lunedì 30 novembre 2015

Arma dei Carabinieri (*) 
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2015, lunedì 30 novembre, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO
Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio svolta nell'ambito della procedura riservata n. 642/2, autorizzazione COPASIR 3636/3b [Operazione NATO “SCAMBIAMOCI UN SEGNO DI PACE” N.d.V.] è stata intercettata, in data 29/11/2015, ore 11.23, una conversazione telefonica tra l’utenza di Stato n. 347***, in uso a S.E. FINZI MATTIA , e l’utenza n. 338***, in uso all’AMBASCIATA DELLA FEDERAZIONE RUSSA. Al telefono, il Presidente della Federazione Russa, S.E. PUSKIN VLADIMIR. Si riporta di seguito la trascrizione integrale della conversazione summenzionata:

[omissis]


S.E. PUSKIN VLADIMIR: “Come stai, Mattia?”
S.E. FINZI MATTIA: “Vladimir, che piacere sentirti! Ma come parli bene italiano…”
S.E. PUSKIN VLADIMIR: “Merito delle barzellette di Silvano.”
S.E. FINZI MATTIA: “La sai quella del missionario?”
S.E. PUSKIN VLADIMIR: “Dopo, se non ti spiace.”
S.E. FINZI MATTIA: “Certo. A cosa devo il piacere?”
S.E. PUSKIN VLADIMIR: “Queste sanzioni, Mattia. Fanno male a noi, fanno male a voi… quando pensi di fare qualcosa?”
S.E. FINZI MATTIA: “Lo so, lo so. Ma vedi, Vladimir…non è facile. L’Europa…”
S.E. PUSKIN VLADIMIR: “L’Europa, Mattia, sempre l’Europa…non sta diventando un po’ una scusa, questa Europa?”
S.E. FINZI MATTIA: “L’Europa è un sogno, Vladimir, il nostro sogno.”
S.E. PUSKIN VLADIMIR: “Piaceva anche a noi russi, sognare. Abbiamo sognato settant’anni, ma poi ci siamo svegliati. Brutto risveglio, Mattia.”
S.E. FINZI MATTIA: “Cioè tu dici che l’Europa e il comunismo…”
S.E. PUSKIN VLADIMIR: “Fuochino. Mattia, avete il nemico alle porte di casa, anzi: dentro casa. Noi lo combattiamo anche per voi; ma voi? Quando vi svegliate, voi? Almeno levateci le sanzioni.”
S.E. FINZI MATTIA: “Ti garantisco che sto facendo tutto il possibile, per le sanzioni. Guarda, giusto venerdì scorso ne ho parlato con la Merkel…”
[pausa]
S.E. PUSKIN VLADIMIR: “…e?”
S.E. FINZI MATTIA: “E ufficiosamente, ti posso dire che ci siamo quasi.”
S.E. PUSKIN VLADIMIR: “Ufficiosamente.”
S.E. FINZI MATTIA: “Certo, ufficiosamente.”
S.E. PUSKIN VLADIMIR: “Quasi.”
S.E. FINZI MATTIA: “Quasi.”
[pausa]
S.E. PUSKIN VLADIMIR: “Grazie, Mattia.”
S.E. FINZI MATTIA: “Ma figurati! E’ interesse comune, no?”
S.E. PUSKIN VLADIMIR: “La sai quella del difettuccio?”
S.E. FINZI MATTIA: “No. E’ di Silvano?”
S.E. PUSKIN VLADIMIR: “No, è russa.”
S.E. FINZI MATTIA: “Vai.”
S.E. PUSKIN VLADIMIR: “Una donna dice all’amica: ‘Io non bevo, non fumo, non mi drogo e non ho mai tradito mio marito.’ ‘Ma che brava!’, risponde l’amica. ‘E proprio non hai difetti?’ ‘Uno solo. Sono bugiarda.’ “


Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.

M.o  Osvaldo Spengler



(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)

Chi è il  Maresciallo Osvaldo Spengler?  Nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”

***

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...


venerdì 27 novembre 2015

Guerra all’Isis:  Renzi si è defilato
La  politica dell’ombrello. Degli altri



Sulla guerra all’Isis Renzi  si  è defilato…  E non gli si può dare torto.   La "coalizione" internazionale è ancora a un livello acquoso. E soprattutto,   politicamente, l' Italia è  una media potenza, militarmente invece, peggio ancora: una piccola.  Microesercito, pochi aerei,  marina fin troppo impegnata nel Mediterraneo,   morale della “truppa”, e in particolare dei vertici,  mediocre. Armi non convenzionali, neppure a parlarne. Forse potremmo contare sui Carabinieri e qualche reparto speciale, come la Folgore.  Poca roba. E quel poco che c'è,  è in giro per il mondo: le famose “missioni di pace”.  Quindi sul piano militare, la scelta è giusta.
E su quello politico? Diciamo che, moralmente,  abbiamo poco da perdere.  Dell’Italia nessuno si fida.  E la scelta di Renzi nulla toglie e nulla aggiunge a questo atteggiamento verso il Belpaese che, piaccia o meno,  è un "brand" diffuso all’estero.   Del resto, la politica estera di una media potenza militarmente nulla o quasi, quale poteva e potrebbe essere, se non quella di cercare di andare d’accordo con tutti? Storicamente,  sono noti a tutti di “giri di valzer” all’interno della Triplice e della Nato, con francesi e britannici da un parte e arabi e palestinesi  dall’altra. O comunque di appoggiarsi, se proprio necessario, ai più forti?  Insomma, di cercare sempre riparo sotto l’ombrello altrui?   
Ovviamente ciò ha provocato e può provocare lo sdegno di certi  patrioti tutti di un pezzo, che però plaudirono alla Prima Guerra Mondiale (che si poteva evitare, puntando sulla “lucrosa” neutralità giolittiana) e alla Seconda, inopinatamente fomentata da Mussolini, che quasi distrusse il Paese e culminò nella  guerra civile.  
Certo, potremmo in previsione di future e complesse scelte militari,  tentare almeno  di prepararci meglio alla bisogna,  stanziando più fondi per la Difesa. Ma Renzi,  da buon socialista, ben si guarderà dal provocare il potente partito neutralista ( e italianista), come dire, a fondo perduto,  formato, da post-comunisti,  pacifisti, partito delle mamme,  del Papa,  cattolici progressisti e non, anti-occidentalisti di varia estrazione, anche di destra.  D'altronde, quel divertentismo di cui parlavamo ieri, ormai è diventato per gli italiani una specie di seconda pelle, in alto come in basso. Quindi avanti con la politica dell’ombrello. Degli altri. 
La guerra non è fatta per noi. Prendiamone, serenamente,  atto.  


