Le radici sociali
dell'astensionismo
C’era una volta la democrazia. No, magari
c’è ancora. Diciamo però, che non gode buona salute. E che sempre più spesso
assistiamo al solito confronto tra destra e sinistra su tasse e spesa sociale.
Roba da ragionieri. Anche se nei giorni precedenti e successivi alle elezioni,
come capita dal 1994, i media finiscono sempre per concentrarsi sugli scandali
politici.
Ormai in Italia le intercettazioni a singhiozzo hanno sostituito i contenuti e
i confronti politici. Si pensi solo alla campagna appena finita, condotta “a
colpi di procure” .
A questo proposito, probabilmente torna utile una riflessione più generale - in
termini di cause profonde - sul fenomeno dell’astensionismo. Perché come hanno
mostrato, anche le elezioni regionali, se proprio c’è un fantasma che si aggira
per l’Europa, sicuramente è quello di una democrazia che perde sempre più
elettori. Perché?
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L'elettore "assente"
L’elettore “assente”, chiamiamolo così, in
genere è quello più attento alla nuova puntata di “Amici” o di “Ballando sotto
le stelle” che di “Porta a Porta” o “Anno Zero”. E non si sintonizza neppure
quando Vespa e Santoro si occupano di onorevoli allupati. Perché, come hanno
mostrato alcune ricerche, i talk show politici sono seguiti dai soliti che
votano: quelli già convinti (pro o contro). Ciò implica che, nonostante i
timori del Cavaliere, i programmi di intrattenimento politico non influiscono
sull’ elettore “assente” chi vota, continua a votare, chi non vota, continua a
restare a casa.
Ma eleviamo un po' il tono dell’ analisi.
Se la democrazia è la “macchina che fabbrica cittadini”, nel senso che il voto
rappresenta l’esercizio di una libera scelta attraverso cui l’elettore può
“cambiare le cose” e quindi “farsi” cittadino, allora la democrazia italiana
non “fabbrica” più cittadini dal 1948. Anno in cui gli italiani votarono,
facendo una precisa scelta di campo in favore del capitalismo. Dopo di che il
sistema dei partiti, diviso in due blocchi, sprofondò in una specie di limbo
politico (tutto Chiesa e Casa del Popolo), durato fino alla caduta dell’Unione
Sovietica.
Negli anni Novanta l’apparizione di Berlusconi, ha agitato le acque e scatenato
le procure. Di qui quella democrazia, molto particolare, segnata da intercettazioni
a singhiozzo, proclami contro i "giudici comunisti", invocazioni,
altrettanto feroci, contro quel “fascista del Cavaliere”, e cosi via. Di
riflesso, da almeno un quindicennio, ogni tornata elettorale anche
amministrativa, viene enfaticamente vissuta come la sera prima della battaglia
del Termopili.
Tuttavia, nonostante tutte le scazzottate mediatiche e giudiziarie, gli
spettatori a bordo ring mostrano di annoiarsi. Infatti persiste tuttora il
sentimento diffuso che recarsi alle urne non abbia alcun valore. In Italia,
secondo alcune indagini votano meno di 3 cittadini su 4 , in Europa 2 su 4,
negli Stati Uniti 1 su 4.
Tuttavia i dati negativi delle regionali, se
confermati in futuro, attestano che l'Italia si sta purtroppo avvicinando alla
media europea. Del resto quando si intervista il cittadino che vota, si scopre
che 1 su 2 non crede più nell’importanza del suo voto, perché non ha alcuna
fiducia in una classe politica, spesso giudicata corrotta e inefficiente.
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Le "tre cittadinanze"
Ora, se la democrazia non “fabbrica” più
cittadini, attraverso l’esercizio del voto, come li “fabbrica”? Nessun
problema, il circuito della legittimazione e del consenso ormai pratica altre
strade. Innanzitutto, va ricordata la “cittadinanza mediatica”. Gli studi sui
contenuti dei programmi e delle notizie veicolate dai media, provano che
insieme alle scazzottate viene costantemente ripetuto un solo messaggio: il
nostro sistema di vita è il migliore in assoluto. E che di conseguenza i
cazzotti sono solo un prezzo, fin troppo lieve, da pagare alla democrazia. E
così il “cittadino mediatico o “mediatizzato”, pur non capendo, come il buon
Ferrini, “si adegua”.
