giovedì 31 ottobre 2019

L’accordo Fca-Psa
Avanti tutta!



Già sembra di sentirli i rosso-bruni, cioè  neocomunisti, neofascisti,  sovranisti e  populisti di vari colori, gridare alla svendita del "lavoro italiano" al "capitalismo  francese". Come qualche anno fa, gli stessi idioti economici,  strepitarono per l’accordo tra Fiat e  Chrysler. Poi di grande successo (*).  
Gente incapace di comprendere il funzionamento di  un’economia di mercato, e  soprattutto globale,  prigionieri di una visione apocalittica e  autarchica,   paventano un  lupo capitalista  che  non esiste.  O se proprio esiste è molto meno pericoloso delle iene fasciste e comuniste.
Certo, siamo davanti  alla classica  operazione  oligopolistica. Che, attenzione però,  può essere premiata o meno dal mercato.  Per ora le borse salgono.  Sembra vedano di buon occhio la  prossima nascita del quarto colosso mondiale automobilistico, Fca-Psa.

Del resto, il termine oligopolio  non è una parolaccia.  E qui penso agli amici liberoscambisti ad oltranza che storcono il naso.  
Perché  il diavolo non è sempre così brutto come lo si dipinge. Dal  memento che,  persino nel quadro di economia di mercato imperfetta dove alla micro si sostituisce la macro-concorrenza, il rapporto costi-ricavi marginali  ha sempre la sua importanza. E per una semplicissima ragione:  il consumatore resta  il giudice in ultima istanza. La Corte di Cassazione  dei prezzi...  
Ed è proprio questo il punto.  Perfino  un monopolio privato, come nel caso dei monopoli naturali ( in genere esistenti in ambito infrastrutturale, come una rete ferroviaria), se gradito ai consumatori (dal punto di vista   del rapporto   prezzo/qualità ), può acquisire un senso economico importante.
Cosa significa?  Che nel caso dell’accordo tra Fca-Psa, visto che  si tratta di automobili e non di beni infrastrutturali, la concorrenza,  anche se  tra oligopoli, sarà durissima.  Perché comunque basata  sul rapporto costi-ricavi marginali.   Con due notizie aggiuntive però:  una buona e una cattiva.  
Quella buona, riguarda i consumatori, perché rinvia alle  implicazioni economiche sui prezzi, nei termini di  effetti di ricaduta sui  prezzi: di regola,  in una prima fase  stabili, poi in seguito calanti.  
Quella cattiva,  concerne i  lavoratori,  per  le  possibili implicazioni sociali racchiuse negli inevitabili, anche se non proprio sempre,  tagli all’occupazione.

Ne consegue però la necessità, in Italia come in Francia,  di  favorire  i meccanismi di sostegno e riallocazione delle risorse sociali. Tradotto: cassa integrazione e politiche attive del lavoro.                  Del resto  il mercato, soprattutto in Europa, impone l' uso, sebbene accorto (mai a pioggia), di ammortizzatori sociali. Di qui l’importanza di un trade-off  di tipo strategico (per la serie "cosa faremo da grandi") tra impresa  e  lavoro. Strategico, nel senso di accettare  il quadro sistemico fondato sulle libertà di impresa, e di riflesso sulle libertà di  produzione, lavoro e consumo. Insomma, mai  tirare la troppo la corda. Il che deve valere per tutti glia attori economici.  
Insomma, nel nome del realismo economico (taglio dei prezzi e dei costi),  operazioni del genere vanno viste di buon occhio. Dopo di che però  devono risultare gradite  ai  consumatori e neutralmente affettive per  imprenditori e  lavoratori.  
La concorrenza,  seppure oligopolistica, resta molto forte e fa crescere  profitti e  Pil.  Il che va a vantaggio di tutti,  consumatori e lavoratori. Si chiama ciclo dell'interdipendenza economica.
Non vanno invece a vantaggio dei consumatori come dei lavoratori,  le  misure protezionistiche.  Che creano monopoli nazionali innaturali, che piacciono invece  agli imprenditori letargici.  Inoltre, tornando sul punto,  parliamo di  monopoli  dannosi  in un settore come quello delle automobili  che ha senso solo se parla al mondo e quindi guarda lontano. Una dannosità  in qualche misura illustrata dai  rapporti tra Fiat e fascismo.
I monopoli e gli oligopoli innaturali  conducono al depauperamento dei consumatori, costretti a comprare ad alto prezzo merci nazionali scadenti, e al conseguente  impoverimento di lavoratori che non possono comprare le merci che producono.  Roba da società arcaiche.  O fasciste e comuniste.
Pertanto,  avanti tutta con l’accordo Fca-Psa!
Un’ultima questione. Il nuovo gruppo Fca-Psa avrà un management all’altezza delle sfide future? La scomparsa  di Sergio Marchionne  ha creato un vuoto incolmabile. Ecco, forse, il punto debole.  

Carlo Gambescia
   

mercoledì 30 ottobre 2019

29 ottobre 2019
Una giornata  particolare…


Esistono giornate di gioia pura.   Rare, ma ci sono. La vita talvolta è ingiusta perché pone ostacoli che sentiamo di non meritare.  Ma che vanno affrontati, comunque. E con coraggio.  Sta  a noi superarli.   Meglio se insieme a una persona cara.
Del resto l’uomo non è un’isola, vive in  un sistema di relazioni sociali complesso, segnato tuttavia  dalla kantiana socievole insocievolezza.
Insomma, non si può andare d’accordo con tutti.   Spesso però non dipende da noi. Perché è l’altro  a indicarti come nemico, e per le ragioni meno nobili: avidità, invidia, gelosia, ingratitudine, pura stupidità, eccetera, eccetera. Sicché, ci si ritrova, anche senza volerlo, al centro di una specie di  “guerra”.  E ci si deve difendere.  Queste guerre possono durare anni. Poi però…
Diciamo che ieri, 29 ottobre 2019,  ho vissuto una giornata particolare. Che sentivo e sento di meritare.  Di qui, la mia gioia.  Per  completare la metafora bellica:  ho vissuto un piccolo 25 Aprile, privato.  Altro non posso  e non voglio  dire.
Buona giornata a tutti.  E un augurio di  tante, tante, tante giornate particolari agli amici lettori. Di cuore. Anche ai nemici sconfitti.  Ai quali si deve sempre tendere la mano. 