Carlo Gambescia                  

giovedì 26 novembre 2015

Isis, Siria e dintorni
Come può una società
divertentistica fare la guerra?
Può, ma solo se costretta…



La grave situazione in Medio Oriente impone al sociologo alcune riflessioni sulla natura delle trasformazioni avvenute nelle nostre società occidentali in relazione alla “pratica” della guerra. E trarne le conseguenze. Procediamo.
1) L’evoluzione culturale delle società tardo-industriali ha progressivamente  eroso la  credenza nella legittimità dell’uso della forza. Dal momento che  pacifismo e umanitarismo sono i valori-base sui quali esse sono fondate.
2) A ciò si è  associato  il declino dello spirito guerriero, declino tipico delle società divertentistiche di  massa,  fondate su piani di vita ludici, individuali e collettivi. Di qui, sul piano sistemico,  la sua sublimazione (si pensi a riti del tifo sportivo, ma anche alle  eruzioni  di violenza negli stadi) e la sua  conseguente delimitazione  alla repressione della  devianza (dalla criminalità allo stesso tifo violento).      
3)  Sulla base di questi fattori le nostre società possono essere definite post-militariste, o debellicizzate,  quindi contraddistinte, sul piano normativo,  dalla caduta di prestigio di tutto  ciò (persone, valori, atteggiamenti, comportamenti) che afferisce all’universo del conflitto armato generalizzato. 
Ora, la guerra può essere cancellata eticamente,  culturalmente, religiosamente, ma non sociologicamente. Perciò, dal momento che la verità dei fatti (sociologici) si vendica sempre (poiché il fenomeno bellico ha andamento fluttuante), prima o  poi il nemico, come sta avvendo, può bussare alle nostre porte.  Quindi  il punto è: come può una società post-militarista entrare in guerra?  Cioè fare una scelta contraria al proprio universo valoriale  e comportamentale?  Non può. Il che spiega, da parte del politico post-militarista, il temporeggiamento ed eventualmente, quando proprio non se ne può fare a meno,  il ricorso alla medicina bellica ad alta  tecnologia: che riduce o evita perdite di vite umane, difficili da gestire politicamente dal punto di vista (normativo)  del pacifismo e dell’umanitarismo.   
Inoltre, esiste un altro problema, non da poco,  legato alle tecniche di conservazione del potere da parte delle élites dirigenti. Ci spieghiamo  subito.  
Lo stato di guerra non può non influire sulle metriche divertentistiche - ad esempio in termini di programmazione dei  singoli piani vitali .-  inevitabilmente minacciate  dal brusco passaggio da una condizione post-militare a una militare.  Il che, alla lunga rischia di  minare  il consenso e provocare pericolosi “giri di vite” autoritari, non facili da gestire   per chi sia asceso al potere quale difensore della legittimità democratico-pacifista-umanitarista (il nostro Presidente della Repubblica ne è un chiaro esempio). La guerra, soprattutto se di lungo periodo e in società come le nostre dove autorità e disciplina sono valori socialmente residuali, rischia   di  trascinare con sé  sommovimenti sociali e determinare la caduta - ovviamente temutissima in alto, come per qualsiasi classe dirigente - delle élites al potere.
Pertanto, per tornare all’attuale crisi,  se guerra sarà, sarà frutto di  pressioni (del nemico) e contingenze esterne (frutto di circostanze militari scalari),  sempre più forti, diremmo in crescendo, fino al punto di rottura.  La "forza degli eventi", o se si preferisce l'antico mors tua vita mea,   spingerebbe le élites  al comando  - sulle basi, ovviamente, di una tempistica culturale legata alle diverse tradizioni nazionali -  a scegliere,  anche (o soprattutto) per non perdere il potere,  la soluzione militare. Insomma, di giocare il tutto per tutto nella lotta per l'esistenza dei popoli.  Si potrebbe parlare di costrizione alla guerra. Il modo peggiore per iniziarne una. Ma così è.


Carlo Gambescia        

mercoledì 25 novembre 2015

La crisi in Medio Oriente si fa sempre più grave
In difesa di un’Europa decadente (*)




Belgio e Francia sono in  stato d’assedio.  La Turchia, che  ha  aspirazioni  europee, abbatte senza tanti complimenti, un aereo russo  che bombarda lo Stato Islamico:  acerrimo nemico del nostro stile di vita.  Hollande, con il cappello in mano,  mendica dagli americani un aiuto che Obama, politico mediocre, riduce  al puro e semplice  scambio di informazioni. Tunisi subisce un pesante attentato di matrice islamista. Kobler, inviato speciale dell’Onu, sottolinea che l’Isis  rappresenta  la minaccia più grave in Libia.  In Italia si piange,  in mezzo ai grigiastri fumi della retorica pacifista, la studentessa morta a Parigi. Renzi, evidentemente privo di senso del ridicolo,  promette maggiori investimenti in sicurezza interna. Gli altri partner europei,  a parte Cameron,  tacciono e attendono.
Il quadro è desolante. Riflette  l’immagine, tristemente deformata, di un’ Europa decadente incapace di difendersi da chi  aspira a distruggerla, solo perché esiste.  Quali sono le ragioni di questa crisi?
Diciamo che  - semplificando -  l’Europa  ha reciso  le sue più importanti radici storiche.  Si pensi al glorioso liberalismo armato dell’Ottocento, delle grandi guerre di indipendenza,  trasformatosi  in bieco nazionalismo, giustamente sprofondato nelle trincee della Prima Guerra Mondiale. Oppure all’orgoglio coloniale, divenuto senso di colpa, perché  vittima di una caramellosa ideologia dei diritti universali.  Un approccio dolciastro che ha infierito, e duramente, anche sull’orgoglio cristiano: quando mai, oggi, Papa  Francesco, benedirebbe, ammesso che sia possibile armarne uno,  un esercito cristiano in partenza per la Siria?
Si dirà, liberalismo e democrazia, pagano le proprie contraddizioni.  Il primo, per  essersi trasformato in pura e semplice ideologia economica,  la seconda per essere divenuta comodo  riparo di furbi demagoghi, messisi, apparentemente, al servizio di maggioranze oziose e  viziate. Di qui, l'inevitabile resa dei conti.           
Si dovrebbe recuperare lo spirito del 1945.  Anche se, a pensarci bene, come si arrivò alla Seconda Guerra Mondiale? Per strappi successivi. L’Europa anche allora, per alcuni già avviata  sulla strada della decadenza, non voleva battersi (“Morire per Danzica?"). Eppure, alla fine fu costretta. Come furono obbligati gli Stati Uniti.  E si vinse. Tutti insieme. In difesa di un’Europa decadente. Ma liberale e democratica.  

