Occasionalismo,
romanticismo e infallibilismo politico
Et voilà, la destra post-fascista
Oltre Alessandro Campi
Oggi
tornerò sulla questione Campi. E non per “ragioni personali”, che non ci
sono mai state, mai ci saranno, ma per ragioni sociologiche, Se si vuole di sociologia politica, e anche di storia delle idee. Come del resto provano i numerosi articoli ( e
almeno un libro, molto letto, scritto con Nicola Vacca, A
destra per caso), dedicati alla questione
della destra post-missina, semplificando post-fascista.
Campi, per me, non è altro che un esempio
paradigmatico, dunque sociologico, dell’incapacità di certa cultura, dal
passato missino, o comunque nei suoi dintorni, di favorire la trasformazione del post-fascismo,
non dico in un immaginario partito
liberale, ma in qualcosa, capace, culturalmente, di comprendere le ragioni della modernità
cognitiva. Altrimenti detto, semplificando: del discorso pubblico liberale, della tolleranza,
della libertà economica.
Tradizione e modernità
Pensavo a queste cose, proprio a
proposito delle prime pagine di oggi, tutte dedicate allo scontro Salvini-Casarini. Una specie di regolamento di
conti, per così dire, tra opposti estremismi.
Come si è arrivati a tal
punto? Ecco, qui emerge la precisa responsabilità, della cultura
post-missina. Per fare qualche nome,
penso sul piano del giornalismo culturale,
a figure come Veneziani e Buttafuoco, che nell’immaginario mediatico,
rappresentano la “cultura di destra”. Oppure, su un piano togato, a Cardini e allo stesso
Campi. Ma potrei fare i nomi di
giornalisti, comunque non banali, come Malgieri e via via fino alle generazioni più giovani e rampanti.
C’è in tutti costoro, ovviamente
secondo le più diverse sfumature ideologiche e professionali, o il rifiuto della modernità, nel senso sopra
indicato, o la sua rielaborazione in chiave di modernismo reazionario: di
modernità, come inveramento di una tradizione
(variamente interpretata), capace di avvalersi, strumentalmente, anche delle euristiche delle moderne scienze sociali. In qualche misura, Marco Tarchi
- e prima ancora Alain de
Benoist, maestro del professore fiorentino - fu il
mentore di Campi.
Olismo
Non si discute qui, della
bravura o meno dei singoli , delle
pecche caratteriali o meno, eccetera, eccetera, bensì del rapporto di questa cultura, al fondo tradizionalista, con la modernità cognitiva, che in tutti, viene giudicata o come un pericoloso deragliamento dalla tradizione o come qualcosa
da ricondurre nell’alveo di una
filosofia della storia, con ricadute pratiche, dove alla tradizione (vista, ripetiamo,
secondo variopinte sfumature) siano riconosciuti i suoi diritti primordiali fondanti e rifondanti. Il
che implica una visione olistica della
realtà, che viene immaginata come innervata dalla necessità di ricondurre le varie parti della
realtà a tutto. Che può essere lo stato-nazione ipostatizzato (Campi), il
medioevo immaginario (Cardini) , l’ Islam reinventato (Buttafuoco), il paganesimo
di cartapesta (Veneziani), il conservatorismo sincretico (Malgieri).
Un approccio cognitivo che ha impedito di prendere - culturalmente - sul serio, il ruolo, per ricaduta, della modernità cognitiva nell'ambito della democrazia rappresentativa, dell’economia di mercato, dello stato di diritto.
Un approccio cognitivo che ha impedito di prendere - culturalmente - sul serio, il ruolo, per ricaduta, della modernità cognitiva nell'ambito della democrazia rappresentativa, dell’economia di mercato, dello stato di diritto.
