Ieri pomeriggio abbiamo seguito in diretta su CNBC l’ insediamento di Donald Trump. Due cose ci hanno colpito: 1) la durezza del suo linguaggio, che se si concretizzerà in decisioni effettive, per l’Europa e per un’Italia di nuovo “repubblichina” la situazione politica ed economica (crisi della Nato e dazi) si farà molto dura politicamente ed economicamente; 2) la presenza di Giorgia Meloni, unico leader europeo (per una cerimonia di regola da ambasciatori), che, sebbene Cerasa sul “ Foglio” di oggi, fin troppo generosamente, definisca “riformista”, in realtà non è meno dura e cospirativa di Trump verso la liberal-democrazia.
Italia “repubblichina”, dicevamo. Nel senso di Salò, come Repubblica fantasma tributaria di Hitler. Un acuto storico, Deakin, definì l’alleanza tra il duce e il führer, “brutal friendship”: un’amicizia brutale. La stessa cosa si può dire del legame tra due personaggi – inutile nascondersi dietro gli eufemismi – potenzialmente capaci di atti di brutalità.
Donald Trump ha parlato, senza battere ciglio, di deportazione dei migranti e Giorgia Meloni ha applaudito. Era vicina a Milei, in fondo, dietro il podio, tutti e due in abito scuro, poco visibili, quasi anonimi. Nella nostra foto di copertina si vede in alto a destra solo Milei, tutto basette, che molti considerano un liberale per caso. Quasi due imbucati. Alleati di serie B, come Mussolini con Hitler.
Abbiamo citato Hitler. Bene, quella che viene definita la follia di Trump, termine che ricorre soprattutto a sinistra, una sinistra meno lucida… Al riguardo ci si consenta però un inciso.
Sansonetti, sull’ “Unità” di oggi, collega addirittura Trump a Reagan, un mezzo fascista a un liberale. Perché il secondo avrebbe iniziato quella guerra all’eguaglianza sostanziale, che Trump ora vuole portare a termine. Sansonetti, da comunista in fondo mai pentito, ancora non ha capito che più si persegue l’eguaglianza sostanziale più si estende il ruolo dello stato. Lo stato è il problema non la soluzione.
Dicevamo della follia di Trump. In realtà, oltre che carismatico, come scrivevamo ieri (*), ciò che la disastrata sinistra chiama follia non è altro che imprevedibilità, come per Hitler, che ne fu maestro indiscusso.
Ieri Trump, lo stesso politico che vuole Panama, Canada e Groenlandia, si è dichiarato uomo di pace e unificatore… Certo, con un occhio all’ America settentrionale e centrale… Proprio come Hitler, che con mosse a sorpresa, imprevedibili, si riprese la Saar, rimilitarizzò la Renania, inglobò l’Austria, smembrò la Cecoslovacchia, evocando ogni volta la sua buona fede e soprattutto la sua volontà di pace. E i paesi liberal-democratici si illusero fino all’invasione della Polonia. Troppo tardi.
Possibile, si diceva negli ambienti pacifisti europei di allora, che dopo il macello della “Grande Guerra” Hitler ne volesse scatenare un’altra? Inoltre, non pochi politici conservatori, anticomunisti, vedevano erroneamente nella Germania nazista, una barriera contro la Russia sovietica.
Trump – ecco il vero problema – usa un linguaggio così duro, così lontano dal registro politico liberal-democratico, che può farlo sembrare pazzo. In realtà Trump è imprevedibile, perché, alterna parole di pace a parole di guerra. E in questo senso è machiavellico.
Ad esempio, Trump dichiara di puntare alla pace tra ucraini e russi , come tra israeliani e palestinesi, però pretende il canale di Panama, anche ricorrrendo all’uso della forza. Si dirà che anche in passato altri presidenti… Però ora c’è una novità: Trump dice che vuole difenderlo dai cinesi, proprio come Hitler, voleva difendersi dall’ influenza economica di cechi e polacchi… La sua è una politica di potenza, per ora sul piano continentale. Per ora.
La menzogna, come machiavellico gioco tra le due parti dell’essere e dell’apparire, svolge un ruolo fondamentale nella retorica dell’intransigenza di Trump, dal momento che sembra difficile che i cinesi arrivino fino al punto di annettersi Panama.
Eppure, grazie alla retorica anticinese, ci sono tanti americani che credono alle parole di trump e lo votano in nome di un rigido e cieco isolazionismo popolare. Gli stessi americani probabilmente prontissimi a immolarsi, andando in guerra, per evitare una nuova Pearl Harbour.
Inoltre, ciò che i liberali italiani, in particolare coloro che hanno sposato la causa di Trump (e di Giorgia Meloni), non capiscono, o non vogliono capire, è che il nuovo presidente americano è un protezionista. Cioè un capitalista di stato, più vicino al modello cinese che a quello liberale. Un capitalismo parassitario che vuole vivere di rendita e rifiuta il rischio capitalistico legato alla ricerca del profitto.
Il capitalismo di Trump, come provano i suoi buoni rapporti – e ieri erano tutti al suo fianco – con Musk e Zuckerberg e altri magnati – è il capitalismo delle commesse di stato, per semplificare. Pareto nelle sue “Cronache”, scrisse pagine definitive su questo fenomeno, che ha sempre distinto un capitalismo da “buen retiro”: Si cresce fino a un certo punto, poi ci si stabilizza e ci si appoggia allo stato. Qui arriva il Trump di turno, che proprio come Hitler, privilegia la domanda interna. Si chiama anche autarchia. Hitler riempì la Germania di autostrade, Trump ne vuole costruire una per andare su Marte.
Sotto quest’ultimo aspetto, può darsi che Trump, concentrandosi sulla politica interna e sull’unificazione “continentale”, trascuri il resto del mondo. Che però a quel punto, a partire dall’Europa, rischierebbe di finire sotto il tallone russo o cinese. Soprattutto negli anni Trenta del Novecento, come gli storici ben sanno, l’isolazionismo americano, acuito dalla crisi economica mondiale, che favorì la proliferazione dei nazionalismi, lasciò mano libera in Europa a Hitler. Ovviamente nel caso di Trump resta aperta la questione medio-orientale. Problema che Hitler non ebbe. Comunque mai dire mai.
Ricapitolando. Trump non è pazzo, è un politico carismatico, imprevedibile, machiavellico, che ha definitivamente sdoganato, dopo ottant’anni, l’immaginario politico della “tentazione fascista”: autarchia, politica di potenza, razzismo.
Su quest’ultimo aspetto, Quando Trump parla, come ieri, di nuova età dell’oro si riferisce ai bianchi, al vecchio tronco, spocchiosamente Wasp.
Nel gruppo familiare e dirigente che lo affiancava sul podio, non c’era un nero, a parte l' ex presidente Obama. Senza Michelle. Che di Trump ha capito tutto, e da un pezzo. Brava.
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2025/01/springtime-for-trump.html .