giovedì 23 marzo 2023

Mimì Meloni e Gegè Bonelli

 


Nonostante il titolo possa apparire scherzoso (poi però il lettore capirà nella chiusa), l’asserzione che stiamo per fare è seria, politologicamente seria.

Nell’ analisi delle tendenze politiche non bisogna mai perdere di vista le questioni essenziali. Che a volte si scoprono soffermandosi sui dettagli.

Si prenda, ad esempio, lo scontro alla Camera di ieri, tra Giorgia Meloni e Angelo Bonelli. Oggi la destra giornalistica scrive, usando un’ evocativa terminologia da stadio, di come la Meloni abbia “asfaltato” Bonelli. E quella di sinistra recrimina sulla sua “mancanza di stile”, con altrettante veemenza.

In realtà, sull’Adige in secca, la leader di Fratelli d’Italia la pensa come il parlamentare dei Verdi.

Nel senso che prima collega un fenomeno stagionale, per quanto serio, alla mitologia catastrofista di natura epocale (“Sì, è vero, è un problema”), per poi catapultarlo, con la battuta sul “non sono Mosé”, sulle sinistre che hanno governato in precedenza (“Tutto quello che non è stato fatto prima”).

Pura retorica, anche di bassa lega: non si deride mai  un deputato, anche quando cade nel patetico,  sollevando un sasso, come dice, raccolto nell’Adige… Ma questa, della derisione, è un’altra storia. Che affonda le radici nell’antiparlamentarismo della destra neofascista verso un’istituzione liberale, da sempre accettata obtorto collo.

Pura retorica dicevamo, che serve a oscurare il fatto che sulla famigerata idea di “transizione ecologica”, Bonelli e Meloni sono d’accordo: perché condividono, ripetiamo, la stessa irrazionale e illiberale mitologia catastrofista, così cara agli ecologisti di destra e sinistra.

Perciò quando la destra giornalistica, parla di Meloni che “asfalta, eccetera, eccetera”, si ferma sul dettaglio. Perché non aiuta le gente a capire che il nodo essenziale del problema, caro a ogni vero liberale, è che “questa” destra e “questa” sinistra, comunque vada, nei prossimi anni ridurranno i nostri spazi di libertà. Come? Puntando su similari politiche stataliste, figlie legittime di una comune visione del nostro futuro da film apocalittico.

Non solo. La cosa ancora più grave è che si proseguirà nella non costruzione di dighe, bacini idrici, canalizzazioni. E per quale motivo? Per risparmiare fondi da investire in improbabili “Piani Mattei”, per difendere la “Nazione” dai migranti (la destra), oppure per evitare che si deturpi il paesaggio e si perda il treno per la decrescita più  o meno  felice  (la sinistra).

In realtà, la carenza idrica, oltre alle ragioni congiunturali, rimanda a una questione strutturale, realmente strutturale: quella della mancata privatizzazione che avrebbe invece favorito gli investimenti privati in un settore a corto di capitali.

Si dovrebbe riflettere su un dato semplicissimo. Che ormai siamo al punto, che basta un nulla per innescare una crisi, che non è dovuta all’Armageddon ecologica prossima ventura, ma a uno statalismo che si è avvitato su stesso: non fa e non vuole che facciano i privati.

Detto altrimenti: la pretesa, comune alla destra e alla sinistra, di mantenere il predominio della mano pubblica nel settore, si tramuta in immobilismo e in siparietti parlamentari come quello di ieri tra Giorgia Meloni e Angelo Bonelli.

Usiamo questo termine per  una precisa ragione. Nei vecchi varietà, tra un numero e l’altro, per consentire i cambiamenti di scena, si intratteneva il  pubblico, spesso rumoreggiante, con brevi numeri comici, dei “siparietti”, perché si tenevano sul palcoscenico, davanti a un sipario più piccolo e leggero.

Ecco, ieri, e lo diciamo a malincuore  per il rispetto che nutriamo verso le istituzioni parlamentari, si sono esibiti a grande richiesta, tra un numero e l’altro della crisi politica italiana, Mimì Meloni e Gegé Bonelli...

A questo siamo ridotti. Che tristezza. 

