Il dossier di “Nuova Storia Contemporanea” sul leader comunista.
Chi era Togliatti?
Chiamale se vuoi illusioni,
ma i
cinquant’anni dalla morte di Togliatti ( il 21 agosto 1964),
potrebbero essere l' occasione, sul
piano celebrativo, per rilanciare - ovviamente,
non pensiamo a Renzi, già “vaccinato” - la figura del “Migliore”. E proprio ad uso e
consumo di una variegata area politica minoritaria, composta di alcuni "piddini" sempre scontenti, vecchi stalinisti, neo
e post comunisti, ecologisti più rossi che verdi, anticapitalisti e antimericani
( magari con propaggini nostalgiche
- mai dire mai - nello stralunato radicalismo di destra).
Per prepararsi bene ai possibili fuochi di artificio mediatici,
fuochi stanchi ma pur sempre fuochi, consigliamo vivamente la lettura dell’ultimo
fascicolo di “Nuova Storia Contemporanea” (Anno
XVIII, n. 2, marzo-aprile 2014, pp. 168, Euro 12,00), dedicato completamente a Togliatti.
Scrive lo storico Francesco
Perfetti, direttore della rivista: « A
distanza di mezzo secolo dalla scomparsa
di Togliatti è opportuno riconsiderarne la figura e l’attività , pur
senza nulla togliere alla sua abilità di
uomo politico spregiudicato e
intelligente ma anche profondamente cinico, per metterne in luce quegli
elementi troppo spesso celati dalla visione agiografica della sua personalità, a cominciare
dalla sua fiducia nello stalinismo, e
per sfatare la leggenda di una rappresentazione unitaria della storia del Pci , come di un partito la
cui vocazione sarebbe stata essenzialmente “nazionale”: una leggenda questa, costruita sulla negazione della
verità e portata avanti proprio da Togliatti
con l’uso strumentale degli
scritti di Antonio Gramsci, da lui stesso pubblicati in maniera destrutturata e
mutilata per renderli funzionali ai suoi progetti politici e per
avallare l’idea, nascondendo i contrasti
con l’autore dei Quaderni dal carcere, della continuità
Gramsci-Togliatti» (p. 8).
Veniamo ai singoli interventi.
Massimo Caprara, che conobbe Togliatti molto da vicino, ne offre un ritratto, degno dei personaggi
storici del Principe di Machiavelli, senza perciò rifiutargli l’onore
delle armi. Sulfurea, tuttavia, quasi in senso letterale, la sua chiusa: « In una
biografia fra le più recenti Togliatti
viene definito “uomo di frontiera “ avendo trasformato milioni di “ribelli” in “cittadini” e avendo
ipotizzato una forma avanzata di regime
parlamentare. Prendo in considerazione
questa definizione ribadendo che
lunghe e sostanziali furono le sue
incursioni nei territori della
disumanità. Credo che a Togliatti non si
possa togliere il posto in un qualche girone dell’ Inferno dantesco, dove
peraltro non possono trovarsi gli inetti e gli insipidi»
Piero Ostellino si sofferma sul
rapporto con lo stalinismo, riconducendo l’atteggiamento togliattiano di
acquiescenza a una sorta di patto hobbesiano, dove in cambio dell’ obbedienza Togliatti,
riceveva da Stalin protezione. Puri e
semplici vincoli di una politica
naturale della sopravvivenza. Altro che grandi ideali.
Luciano Pellicani, con la perspicacia che gli è propria smonta l'idea del
«partito nuovo di Togliatti », partito
leninista e di massa al tempo stesso, e perciò incapace, anche se
attento alle riforme sociali, di convertirsi in socialdemocratico, dal momento
che le riforme non potevano essere considerate un fine, ma soltanto un mezzo per
agguantare il potere e imporre la mitica dittatura del proletariato.
Antonio Ciarrapico mostra invece,
quanto fosse arcaica e illiberale l’idea togliattiana di democrazia, dal leader accettata strumentalmente in attesa di introdurre la democrazia sostanziale di marca sovietica: una specie di
Eldorado da opporre alla democrazia rappresentativa, borghese e decadente dell’Occidente.
Alberto Indelicato, oltre a ricostruire, la doppiezza,
sempre pro-Unione Sovietica del leader
del Pci, ne evidenzia il «forsennato
antiamericanismo», che in alcuni
momenti - certo, con gli occhi di oggi - sfiora addirittura il tragicomico, come nel
caso del presunto diritto, difeso da Togliatti, dell’esercito
sovietico «di inseguire» in territorio
italiano l’aggressore americano.
Sul 1956 si sofferma Giuseppe Bedeschi, con pagine di grande
intensità critica, e crediamo - almeno a nostro impressionistico giudizio - di sincera partecipazione (non comprensione o giustificazione,
ovviamente) verso un Togliatti, malinconicamente tetragono a qualsiasi critica non solo dello
stalinismo ma della stessa società sovietica. Una tragedia culturale che ha impedito la nascita di una sinistra riformista.
Luigi Nieddu si occupa del nodo
Togliatti-Gramsci: uomini caratterialmente e culturalmente diversi
e simili solo nell’intransigenza ideologica. Quindi un matrimonio di
convenienza, culminato nella separazione in casa (si fa per dire…), quando
Gramsci incomincia a prendere le distanze dal modello stalinista. Di qui, la freddezza di
Togliatti e l’uso disinvolto, copia-e-incolla, del lascito gramsciano.
Sergio Bertelli, indaga “gli
amori impossibili” di Togliatti, provando come per il Migliore, le donne, anche se con qualche fugace momento di abbandono sentimentale, fossero subordinate alla causa comunista, nonché alla sua salvezza personale dai lunghi artigli di Stalin. Una vita sentimentale, insomma, che somiglia a un deserto, con qui e là qualche piccolo e grazioso fiore di cactus.
Pietro Neglie affronta
l’ossessione togliattiana per la cultura, quale strumento
di coesione, legittimazione, ed egemonia politica e ideologica. Diciamo che se Gramsci guardava alla
formazione dell’uomo nuovo, Togliatti si
accontentava del militante alfabetizzato allo stalinismo, disciplinato e per nulla interessato
agli arcana di partito.
Natalia Terekhova,
illustra lo scarso interesse della cultura storica russa, con qualche prevedibile puntata nell’agiografia della
storiografia sovietica, nel riguardi di Togliatti. Lapidarie le sue
conclusioni: « Secondo un sondaggio svolto
tra gli storici italianisti l’attività
politica durante l’ultimo ventennio della sua vita non interessa più a nessuno e se una città
russa non portasse ancora oggi il nome di Palmiro Togliatti, il leader
storico dei comunisti italiani, uno dei massimi esponenti del movimento
operaio internazionale, un grande amico
di questo Paese, potrebbe essere considerato davvero dimenticato » (p. 132).
Il fascicolo si chiude con un’autentica chicca: la pubblicazione
del
rapporto inedito di Andrea Caffi (1887-1955), sulle
Vittime
del terrore bolscevico(1918-1923), Il documento riprodotto in appendice è
preceduto da un denso saggio di Agnese
Accattoli in cui è ben tratteggiata l’intrigante
figura di un socialista libertario, molto più realista e smaliziato di un John Reed, alla prese con primi micidiali colpi di maglio del comunismo sovietico.
Insomma, un bel fascicolo, da non perdere. Tra l'altro corredato, sul piano illustrativo, da gustosissime vignette d'epoca. Quindi un'occasione anche per sorridere. E, cosa più importante, per non
dimenticare che cosa è stato il comunismo, anche quello italiano, brand
Togliatti.
Carlo Gambescia