Carlo Gambescia


martedì 29 ottobre 2019

La vergogna di dichiararsi “riformisti”
Auguri a Piero Sansonetti  
( e  Carlo Pompei)


Oggi  torna  in edicola  “Il Riformista” (*).  Da giorni però è  iniziato  il fuoco alzo zero su  un giornale  che come da tradizione vuole restare equidistante dall’estremismo parolaio delle destra e della sinistra.  
Di qui i duri attacchi, a cominciare da Marco Travaglio, l’ ayatollah della purezza  mediatica nazionale.    
Piero Sansonetti nel suo primo editoriale critica la sinistra, che da quando  Salvini non è più al Viminale, sembra disinteressarsi dei salvataggi  in mare. Da leggere.
Purtroppo nell’ Italia  del fanatismo populista dichiarasi riformisti, liberali, garantisti, significa  autoescludersi  per ritrovarsi  deportati,   circondati da lettori armati del "Fatto Quotidiano". Rinchiusi in qualche  campo di rieducazione  in compagnia di Renzi, Boschi, Brunetta, Ferrara, eccetera, eccetera.  Tutti a battere i piedi per il freddo, all'aperto, durante "l'ora delle vergogna".   In attesa, per i casi più gravi, del plotone di esecuzione. Comandato -  rigorosamente - da qualche capitano in toga dell’armata giustizialista di liberazionale  nazionale...
Pertanto, da reietto, visto che mi  considero, riformista, liberale e garantista, faccio i miei auguri a Sansonetti, senza alcun retropensiero,  dal momento che come giornalista ho già dato.  
A questo proposito, mi piace ricordare  “Linea”,  da anni non più in edicola. Sulla quale  ho scritto a lungo,  godendo  della massima libertà.  
Se uscisse di nuovo, sarei l'uomo più felice del mondo. Soprattutto per l’amico Carlo Pompei, bravo giornalista, con un passato a "Linea", ora  "a spasso" (quanto spreco…),  che potrebbe esserne  il  nuovo e capace direttore.  
Tra l'altro,  l'idea del   "fotoromanzo della politica", che oggi campeggia sulla prima del "Riformista"  è una delle sue  tante botte di genio,  per la serie  "Mai profeti in Patria". E nemmeno "Fuori". Quindi realizzata da altri.          
Concludendo, di nuovo  auguri a Piero Sansonetti. E pure a Carlo Pompei.

Carlo Gambescia




    

lunedì 28 ottobre 2019

Umbria, non ha vinto il centrodestra ma la destra dura e pura
Lunedì "nero"

Se si fosse votato per le politiche,  la destra, quella dalle evidenti propensioni neofasciste e populiste,  maggioritario o non maggioritario,  con il 47 per cento (Lega più FdI)  ora   avrebbe i numeri per governare il Paese, anche senza Forza Italia, ridotta al 5 per cento.
Pertanto, in Umbria ha vinto la destra dura e pura: quella razzista, quella del Mussolini consigliato male, quella paternalista e statalista , quella  nemica del liberalismo e del  dibattito civile. Anche se in versione iena ridens.  Un lunedì "nero". In tutti i sensi. 
Inutile cercare scuse negli errori del Pd e del M5s, accettando i triviali luoghi comuni (per semplificare) fascio-leghisti.  In realtà,  l’Umbria è una regione amministrata benissimo. E da sempre.  O comunque meglio di molte altre  regioni.  Basta fare un giro turistico, anche breve, per le sue ridenti città e cittadine, per scoprire bellezza ben curata, ordine e pulizia. La Sanità umbra resta un modello (*).  Sono commenti banali, ma necessari. Perché?
La risposta purtroppo è semplice e si chiama ubriacatura politica.
Che capita quando si beve troppo? Che si straparla, si canta, si balla, si dicono cose che da sobri non si direbbero mai. Magari ingiurie, rischiando di provocare risse da saloon.

Insomma,  non ci si comporta da diligenti cittadini. Si trascurano o violano le regole. Senza badare alla natura autolesionistica degli atti.   Ed è ciò  che sta accadendo  non solo in Italia, ma in Germania, in Catalogna, addirittura in Cile, nazione dall’economia sanissima e in crescita. Altro che farsi  parte diligente... 
Sembra che la gente comune sia come stanca  di vivere in pace e di accontentarsi delle aspirazioni a una vita borghese. Si vuole di più, ma senza impegnarsi. Illudendosi che la scorciatoia populista e razzista sia la risposta a ogni problema. 
O meglio pseudo-problema.  In argomento, si veda  l'ottimo  libro di alta divulgazione, Factfullness (Rizzoli 2018) scritto da  Hans Rosling, un medico, statistico e professore universitario. Dove si  spiega, cifre alla mano, come la gente comune  sia vittima di enormi  distorsioni cognitive  perfino sulle proprie condizioni  economiche,  per non parlare dell’immigrazione trasformata in  invasione che non c’è.

Purtroppo,  esiste  una demagogica cultura del vittimismo politico che blandisce la gente comune. La  coccola e tratta  alla stregua dei  bambini viziati e capricciosi.  Un vittimismo  sul  quale però  speculano neofascisti e populisti.  Sicché, una volta  ubriaca di bugie, la gente comune li vota, credendo nelle ricette miracolose.  
Il che  prova,  ancora un volta,  quanto la democrazia sia una specie di scatola vuota dentro la quale si può mettere di tutto, perfino le idee dei suoi nemici.
Che fare? Con gli ubriachi come ci si comporta?  Si aspetta che passi. E con i popoli ubriachi?  Si attende  -  come fece Croce dinanzi al fascismo -  che si compia il loro destino.  Insomma, che la realtà si vendichi. Anzi che  faccia giustizia. 
Certo,  i costi potrebbe essere alti.  Ma con gli ubriachi non si ragiona.        