Carlo Gambescia


(*) Rubiamo il titolo al magnifico libro di Raymond Aron (Mondadori 1978)

martedì 24 novembre 2015

Roma/ L’uomo che al semaforo  palleggia con la testa
Un simbolo di libertà


Domenica scorsa tornando da Fiumicino, dal finestrone del bus shuttle, fermo al semaforo rosso,  ho scorto un uomo di circa sessanta’anni, tarchiato,   che, palleggiando abilmente  con la testa, intratteneva  automobilisti, attenti e generosi.  Insomma,  al verde,  tutti felici e contenti.  
Artista di strada o foca ammaestrata?  Dovremmo, innanzitutto, chiederlo a lui (*).  Che dire?  Prendersela con il capitalismo cattivo che costringe gli uomini a vendersi, magari umiliandosi, all’angolo della strada? Oppure gioire della capacità umana, di  inventarsi un lavoro, tutto sommato onesto, capace di produrre  reddito?
Due possibilità. Coloro che chiamano in causa il capitalismo appartengono all’universo dei moralisti. quelli che ritengono di sapere sempre cosa sia bene per l’individuo, per imporglielo. Mentre coloro che celebrano la creatività umana, anche a livelli  non propriamente elevati (diciamo, a prescindere), appartengono al mondo piuttosto ridotto, minoritario dei pragmatici, del vivi e lascia vivere. 
Da un lato coloro che  possiedono ( o meglio credono di possedere) una ricetta morale (che quasi sempre diventa politica)  in grado di  riformare il  mondo, dall’altro coloro che confidano nelle capacità pratiche degli uomini,  da  sempre, si dice, in grado di  cavarsela da soli. I primi, enfatizzano quel   bisogno di sicurezza, che secondo alcuni animerebbe  la maggioranza degli uomini, al punto di barattare la libertà con la schiavitù; i secondi  credono invece  nella volontà di libertà ad ogni costo che,  per contro,  apparterrebbe a  pochi.  Chi ha ragione?  Premesso che,  comunque sia, si tratta di atti di fede sulla reale consistenza della natura umana,  ritengo se non giusta, più vicina alla realtà delle cose,  la tesi di Hayek.   Il quale scorge, a proposito della dicotomia di cui sopra,  da un lato razionalisti e costruttivisti, (per riferirsi al palleggiatore:  quelli che si indignano e invocano l'assistenza sociale), dall’altro i pragmatici e  liberali (quelli che si divertono e "manciano"...). Ovviamente, è altrettanto vero, che l’ordine spontaneo, teorizzato da Hayek (economista e filosofo),  non guarda in faccia nessuno. E per dirla con Morandi (cantante), uno su mille ce la fa. Però ecco il punto, come giustamente scrive Hayek:

« È ancor preferibile per tutti , che siano liberi solo alcuni  piuttosto che nessuno, e  anche che siano molti  a poter godere di una piena libertà piuttosto che tutti abbiano  soltanto una libertà limitata. L’importanza della libertà  di poter fare una determinata cosa - questo è il punto -  non  ha nulla da vedere con quanti vogliono farla: il rapporto può anche essere inversamente proporzionale. Ne consegue, tra l’altro che una società può essere intralciata da controlli  anche se la grande maggioranza  può ignorare che la sua libertà è stata significativamente limitata. Se procediamo presumendo che è importante solo l’uso della libertà fatto dalla maggioranza, creeremo certamente una società stagnante con tutte le caratteristiche dell’assenza di libertà». (La società libera, Vallecchi, Firenze 1969, p.  52,  tit. or. The Constitution of Liberty, 1960)

Perciò, la libertà è  rischio (di non farcela). E di conseguenza  non può essere legata (anzi non deve) al placet delle maggioranze, di solito dalle inclinazioni bovine, più amanti della sicurezza che della libertà.  E che vorrebbero mettere sotto tutela l'intera società.  
Ciò significa che l’uomo che palleggia con la testa,  difende la libertà di tutti.  Vigili urbani, pertanto, lasciatelo palleggiare...
Carlo Gambescia
               

 (*) Qui alcune informazioni sul palleggiatore, risalenti al 2011. Quindi il “Nostro” si è reinventato come artista di strada:   http://www.igossip.it/gossip/16537-anziano-60enne-mendica-al-semaforo-palleggiando/

