump, Steve Bannon – nell’ uso della fake news. Non è una battuta: X (già Twitter) si è trasformata nella pagina privata di Elon Musk. 

Una piattaforma con mezzo miliardo di iscritti ( 2023). I suoi followers sono circa centocinquanta milioni. Per inciso, nulla a che vedere con siti informativi come Breitbart di Bannon, dalle dimensioni ridotte, nell’ordine dei cinque milioni di lettori (2019).

Se Trump e Musk resteranno uniti la sfida per la liberal-democrazia occidentale, al di là dell’inedita e spavalda fusione pubblica tra politica ed economia, rischia di assumere la forma mostruosa di un’altra sfida storica: quella lanciata tra le due guerre mondiali dal venefico intreccio personale e ideologico tra Hitler e Goebbels.

Un fascismo, questa volta, come hobby da miliardari. Dal momento che la “diabolica coppia nazista” non aveva beni propri, quindi il suo cammino, dipendendo da finanziatori esterni, fu molto più duro. Hitler e Goebbels, per così dire, non avevano molto tempo libero.

Infine va segnalato un fatto curioso, diciamo da amaro “scherzo del destino”: il fascismo – semplificando – potrebbe risorgere negli Stati Uniti. La nazione che lo sconfisse.

Concludendo, non c’è alcuna sfida in atto? Musk e Trump sono due brave persone? Quindi esageriamo? In cuor nostro speriamo di sì.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://europeannewsroom.com/meeting-of-the-patriotic-faction-with-fpo-orban-and-le-pen-in-madrid/ .

(**) Qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Persone_pi%C3%B9_ricche_del_mondo_secondo_Forbes.

(***) Un giovane cretino di destra, tappetino della Meloni, ha già orgogliosamente e frettolosamente definito Musk, “il nostro Soros”…

lunedì 3 febbraio 2025

Non solo protezionismo. Trump e la radicalizzazione politica

 


Occorre fare una premessa. C’è un fenomeno che si chiama radicalizzazione politica. Implica l’ inevitabile corsa agli estremi, come stato di massima tensione, lo stesso che Karl von Clausewitz attribuiva a ogni conflitto bellico (*).

Perciò, per capirsi, la radicalizzazione politica, esclude qualsiasi soluzione di compromesso: o tutto o nulla. L’esatto contrario della logica parlamentare, di pace, tipica dei sistemi liberal-democratici, sorti proprio per evitare la distruzione dell’avversario una volta trasformato in nemico assoluto.

Sotto il profilo storico si pensi alle guerre di religione del Cinque-Seicento che culminarono nella Guerra dei Trent’anni” (1618-1648). Oppure all’altra grande Guerra dei Trent’anni, quella civile europea (1914-1945). Ma lo stesso si potrebbe dire del periodo rivoluzionario, tra il 1789 e il 1815, segnato in larga misura dalle guerre di Napoleone contro tutti, e dalle altrettanto dure risposte delle sette coalizioni, capeggiate dalla Gran Bretagna.

Per passare dal piano esterno, della politica internazionale, a quello interno, dei parlamenti, la radicalizzazione politica conduce alle rivoluzioni, ai colpi di stato, alla guerra civile. Detto altrimenti, alla rottura, per quello che riguarda l’Otto-Novecento, dei sistemi e costituzionali di tipo liberal-democratico.

Esiste infatti una linea di pensiero e di pratica politica che non ha mai accettato il costituzionalismo. Di qui la volontà di abbatterlo, da cui consegue la necessità di radicalizzare il conflitto, facendo dei principi liberal-democratici dei mezzi per conseguire un fine, cioè la distruzione della democrazia liberale. Sotto questo profilo l’esperienza storica fascista e nazista sono tuttora esempi di radicalizzazione politica. E lo stesso si potrebbe dire per la presa bolscevica del potere in Russia.

Perciò ogni liberal-democratico non può non essere preoccupato per il processo di radicalizzazione in corso negli Stati Uniti e in Europa. Un processo che rischia di cancellare le istituzioni liberali, basate sul compromesso.