Carlo Gambescia                          



domenica 27 ottobre 2019

Concluso il Sinodo speciale  sull’Amazzonia
 Contro la società aperta

Il vero  punto della questione è  che la Chiesa Cattolica non ha mai accettato il mondo moderno… Giudizio, il nostro,  per metterla sul difficile,  apodittico?  No,  perché il Sinodo speciale sull’Amazzonia,  e soprattutto come  viene “incartato” sulle pagine dell’ “Osservatore Romano”,   la dice lunga su questo  inveterato  atteggiamento conflittuale.

Lasciamo  ai tradizionalisti la critica dello spiraglio sul sacerdozio ai diaconi sposati aperte dal Sinodo.  La ciccia antimoderna, se ci si passa  l’espressione, è  nella seguente proposta,   anticipata dall’Ansa.

“Di definire il peccato ecologico come un'azione o un'omissione contro Dio, contro il prossimo, la comunità e l'ambiente”. Lo afferma il documento finale del Sinodo dei vescovi per l'Amazzonia individuando questi peccati “in atti e abitudini di inquinamento e distruzione dell'armonia dell'ambiente”. (*)

Insomma, chiunque non faccia la raccolta differenziata rischia l’inferno.   Al di là delle battute su una Chiesa Cattolica che rischia veramente il ridicolo,  appare chiaro che per il cattolicesimo  il vero nemico da battere  resta  il “sistema occidentale”.   Come del resto si evince  dall’ editoriale  apparso sull’ “ Osservatore” in nota al  sinodo.  Vergato  da un eco-teologo, Giuseppe Buffon.  Qui un passo, che la dice lunga, anzi lunghissima sulla visione del mondo  di   padre  Buffon,  che riflette, visto che l’ "Osservatore"  non è un giornaletto parrocchiale, la visione antimoderna della Chiesa.          

“Da una parte mega progetti di agricoltura estensiva, orientata a soddisfare i fabbisogni dei mercati internazionali, come a esempio quello cinese, disposto ad acquistare grandi quantità di carne provenienti dal Brasile; dall’altra invece la valorizzazione della sapienza tradizionale, che ha saputo riconoscere una ricca biodiversità agroalimentare e una grande varietà di piante medicinali, indispensabili per la salute delle popolazioni indigene. Da una parte l’introduzione di semi transgenici per ottenere una produzione agricola atta a soddisfare il commercio internazionale; dall’altra l’impiego di semi autoctoni prodotto di una conoscenza e saggezza ancestrale, fonte dell’autonomia e dell’identità propria dei popoli indigeni.” (**)

De Maistre, Donoso Cortés, e compagnia cantante sottoscriverebbero. Ma anche Lenin, Stalin e Fidel Castro.  E probabilmente anche il Gesù  Cristo, contraffatto,  della teologia (rossa) della Liberazione. Del resto,  si  predica un’ autarchia calata dall'altro, imposta a  tutti per il "loro bene", che non dispiacerebbe neppure a Hitler e Mussolini.  

Insomma, estrema  destra  reazionaria ed estrema sinistra rivoluzionaria si  toccano. Neri e rossi, come nell' Ottocento, vanno a braccetto, perseguendo  le stesse finalità costruttiviste di imprimere alla storia la direzione giusta.  Solo che oggi  usano  l'ideologia (per alcuni odiologia) ecologista.  Diciamo che la Chiesa guarda indietro, i rivoluzionari avanti, troppo avanti, ma il nemico resta  lo stesso. Sicché,  la Chiesa Cattolica continua a difendere la  causa dei nemici della società aperta.  
Nihil sub sole novum.    
Carlo Gambescia     
         


sabato 26 ottobre 2019

Giorgia Meloni, una donna sull'orlo della crisi di nervi






Giorgia Meloni  ha querelato  Francesco Merlo di “Repubblica” per un articolo (*) dove il giornalista usa dei virgolettati per  attribuire alla leader di FdI,  come la stessa Meloni  dichiara,  frasi  mai pronunciate. 
Di qui, la natura calunniosa e offensiva, eccetera, eccetera.  Merlo non ha replicato rimettendosi al giudice.   Per una equilibrata ricostruzione della vicenda  rinviamo all’articolo di Giovanni Drogo uscito su “Next” (**).
In realtà, Giorgia Meloni, virgolettati o meno, ogni giorno  esprime  e  amplifica   una  sensibilità di estrema destra, ricorrendo  a luoghi comuni  che  riconducono  a un neofascismo larvato  da maggioranze silenziose.  Per fare un esempio:  quello del "si stava meglio quando si stava peggio". Qui un florilegio  di sue citazioni capace di chiarire  il concetto (***).
Pertanto, Giorgia Meloni, a prescindere dalle virgolette, propugna  una visione politica   che  è l’esatto contrario  di ogni buon   discorso pubblico liberale incentrato sul valore  fondante del  rispetto verso la diversità.
Tolleranza  che -  attenzione -   non è riconducibile al  ciascuno a casa sua, difeso a spada tratta dalla Meloni, ma al dialogo in casa nostra con ogni tipo di diverso e diversità.  Qui passa l’enorme differenza  tra liberalismo e fascismo.
L’ antipatia o addirittura l’odio verso la diversità, espresso dalla destra razzista e neofascista, anche se mascherato dal finto  neutralismo dell’ognuno a casa sua,  spinge verso il ghetto  autoritario, dittatoriale se non  totalitario. 
Di qui la pericolosità di un personaggio politico come Giorgia Meloni. Che, virgolette o meno,  sfrutta artatamente  la libertà liberale  per affondare il discorso pubblico liberale, introducendo il disvalore dell’intolleranza.  Presentandosi però  regolarmente,  come vittima di offese e  persecuzioni, che è lei stessa a provocare, giocando -  ripetiamo -  sul filo del rasoio delle parole, virgolettate o meno.  Di qui, quel  suo  finto essere sempre sull’orlo di una  crisi di nervi, perché vittima del bieco sistema, eccetera, eccetera.
Solo  la grettezza e l’ignoranza  storica  degli italiani, unita alla stupida complicità dei mass  media sempre a caccia di  scoop, possono permettere che un personaggio politico  del genere goda di una considerazione immeritata. 