domenica 22 novembre 2015

Terrorismo e “bon ton”
di Teodoro  Klitsche de la Grange



La settimana scorsa  a “Porta a porta” il Ministro degli interni, on.le Alfano ci ha insegnato che è inconsueto ed inaudito per un movimento terrorista (come l’ISIS) pretendere di costituire uno Stato; ricordando a sostegno di ciò come Al-Queda non avesse progettato di farlo.
Quindi, ne avranno concluso i telespettatori, il proposito di fondare uno Stato da parte di chi pratica il terrorismo denota una volontà anomala e (probabilmente) politicamente scorretta. I terroristi facciano i terroristi (forse la Spectre?); gli altri edifichino gli Stati.
Sarà ma la normalità, la regola è proprio l’inverso: chi vuole costruire una nuova sintesi politica (come lo Stato) spesso pratica il terrorismo – variante, per lo più urbana – della guerriglia: è raro il caso che si faccia un nuovo Stato sine effusione sanguinis.
Tra i tanti esempi di ciò, offerti dalla storia, ricordiamo che l’unità italiana era voluta anche da Felice Orsini, che – per realizzarla - insanguinò Parigi con l’attentato a Napoleone III; che l’Algeria moderna è nata dal terrorismo dell’FLN; l’Irlanda da quello dell’IRA; Israele da quello (anche) dell’Irgun zwei leumi; l’ANP da quello dei movimenti di resistenza palestinesi. E potremmo andare avanti per pagine, perché se gratti uno Stato qualsiasi, hai un’alta probabilità di trovare – all’origine – il terrorismo.
Se l’on. Alfano avesse conosciuto uno scritto di un suo grande conterraneo, Santi Romano, si sarebbe accorto che questa “regolarità” era stata considerata, “scoperta” e ricondotta alla “normalità” dell’istituzione (cioè del diritto) già alla fine della seconda guerra mondiale.
Con l’attacco alle Torri gemelle del 2001 questa normalità subì un’eccezione: Al Quaeda non sembrava rivendicare, né ha mai tentato realmente di costituire uno Stato, o almeno una sintesi politica a questo equiparabile: ma questa era l’eccezione alla regola.
Ed era frutto dell’intuizione di Bin Laden che aveva applicato alla guerra “asimmetrica” un consiglio di Sun-Tzu: a fronte di uno Stato – come gli USA - dotato di un enorme potenza (militare, economica e così via) si doveva contrapporre un modo di combattere che puntasse non sulla potenza (sarebbe stato sconfitto in partenza) ma sull’invulnerabilità. Il che voleva dire far si che gli USA non potessero indirizzare su obiettivi determinati ed individuati il proprio potenziale militare. E per far questo doveva rinunciare allo scopo normale (o rinviarlo), cioè a formare una sintesi politica. La quale richiede un territorio, una popolazione e un’organizzazione, come scriveva Santi Romano. Da questi tre elementi fondamentali i primi due, che costituiscono gli obiettivi “paganti”, non esistevano o erano così minuscoli da non essere percepibili.
A differenza di Al Queda, l’ISIS intende costituire un’unità politica; da qualche anno ha un territorio e una popolazione anche se “fluttuanti e provvisori”, come gli altri movimenti rivoluzionari; ha un esercito (pare di 80.000 uomini), delle finanze e un’organizzazione di controllo territoriale. Proprio per questo è vulnerabile agli attacchi e alle rappresaglie dei nemici. Qualche giorno fa curdi e yazidi hanno riconquistato una città occupata dall’ISIS. Russi e francesi bombardano; gli americani intervengono nel territorio uccidendone i capi (con i droni).
L’ISIS riconferma la norma di cui Al-Quaeda è stata l’eccezione: un movimento rivoluzionario è, in nuce, un ordinamento: e di questo ha in forma labile, tutti gli elementi. I quali però gli fanno perdere o attenuare il carattere dell’invulnerabilità  totale (o quasi), e lo espongono alle relative conseguenze sul campo.
In conclusione: la politica, diceva Lenin, non è una festa da ballo. Sartre titolò opportunamente un bel dramma – politico – “Le mani sporche”, a conferma di quel nesso tra politica e lotta (anche armata) che costituisce una delle costanti della storia (e delle istituzioni).
Ma se il movimento terroristico si organizza, acquisendo gli elementi (anche se labili) di uno Stato, il tutto ha un doppio pregio: di aumentare la propria vulnerabilità – e con ciò le possibilità di colpirlo, e così facilita la reazione bellica; e di poterci in prospettiva fare la pace (che presuppone di poter garantire tale status con una propria organizzazione e su una popolazione e un territorio certo).
Perché diversamente da quello che si legge sui rotocalchi, il nemico “normale” è quello con cui si fa la guerra, ma anche la pace.
                                                                       Teodoro Klitsche de la Grange


Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (2013).


martedì 17 novembre 2015




Arrivederci a martedì prossimo

***
17 novembre 2005 - 17 novembre 2015
Oggi il blog compie 10 anni!
Grazie a tutti gli amici lettori!

lunedì 16 novembre 2015

Arma dei Carabinieri (*)
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2015, lunedì 16 novembre, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO
Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio svolta nell'ambito della procedura riservata n. 642/2, autorizzazione COPASIR 3636/3b [Operazione NATO “SCAMBIAMOCI UN SEGNO DI PACE” N.d.V.] è stata intercettata, in data 15/11/2015, ore 11.23, una conversazione telefonica tra l’utenza si Stato vaticana in uso a  S.S. SANCHO I, e l’utenza n. 338***, in uso a MARCHINI WANNA. Si riporta di seguito la trascrizione integrale della conversazione summenzionata:

[omissis]


MARCHINI WANNA: “Pronto? Pronto, dottore?”
S.S. SANCHO I: “Pronto? Ma chi è lei?”
MARCHINI WANNA: “Sono la Wanna, dottore, la Wanna Marchini, non mi riconosce dalla voce?”
S.S. SANCHO I: “Chi le ha dato questo numero? E poi non sono dottore.”
MARCHINI WANNA: “Neanche io ho studiato, e cosa vuol dire? Si vergogna?”
S.S. SANCHO I: “Mi dica chi le ha dato questo numero o chiamo la sicurezza e la faccio rintracciare.”
MARCHINI WANNA: “Ma bene, bravo! Sono appena uscita di galera e mi ci vuole rimandare?  E lei sarebbe il papa dei poveri cristi? Io sono una povera crista, io e quella martire della Stefanella…”
S.S. SANCHO I: “Stefanella?!”
MARCHINI WANNA: “Mia figlia, poveretta, è anche malata…”
S.S. SANCHO I: “Senta, signora…”
MARCHINI WANNA: “Macché signora, Wanna! Diamoci del tu, dai.”
S.S. SANCHO I: “Senta, Wanna, mi dispiace per sua figlia, e anche per le sue traversie, ma deve capire che questo è un telefono di Stato, non può chiamare così, quando le pare…c’è un protocollo…”
MARCHINI WANNA: “Senti, Sancho, facciamo in due minuti e poi ti lascio andare. Ti ho telefonato per quel tuo dipendente, sai l’Abate di Montecoso?”
S.S. SANCHO I: “L’ Abate di Montecassino?”
MARCHINI WANNA: “Ecco, bravo. Quel povero ragazzo lì, che adesso tutti gliene dicono dietro una peggio dell’altra…tutta invidia, Sancho! Tutta invidia, dai retta a me che so di cosa parlo, mi hanno rovinato la vita ‘sti morti di fame!”
S.S. SANCHO I: “Senta, signora, adesso…”
MARCHINI WANNA: “Ma non ci davamo del tu? Senti, quel tuo Abate a me mi interessa, ha un non so che, cià l’X factor…Perché io adesso, vedi, metto su una trasmissione a ReteMille, dalle undici a mezzanotte…parliamo con la povera gente, vendiamo qualcosina…insomma, facciamo del bene.”
S.S. SANCHO I: “E io cosa c’entro con la sua trasmissione?”
MARCHINI WANNA: “Te lo spiego subito. Ci siamo io e la Stefanella, ma l’uomo ci vuole. Una volta c’era il maestro do Nascimiento, sai quel bel negrone? Ma vattelapesca dove è finito il maestro do Nascimiento, sparito, pùf!…insomma, avevo pensato al tuo Abate. Un bel ragazzo, giovane, perseguitato, anche gay che adesso non guasta…e poi i costumi, Sancho! Cià dei costumi che il mago Otelma se li sogna! Pensaci su, Sancho: te lo tiri giù dalle spese, e intanto lui in tivù si difende, si scagiona, fa pubblicità anche a te, alla tua azienda…”
S.S. SANCHO I: “La mia azienda?!
MARCHINI WANNA: “La Chiesa, no? Lo sai chi è il mio pubblico, Sancho? E’ il tuo. Povera gente, piena di disgrazie, ignorante come le capre, senza una lira, che prima va a Medjugorje, poi in attesa del miracolo che non arriva mai accende la tivù e guarda la Wanna, telefona, si confessa, si sfoga, si compra le sue alghe …facciamo lo stesso mestiere, Sancho, solo che te sei sulla piazza da più tempo e sei più furbo, ciài lo Stato del Vaticano e te ne freghi dei giudici, chi t’ammazza a te?”
S.S. SANCHO I: “Signora, guardi, quando è troppo è troppo. Lei…”
MARCHINI WANNA: “A me lo dici quando è troppo è troppo? A me?! Che mi sono appena fatta degli anni di galera, ciò solo dei debiti, ciò la pressione a duecento? Chi sei te per giudicare? Eh? Vestito di bianco, servito e riverito? Va là, va là che ti ho capito, io…Te sei un gran filone, la sai lunga te…’Scolta: mi rovino, duemila euro a puntata per il tuo Abate di Montecoso, col rimborso spese! In prima classe! No, pensa: telefona la poveraccia, scodella giù tutte le sue disgrazie, e il marito qua, e l’amante là, e i figli che sono disoccupati, si drogano  e le sputano in faccia, e la vicina che le dice dietro, e le vene varicose… Zàn! Primo piano dell’Abate col costume e quel cappello, come si chiama, quello a punta, alto, coi lustrini… e le fa: ‘Figlia mia, chi siamo noi per giudicare? Vai in pace.’ Tatatatàn! E io gli vendo l’alga. Vuoi la percentuale? Ne parliamo, però prima mi dai l’Abate. No, niente contratti, sulla parola, mi fido!”
[pausa]
E’ caduta la linea? Pronto? Pronto, Sancho? Sei ancora lì?
 Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.
M.o  Osvaldo Spengler