Il progetto trumpiano, condiviso in Europa dalle destre radicali, inclusa l’Italia governata da Giorgia Meloni, nemiche dello spirito liberale del 1945, sembra avere una forza destabilizzatrice che non ha eguali dai tempi dell’aggressione fascista alle istituzioni liberali.

Trump parla di unificare politicamente l’America settentrionale, e probabilmente centrale, anche ricorrendo alla forza militare. A proposito di radicalizzazione, si legga qui cosa dichiara sui rapporti con il Canada. Se fa sul serio, e probabilmente fa sul serio, sono parole da far  gelare il sangue nelle vene.

Il presidente americano (…) ha insistito sul fatto che il Canada dovrebbe diventare il 51esimo Stato americano così da ottenere ‘tasse molto più basse, una protezione militare di gran lunga migliore per il popolo canadese e nessun dazio’. Gli Stati Uniti ‘pagano centinaia di miliardi di dollari per sostenere il Canada’, ha scritto il tycoon riferendosi probabilmente al deficit commerciale con il suo vicino e ‘senza questo massiccio supporto il Canada non esisterebbe’ “ (**) .

Per contro, attraverso Musk, come prova la creazione di un movimento gemello al Maga, Mega (Make Europe Great Again), si tenta di applicare all’Europa il principio del divide et impera (***). Giocando sull’ausilio delle destre radicali europee, entusiaste di Trump, perché vedono in lui il fautore di quella radicalizzazione della politica che può portarle al potere in tutta Europa. Un Europa a pezzi come tra le due guerre mondiali.

Sembra chiaro, come in un quadro del genere, l’Ucraina e Zelenski abbiano i mesi contati. Pare che tra le condizioni di pace, proposte da Trump, vi sia quella di nuove elezioni, per far sì, che grazie a intromissione russe (ma anche americane), Zelenski perda e sia finalmente allontanato al potere.

Però, come anticipato, la radicalizzazione politica è un’arma a doppio taglio. Come prova ad esempio la grande manifestazione di ieri in Germania. Si protesta perché si teme giustamente, almeno in linea di principio, il coinvolgimento governativo di un partito neonazista come AfD.

Tuttavia è altrettanto comprensibile che chiunque apprezzi il compromesso liberale non veda di buon occhio queste manifestazioni di radicale dissenso, tra l’altro monopolizzate dall’ estrema sinistra Il che non è buono, perché si tratta di forze antiliberali e anticapitaliste. Si ricordi Weimar e il distruttivo assalto concentrico alla Repubblica delle opposizione antisistemiche nazista e comunista.

Purtroppo, per tornare a ciò che sta accadendo, sono situazioni che appartengono alla logica della radicalizzazione politica, inaugurata da Trump nel 2016, contenuta da Biden, ora esplosa di nuovo. Una dinamica che va oltre i desiderata del momento. E soprattutto al di là delle intenzioni buone o cattive del singoli. Sono fenomeni strutturali, cioè metapolitici.

Sotto questo aspetto la situazione è veramente pericolosa, perché al momento priva di vie d’uscita. Poiché la traiettoria dei contromovimenti, a cominciare dagli Stati Uniti, potrebbe portare a nuove guerre civili.

Si rifletta. Negli Stati Uniti, considerata la volontà di Trump, di abusare della clausola dei “poteri impliciti” (Costituzione, art. 1. Sez. VIII) (****) il rischio è quello di forzare la costituzione e così incendiare le relazioni con il potere giudiziario e con gli stati: per reazione si rischia veramente, se Trump proseguirà per la sua strada, una seconda guerra civile americana. Cosa che potrebbe verificarsi anche in Europa, dove la lezione del 1945 non è mai stata recepita dalle destre nazionaliste.

La disgregazione statunitense ed europea favorirebbe le mene di Russia, Cina di altri nemici di un Occidente euro-americano, ormai ombra stesso. Perché negatore, a cominciare dal ritorno del protezionismo come lunga mano di un capitalismo di stato, basato sulle rendite e non sui profitti. Negatore dicevamo di una comunità atlantica aperta alla libera circolazione delle idee, degli uomini e delle merci.

Ripetiamo, la situazione è veramente grave sul piano internazionale e nazionale. Perché sembra essere pericolosamente in bilico tra la vittoria della destra reazionaria e una guerra civile provocata dalla radicalizzazione politica come sconsiderata ma inevitabile corsa agli estremi.