Carlo Gambescia

mercoledì 22 marzo 2023

Cina, Russia e l’inevitabile pesantezza dell’essere...

 


L’idea che Mosca stia perdendo la guerra e che per questo motivo si stringa alla Cina non ci convince.

Che i risultati russi siano inferiori alle aspettative iniziali (satellizzare l’Ucraina) è vero, ma non è altrettanto vero che la visita di Xi Jinping a Mosca sia una specie di ciambella di salvataggio lanciata dalla Cina a una Russia che annaspa, quindi bisognosa di aiuto.

Crediamo che tale tesi sia una specie di “film” girato e rappresentato ad uso e consumo delle democrazie welfariste occidentali, che dimentiche della gloriosa vittoria militare sul nazifascismo, ritengono, illudendosi, di vincere le guerre con le sanzioni comunicative, economiche e per procura militare. Un film che sembra piacere agli europei. Sicché il bilancio del consenso, dopo un anno di guerra, sembra chiudersi con un saldo positivo. Al cinema dei sondaggi d’opinione però (*).

Invece la realtà, non il film, sembra essere completamente diversa: parliamo di due grandi potenze autocratiche, antiliberali, dalle estese basi economico-territoriali , tra l’altro confinanti, un vero blocco eurasiatico, due giganteschi stati, largamente dotati di armi convenzionali e non convenzionali, portati da tempo, quasi inevitabilmente, a convergere per similarità di valori e interessi, cioè a prescindere dall’invasione russa dell’ Ucraina.

Se vi sarà guerra tra Russia e Cina, vi sarà dopo aver regolato, e in maniera vincente, i conti con l’Occidente. E probabilmente per spartirsi le spoglie dei perdenti. Non sarebbe la prima volta nella storia. Le vicende successive alla Prima guerra mondiale, sotto tale profilo, sono esemplari.

Pertanto l’Occidente euro-americano invece di baloccarsi con le “guerre per procura” dovrebbe ragionare intorno a due opzioni che sono conseguenti: 1) come dividere la Cina dalla Russia, ovviamente in modo provvisorio, perché la forza di gravità interessi-valori porta le due potenze a unirsi: diciamo per comune pesantezza del loro essere; 2) come prepararsi adeguatamente a un conflitto armato con la Russia, una volta separata dalla Cina.

Probabilmente, visto che con la Cina l’Occidente non ha valori in comune, si potrebbe giocare sugli interessi, cedendo, per gradi, su Taiwan, con ovvie garanzie per i suoi cittadini, e gestendo bene le trattative, inserendovi dei bonus economici, ai quali cinesi sono storicamente molto sensibili.

In cambio, l’Occidente (in primis gli Stati Uniti), dovrebbe chiedere mani libere in Europa orientale e, se necessario, nel "deserto dei tartari" russo.

L’alternativa a queste due opzioni crediamo sia rappresentata soltanto dalla guerra contro la Cina e la Russia alleate insieme. Quindi con inferiori possibilità di vittoria. Altra ragione, però, per armarsi fino a denti e prepararsi moralmente a combattere fino all’ultimo sangue.

Quando parliamo di guerra ci riferiamo a una guerra convenzionale con eventuale uso di armi atomiche tattiche. Una guerra atomica, proprio perché impolitica (né vincitori né vinti), non sembra un’ipotesi realistica. Ovviamente non si può escludere, l’uso dell’arma atomica come extrema ratio, secondo una logica da ultimo bunker hitleriano.

Il vero problema, per tornare al “film” sull’efficacia delle sanzioni economiche e morali, che tanto piace in Occidente, è costituito dall’incapacità, almeno al momento, delle classi politiche, e probabilmente anche dirigenti, di pensare la guerra (**).

A molti lettori, le nostre osservazioni faranno pensare allo strampalato linguaggio del dottor Stranamore di Kubrick: parole di un eccentrico, di un “matto”, quasi roba da riderci sopra. Gambescia straparla…

Purtroppo questo atteggiamento derisorio, che non riguarda solo i semplici lettori, non è altro che la riprova di una diffusa incapacità di “pensare la guerra”. Incapacità che permea una società che scende in piazza inferocita per non andare in pensione due anni dopo e nella quale una riforma previdenziale si tramuta in epico progetto napoleonico.