(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)

Chi è il  Maresciallo Osvaldo Spengler?  Nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”
***

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...




domenica 15 novembre 2015

Eccidio di Parigi
Il miglior amico del razzismo 
è il governante vile... 


È celebre la frase di Mussolini “non si può fare la guerra senza odiare il nemico” (2 dicembre 1942). Mussolini era un dittatore. Ma non va  neppure   ignorato l'odio verso Hitler  evocato  da Churchill, che non era un dittatore: “Batterci contro una tirannide mostruosa, non mai superata nei tragici annali dell’umana criminalità" (13 maggio 1940). 
Ieri  il presidente  Obama, lo stesso Papa e altri leader, pur con sfumature diverse, hanno addirittura messo in discussione, l’umanità (come appartenenza, crediamo, a un unico genere umano) dei terroristi in azione a Parigi. Parliamo di un Presidente, politicamente discutibile, ma di sentimenti democratici, e di un Papa che ha scelto come nome quello di Francesco, autore di una celebre cantica in onore di tutte le creature della terra.
Mussolini, Churchill, Obama, il Santo Padre…  Cosa c’è che non va?  Che le guerre  sono una continuazione dell’umanità con altri  mezzi, per parafrasare il celebre motto clausewitziano. Cosa vogliamo dire? Che l’odio è una componente ineliminabile dei comportamenti umani: quindi non  esistono società buone e guerre cattive, o per l’appunto statisti, anche aureolati, incapaci di odiare o predicare l’odio,  ma più semplicemente esiste un continuum dove l’odio, mantenendo una sostanziale unità di specie (o di genere) assume gradi (di intensità) differenti, che possono andare dall’antipatia all’avversione, dall’aggressione alla volontà di distruzione dell’altro.  L’antipatia, sentimento più privato che pubblico, è socialmente gestibile attraverso la competizione; l’avversione pure, come avviene in campo politico, attraverso forme di mediazione istituzionale; l’aggressione e  la distruzione rinviamo direttamente alla guerra.
A questo punto ci si chiederà,  ma allora l’amore?  Non è  un sentimento umano?  Certamente,  ma anch’esso è divisivo, perché nel momento in cui si ama qualcuno, l’esclusività stessa dell’amore, implica almeno  l’antipatia  verso chiunque voglia portarci via la persona amata. Di qui, semplificando,  come per l’odio, una serie di livelli crescenti: dai dissapori di coppia e in famiglia  alle guerre civili e mondiali.
Per dirla brutalmente, la guerra, è una forma di odio istituzionalizzato. Ciò significa che  in quanto istituzione va gestita con intelligenza e prudenza. Quindi il problema non è la disumanizzazione del nemico, fenomeno  che ha natura scalare perché racchiuso, piaccia o meno, nel DNA dei meccanismi sociologici dell’odio umano. Perciò dichiarare la disumanità del fondamentalismo  islamista va benissimo sul piano militare e della retorica bellica, a patto però di  passare subito all’azione.  Perché il vuoto organizzativo ( o peggio) che si può creare tra le parole e i  fatti  rischia di alimentare la deistituzionalizzazione dell’odio,  ossia  la sua pericolosa diffusione a livello collettivo con l'inevitabile  trasformazione (certo in prospettiva) della guerra annunciata in guerra civile tra bande armate di cittadini. Insomma,  il miglior amico del razzismo è il governante vile. Che talvolta,  per insicurezza o debolezza  favorisce, se ci passa l'espressione,  lo sviluppo delle famigerate "guerre tra poveri". E qui si pensi, per passare al piano mediatico, ai titoli rancorosi, stupidi  e  incivili, apparsi, questa mattina,  su molti quotidiani, soprattutto di destra.
Per tornare su quanto scritto ieri, la migliore risposta al nemico, ma soprattutto  al razzismo  strisciante, resta un attacco immediato, chirurgico ma devastante, e perciò dal valore  deterrente.   