Resta però chiara la principale responsabilità della destra trumpiana che, pretendendo di fare l’America di nuovo grande (e come pare anche l’Europa), rischia invece di provocare effetti perversi, negativi, l’esatto contrario di ciò che si propone. Perché ogni azione genera conseguenze, spesso inaspettate. Per capirsi: il radicalismo di destra (attivo) e radicalismo di sinistra (reattivo) concorrono alla distruzione dell’Occidente euro-americano.

Tuttavia, ecco il punto, chiunque si trovi al potere – il che chiama in causa le destre americane ed europee – che cosa deve fare ? Seminare, se e quando necessario ( non a ufo ovviamente), discordia in campo nemico e non al proprio interno come  invece sta accadendo. Cosa che le destre evitano di fare perché condividono gli stessi valori autoritari e reazionari del nemico.

Sicché ogni scelta di Trump rischia di trasformarsi in un regalo ai nemici della liberal-democrazia. A destra come a sinistra, interni ed esterni. Però, ecco il pericolo, quanto più la radicalizzazione cresce, tanto più l’Occidente rischia di precipitare in una nuova Guerra dei Trent’anni.

Altro che fare gli Stati Uniti e l’ Europa più grandi…

Il vero nemico dell’Occidente si chiama Donald Trump.

Carlo Gambescia

(*) Karl von Clausewitz, Della guerra, Mondadori, 2007, pp. 241-243.

(**)Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2025/02/03/canada-e-messico-al-contrattacco-scattano-i-dazi-agli-usa_300f2213-00aa-4146-8803-57581f71cbf4.html .

(***) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2025/02/03/canada-e-messico-al-contrattacco-scattano-i-dazi-agli-usa_300f2213-00aa-4146-8803-57581f71cbf4.html .

(****) Per una “rinfrescatina” si veda G. Sacerdoti Mariani, A. Reposo, M. Patrono, Guida alla Costituzione degli Stati Uniti d’America, Sansoni, 1991, 2° ed. aggiornata, pp. 56-58 (sui "poteri impliciti").

domenica 2 febbraio 2025

Da Trump a Roccaraso. L’uomo come animale imitativo

  


L’ uomo è un animale politico? Oppure un animale economico? O ancora: un giocatore, cioè un homo ludens? O altre cose ancora?

Chi scrive ritiene che l’uomo sia un animale imitativo.  

Cioè mimetico nel senso dell’imitazione, come tendenza a imitare i comportamenti altrui.  Ma anche come tendenza  umana  a camuffarsi, nascondersi tra i suoi simili.

Si prendano due fenomeni, molto lontani tra di loro, di cui in questi giorni si parla: il protezionismo trumpiano e l’assalto dei turisti napoletani a Roccaraso, località sciistica.

La decisione di Trump promette di provocare reazioni imitative in tutto il mondo. L’assalto a Roccaraso non è altro che una moltiplicazione di comportamenti imitativi. Nei due casi la domanda di fondo a cui risponde l’imitaore è “perché lui sì, io no”.

Si tratta di un meccanismo psicologico, che come nel caso della moda (altro fenomeno mimetico), rende simili e diversi al tempo stesso. Simili perché si appartiene a un gruppo, i protezionisti e i turisti della neve, per l’altro, diversi da coloro che non sono protezionisti né turisti.

Ma si pensi anche alle correnti migratorie: “ Ahmed mi ha detto che Oltremare si conduce un vita migliore, parto anch’io, perché lui sì, io no?”.

Ovviamente, intervengono anche altri fattori, economici, culturali, religiosi, politici, eccetera, però resta la predisposizione all’imitazione.

E allora, se le cose stanno così, come spiegare il contrario dell’imitazione? L’invenzione, l’ideazione, la creazione?

Che l’imitazione impone la creazione altrimenti non ci sarebbe nulla da imitare. Pertanto l’uomo potrebbe essere definito un animale creativo-imitativo.