Va poi ricordata la “cittadinanza economica”. Finora il sistema produttivo, pur
con alti e bassi, si è mostrato all’altezza della situazione. Il che, per dirla
in sociologhese, ha permesso una redistribuzione abbastanza regolare del
prodotto sociale e garantito tutele sindacali, previdenziali e assistenziali.
Un processo che ha favorito, accrescendone il consenso sociale, l’integrazione
delle classi lavoratrici. Ma che, per contro, ha trasformato ogni dibattito
politico in economico. Tradotto: la “politica” ormai ruota intorno alla pura
divisione, tra cittadini e potere, della ciccia intorno all’osso. Tuttavia la ciccia
- con questi chiari di luna - rischia di assottigliarsi…
Infine, va segnalata la “cittadinanza consumistica”. Assicurare a tutti (o
quasi) la possibilità di acquisire beni e servizi, rappresenta la carta
vincente: la “riprova” che il sistema funziona. L’iperconsumo viene giudicato
dalla gente comune, che subisce l’ipnotico effetto della cittadinanza
mediatica, come l’agognato traguardo della cittadinanza economica.Cittadinanza
mediatica, economica, consumistica. Cerchio perfetto? No, perché, come accennavamo.
la crisi economica in corso rischia di rimettere tutto in discussione, e in
particolare la cittadinanza economica e consumistica. Di qui la necessità che
la “macchina economica” torni al più presto a macinare profitti veri (non
speculativi) da redistribuire, più o meno, a tutti.
Ma per quale ragione? Perché più la crisi si allunga, più la credibilità del
sistema rischia di risentirne.
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Può bastare la ricerca del puro
benessere?
Per ora, le persone continuano a ragionare
come in passato: se si vive in una specie di “Paese dei Balocchi”, che senso
può avere la cittadinanza politica? Perché si dovrebbe votare per cambiare? Se,
nonostante i casi di corruzione e malgoverno, tutto sembra “marciare” per il
meglio, perché l’elettore dovrebbe punire i corrotti ? E del resto non sono gli
stessi politici, dagli sguardi rassicuranti e benevoli, a promuovere politiche
centriste? Presentando la realtà che ci circonda come il migliore dei mondi
possibili?
Il che ripetiamo, non è falso. Ma il benessere “nonostante tutto”, non può
bastare. Dal momento che la gente ha bisogno anche di ideali, valori e
soprattutto rispetto. Quel rispetto, che spesso un mercato affamato solo di
profitti speculativi, rischia di ignorare.
Un’ultima osservazione: le cittadinanze mediatica, economica e consumistica
sono inversamente proporzionali alla cittadinanza politica. Se si consolidano
le prime tre, si indebolisce la seconda. E per quale motivo? Perché la gente,
reputando la politica ininfluente sull'economia, se ne frega e non va a votare.
Studi in materia provano come il crescente astensionismo elettorale sia tipico
delle democrazie opulente, tutte egoisticamente concentrate sui consumi e non
sulla politica, vissuta come altruistica partecipazione attraverso il voto. Il
presidente Napolitano, qualche volta vi accenna, ma nessuno se lo fila. Si
preferisce invece parlare di utilitaristico voto di scambio. Inoltre anche gli
scandali, più o meno manovrati, non aiutano gli italiani a fare spogliatoio.
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Conclusioni
Perciò se l’ astensionismo subisse
un'improvvisa flessione - cosa che domenica non è stata - sarebbe un segnale di
risveglio della cittadinanza politica? No. Perché dietro il non voto si
nasconde sia la paura della crisi, in parte comprensibile, sia l’egoistico
timore di perdere la cittadinanza consumistica. Il che significa che le vie
dell’egoismo umano, come quelle del Signore, restano infinite. Soprattutto
quando si incrociano con quelle di un capitalismo sempre più sordo a qualsiasi
movente non economico.
Carlo Gambescia