     Carlo Gambescia  
  

sabato 14 novembre 2015

Parigi. Strage nel  teatro, kamikaze allo stadio
Ambasciatori, maestri e galera non bastano più



I morti non sono  quasi  tremila, come nel 2001,   ma l’attacco terroristico in piena Parigi, subito rivendicato dall’Isis, può essere paragonato a quello alle Torre Gemelle.  I tragici fatti  di ieri sera, ultimi di una catena di attentati anche in Medio Oriente,  impongono una riposta forte, come quella degli Stati Uniti, allora. Con  una variante: contro le basi del nemico vanno usate armi non convenzionali, in particolare, pensiamo al pendant tattico.   
Il nemico si può sconfiggere solo usando una forza militare superiore, che abbia due finalità in ordine scalare: 1) la deterrenza, che necessita però  di una minaccia, fondata sull’esempio di un precedente durissimo, meglio se terrificante; 2) la soppressione del nemico stesso, quando proprio non vuole capire, mediante l’annichilimento militare.     
Ne sarà capace la Francia, che pure dispone della triade?  E la belante Europa?  Che già, dopo poche ore, stando alle varie dichiarazioni, rispolvera il solito prudente approccio diplomatico, pedagogico  e poliziesco: ambasciatori  di buoni affari,  maestri e galera...  Sugli Stati Uniti di Obama - che pure potrebbero - sospendiamo il giudizio. Putin, invece, avrà sicuramente già preso in considerazione l' ipotesi.  Ma è isolato.  Qui invece occorre  una grande alleanza politico-militare, come contro Hitler. Quanto alla Francia siamo pessimisti.  De Gaulle, avrebbe agito già da tempo, altro che Hollande... Anche per evitare - non stiamo ironizzando  - derive OAS.  L’inevitabile,  fai da te… La guerra civile…  Ovviamente sul suolo francese.  Ma sarebbe solo l'inizio.  Hobbes docet.  
Però, come non ricordare,  nella gravità del momento, anche un  vecchio leone come  Winston Churchill, altro che Cameron....  Si legga  il suo   vibrante e realistico discorso a tutto campo del 13 maggio 1940, quando Hitler vinceva ovunque.  Un  capolavoro di buona   retorica politica,  ma soprattutto un perfetto esempio dal punto di vista del senso della realtà e della comprensione della pesanteur  del politico.  Nel senso - ci spieghiamo meglio -  di pensare la politica, politicamente. Insomma, di accettare le sue sfide, come quando il nemico ci indica come tali, ignorando qualsiasi specie di nostra benevolenza.  Ascoltiamolo:

«Non ho da offrirvi che sangue, sudore, fatica e lacrime. La nostra politica è fare la guerra; nostra meta, la vittoria […]. Voi mi domanderete: Ma, qual è la nostra politica? Io vi rispondo: batterci per terra, in mare e in cielo. Guerra con tutta la nostra forza e tutto lo spirito battagliero che Dio può infonderci. Batterci contro una tirannide mostruosa, non mai superata nei tragici annali dell’umana criminalità. Questa è la nostra politica. Quali i nostri scopi? Voi mi domandate. Posso rispondervi con una sola parola: Vittoria, vittoria ad ogni costo, vittoria nonostante ogni terrore; per lunga e dura che possa essere la strada; perché senza vittoria non sopravviveremo. [...] Ma io m’assumo il mio compito con baldanzosa speranza. Sono certo che la nostra causa non sarà abbandonata dall’uomo. Ora è il momento in cui mi riconosco il diritto di chiedere l’aiuto di tutti e dico: Su, dunque, marciamo tutti insieme unendo le nostre forze» (*)
  
Ovviamente, il rischio è quello della spirale.  Che non va sottovalutato, ma neppure enfatizzato.  Del resto, siamo in guerra. A brigante, brigante e mezzo.  
Come  hanno insegnato Charles  de Gaulle e Winston Churchill.

Carlo Gambescia

(*) W. Churchill, Storia della seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano 1961, Vol. II, La loro ora più bella, pp. 36-37

venerdì 13 novembre 2015

Europa sveglia!
Con sorrisi  e lacrime non si va da nessuna parte...




Uno. È di oggi: l’arte sacra cristiana, a scuola può turbare  gli studenti di altre fedi. Quindi  niente visite guidate a  chiese e mostre “dedicate”.
Due. Intanto, in Medio Oriente si combatte, una guerra di religione, con terribili  ripercussioni globali.
Tre. Un’Europa,  nelle mani di cattolici di sinistra, socialdemocratici, post-comunisti ( e quando fanno comodo populisti e neofascisti),  discrimina economicamente  Israele,  unica nazione mediorientale, dove è possibile organizzare, piaccia o meno,  un gay pride (può sembrare una stupidaggine, ma non è così:  genealogicamente - e il nemico lo sa bene -  si potrebbe risalire all’Areopagitica di Milton). 
Quattro. Per contro, un ebreo ieri  sera è stato accoltellato a Milano in perfetto stile Intifada.  
Cinque. Infine, la polizia, sempre ieri, ha sgominato una  banda  islamista, pronta a compiere attentati a pioggia.
L’Europa è in guerra, ma fa finta di nulla. Non ci stancheremo mai di ripeterlo.  
Ora,  che i cittadini debbano continuare la loro vita, se possibile, in modo piano e tranquillo, anche nelle situazioni più difficili, è buona regola di governo (perfino un brigante come Hitler, fino al 1942-43, saccheggiando i paesi occupati, si sforzò di non fare pesare l’immane conflitto da lui provocato sulle spalle del popolo tedesco). Ma i responsabili, le classi dirigenti, no. Esse devono in tutti i modi: 1) individuare il pericolo e rimuoverlo con tutti i mezzi necessari, opponendo una forza militare superiore a quella del nemico; 2) difendere, valorizzare e promuovere i valori, per i quali è degno combattere il nemico, valori  che, per  evitare subito equivoci, non sono quelli del porgere l’altra guancia.
Ci spieghiamo meglio.
Nel primo caso (individuare, eccetera), l’approccio delle classi dirigenti europee,  politiche in particolare, è di tipo pacifista. Risente dell’irenismo culturale  cattolico, socialista,  liberale di sinistra (non realista). Con devastanti effetti di ricaduta sulla politica estera. 
Nel secondo caso (difendere,  valorizzare, eccetera),   tra cattolici, socialisti e liberali di sinistra non c’è accordo di fondo sui valori da difendere, ma solo su quelli da respingere in nome di un umanitarismo dolciastro e accomodante. Di qui, un penoso e peloso relativismo di stato che se per un verso facilita e neutralizza le relazioni di cittadinanza, per l’altro, ottunde  il senso di appartenenza a una tradizione politica, economica e sociale che ha fatto grande l'Europa  e il mondo nei secoli moderni: dalle istituzioni liberali  all'economia di mercato, dalla libertà di pensiero e parola al progresso scientifico e tecnologico. Una pagina di storia, autenticamente gloriosa. Di cui ogni europeo dovrebbe andar fiero. Uno "zoccolo duro" di valori da difendere a ogni costo, anche con la spada, e non  da annacquare per ragioni di quieto vivere.  
E invece? Per farla breve:  pacifismo politico e singhiozzo dell’uomo bianco distinguono  l’Europa di oggi. Ma con i sorrisi e con le lacrime non si va da nessuna parte. Europa sveglia! 