Però va anche sottolineato un fatto: che mentre la creazione è un atto unico, che in genere (dalla religione alla scienza, dalla politica all’economia) riguarda un individuo, o un gruppo limitato di individui, l’imitazione è un atto collettivo. Esiste perciò una stratificazione sociale di fondo tra il momento della creazione, che rinvia a un gruppo ristretto, e il momento della diffusione-imitazione, che riguarda un gruppo più largo di individui.

Il che ci riporta alla definizione dell’uomo come animale imitativo. E quanto più un’invenzione, in senso lato, è di successo tanto più i processi imitativi si moltiplicano. Si pensi alla Rivoluzione industriale e alla successiva società dei consumi. Per contro, altro esempio, all’interno del cristianesimo il fenomeno-setta, rinvia a un’invenzione non riuscita mentre il fenomeno-chiesa a un storia di successo.

Ora protezionismo e turismo, se ci  si pensa bene, sono fenomeni in contrasto tra di loro, il turista vuole viaggiare, all’insegna dell’Ubi bene, ibi patria, il protezionista invece ama casa propria, Ubi patria, ibi bene (se ci si passa la semplficazione maccheronica).

Nel caso di Roccaraso, si tratta di turismo interno, però la predisposizione mentale al viaggio è la stessa del turista tout court. Del turista medio diciamo. Per contro la reazione delle autorità politiche locali è quella di proteggere la propria comunità.

Si pensi a Trump quando asserisce che “i dazi faranno bene agli americani”. Proprio come il sindaco di Roccaraso che vuole limitare gli accessi: la crescita esponenziale dell’imposta di soggiorno non è forse una forma di dazio?

Cosa vogliamo dire? Che l’imitazione è uno scatolone vuoto dentro il quale ci si può mettere di tutto: dalla diffusione delle costituzioni liberal-democratiche ai ripugnanti valori nazionalsocialisti, e così via, fino a un taglio di capelli o alla foggia un abito.

Il punto è che non è facile arrestare i processi mimetici, perché, come dicevamo, l’uomo si nasconde tra coloro che condividono la stessa idea: si mimetizza. Il che è fonte di sicurezza psicologica e sociale. Ma anche di contrasti di identità, e di lotta per l’identità, con chi la pensi in modo diverso. Il che ci porta alla costante metapolitica della dinamica-distinzione amico-nemico.

A tale proposito si può dire che quanto più si diffondono sul piano imitativo i comportamenti protezionistici tanto più aumentano i conflitti identitari.

Di qui l’importanza di favorire la libera circolazione di uomini, idee e beni. Un dinamica dello scambio e dell’apertura mentale che può fare solo bene perché favorisce la riflessione rispetto all’imitazione. Cioè il pensiero che dovrebbe precedere l’azione. “Dovrebbe”, perché non è la regola, metapoliticamente parlando.

Il laissez-faire in senso lato  è un’invenzione recente. Che ha soltanto  un paio di secoli di vita. Si chiama liberalismo. Il contrario di protezionismo, invenzione che si perde nella notte dei tempi. Il che purtroppo ne spiega la forza aggiuntiva sul piano imitativo.

E che spiega anche un’altra cosa. Perché l’uomo nonostante la grande libertà di cui oggi gode, continui a comportarsi come dieci-venti-trenta secoli fa.

Si chiama coazione a imitare. Alcuni la chiamano anche forza della “Tradizione”. Ma questa è un’altra storia.

Carlo Gambescia

sabato 1 febbraio 2025

Sul nuovo stop dei giudici al progetto albanese di rimpatrio dei migranti. Una riflessione del professor Salvatore Prisco

 


Due parole di presentazione

di Carlo Gambescia

Male fa la sinistra a parlare esclusivamente di soldi buttati al vento, residuo venefico del peggiore “grillismo”. Di cosa parliamo? Del nuovo no dei giudici – semplifichiamo – al progetto albanese di rimpatrio dei migranti. Certo, lo spreco di denaro pubblico è evidente. Però in un “paese normale”, per usare il lessico meloniano, non si deportano i migranti in campi di prigionia all’estero.

Ci permettiamo di richiamare l’attenzione del lettore sul fattore sociologico, che poi è anche di tipo morale. Questa ripugnanza per i corpi, questa volontà di nascondere il migrante come fosse spazzatura è un fatto molto più grave del gettare dalla finestra denaro pubblico. Perché rinvia a una visione biopolitica, che “per li rami” riconduce al razzismo nazionalsocialista e fascista. Questo il ferro da battere finché caldo.

