mercoledì 20 marzo 2019

 Occasionalismo, romanticismo e infallibilismo politico
 Et voilà, la destra post-fascista






Oltre Alessandro Campi
Oggi tornerò  sulla questione Campi.  E non per “ragioni personali”, che non ci sono mai state, mai ci saranno, ma per  ragioni sociologiche,  Se si vuole di sociologia politica, e anche di storia delle idee. Come del resto provano i numerosi articoli ( e almeno un libro, molto letto, scritto con Nicola Vacca,  A destra per caso),  dedicati alla questione della destra post-missina, semplificando post-fascista.
Campi, per me,   non è altro  che un esempio paradigmatico, dunque sociologico, dell’incapacità di certa cultura, dal passato missino, o comunque nei suoi dintorni, di  favorire la trasformazione del post-fascismo,  non dico  in un  immaginario  partito  liberale,  ma in qualcosa, capace, culturalmente,  di comprendere le ragioni della modernità cognitiva. Altrimenti detto, semplificando: del discorso pubblico liberale,  della tolleranza, della libertà economica.

Tradizione e modernità
Pensavo a queste cose,  proprio a proposito delle prime pagine  di oggi,  tutte dedicate allo scontro Salvini-Casarini.  Una specie di regolamento di conti,  per così dire,  tra opposti estremismi.
Come si è arrivati a tal punto?  Ecco, qui emerge  la precisa responsabilità, della cultura post-missina. Per fare qualche nome, penso  sul piano del giornalismo culturale, a figure come Veneziani e Buttafuoco, che nell’immaginario mediatico, rappresentano la “cultura di destra”. Oppure, su  un piano togato, a Cardini e allo stesso Campi.  Ma potrei  fare i  nomi di giornalisti, comunque non banali, come Malgieri e via  via  fino alle generazioni  più giovani  e rampanti.
C’è in tutti costoro, ovviamente secondo le più  diverse sfumature ideologiche e professionali,  o il rifiuto della modernità, nel senso sopra indicato, o la sua rielaborazione in chiave di modernismo reazionario: di modernità, come inveramento di una  tradizione (variamente interpretata), capace di avvalersi, strumentalmente,  anche delle euristiche  delle moderne scienze sociali.   In qualche misura, Marco Tarchi  -  e prima ancora Alain de Benoist,  maestro del professore fiorentino -   fu il mentore di Campi.  

Olismo
Non si discute qui, della bravura o meno dei singoli , delle pecche caratteriali o meno, eccetera, eccetera, bensì  del rapporto di questa cultura, al fondo tradizionalista,  con la modernità cognitiva, che in tutti, viene giudicata o come un  pericoloso deragliamento dalla tradizione  o  come  qualcosa  da ricondurre nell’alveo di una  filosofia della  storia, con  ricadute pratiche,  dove alla tradizione (vista, ripetiamo, secondo variopinte  sfumature) siano  riconosciuti i suoi diritti primordiali  fondanti e rifondanti. Il che implica  una visione olistica della realtà, che viene  immaginata  come innervata dalla necessità di ricondurre le varie parti  della realtà a tutto.  Che può essere lo  stato-nazione ipostatizzato (Campi), il medioevo immaginario (Cardini) , l’ Islam reinventato (Buttafuoco), il paganesimo di cartapesta (Veneziani), il conservatorismo sincretico (Malgieri).
Un  approccio  cognitivo  che ha impedito di prendere  -  culturalmente -    sul serio,  il ruolo, per ricaduta, della modernità cognitiva nell'ambito della democrazia rappresentativa, dell’economia di mercato,  dello stato di diritto. 