Carlo Gambescia


giovedì 12 novembre 2015

I giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi, autori dei libri "Avarizia" e "Via crucis", sono indagati in Vaticano
La svolta giudiziaria 
di Papa Francesco


E adesso vediamo come reagiscono le beghine laiche e di sinistra  che appoggiano la “rivoluzione” di Papa Francesco. Perché diciamola tutta:  il Vaticano che indaga, nell’ambito di Vatileaks, su due giornalisti, Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi,  di nazionalità italiana, e sottolineiamo  nazionalità italiana,  per “un possibile concorso nel reato di divulgazione di notizie e documenti riservati”, maleodora di invasione di campo. Di più: suona come un  pesante avvertimento per  chi  in futuro tentasse  di toccare argomenti  scomodi per la Chiesa.   
Ma non era democratico Papa Francesco? Ora,  per tradizionalisti e conservatori,  tesi da sempre a fustigare  i poteri laici,  la  magistratura vaticana  sta facendo il suo dovere.   Ma per la sinistra, paladina della libertà di stampa?  Nessuna reazione?
Fin qui il teatrino mediatico-politico, che pure ha un senso.  In realtà,  l’indagine dei giudici vaticani su due giornalisti, che a quanto ci risulta non ha precedenti nella storia dell'Italia repubblicana (almeno di tale gravità), rappresenta una specie di test per misurare la forza di Papa Francesco sul piano dell' opinione pubblica: oggettivamente, dall’esterno, per chi segue le vicende vaticane; soggettivamente, dall’interno. Ci spieghiamo: il Santo Padre  probabilmente, non era all’oscuro delle mosse  della magistratura vaticana. Di più: forse, da navigato gesuita,  per dirla con il grande Jannacci, dopo aver gridato aiuto-aiuto-è-scappato-il-leone, vuol vedere di  nascosto l’effetto che fa...  
Tradotto: in qualche misura, dietro i giornalisti indagati, si nasconde una  sfida ragionata alla pubblica opinione  di sinistra per scoprire fino a che punto sia disposta a compromettersi con la   “nuova politica”.  E al tempo stesso  - diavolo di un gesuita -  il Papa vuole rassicurare conservatori e tradizionalisti, interni ed esterni alla Chiesa (“Qui si fa sul serio!”): non per nulla i due giornalisti lavorano per testate di sinistra (“l'Espresso” e “La7”). 
Abilissimo. Sicché il passaggio è interessante. E conferma due cose: uno, il Papa, politicamente, la sa lunga (altro che San Francesco, tutto peace and love); due,  la Chiesa Cattolica, per così dire,  è viva e lotta insieme a noi (certo, sulle finalità, la discussione resta aperta). Ovviamente,  fino a quando lotterà,  non è dato sapere.  Molto infatti dipende da come il mondo laico e non, interpreterà  la svolta giudiziaria di Papa Francesco. Perché l'apertura di credito, potrebbe anche chiudersi. 
Carlo Gambescia
                   

mercoledì 11 novembre 2015


La demoralizzazione italiana




I titoli di oggi. Da una  parte  il  pio Papa  Francesco che  condanna potere e ricchezza, dall’altra il rio De Luca, come si scriveva un  tempo, ennesimo politico che viene indagato per  presunta corruzione nei riguardi di un giudice.  Infine,  Renzi, che promette, investimenti pubblici, in nome di un costoso post-keynesismo immaginario.      
I poteri ci sono tutti, o quasi: politico, Renzi e De Luca, spirituale, il Papa, giudiziario,  la Procura di Roma.  Si fanno però cose in cui nessuno più crede, a cominciare dai cittadini, che buttano sui titoli l' occhio assuefatto.  Il Papa che  promette la  salvezza eterna,  Renzi e i giudici, quella in terra.  Le solite storie. Oltre le quali c’è la vita vera, dicono gli scettici blu.  Ma qual è la vita vera?  Solo in Italia, ci sono quasi sessanta milioni di opinioni diverse…  
Va in scena così,  per un altro giorno,  la demoralizzazione italiana. Domani si replica.  E fra  tre giorni è sabato. Forse, è quella la vita vera? 

Carlo Gambescia

  

martedì 10 novembre 2015

Bologna e Roma, nuove alleanze  anti-Renzi  a destra e sinistra
La politica si fa con chi "ci sta"...



La politica,  piaccia o meno,  si fa con quello che  c’è  e non con quello non c’è.  Insomma, con  le forze politiche che, di volta in  volta,  "ci stanno".  Così Berlusconi prova  a ricostruire con Meloni e Salvini un centro-destra assai diverso da quello degli anni d’oro,  perché spostato più a destra  e con Forza Italia boccheggiante. A  sinistra, invece,  il neonato SI, per ora ricco solo di ex colonnelli, attraverso Fassina, prova a offrirsi a Grillo  per le comunali:  fa politica con quello che c’è, a sinistra del Partito Democratico. Secondo alcuni osservatori, destra e sinistra, radicalizzando le posizioni, rischiano di frammentare ulteriormente il quadro politico, favorendo, quando si voterà, la vittoria di Renzi, già abilissimo di suo nel conquistare i  moderati.  
Però la si può vedere anche in altro modo, proprio partendo da una possibile alleanza romana  tra M5S e SI (che però i pentastellati, ufficialmente avrebbero già rifiutato): destra e centro-sinistra in pezzi, vittoria facile  della sinistra più radicale: quella di coloro che dicono SI a Grillo.  A Roma, potrebbe nascere una nuova alleanza del terzo tipo  per le politiche,  quantomeno per vincere al ballottaggio.
Stesso discorso a destra. L’idea dell’alleanza, FI-Lega-FdI -  quello che c’è -   dal punto di vista elettorale (lasciando perdere i programmi, ridicoli: tutto a  tutti...) potrebbe funzionare per raggranellare qualche voto in più. Ma probabilmente, non per vincere o arrivare al ballottaggio… Pertanto quello che c’è,  miracoli a parte, talvolta rischia di non  bastare.  Dal momento che i voti di centro potrebbero finire  - tutti -  nelle tasche di Renzi.  Ma l’ex Sindaco fiorentino,  a sua volta, potrebbe arrivare al ballottaggio - parliamo delle politiche -  e poi  perdere  contro  il Movimento Cinque Stelle  rafforzato  dai voti di SI, con una destra divisa, tra non voto e voto a Renzi per evitare il peggio… Inoltre ai voti di SI, potrebbero aggiungersi quelli del “proviamola nuova”, l'area vasta degli  scontenti di Salvini, Meloni, Berlusconi, Renzi… Insomma, un mezzo terremoto.   
Pertanto, in prospettiva  - certo, molto dipenderà dal voto amministrativo ma anche dalla forma definitiva che prenderà la legge elettorale -  scorgiamo  un ballottaggio tra  Renzi e  Grillo.  A quel punto i moderati,  di tutti i partiti, visto che la politica, si fa con quello che passa il convento, non potranno non turarsi  il naso  e votare per l’ex Sindaco di Firenze. Ma potrebbe non bastare.
La politica, ripetiamo,  si fa con quello che c’è.  Berlusconi, iniziò la sua volata raccattando Fini e resti vari della Prima Repubblica… L’Ulivo di Prodi  nel 1996 mise insieme post-democristiani e post-comunisti, appoggiando addirittura in molti collegi i  candidati di Rifondazione…
Ovviamente, poi governare, è un’altra cosa. 
Carlo Gambescia
                