Il lettore faccia attenzione: pensare la guerra, non significa sposare la causa del rabbioso e insensato militarismo degli autocrati, ma capire che la libertà va difesa anche con la spada. E di conseguenza significa capire che ci si deve sempre mettere nelle condizioni di poterla sguainare al momento opportuno. Pensare che la spada sia diventata inutile è il principale sintomo, il più grave, di quell’ incapacità di pensare la guerra che porta i popoli, soprattutto quelli liberi, alla rovina.

Per dirla brutalmente: ad essere conquistati da altri popoli che non soltanto sanno pensare la guerra, ma che pensano solo alla guerra.

Carlo Gambescia

(*) Si veda l’ultimo Eurobarometro (febbraio 2023):https://italy.representation.ec.europa.eu/notizie-ed-eventi/notizie/eurobarometro-cittadini-dellue-ancora-fortemente-favorevoli-allucraina-e-al-perseguimento-della-2023-02-23_it . “ I cittadini europei continuano inoltre a essere largamente favorevoli al divieto di trasmissione dei media statali russi (67 %) e al finanziamento da parte dell’UE dell’acquisto e della fornitura di attrezzature militari destinate all’Ucraina (65 %)”. Però, a quanto sembra, non si è posta la domanda – quando si dice il caso – su un punto fondamentale: quello dell’ impegno militare diretto della Nato nel conflitto. Sul campo, con le truppe per capirsi.

(**) Qui: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/loccidente-e-lincapacita-di-pensare-la-guerra/ ; https://cargambesciametapolitics.altervista.org/la-russia-e-capace-di-pensare-la-guerra-loccidente-no/ .

martedì 21 marzo 2023

NON POSSO "TAGGARVI " CARI AMICI...

 


 

 

Cari (dieci, dodici) amici,  mi spiace ma non posso più “taggarvi”. Almeno per ora (spero). Come potete leggere. Bah…

Buona giornata a tutti”. Eccetto che ai redattori di Fb.

Carlo Gamebscia

Dibattiti inutili

 


I figli arcobaleno sono un problema? È utile dibatterne? No. Ovviamente non lo sarebbero se l’Italia fosse un paese liberale in cui una questione privata, come le adozioni, non fosse vista come un problema di stato. Perché, non si dimentichi mai, come ben sanno molte famiglie, che le adozioni, arcobaleno o meno, sono un percorso a ostacoli che può durare anni. Figurarsi, se e quando finalmente sarà, le adozioni di figli da parte di una famiglia omogenitoriale. In realtà, la vera soluzione della questione, è che non sia giudicata tale: che ognuno sia considerato libero di adottare chi voglia, senza che passino secoli. Che basti un atto notarile.

I migranti sono un problema? E utile dibatterne? No. Ovviamente, non lo sarebbero se si fosse in un paese liberale in cui una questione privata come la libertà di movimento interna ed esterna, cioè di trovarsi un lavoro ovunque si desideri, non fosse vista come un problema di stato. In Italia, purtroppo, chi va all’estero per lavorare è guardato male: o come un nemico delle patria o come uno stupido, incapace di trovarsi posto statale. Figurarsi chiunque desideri “entrare” in Italia per lavorare: chi, quel posto statale, secondo la vulgata del razzisti, lo vuole rubare. In realtà, la vera soluzione della questione, è che non sia giudicata tale: che ognuno sia considerato libero di trovare lavoro dove crede: ubi bene, ibi patria.

La “transizione ecologica” è un problema? No. Ovviamente non lo sarebbe se l’Italia fosse un paese liberale capace di apprezzare la libertà economica e la libertà di consumare o meno, come frutto della libera scelta individuale. E non, come invece è, un paese in cui l’economia privata è vista come un problema di stato. E dove la questione ecologica, come transizione dal libero mercato verso un’economia controllata (cosa che nessuno dice), è giudicata, come nelle dissolte società di socialismo reale, un fattore di progresso verso libertà: da ciascuno secondo i suoi meriti a ciascuno secondo i suoi bisogni. Purtroppo nessuno sembra comprendere come l’ecologismo sia una specie di prosecuzione del comunismo con altri mezzi. In realtà, la vera soluzione della questione, è che non sia giudicata tale: che ognuno sia considerato libero di produrre, vendere, consumare, senza limiti di sorta. L’ecologismo, ripetiamo, è il Cavallo di Troia della “dittatura del proletariato ambientalista”.