Si spera, a proposito della querela,  che esista un giudice a Berlino. Sebbene il miglior giudice di un politico riteniamo sia l’elettore. Quale elettore però?  Quello con la bava alla bocca o quello informato, civile e tollerante?  Il punto non è secondario, perché rimanda  all’accettazione, da parte degli uomini politici, delle regole del gioco del discorso pubblico liberale che presuppongono, per così dire,  tre virtù:   prudenza, responsabilità e  pacatezza di comportamenti e linguaggio. Insomma,  mai aizzare le folle, mai sollecitare gli istinti peggiori insiti nelle persone, mai indicare capri espiatori. Detto altrimenti, mai puntare sul tanto peggio tanto meglio.
Come si può intuire non è una  questione di virgolette.  O no?  

Carlo Gambescia
                                                                                       

venerdì 25 ottobre 2019

 A causa dell’astensione grillina il Parlamento europeo boccia per due voti  la risoluzione sui porti aperti
L’immaturità politica  

di Cinque Stelle




Di scuse ora  se ne se ne possono trovare tante. Secondo il M5S l’astensione e la bocciatura di una risoluzione che in linea di principio rappresentava  un sì o un no ai salvataggio in mare, sarebbero dovuta  al mancato accoglimento di una modifica che però, di fatto,  penalizzava  le  Ong (*).  
Una ripicca infantile insomma. Che tuttavia  ha fatto il gioco delle destre razziste che ora  cantano vittoria, più ingrate che mai e  con la consueta finezza, contro "la maggioranza delle poltrone", inclusiva di Cinque Stelle...
Purtroppo,  gioiscono sguaiatamente  anche Forza Italia e Popolari Europei. E per che cosa? Dal momento  la risoluzione bocciata dalla plenaria,  al di là della pur importante questione di principio, si occupava di questioni, non meno vitali, di natura organizzativa. Un’occasione persa anche per l’introduzione del principio del ricollocamento rapido caro all’Italia (**).
Di conseguenza,  non può passare inosservato l’ infantilismo politico del M5S.
Intanto,  cosa significa maturità politica?  Capire l’importanza della posta in gioco e assegnarsi dei limiti.  Sulla questione dei salvataggi in mare i limiti sono rappresentati dal diritto internazionale, da tutti riconosciuto,  addirittura anche in guerra, di soccorrere chiunque si trovi in difficoltà. E il soccorso implica  tutte le fasi successive, incluso lo sbarco in tempi  rapidi.
Esistono problemi di ricollocazione? Sì. Ma vengono dopo. L’obbligo umanitario è quello di soccorrere. Punto.
C’è  chi "ci specula", come dicono le destre razziste e sgrammaticate?  Ammesso e non concesso che sia così, non è una buona ragione, per non prestare soccorso:  non si fa  politica  calpestando  persone indifese e bisognose d’aiuto.  Ecco cosa significa “maturità politica”. Capire dove ci può fermare… Fin dove si può arrivare…  E il M5S  è totalmente privo del senso dei confini della buona politica.
Del resto, il realismo politico, di cui siamo fautori,   non è una  visione criminale  che si compiace del male che reca,  bensì è prudente  ricerca  della migliore soluzione possibile all’interno di confini politici delimitati  da una opzione morale dalla quale mai  deflettere,  costi quel che costi. Altrimenti, per dirla con Agostino, modernizzandolo,  qual è la differenza tra una banda di briganti fascisti e razzisti e  la democrazia liberale?
Carlo Gambescia
 


(**)  Qui accenni sui contenuti generali della Risoluzione respinta:  https://www.agi.it/estero/parlamento_europeo_respinge_porti_aperti-6425160/news/2019-10-24/



giovedì 24 ottobre 2019

Togliere il  voto agli anziani?
Il welfare totalitario di Beppe Grillo

Tra i numerosi commenti all’idea di Grillo di togliere il voto agli over 65  non ne abbiamo letto uno di natura liberale.  Non pochi opinionisti, in particolare gli  ammalati di welfarismo,  si sono concentrati, nel bene come nel male,  sulla disfunzionalità sociale del voto agli anziani: i nostri  Viaggiatori della sera, per citare il titolo di  vecchio ma profetico film con Ugo Tognazzi e Ornella Vanni, dove i sessantenni venivano suicidati, benché in modo soft, per ragioni di costi sociali.       
In sostanza qual è la tesi di  Grillo?   Poiché  si tratta di  gente   sul viale del tramonto,   gli anziani  non avrebbero alcuna percezione e interesse per l'alba di  un futuro migliore.  Mentre i giovani, eccetera, eccetera.  
Tra i commenti  si è letto di tutto.  Addirittura,  che dal momento che  molti  over 65 si astengono dal voto,  la cancellazione dalle liste dell’elettorato attivo  ratificherebbe  una situazione di fatto. Insomma, una scelta  della quale i nonni  dovrebbero essere  perfino grati.  Per la serie post-orwelliana  “noi sappiamo” quale  sia il   bene  per gli anziani.  
In realtà, cosa sfuggita a coloro che si sono limitati a irridere l’idea di Grillo,  siamo dinanzi  all’esternazione, quasi da manuale del perfetto  welfarista totalitario,  di un principio costruttivista e collettivista. Un infernale presupposto che subordina  i diritti individuali  a decisioni  prese in alto, quindi “costruite” a tavolino.  E per giunta  in nome di una collettività che, in termini di interessi, viene considerata  come superiore all’individuo.  Insomma, c'è ben poco da ridere.
Detto altrimenti,  per il "bene della società"   oggi  si potrebbe  togliere  voto, domani la vita.  E sulla base dello stesso ragionamento: molti  "vecchi", quasi sempre “acciaccati”  vivono fino  a ottant’anni, perché appesantire la spesa sanitaria,  eliminiamoli  a settantanove?    Così facciamo loro anche  un favore…  

Per contro, nella concezione  liberale il voto non  è un obbligo: si è sempre  liberi di votare o meno. Senza pagare alcuna penalità.  
Il “fare  politica”,  anche solo recandosi alle urne,  dal liberalismo non è visto  come l’unico fine  nella vita,  ma soltanto  come  uno  tra i tanti, nel quadro di un’esistenza molto ricca,  dove si è liberi di perseguire i propri interessi. Sarà poi la mano invisibile dell’interazione tra gli individui, interazione non solo economica,  a comporli, senza dover  ricorrere a un inesistente occhio collettivo capace, come spesso si legge,  di prevedere e costruire il futuro a tavolino.  La composizione invisibile  sarà  armonica  o meno? Non è dato sapere. Perché c'è una cosa - fondamentale - che si chiama  libertà.   Libertà anche di sbagliare. E l'errore è inseparabile dall'esercizio della libertà.