lunedì 9 novembre 2015

Arma dei Carabinieri (*)
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2015, lunedì 9 novembre, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO
Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio ambientale svolta nell'ambito della procedura riservata n. 642/2, autorizzazione COPASIR 3636/3b [Operazione NATO “SCAMBIAMOCI UN SEGNO DI PACE” N.d.V.] è stata intercettata, in data 08/11/2015, ore 02.34 antimeridiane, presso la Casa di Santa Maura, una conversazione intercorsa tra S.S. SANCHO I e PERSONA IGNOTA. Si riporta di seguito la trascrizione integrale della conversazione summenzionata:

[omissis]


PERSONA IGNOTA: “Psss…sveglia!”
S.S. SANCHO I: “Eh? Eh? Chi c’è?”
PERSONA IGNOTA: “Io.”
S.S. SANCHO I: “Io chi? Dove sei?”
PERSONA IGNOTA: “Qua.”
S.S. SANCHO I [tra sé]: “E’ un sogno, questo è un sogno…”
PERSONA IGNOTA: “Se preferisci…”
S.S. SANCHO I [accende la luce, tra sé]: “Qua non c’è nessuno…lo stress, dev’essere lo stress…”
PERSONA IGNOTA: “Ma sei proprio de coccio, come si dice qua! Ti mandano il fulmine sul cupolone di San Pietro, poi il gabbiano e il corvo che attaccano la colomba, e tu niente, non fai una piega. Ti vengo a parlare in camera tua, e tu nisba. Cosa vuoi, la raccomandata AR?”
S.S. SANCHO I: “Chi sei?”
PERSONA IGNOTA: “Finalmente! Facciamo un passo avanti. Sono il professor Pareto.”
S.S. SANCHO I: “Chi?!”
PERSONA IGNOTA: “Pareto, Vilfredo Pareto. Mi conosci?”
S.S. SANCHO I: “Il nome non mi è nuovo…forse, ho letto qualcosa di tuo, tanto tempo fa…sei un sociologo, no? Ma scusa, tu non sei…”
PERSONA IGNOTA: “…sono morto, sì. Ero un sociologo, adesso come adesso ho altri impegni: sai, in Purgatorio la sociologia non serve tanto.“
S.S. SANCHO I. “Ma tu non eri quello che prendeva in giro la virtù? Non dicevi che Dio, fede, religione e morale sono solo invenzioni per manipolare gli sciocchi? E non sei all’Inferno?”
PERSONA IGNOTA: “I virtuisti, prego: prendevo in giro i virtuisti, tutt’altra cosa dalla virtù. Quanto al resto, ammetto che dopo morto la verità delle cose mi ha fatto una grossa sorpresa. Ma io la verità delle cose non l’ho temuta mai, anzi: l’ho sempre cercata per guardarla bene in faccia. Ecco perché non sono all’Inferno.”
S.S. SANCHO I. “E perché sei qui?”
PERSONA IGNOTA: “Viene un angelo e mi fa: ‘Senta, prof. Pareto, ce lo fa un piacere?’ ‘Dipende,’ dico io (non si sa mai, sono furbi come diavoli quelli). ‘Qui c’è il papa che riforma, riforma, parla tanto, parla troppo, a volte senza pensare,…insomma: ha bisogno di una lezioncina. Noi non ci sta a sentire perché siamo simbolici, dice lui…’ ‘Come simbolici?!’ ribatto io. ‘Ma sì, un modo cortese per dire che non esistiamo…’ E qua ci siamo fatti una risata; spiritoso l’angelo, alla mano. Certo, era un angelo di bassa forza, gli angeli d’élite hanno tutt’altro stile, ti mettono una soggezione…insomma, gli rispondo: “Mi scontate tre secoli e ci vado.’ ‘Due’ contratta lui. ‘Mi volete sì o no?’ gli faccio io, a muso duro. E lui molla: hanno questa cosa della bontà che un po’ li frega…”
S.S. SANCHO I: “Allora esistono davvero?”
PERSONA IGNOTA: “Chi, gli angeli? Certo, proprio tu me lo domandi? Comunque, la vuoi sentire o no la lezioncina? Tanto per me è lo stesso, i tre secoli di sconto me li becco in ogni caso.”
S.S. SANCHO I [pausa]: “Sì.”
PERSONA IGNOTA: “Bene. Vado al punto, che di chiacchiere ne fai già tu parecchie. Visto che sei una persona intelligente, ti faccio una lezione in tre assiomi: tu poi unisci i puntini da solo. Sei pronto?”
S.S. SANCHO I: “E dai!”
PERSONA IGNOTA: “Così mi piaci, reattivo! Allora, assioma uno: ‘Si può porre come norma generale che una fede qualsiasi, quanto più procura di conciliarsi colla scienza, tanto più rapidamente decade.’ Assioma due: ‘Si vede ora quanto sia grande soggettivamente il valore del concetto dell'uguaglianza degli uomini, che oggettivamente è nullo. Esso è il mezzo comunemente usato, specialmente ai tempi nostri, per torre di mezzo un'aristocrazia e sostituirla con un'altra.’ Assioma tre: ‘In Europa, dal medio evo sino verso il secolo XVIII, non era lecito di discorrere delle religioni che non fossero la cristiana, se non come di funesti errori; ora è sorta una religione umanitaria-democratica, e questa sola è vera e buona; le altre, compresa la cristiana, sono false e perniciose’.  E adesso datti da fare tu. Buon lavoro e buonanotte.
S.S. SANCHO I: “Professore! Professore! [pausa] Può ripetere? Non ho capito!”

Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.
M.o  Osvaldo Spengler


(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)


Chi è il  Maresciallo Osvaldo Spengler?  Nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”
***

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...