Risposte semplici a “questioni complesse”? Valuti il lettore.

Noi siamo del parere che adozioni arcobaleno, migranti, transizione ecologica siano tre esempi di dibattiti inutili che rubano spazio sui giornali e sui social. E che, cosa ancora più grave, favoriscano un inveterato approccio illiberale a questioni che neppure si porrebbero in una società libera. 

Con questo termine intendiamo  una società dove le libertà di adottare, lavorare, consumare, come prolungamento delle libertà individuali, siano  considerate  per quel che sono: sacre e intoccabili.  Vaticiniamo il  "Regno di Utopia"?   La cultura e la pratica anglo-americane insegnano  che non è così.  

Si pensi  a  una specie di a priori  sul piano delle mentalità culturale: prima l'individuo, poi la società.   Qualcosa di in-di-scu-ti-bi-le.  Neppure ci si dovrebbe pensare, cazzo! (Sembra che questa espressione sia tornata di moda nei salotti buoni… sicché ne approfittiamo).

Per ora, purtroppo, da noi,  non è così.  E quale può essere un esempio di dibattito utile? Quello di evitare i dibattiti inutili sulla lunghezza della corda alla quale lo stato vuole appendere ogni singolo cittadino. Anzi ogni singolo suddito.

Carlo Gambescia

lunedì 20 marzo 2023

Ernest Renan tra destra, sinistra e cosiddetti professori

 


Buttarla sempre in politica, e qui pensiamo a certi cosiddetti professori, non è cosa buona e giusta, perché cultura e politica non vanno mai insieme. E spieghiamo perché.

Si pensi al putiferio scatenato dalla citazione meloniana di Ernest Renan (1823-1892): per la sinistra, lo storico francese è un antenato di Hitler, per la destra di Fratelli d’Italia, nuova versione patriottica (non nazionalista), un padre nobile.

Di Renan, di formazione storico delle religioni, in particolare del cristianesimo e dell’ebraismo, in Italia, a parte  qualche illustre francesista, si è sempre saputo e capito poco. Si cita ogni tanto e a sproposito il suo Che cos’è una nazione?, ignorando il resto del produzione, soprattutto l’ultima: quella di natura pedagogico-politica.

Allora, a proposito di Renan, che deve fare un professore? Per metterla sulla deontologia, chi sa, proprio perché deve insegnare a chi non sa, non deve mai buttarla in politica. Ciò significa non sposare alcuna causa: né di destra né di sinistra. Ogni professore autentico deve spiegare le cose come sono. Oppure, dopo aver inarcato il sopracciglio, tacere, al riparo della sua torre eburnea, eccetera, eccetera.

Diciamo subito che Renan non fu un precursore di Hitler, però fu un grande ammiratore dell’ unificazione prussiana della Germania. La sua ammirazione, che proveniva da un autentico culto per le discipline storiche e filologiche tedesche, fu tale fino al punto di indicare, se non addirittura ordinare alla Francia del tempo, duramente sconfitta nella Guerra franco-prussiana (1870-1871), di mettersi subito al passo (ferrato) con la Germania di Bismarck.