Inoltre che Giorgia Meloni ripeta che gli italiani sono con lei non significa nulla. Se non un meschino richiamo alla volontà del popolo come pericoloso giudizio di dio. Anche i tedeschi erano “con Hitler”. Le democrazie, soprattutto se maggioritarie e prive di contrappesi liberali, possono tramutarsi in devastanti tirannie. Altro ferro che la sinistra dovrebbe battere, invece di “attaccarsi” al registro delle spese della serva.

I giudici, come spiega Salvatore Prisco, avvocato, giurista, professore ordinario della Federico II (*), in un elegantissimo post pubblicato su Facebook (che ci permettiamo di riproporre sul nostro blog), non sono i ventriloqui del diritto positivo. Soprattutto quando sono in gioco i diritti soggettivi, come a proposito del controverso concetto di “paese sicuro”, che, nel caso della provenienza del migrante, non può essere tradotto meccanicamente  in uno schema da bugiardino farmacologico. Il giudice deve interpretare, capire, intuire, anche in termini di percezione di una realtà vista con gli occhi del migrante, che non può essere colta, se ci si limita a spuntare una lista.

Il professor Prisco evidenzia con pacata acutezza i rischi insiti negli sproloqui  del “politico roboante” e – chiosa nostra – prepotente.

La politica è “anche” empatia. E questa destra ne è totalmente priva.

Buona lettura. 

Carlo Gambescia


 

***

 

Politici roboanti 

di Salvatore Prisco (*)


Ho appena sentito la notizia al telegiornale delle 20 sulla prima rete Rai (la più governativa da sempre).

Si ricorderà che l’Esecutivo aveva spostato la competenza a decidere sulle convalide delle espulsioni dei migranti alle Corti d’Appello, ritenute più “malleabili” (ma giocoforza integrate, in ragione delle loro competenze specifiche, proprio da distacchi ad hoc di magistrati delle sezioni emigrazione dei Tribunali) e che aveva al tempo stesso stabilito per atto con forza di legge un elenco dei Paesi sicuri, benché a me (e alla Corte europea) sembri ovvio che – ferma la competenza del Governo a pronunciarsi in via generale sulla sicurezza dei diversi Paesi – il giudice ordinario (si tratta infatti di diritti soggettivi) debba valutare se, rispetto ai casi singoli, persista o no questa condizione: vi potrebbero essere infatti Paesi in astratto sicuri, ma in riferimento a uno specifico individuo, per una sua situazione particolare, non tali.

Sarebbe stato saggio attendere la decisione della Corte di Giustizia sul rinvio pregiudiziale di vari giudici italiani – attesa mi pare fra meno di un mese – e invece si continua nel braccio di ferro e nella farsa costosa dei trasferimenti verso e dal centro di raccolta albanese, a vigilare il quale ci sono nostri agenti da mesi in vacanza pagata.

Mi è chiaro ormai lo schema di questo governo: procedere per atti (autodefiniti) “politici”, come tali sottratti a proprio libito al vaglio della giustizia interna e sovrannazionale, che in uno Stato di diritto è cosa che sta tra l’eccezione e l’illecito tout court; venire censurati per questo dalla magistratura, eventualmente su impulso di soggetti qualificati (da ultimo, in altra questione, un avvocato molto competente, già sottosegretario in un governo di centrosinistra, ma dopo trent’anni di militanza a destra, il che lo tiene in sospetto di traditore, per questa parte politica); elevare alti lai contro la “politicizzazione” della magistratura stessa e le “toghe rosse” (tale essendo definito anche il moderato procuratore di Roma Lo Voi, da sempre della corrente di destra dell’ANM).

Il copione è ormai venuto a noia. Spero in un intervento discreto, ma deciso, del Presidente Mattarella, in una sua predica (non) inutile in sede riservata e alle orecchie di chi deve ascoltare e adeguarsi, della quale potere avvertire gli effetti.

Non se ne può più nel frattempo della polittica (che non è un errore di battuta, ma parola che va intesa come politica strillata, da pescivendoli al mercato – e mi scusino questi lavoratori).