Ciò  significa   che l’obbligatorietà del voto,   in Italia tuttora  sanzionata in via amministrativa,   rinvia a una visione panpolitica e illiberale,  da  cui discende l’idea della  mano visibile dello stato, ritenuta capace di comporre forzosamente, e dall’alto,  i vari interessi individuali, nel nome di un futuro migliore,  scorto in modo perfetto, quindi privo di errori, dall’occhio  collettivo di cui sopra.            

Di conseguenza,  il nocciolo welfarista-totalitario  del discorso di Grillo non rinvia tanto, come si potrebbe supporre,  alla questione dei  "giovani" contro i  "vecchi",  quanto in filigrana alla nociva  credenza  nell’idea di uno  stato capace  di programmare  il futuro sulla base di una logica funzionale teorizzata  da una autocrazia welfarista, che statistiche alla mano, sostiene di sapere, senza alcun margine di errore, quel  che sia  bene per ogni individuo.  
In diritto perciò di stabilire chi debba votare e vivere…


Carlo Gambescia       

mercoledì 23 ottobre 2019

Dai "Protocolli dei savi  di Sion" a "Mafia Capitale"
 La botta di razionalità della Cassazione

In un’Italia normale  la sentenza della Cassazione che smentisce l’impostazione politica di “Mafia Capitale (“associazioni a delinquere ma non mafiose”)  non sarebbe  ragione di scandalo. Ma l’Italia  paese normale non è.  Anzi lo è ma troppo. E in altro senso. 
Intanto, a proposito degli "scandalizzati", parliamo dello stesso mondo, politicamente allucinato,  che  vuole  mettere le manette agli evasori fiscali  e che scorge complotti politici ovunque, E che mai soddisfatto,  sottoscrive e rilancia, quotidiamente,  la retorica populista dell'   "abbasso le poltrone".
In realtà,  la gente comune, che già tende di proprio al romanzesco, al mitopoietico ma spicciolo,  finisce sempre  per credere in  tutto questo.   O  non credervi del tutto, rifiutando però qualsiasi forma di fiducia verso la razionalità  politica. Di qui il famigerato “sono tutti uguali”.  Salvo credere, in ultima istanza,  come bambini,  nel “salvatore  della patria”:  in colui  che metterà le cose a posto facendo  prevalere i buoni sui cattivi. Semplificando: la gente comune aspira al lieto fine, all’arrivo del principe sul cavallo bianco. 

Questa, purtroppo, è la normalità a livello di psicologia collettiva.  Non è quindi  una cosa soltanto  italiana. Si chiama antropologia sociale.   
Sotto questo profilo, la modernità ha introdotto in politica, ingaggiando una gigantesca sfida contro la banalità di un male collettivo chiamato stupidità,  la  razionalità fondata sul libero senso di discernimento dell’uomo. Altrimenti detto: sulla capacità umana, che pure esiste,  di intendere e di volere.
Non facendo però i conti con certi gravi aspetti della natura sociale  dell’ uomo. Quali? Uno in particolare: per il principio del minimo sforzo intellettuale, la maggior parte degli uomini tende  ad accettare spiegazioni mitologiche,  prive di fondamento reale,  ma sbrigative,  alla portata di tutti e per questo  credute. In fondo, l'uomo al capire preferisce il credere. E più è grossa, più sembra vera.  
Si è puntato allora sull’istruzione come “aiutino”.  Con risultati non molto felici, come prova oggi  la potente mitologia politica che anima le tesi ambientaliste ed ecologiste.
Purtroppo, sembra non esservi  rimedio al senso del romanzesco che anima l’uomo comune.  Attenzione però:  in arte e letteratura, per gli spiriti elevati, in alto insomma,  la formula mitopoietica è un importante fattore creativo,  In basso invece, nella società di massa,   è fonte di  confuse  pseudo-certezze politiche. Purtroppo, tra le due realtà non c’è ponte. L'intelletto, come la carne, è debole.
Ancora peggio, come il Novecento totalitario ha ben mostrato,  quando si sfrutta politicamente il  senso del romanzesco. Cosa che andrebbe accuratamente evitata. 
Una buona  élite politica, proprio perché  consapevole della pericolosità del lato mitologico, dovrebbe attutire, attenuare, smorzare,  non intensificare, inasprire, esasperare. 
E invece esiste addirittura  una letteratura  politico-sociale di tipo mitopoietico  che  va dai Protocolli dei "savi anziani" di Sion  ai libri di Travaglio e Gomez, passando per il complottismo anticapitalista. Usata per giunta ai piani alti della politica. Da Hitler a Grillo.
Esageriamo?  Certo, il collegamento  -  pensiamo ai nomi sopra - può sembrare eccessivo. Ma,  sociologicamente parlando,  alle origini del  mitema  “Mafia Capitale”  c’è il fattore collettivo del romanzesco politico sulla mafia. E qui si consideri l'indotto mediatico, televisivo, cinematografico e digitale in argomento. Un mondo parallelo popolato di fantasiosi esseri mitologici, metà uomini, metà camorristi e mafiosi. Chimere ideologiche   usate  politicamente in chiave di persuasione collettiva.  Inutile ricordare la nefasta politica a colpi di tweet e i suoi  effetti di ricaduta sull' universo mitopoietico dei social: un vero e proprio giardino di infanzia, dove si strepita, si piange,  si fanno i capricci, si crede nelle fate e nelle streghe.    
Una specie  di incantato  impero del romanzesco che la  Corte di Cassazione, per così dire, con una botta di razionalità,   ha   smentito.  Basterà? Non crediamo.  