Occasionalismo
Il che spiega quell’occasionalismo
politico che determina i comportamenti
della cultura post-fascista. Occasionalismo, come uso strumentale - all’occasione - della modernità. Altrimenti detto, la sindrome occasionalista spiega quella
volontà di salire su qualsiasi treno politico, con
l’intenzione di riuscire a prenderne la
guida per condurlo in una direzione, se non antimoderna,
di certo ostile alla modernità politica ed economica. Ciò spiega, riconducendo l’universale sociologico al più prosaico particolare,
prima i fascisti dopo Mussolini, (nelle varie sfumature intra e anti-missine),
poi il post-fascismo di Alleanza nazionale, l’unificazione con Forza Italia, Futuro e Libertà , Salvini, Meloni, i populismi, senza però fare mai il salto culturale - per
carità non facile - dalla tradizione ( o
meglio tradizioni) alla modernità
cognitiva. L’occasionalismo, consente di
giocare su almeno due piani: dal tradizionalismo puro al modernismo reazionario e viceversa. Nonché di
godersi o meno, secondo la propria dirittura morale, le prebende del momento.
Altro punto fondamentale. L’occasionalismo
politico si nutre di romanticismo politico. Che cosa voglio dire? Che il romanticismo
politico, consiste nella facoltà di
potersi riservare, in ogni occasione, salvando la propria purezza
intellettuale, in nome del carattere archetipico e fantastico della creazione politica, il diritto di recesso ideologico.
Attenzione, non parlo di fallibilismo politico, ossia
dell’accettazione razionale della natura
esperienziale della realtà, e quindi del fatto che
sia l’errore sia il tentativo (come prova), facciano parte di un
approccio cognitivo normale. Ma del suo esatto contrario: l’ infallibilismo romantico, qualcosa di
cognitivamente anormale, al fondo istintuale. Semplificando: per l’infallibilista, ogni volta può
essere quella decisiva, da cui non si torna indietro. Detta ancora più
volgarmente: o la va o la spacca. Di
conseguenza: Almirante era un
padre-padrone, Fini il fratello di Badoglio, e così via fino a quando verrà il turno della
Meloni, di Salvini e dei populisti.
Ovviamente, dopo.
La retorica della transigenza
Il punto però non è il buco della chiave, dal quale
osservare, le miserie umane o meno degli occasionalisti post-fascisti, ma la
forma mentis - definiamola così,
semplificando - che
contraddistingue l’occasionalismo politico, che implica il rifiuto della retorica della transigenza
(che, sviluppando le intuizioni di Hirschman, è anche un' etica). E in nome di
che ? Dell’intransigenza assoluta. Nei riguardi di cosa? Della tolleranza dei moderni.
Il che spiega, per ricaduta, non solo le posizioni sugli immigrati di Salvini, dunque
lo scontro politico in atto, ma
l’appoggio culturale, larvato o meno,
che viene da una destra
post-fascista, che ridicolizzando un
Casarini, una Boldrini, un Saviano, ridicolizza la modernità, in particolare
quella politica ed economica. Al fondo, si continua a rifiutare e irridere, al di là dell'epifenomeno, il discorso pubblico liberale.
Che poi la sinistra, certa
sinistra, a sua volta faccia del proprio meglio, per farsi odiare, rinvia non alla modernità in quanto tale, ma al
momento egemonico, culturalmente egemonico, di una visione costruttivista, dunque unilaterale della
modernità, che accomuna, quando si dice il caso, modernisti reazionari e modernisti marxisti, con innervature liberal-socialiste,
macro-archiche. Ma questa è un’altra storia.
Nulla di personale
In fondo, per tornare solo per un
momento sul personale, cosa ha detto Campi? Che anche se scrivessi la Critica della ragion pura, lui non la leggerebbe. Pura retorica dell’intransigenza.
Credete, cari lettori, che io abbia ricevuto repliche, ogni volta che
ho affrontato, e non solo con Campi, il rapporto tra
occasionalismo politico e modernità? Mai.
Il che spiega, perché un
intellettuale come Giano Accame, fautore convinto di una retorica della transigenza, sia stato completamente
dimenticato dalle destre post-fasciste.
Ieri il professor Luigi Marco
Bassani, tra i commentatori, chiedeva a Campi,
cosa di preciso mi aveva fatto. Nulla.
A me.