Occasionalismo
Il che spiega quell’occasionalismo politico  che determina i comportamenti della cultura post-fascista. Occasionalismo, come  uso strumentale   - all’occasione  -   della modernità.  Altrimenti detto, la sindrome occasionalista  spiega  quella volontà di   salire su qualsiasi treno politico, con l’intenzione di riuscire a  prenderne la guida  per  condurlo in una direzione, se non antimoderna, di certo ostile alla modernità politica ed economica. Ciò  spiega,  riconducendo l’universale sociologico  al più prosaico  particolare,    prima  i fascisti dopo Mussolini, (nelle varie sfumature intra e anti-missine), poi il post-fascismo di   Alleanza nazionale, l’unificazione con Forza Italia,   Futuro e Libertà , Salvini, Meloni, i populismi,  senza però fare mai il salto culturale -  per carità non facile -   dalla tradizione ( o meglio tradizioni)  alla modernità cognitiva.  L’occasionalismo,  consente di giocare su almeno due piani:  dal tradizionalismo puro al modernismo reazionario e viceversa.  Nonché di godersi o meno, secondo la propria dirittura morale,  le prebende del momento.


 Romanticismo  e infallibilismo politico
Altro punto fondamentale. L’occasionalismo politico si nutre di romanticismo politico.  Che cosa voglio dire? Che il romanticismo politico, consiste nella facoltà di  potersi riservare, in ogni occasione, salvando la propria purezza intellettuale, in nome del carattere archetipico  e  fantastico della creazione politica, il diritto di recesso ideologico.  
Attenzione,  non parlo di fallibilismo politico, ossia dell’accettazione  razionale della natura esperienziale della realtà, e quindi del  fatto che  sia l’errore sia il tentativo (come prova), facciano parte di un approccio cognitivo normale. Ma del suo esatto contrario:  l’ infallibilismo romantico, qualcosa di cognitivamente anormale, al fondo istintuale.  Semplificando:  per l’infallibilista,   ogni volta può essere quella decisiva, da cui non si torna indietro. Detta ancora più volgarmente: o la va o la spacca.  Di conseguenza:  Almirante era un padre-padrone, Fini il fratello di Badoglio,  e così via fino a quando verrà il turno della Meloni, di  Salvini e dei populisti. Ovviamente, dopo.  


La retorica della transigenza
Il punto però  non è il buco della chiave, dal quale osservare, le miserie umane o meno degli occasionalisti post-fascisti, ma la forma mentis  - definiamola così, semplificando  -  che  contraddistingue l’occasionalismo politico, che implica  il rifiuto della retorica della transigenza (che,  sviluppando le intuizioni di   Hirschman,  è anche  un' etica). E in nome di che ? Dell’intransigenza assoluta.  Nei riguardi di  cosa?  Della tolleranza dei moderni.
Il che spiega, per ricaduta,  non solo  le  posizioni sugli immigrati di Salvini, dunque lo scontro politico in atto,  ma l’appoggio culturale, larvato o meno,  che  viene da una destra post-fascista,  che ridicolizzando un Casarini, una Boldrini, un Saviano, ridicolizza la modernità, in particolare quella politica ed economica.  Al  fondo,  si continua a  rifiutare e irridere,  al di là dell'epifenomeno, il discorso pubblico liberale. 
Che poi la sinistra, certa sinistra, a sua volta faccia del proprio meglio, per farsi odiare, rinvia  non alla modernità in quanto tale, ma al momento egemonico, culturalmente egemonico, di una visione costruttivista,  dunque unilaterale della modernità,   che accomuna, quando si dice il caso,  modernisti reazionari e  modernisti  marxisti, con innervature liberal-socialiste, macro-archiche.   Ma questa è un’altra storia.            

Nulla di personale
In fondo, per tornare solo per un momento sul personale, cosa ha detto Campi? Che anche se scrivessi la Critica della ragion  pura, lui non la leggerebbe.  Pura retorica dell’intransigenza.  
Credete, cari lettori,   che io abbia ricevuto repliche,  ogni volta che ho affrontato, e non solo con Campi,  il  rapporto tra occasionalismo politico e modernità? Mai.    
Il che spiega, perché un intellettuale come Giano Accame, fautore convinto di una retorica  della transigenza, sia stato completamente dimenticato dalle destre post-fasciste.
Ieri il professor Luigi Marco Bassani, tra i commentatori, chiedeva a Campi,  cosa di preciso mi aveva fatto.  Nulla.  A me.        


Carlo Gambescia

P.S. Piccola curiosità, solo per gli appassionati  di telenovelas e  plot.  Sapete, amici lettori,  come ha risposto  Campi al professor Bassani? Come  avrebbe risposto Quinto  Navarra... Che tristezza.