Nel Paese la produzione industriale cala da mesi, molti non hanno più soldi per curarsi perché i medici fuggono dalla parte pubblica del servizio sanitario nazionale e chi dovrebbe governarci va in giro per il mondo a tessere rapporti o ipotizza ponti sullo stretto di Sicilia in condizioni (lo si è riletto ancora in questi giorni) insicure, sul piano strutturale.

E dire che personalmente sono in generale favorevole alla riforma di Nordio sulla Giustizia (non invece al premierato e all’autonomia differenziata), cioè cerco di essere non fazioso, ma Meloni ricordi che non è vero che “Gli Italiani sono con me”. La sua è solo la minoranza parlamentare più forte tra quelle che i cittadini che votano scelgono, ossia – con riferimento al 100% dei voti possibili e attesa l’elevata, abnorme astensione – sempre una minoranza è.

Solo la vacuità della cosiddetta sinistra consente a questi politici roboanti, ma pur sempre improvvisati e inadeguati, di credersi grandi statisti ascoltati (e non invece rifiutati, come è da parte di molti) dai connazionali

Salvatore Prisco

(*) Qui il curriculum (2017) del professor Prisco: https://www.docenti.unina.it/#!/professor/53414c5641544f524550524953434f50525353565435304d32354c32343543/curriculum .

venerdì 31 gennaio 2025

La destra e i giudici. Come menare per il naso l’elettore

 


Se i giudici vogliono governare si candidino”, così ieri Giorgia Meloni.

Giorni fa si era espresso così anche un “tassinaro”, acuto politologo, evidentemente: “A Dotto’, qui ce vole ordine, basta co’ tutti ‘sti stranieri che rubbbano e ammazzano. E i giudici che li assorvono? So’ de sinistra, un partito”.

Non c’è da ridere. Perché Giorgia Meloni, esprimendosi così intercetta tutto l’odio popolare, misto a timore, che non risale solo alle interessate campagne politiche di Berlusconi contro i giudici.  Ma rinvia  a un radicato  rapporto di sfiducia, non sempre ingiustificato, nei riguardi della giustizia.

Un clima, che serpeggia, e non da oggi, nelle aule dei tribunali, contagiando uscieri, cancellieri e avvocati. E che spiega lo sviluppo, soprattutto dopo l’Unità,  nel Sud, più arretrato ed estraneo alla cultura del moderno stato di diritto, di organizzazioni parallele, una sorta di corti di giustizia criminali “fai da te”, come la mafia e la camorra.

Non potendo farsi giustizia, né ottenendola, ci si rivolge al crimine: la società è auto-organizzazione. Legge degli sbocchi: ogni offerta trova la sua domanda, anche di giustizia. Ovviamente evolvendo e specializzandosi, al passo con i tempi. Gli storici della mafia hanno ricostruito, la sua evoluzione nel secondo dopoguerra: da fenomeno contadino a fenomeno industriale e post-industriale.

Nel resto d’Italia dove è mancata la reazione mafiosa si è invece registrata la prevalenza della rassegnazione e (quando e se possibile) della corruzione. Un disastro (*).

Insomma questo per dire che il rapporto degli italiani con i giudici è governato dalla sfiducia (**). Si considerano i magistrati – regalino politico di Berlusconi, ma non solo... – come un partito di sinistra. Curiosamente, durante il fascismo si scorgeva nel giudice un alleato del potere, dopo di che, soprattutto all’indomani del Sessantotto, una specie di contropotere.

Il che conduce direttamente al “si candidino” evocato da Giorgia Meloni, militante di un partito, il Movimento Sociale, che ha sempre visto nei giudici, anticipando il Cavaliere,  dei persecutori di sinistra, se non addirittura, come si legge tuttora sul “Secolo d’Italia”, fiancheggiatori dell'  "eversione rossa".