Questa sua ammirazione, stando a uno storico italiano, oggi quasi dimenticato, Federico Chabod, tra l’altro profondo studioso dell’idea di nazione e di Europa, sfociò addirittura nel razzismo. Leggiamo insieme questa pagina, tratta dall’ importante e incompiuta, Storia della politica estera italiana:

“ Eppure, eppure parecchio rimaneva in lui [Renan], se non dell’antico ideale europeo, almeno dell’antico germanesimo: questo anzi, usciva involontariamente ancor rafforzato dalla terribile prova, intendiamo, come potenza suggestiva di dottrine e forme germaniche sul brettone dal mite sguardo [Renan]: e n’ era prova ‘La réforme intellectuelle et morale de la France’, che finiva con l’additare, per modello ancora e sempre lo spirito germanico, ed esaltava lo spirito militare, di germanica origine, di cui la Francia, di cui la Francia s’era malauguratamente privata con l’Illuminismo e la Rivoluzione francese, sostituendovi una concezione filosofica e ugualitaria della società, n’era prova il già accentuato razzismo che precisava ancora più atteggiamenti degli anni precedenti e conduceva Renan completamente fuori dall’orbita della grande tradizione liberale francese del Tocqueville; n’ era prova l’ammirare, sempre, direttamente o meno, la stessa organizzazione politica, sociale e militare prussiana” (*).

La réforme è del 1871, Qu’est-ce qu’une nation? del 1882 (**). Pertanto quest’ultimo libro va culturalmente inquadrato all’interno della metamorfosi prussiana di Renan. Infatti, se lo si legge con attenzione, l’accento è posto sul concetto di volontà politica. Il clima spirituale, che rimanda al luogo comune  della nazione come “plebiscito quotidiano”,  passo di Renan fin troppo citato, in realtà rinvia, a sua volta, a una sovrumana volontà politica: o meglio ancora a quel volontarismo che sarà alla base di un rabbioso nazionalismo antiliberale che successivamente sfocerà inevitabilmente nel razzismo.

Scivolamento però non ancora del tutto presente nel Renan “prussiano” (non saremmo così tassativi come Chabod). Ma certamente racchiuso, ripetiamo, in un cieco volontarismo, più che adombrato da Renan, che prescinde categoricamente da ogni forma di umanesimo liberale.

La stessa idea di “plebiscito quotidiano”, spesso citata a vanvera, rimanda a un individuo che non può, anzi non deve trascurare la sua appartenenza nazionale neppure per un attimo. Siamo perciò davanti a una opprimente visione panpolitica dalle conseguenze assai pericolose. Come la storia del Ventesimo secolo, avvelenata dai nazionalismi, ha tristemente provato.

E a dire il vero anche del Ventunesimo.

In conclusione, e non solo a proposito di Renan, certi cosiddetti professori dovrebbero o tacere o dire la verità, storica ovviamente. Però come si ottengono certi incarichi se non ci si mette al servizio di una parte politica?

Mai contraddire il Principe. Nuovo o vecchio che sia…

Carlo Gambescia

(*) Federico Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Editori Laterza 1971 (1951), 2 voll., I., pp. 82-83.

(**) Gli inserti tra parentesi quadre sono nostri. I due testi Nation e Réforme sono scaricabili qui: https://archive.wikiwix.com/cache/index2.php?url=http%3A%2F%2Fclassiques.uqac.ca%2Fclassiques%2Frenan_ernest%2Frenan_ernest.html .

domenica 19 marzo 2023

Liberalismo eroico o liberalismo da terza età?

 


Alessandro Litta Modignani, persona degnissima e intellettuale che stimo, ieri, a proposito dell’ articolo sul mandato di arresto per Putin (*), ha lasciato il seguente commento:

“Ma niente affatto. Certo che bisogna armare l’Ucraina. Ma questo mandato di cattura internazionale è una sconfitta politica e morale, per Putin ei suoi, agli occhi di tutte le opinioni pubbliche occidentali. Rapiscono i bambini, per russificarli! Questo, lo può capire chiunque. Da oggi Putin è più isolato e i putiniani occidentali più deboli. È una risultato importante, e mi meraviglia molto che tu non sappia cogliere questo aspetto”.

Anticipo che sto per rispondere con una specie di “enciclica”, cioè con un post che per lunghezza supererà il commento di Alessandro. Il che non è molto corretto e neppure elegante. Però la questione abbordata – quella della sconfitta politica e morale – è di interesse generale. Vale perciò la fatica di una riflessione più ampia.