Carlo Gambescia                                        


martedì 22 ottobre 2019

Alessandro Campi, Matteo Salvini e i “doveri di editorialista”
Politologia à la carte...

Invitiamo a leggere l’editoriale di Alessandro Campi, uscito oggi sul “Messaggero”,  perché rappresenta un esempio di politologia che, per dirla con Miglio,  non ragiona “per millenni”, neppure per secoli, forse solo per anni e mesi, perfino  giorni e minuti (*).
Insomma, parliamo di una politologia à la carte, schiacciata sul presente,  attenta ai giochi di palazzo, soprattutto tesa a non inimicarsi i potenti del momento. E per questo, volontariamente, priva di qualsiasi prospettiva storica e qualità cognitiva. Spieghiamo subito perché.
Politicamente parlando, nelle fasi di transizione democratica, quando la democrazia liberale è in pericolo,  fasi dunque piene di incognite, si fa largo  un approccio a doppio registro.   
Si affacciano sulla scena  leader  che  evocano  la pace sociale mentre  in realtà  aspirano alla guerra e alla distruzione dell'avversario, tramutato in nemico politico. L'esatto contrario dei valori incarnati dal discorso pubblico liberale. Pensiamo a nefasti personaggi come Mussolini e Hitler. 
Il vero  punto però, resta la prospettiva. Ad esempio,  anche Charles de Gaulle, durante la transizione alla Quinta Repubblica applicò il doppio registro:  fece promesse ai francesi di Algeria, illudendoli,  per poi invece esaudire i desiderata del  FLN.  Però  la sua prospettiva - ecco la differenza fondamentale -   era  di rafforzare la liberal-democrazia, non di demolirla  come Hitler e Mussolini.  

Ora, Salvini, politicamente parlando,  è più vicino a  Charles  de Gaulle o  Benito Mussolini? Chi scrive pensa che una certa parentela, magari alla lontana,  con il Duce vi sia. 
Perciò prima di parlare di "bivio" e tattiche,  la politologia, se onesta, e metapoliticamente fondata,  non dovrebbe  sottrarsi  a una domanda strategica come questa.
Quesito che rinvia, weberianamente, ai contenuti “raccomandati”: vuoi essere liberale? allora devi fare questo e questo; vuoi essere socialista? allora questo e quest'altro; e così via.... "Raccomandati", nella fattispecie, per evitare brusche fuoriuscite dalla democrazia liberale.       
Dove andiamo a parare?  Ridurre, come fa Campi, il doppio registro di Salvini  a una questione  di retorica della comunicazione e di costruzione-gestione  del consenso politico,  facendo finta di non sapere  che Salvini  ignora, costitutivamente,  l’Abc del discorso pubblico liberale,  significa aprire una linea di credito. E a chi?  Di certo  non al “Generale”,  ma a un “Capitano”,  emulo, per quanto mediocre, di Mussolini.  Attenzione,  neppure di un Giannini, che in fondo era un liberale  vero,  o di un  Berlusconi, che lo era a metà o forse per un quarto.

Fare poi dei paragoni, con altre forze politiche europee di estrema  destra, tentando di accostare in chiave di modello da imitare la Lega al Pis polacco, partito antisemita e  reazionario, significa semplicemente prendere per il naso  i lettori.
Il suo "amato" Raymond Aron, mai avrebbe aperto una linea di credito a personaggi  come Salvini, per non parlare di Jaroslaw Kaczynski.  Del resto, il rapporto tra il grande sociologo francese e il  Generale, che non era certo Salvini, fu non facile,  spesso  di opposizione  o  comunque controverso,  come si legge nelle Memorie (Mondadori, p. 626).  Insomma, c’e realismo politico e realismo politico, come dimostriamo   nel  Grattacielo e il formichiere (**)
Ovviamente a Campi, Aron serve soltanto  per atteggiarsi a quel liberale che non è. Altrimenti, per dirla sempre con Aron,  Campi,  “concepirebbe”   in  ben altro modo i suoi “doveri di editorialista”.  

Carlo Gambescia  


(**) Fresco di stampa. Qui:   https://www.libreriauniversitaria.it/grattacielo-formichiere-sociologia-realismo-politico/libro/9788876067853

lunedì 21 ottobre 2019

Fascio-liberismo, breve storia di un epiteto





Che cos’è il fascio-liberismo?  Secondo i comunisti mai pentiti  il termine  rappresenta un regime autoritario se non totalitario  di  imposizione  del sistema capitalistico  attraverso le  armi dei pretoriani: un mix di dittatura militare e  privatizzazioni, ovviamente, “selvagge”.
Il termine,  in realtà  un epiteto che risale concettualmente alla Terza Internazionale dominata da Stalin,  è  tornato in voga dopo  la vittoria elettorale  di  Bolsonaro in Brasile. E che ora addirittura impazza  sull'onda  dell’ introduzione del coprifuoco nella capitale cilena.  Paese, il Cile,  che, secondo la propaganda anticapitalista  (e filo-collettivista) deterrebbe addirittura  il copyright storico del termine.   Quindi, incline al vizietto... 
In effetti, è vero che  Pinochet, per uscire dall’impasse collettivista, in cui si era infilato il Cile di Allende,  privatizzò per così dire  “a manetta”.   Del resto  non c’era altro da fare.  Ne seguì  però  - cosa che i propagandisti  occultano  -   una crescita economica  notevole,   ancora oggi vivace (*).  
Uno sviluppo apertissimo  ai mercati esteri, che tuttavia ha portato  con sé  significativi  problemi di redistribuzione sociale, purtroppo legati alla struttura socio-economica  storica del Cile.  Una figurazione fortemente ancorata verso l’alto, con un ceto medio in espansione  ma culturalmente (in senso weberiano)  non ancora maturo.    
   