Il combinato disposto tra il complottismo della destra e la sfiducia della gente comune spiega perché il tassista si trovi in perfetta sintonia con l’analfabetismo istituzionale di Giorgia Meloni ( e viceversa), di derivazione antiliberale, quindi nemico dello stato di diritto e della divisione dei poteri. Per il “popolo” il liberalismo è tuttora un lusso. E Giorgia Meloni, “facilita” l'idea che la giustizia  non debba mai essere neutrale, indipendente, autonoma (si scelga il termine che più piace) come nello stato liberale,  ma di partito. Cioè attacca un'idea regolativa.  All'insegna di una specie di panpartitismo getta via il bambino liberale con l'acqua sporca dei burocratismi, degli errori, e magari anche dei casi di corruzione. 

E con il tassista concordano tanti altri elettori della Meloni. Non ci si rende conto che il “partito dei giudici” è un' invenzione della destra per favorire la vittimizzazione politica che porta voti. E asservire il sistema giudiziario ai voleri del governo. Come durante il fascismo.   

Si noti, come in questi giorni, per evitare di essere messa con le spalle al muro, per aver favorito la fuga di un torturatore di migranti, Giorgia Meloni ha pilotato la discussione, senza che l’opposizione se ne accorgesse più di tanto, sul “partito” dei giudici. Che, come asserisce, da analfabeta istituzionale, proprio perché partito, deve sottoporsi al voto del popolo.

Si dirà che è solo un battuta polemica. Bah… La cultura della destra è per Dna contraria allo stato di diritto. Dietro il  "si candidino" c'è una visione del mondo. E comunque sia, si tratta di una colossale presa in giro dell’elettore.

Nel 1992-1993, il Movimento Sociale, di cui allora la Meloni era militante, difese i giudici milanesi, perché, si diceva, che erano dalla parte del popolo. All’epoca si trattava di distruggere l’odiato sistema dei partiti. Oggi è sotto tiro quello giudiziario, tramutato in nemico del popolo, perché disturba gli stessi manovratori che trent'anni fa, come si diceva,   dovevano invece essere  messi in prigione, evocando addirittura la presunzione di colpevolezza per ogni uomo politico appena chiacchierato.

Ecco, pensando a quel tassista, sarebbe bello, oltre che utile, che il “popolo” capisse che Giorgia Meloni lo mena per il naso.

Però la vediamo dura.

Carlo Gambescia

(*) Sullo stato della giustizia in Italia rinviamo al Report annuale del World Justice Projet – Rule of Law index. La “culla del diritto” è al 32 posto (su 142), Costarica, Malta e Cipro sono prima dell’Italia: https://worldjusticeproject.org/rule-of-law-index/global .

(**) Si veda qui (2021, p. 3): https://www.istat.it/it/files/2022/05/Fiducia-cittadini-istituzioni2021.pdf. In pratica un italiano su due non si fida della magistratura.

giovedì 30 gennaio 2025

Giorgia Meloni, il caso Almasri e la tentazione fascista

 


Se la si mette sul piano giuridico i reati di favoreggiamento e peculato dei quali Giorgia Meloni è accusata sono difficilmente configurabili. La responsabilità della premier diventa di difficile dimostrazione perché il Tribunale dei ministri, cui sono demandati gli accertamenti, deve dimostrare che i due ministri, Nordio e Piantedosi, la avevano avvertita ottenendo il suo assenso (*).

Pertanto la questione prima che giuridica è politica. Non nel senso di una guerra tra potere esecutivo e giudiziario o di un complotto “rosso” contro il governo in carica. Lasciamo perciò da parte il folclore politico.

In realtà la questione è politica nel senso di una pesante eredità ideologica che grava sulle spalle di Giorgia Meloni.

In occasione del Giorno della Memoria, il presidente Mattarella ha giustamente parlato di “tentazione fascista”. Insomma dei rischi insiti in un’ ideologia che non ha mai disdegnato il culto della violenza.

Ne parliamo da tempo anche noi (*). Un personaggio come Almasri rappresenta la quintessenza di una politica come violenza applicata e sistematica nei riguardi di altri esseri umani. Una politica, che può “tentare” chi non abbia una salda cultura liberale. E questo può essere il caso di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni.

Riteniamo infatti che lo stato liberal-democratico, a prescindere dal colore politico del governo in carica, debba tenersi alla larga dallo stipulare accordi con altri governi che democratici non sono, governi che ricorrono largamente all’uso della violenza.

Certo, non sempre è possibile. E di conseguenza il ricorso alla violenza, o comunque all’uso della forza, non può essere escluso in assoluto. Però, ecco il punto: una cosa è il ricorso limitato all’uso della forza, tra l’altro sottoposto a procedure di garanzia, un’altra la violenza sistematica, perfino teorizzata, come la si pratica in Libia nei riguardi dei migranti, rinchiusi in carcere, torturati e uccisi.

Il governo Meloni, per cultura politica autoritario, non si fa molti scrupoli. Il che spiega la benevolenza mostrata verso Almasri, un alleato che rende importanti “servizi” all’Italia. Il come, non sembra interessare Giorgia Meloni. Che come ha dichiarato, rispolverando un vecchio canto fascista, “tirerà dritto”.

A tale proposito, si è invocato, da parte di osservatori vicini alla destra, il concetto di “Ragion di Stato”. Cioè di priorità politiche che riguardano la sicurezza e la difesa dello stato: priorità che giustificherebbero un’azione giuridicamente illecita dal punto di vista del diritto internazionale e del diritto interno allo stato.

E in cosa consistono la sicurezza e la sopravvivenza dello stato nel caso della liberazione di Almasri? Nella persecuzione dei migranti, opera di un feroce signore della guerra libico…

La priorità della Ragion di Stato, è un concetto ambiguo, perché invoca un pericolo imminente. Si pensi a un paese aggredito da un altro paese. Che, allo scopo di difendersi meglio dalla propaganda nemica, sospenda temporaneamente la libertà di stampa, imprigionando i trasgressori. Ma si pensi anche a un paese che scorge nel migrante un pericoloso aggressore, e che quindi pur di difendersi da un pericolo evocato come imminente lascia mano libera, come è accaduto in Italia, a personaggi come Almasri.

L’ambiguità nasce dal fatto che la Ragion di Stato nel primo caso viene invocata per difendersi da un nemico di fatto, nel secondo evocata per colpire un nemico immaginario.

Immaginario. Parola chiave. Che rinvia alla costruzione ideologica del nemico. Che a sua volta rimanda alla cultura della tentazione fascista, che ha nel razzismo un preciso caposaldo ideologico. Perché tentazione fascista e non fascismo tout court?

Perché una destra normale, diciamo liberale, non autoritaria, favorevole alla libera circolazione di uomini e merci, tiene aperte le frontiere e non ricorre ai servizi degli aguzzini. Per contro, una destra autoritaria, rimane a rischio, perché sempre tentata dal ricorso a giustificazioni-razionalizzazioni di tipo fascista, a cominciare dall’ideologia nazionalista e razzista.

Inoltre tentazione significa che certe idee immonde, con le quali non si sono mai fatti i conti, sono rimaste nell’aria, “serpeggiano” per dirla con Mattarella e Levi, e per l’appunto “tentano”. Insomma, possono sempre essere messe in pratica: ieri con gli ebrei, oggi con i migranti.

Qualcuno penserà, allora i palestinesi? Israele non invoca la Ragion di Stato. Certo. Ma i migranti non bombardano regolarmente la Sicilia.

Si dirà inoltre che l’Olocausto e i suoi carnefici non hanno precedenti. Giusto. Però la tentazione fascista “pesca”, per così dire, nel torbido dell’ odio diffuso verso l’altro. Qualcosa che ingloba e teorizza l’uso politico della violenza a 360 gradi per usare il lessico di Giorgia Meloni.

Pertanto la questione da porre non è giuridica ma politica. Anzi, come detto, di eredità ideologica. Perché non si può asserire che il fascismo fu complice della feroce persecuzione degli ebrei, ad opera ad esempio di un Eichmann, che fu esemplarmente processato e condannato a Gerusalemme, e lasciare che un Almasri torni indisturbato il Libia. Addirittura su un volo di stato.

A fare che cosa? Il bieco carceriere di migranti, che, ripetiamo, non bombardano regolarmente la Sicilia. Non vogliono cancellare l’Italia dalla faccia della terra, ma cercano solo, e giustamente, una vita migliore.

Carlo Gambescia

(*) La vicenda è ben riassunta qui: https://pagellapolitica.it/articoli/errori-giorgia-meloni-almasri .

(**) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/search?q=tentazione+fascista .