Una debolezza in qualche misura costitutiva,  di cui però  non è colpevole il “fascio-liberismo” (che, eventualmente,  come tempistica, rinvia all’ultimo decennio della dittatura di Pinochet), bensì  la perdurante  discrasia   tra una mentalità politico-culturale,  dai tempi  di metamorfosi lunghi, e i ritmi brevi  della trasformazione economica.   Ci vuole pazienza, insomma.  Cosa banale, ma vera.    
Su questo squilibrio, che poi è tipico dei processi di apertura al mercato, giocano invece i  nemici della libertà, anche mediatici, sparsi ovunque. Gente  che gioca al rialzo, e che  in realtà, consciamente o inconsciamente, lavora non per le riforme ma per la rivoluzione.
Come  ad esempio  questa  mattina su "Radio 3 Mondo", dove durante la rassegna stampa si parlava con  linguaggio allendista di  “guerra del presidente Pinedo contro il popolo cileno”.
Ripetiamo, siamo davanti a  un puro e semplice slogan politico per denigrare il liberalismo e l’economia di mercato.   Si usa un epiteto politico, già impiegato contro il   Cile della pre-transizione democratica (attenzione, “pre-transizione”),  quindi  ieri, per propagandare, oggi, l’anticapitalismo e le improbabili  "delizie" del collettivismo.
Basta fare un giro su  internet (cliccando sul termine)  per scoprire  come l’epiteto sia  particolarmente diffuso e rilanciato proprio da quei siti su posizioni contrarie alle classiche libertà dell’Occidente, politiche, economiche e civili. 
Solo propaganda, insomma.   Eppure…

Carlo Gambescia


(*)  Qui un quadro oggettivo della situazione economica cilena: http://www.infomercatiesteri.it/paese.php?id_paesi=40#slider-                                                            

domenica 20 ottobre 2019

Il senso di Giorgia Meloni per  la demagogia…



Prima i fatti.  Così ieri Giorgia Meloni.

« “Piazza San Giovanni  una volta era simbolo della sinistra, dove prima c'erano le bandiere rosse adesso sventolano quelle tricolori, è un segnale cari compagni che siete stati sconfitti dalla storia. Noi in piazza per chiedere la libertà e voi barricati nei palazzi. Non parlo solo del Pd ma anche dei 5 Stelle, adesso sono stipati come sardine in salamoia”. In conclusione del suo intervento la Meloni ha sottolineato che il centrodestra si batterà “per difendere la nostra integrità, Dio patria e famiglia e fatevene una ragione”».

Certo, una manifestazione di piazza non può essere un raffinato seminario universitario. Si parla a una   folla che chiede emozioni e atti di fede, che  non ragiona ma crede  nei miracoli  politici.  
Però  esiste sempre  un limite,  una soglia della volgarità e della stupidità che  non  può essere superata. Anzi, che non va mai superata, per il bene dell’elettore stesso.  Ci spieghiamo meglio.  

Volgarità, nel senso della riduzione dei  concetti politici a  formule magiche, a sfondo miracolistico:  pura superstizione  politica  che agisce nocivamente, secondo il meccanismo del capro espiatorio, a livello pre-razionale, manifestandosi  attraverso  incontrollate  reazione collettive, quasi di tipo  istintivo. Insomma, prive di remore sociali.       
Stupidità, nel senso di non capire che in questo modo si tramuta  la politica  in  scontro a colpi di   clava:  in qualcosa di   autolesionistico. Perché, così facendo,   si spinge l’avversario a usare a sua  volta la clava.  E così via, lungo una spirale della violenza che da verbale può trasformarsi in fisica, per  rivolgersi contro gli stessi che hanno sparato il primo colpo.
Ad esempio, dare per sconfitto il comunismo solo perché in una democrazia liberale, cosa normalissima, le  piazze sono a disposizione di tutti, dei tricolori come delle bandiere rosse,  significa dire  una cosa  volgare  e stupida. Volgare perché, frantumando cognitivamente  la complessità storica,  si trasmette l’idea  che vi sia un senso storico,  unico, placido  e definitivo.  Si celebra la storia come  una  marcia trionfale  da sinistra a destra.  Stupido, perché oltre a non essere così, si accetta senza riflettere, l’idea opposta, speculare,   che esista  un senso unico,  contrario,  da destra a sinistra: tesi,  a sua volta,  propugnata  in modo entusiasta dalle piazze “comuniste”. Per la serie continuiamo a farci del male a vicenda.. 
Altro esempio,  dio, patria e famiglia.  Nel mondo di oggi queste idee  sono qualcosa di complesso e perfino  contraddittorio.  Di sicuro,  gli uomini e le donne  che ieri  in piazza condividevano rumorosamente le parole della Meloni, nella pratica rifiutano i matrimoni combinati dai genitori,  praticano la convivenza, sono felici di aver evitato il servizio militare, e non frequentano la chiesa.
Ma, ecco il punto,  si comportano così, non perché  peccatori o cattivi padri e cittadini,  ma perché nell’immaginario sociale  dio, patria e famiglia  non hanno più  un ruolo centrale:  sono, piaccia o meno,  valori marginali. Anche qui si attribuisce stupidamente  un senso unico alla storia,  e regressivo.  Perché si  volgarizza  l’idea che  dio, patria, famiglia  siano verità assolute accettate da tutti, dalle quali sia peccato o errore sociale, dunque un regresso,  allontanarsi.   Mentre, soprattutto oggi,  non funziona  così. Le persone, giustamente,  fanno come desiderano.  Del resto  la gente comune, e  da sempre, tende a vivere nel presente.  Al massimo in colloquio con la generazione subito precedente o successiva.  Insomma,  parla, senza neppure saperlo, nella prosa della lingua quotidiana, prosa che fa a meno della poesia del senso storico. Ma questa è un'altra storia.  Anzi antropologia.   

Qui però veniamo al terribile  risvolto  totalitario che caratterizza tutte le forze politiche, di destra come di sinistra,  quando  credono, e impongono di credere, che la storia sia dalla loro parte. Una credenza  da cui discende la pericolosa  idea di eliminare, o ridurre al silenzio, i non credenti:  coloro che "osino"  pensare diversamente. 
Infine, l’immagine, evocata dalla Meloni,  della contrapposizione tra   élite, cattiva,  chiusa nei palazzi del potere e   popolo, buono ed escluso,  che freme nelle piazze,  è come  hanno spiegato Pareto, Mosca e Michels, antipolitica, antisociologia e antistorica.  Il potere per ragioni organizzative  non può che essere esercitato da pochi.   
Quei “pochi” però  che,  grazie  alla democrazia liberale, si avvicendano sul  ponte di comando  in modo pacifico,  senza rivoluzioni e guerre civili.  La scheda ha felicemente  sostituito il fucile, almeno nella politica interna.  Certo, non sappiano quanto durerà. Però perché facilitare l' opera dei guastatori armati di senso storico?   Insomma,  illudere la gente  che Pareto, Mosca e Michels abbiano torto  è volgare,  perché, se ci si perdona la caduta di stile,  è come se in  classe, durante l'ora di fisica,  si rispondesse con un rutto  alla spiegazione del professore  della legge di gravità.   Ed è stupido perché si illudono le persone, accrescendo  aspettative che non potranno mai essere soddisfatte, come quella della democrazia diretta.
Un vero politico dovrebbe  sapere sempre  dove fermarsi. Capire  fin dove spingersi  senza causare  danni irreversibili  al cervello degli  elettori e al  funzionamento istituzionale  del  sistema  liberal-democratico.      
Sotto questo profilo, il senso di Giorgia Meloni per la demagogia è molto simile a quello di Smilla per la neve...  

Carlo Gambescia               
                                  

   

sabato 19 ottobre 2019

La manifestazione di oggi  delle destre razziste a piazza San Giovanni
Rieccoli



Salvini con un colpo di tweet  anticipa lo striscione che sarà  di quinta oggi  a piazza San Giovanni. Vi si legge: “Orgoglio italiano! Una patria da amare e difendere”.
Ora,  il vero punto non è la polemica,  rilanciata  dai mass media  (di destra e non ),  sulle insegne  e simboli dei  partiti  presenti o meno, bensì un altro.  Quale?
Passi per l ’ ”orgoglio italiano”, che suona tanto nazionale di calcio e sfilata di moda. Come pure una “patria da amare”, che fa molto Mulino Bianco.  Ma quel   “difendere”...  Da  chi? Dal nemico numero uno di una destra razzista: gli immigrati. Perché, non vediamo   truppe nemiche e armate al confine leste a invaderci…. O bombardieri nemici  pronti a distruggere le principali città italiane…
Pertanto quel  “difendere” è il leitmotiv  di una destra che tutto è,   eccetto che liberale e tollerante.  
Perché c’è amore di patria e  pseudo-amore di patria.  Un conto, come nel Risorgimento, è  liberare l’Italia  dall'Austria  o entrare a Trieste, completando un ciclo storico, come nel 1918,  un’altro è predicare l’odio. Insomma farne  un’arma politica, parlando di pseudo-invasioni che esistono sono nei cervelli politicamente  malati,  populisti e neofascisti, di Salvini e Meloni.
Lo striscione di San Giovanni,  insomma,   non sta  dalla parte dell’Italia di Cavour,  Giolitti e Bissolati, ma da quella di Crispi e Mussolini. Inutile evocare le disavventure politiche italiane in Africa e nel mondo  legate ai due infausti  nomi.
Eppure, gli italiani, sembrano non ricordare. O forse fanno finta. E così una destra impresentabile, che attinge al peggiore nazional-razzismo,  può tornare a parlare, applaudita e votata, di confini da difendere.
Come concludere? Rieccoli. Purtroppo. 

Carlo Gambescia             



venerdì 18 ottobre 2019

Berlusconi sarà domani in piazza San Giovanni. E parlerà
Patetico


Non abbiamo mai creduto nel liberalismo di Silvio Berlusconi. Che il Cavaliere andava  - e va - esternando in giro per l’Italia. Salvo poi, una volta governo, rimangiarsi tutto e  patteggiare con tutti, bianchi, gialli, neri, rossi, verdi,  pur di salvare le  proprietà.    
Ad esempio,  tra il 2001 e il 2006 (XIV Legislatura), Berlusconi, allora Presidente del Consiglio, avrebbe potuto lasciare veramente il segno in chiave liberale.  Se soltanto  avesse voluto.  Magari cadendo in Parlamento.  Ma con dignità, sulle grandi questioni di principio:  riforma elettorale, riforma del mercato, della sanità e delle pensioni.   C’erano i numeri.  Si poteva trasformare l'Italia in un paradiso fiscale attirando capitali da tutto il mondo.  E sferzare le burocrazie dell'Unione Europea. E invece non se ne fece nulla. Si vivacchiò per cinque anni in chiave social-democristiana. Partorendo una ridicola riforma costituzionale,  bocciata dall’elettorato…   E con un Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.  protezionista.  Insomma,  un ammiratore di List e della polizia tributaria.   
Ovviamente,  Berlusconi,  se interpellato,  da  vecchio comico,  in camice bianco, anzi palandrana, occhialoni, nasone e baffi finti,  premendo lo stetoscopio sul seno di un'infermiera procace, ripeterà che lui le tasse le ha portate  al trentatré per cento...  Capito?  Siamo al  " Signorina, dica trentatré...".  Roba da avanspettacolo.        
E ora, domani, sabato 19 ottobre,  il vecchio  fantasista, ormai  più che pronto per Villa Arzilla, calcherà di nuovo le scene di Roma,  insieme alla compagnia di giro  della peggiore destra populista e neofascista,  che di liberale non ha proprio nulla.  Uno spettacolo indecoroso.  
Un solo dato, nel 2001 Forza Italia disponeva di 255 parlamentari contro i 45 della Lega Nord. Oggi, anno di grazia 2019, la Lega ne ha 182, Forza Italia 160.  Inoltre, cosa  più grave ancora,   nei sondaggi la Lega  è  in costante crescita,  mentre Forza Italia in  serio declino.  Stesso discorso per Fratelli d’Italia, che  sta recuperando consensi. E purtroppo  non in chiave riformista,  ma neofascista.  
Questi i rapporti di forza.  Se Berlusconi fosse stato  un vero liberale,  avrebbe  organizzato, sempre per sabato,  una contromanifestazione per rimarcare le differenze con  populisti e neofascisti.  E invece domani  salirà sul palco di piazza San Giovanni.  Di sicuro, si esibirà  nella  vecchia gag del taglio alle tasse.  "Signorina, dica trentatré...".
Patetico.   

Carlo Gambescia