Sparo subito alzo zero. Hitler è stato sconfitto moralmente o sul campo? Quando si rifiuta la concezione liberale, che si nutre del giudizio di una pubblica opinione informata, come nel caso di Hitler e di Putin, esiste un solo tipo di sconfitta, né politica, né morale, ma sul campo. Lo stesso terreno sul quale Hitler fu battuto. Ferro e fuoco. Putin non capisce altro “linguaggio”. Altrimenti, per dirla con grande semplicità, se avesse temuto l’isolamento politico e morale, non avrebbe fatto quel che ha fatto.

Perciò, piaccia o meno, in questo momento, più che a Kant si deve guardare a Machiavelli.

Quanto all’isolamento dei putiniani occidentali, sarei più cauto, soprattutto alla luce dei sondaggi d’opinione e dei commenti sui social che evidenziano un limaccioso pacifismo nel quale la propaganda filorussa sguazza e fa proseliti.

Purtroppo, il liberalismo di oggi, un gran minestrone ideologico (sovranista a destra, egualitarista a sinistra), non solo non è archico, nel senso di non essere capace apprezzare la lezione “del brigante e mezzo a brigante”, di Machiavelli e Churchill, ma si rifugia in un idealismo ipocrita, che ci sta portando alla rovina – questa sì – politica e morale.

Perché non è vero che stiamo armando l’Ucraina: prima ipocrisia. O comunque, finora, non l’abbiamo armata a dovere, nel senso di mettere Kiev nelle condizioni di respingere i russi in tempi brevi oltre i confini dell’Ucraina. Si cincischia, con le sanzioni economiche e morali-penali, per guadagnare tempo, sperando che la Russia si stanchi: seconda ipocrisia.

Il che è un segno di grande debolezza politica, perché non si dice la verità alla gente: che purtroppo le guerre non si vincono con i mandati di arresto ma a fuciliate. E per quale ragione si mente? Per paura di perdere consenso.

Ma c’è dell’altro: al tempo stesso non si fa nulla per battere la Russia, sicché i tempi del conflitto rischiano di allungarsi a dismisura, moltiplicando le perdite umane: le stesse perdite, come si ripete, che si vogliono evitare.

Si tratta di un combinato disposto – non si vuole la pace ma neppure la guerra – che favorisce chi non ha paura della guerra, o che comunque si mostra più fermo dell’Occidente: la Russia. Che, come abbiamo scritto più volte, usa la minaccia della guerra non convenzionale, per poter avere le mani libere sul piano della guerra convenzionale (**).

L’Occidente – e di tempo ne ha avuto – avrebbe dovuto chiarire, ancora prima dell’invasione russa, che si sarebbe battuto con l’Ucraina, al di là dei cavilli Nato,  per respingere le truppe russe oltre i confini, ma in modo esclusivamente convenzionale, lasciando alla Russia la responsabilità “storica” di usare armi non convenzionali.

Per contro, accettando le regole della corsa retorico-verbale al rialzo sull’Armageddon prossimo venturo imposte dai russi, si è lasciata a Mosca l’iniziativa. E soprattutto si è persa l’occasione di respingere  subito i russi oltre confini violati. Come? Se necessario con un’offensiva Nato, convenzionale, ancorata al rifiuto di usare armi non convenzionali. Lasciando ai russi, come detto, la responsabilità “storica” dell’opzione non convenzionale.

Invece, ora, come si legge tra le righe delle dichiarazioni ufficiali, alla Nato mancano addirittura le munizioni. Che fortunatamente sembrano mancare anche ai russi. Il che però deve far riflettere sul fatto che se ci si fosse armati adeguatamente, già anni prima, la Russia ora si leccherebbe le ferite. E a cuccia.

E la colpa di tutto questo, dispiace dirlo, è di quei liberali che ora parlano, quasi a consolarsi, di sconfitte morali e politiche a proposito del mandato di cattura contro Putin.

Purtroppo quel è mancato in questa crisi, fin dall’inizio, è il ruolo giocato da un liberalismo eroico. Capace di accettare – nessuno lo nega – i rischi e i pericoli della sfida sulle armi non convenzionali. Mi si permette un’espressione volgare? E’ mancato un liberalismo con le palle.

Parliamo dello stesso coraggio mostrato dai costituenti di Cadice, dagli sfortunati decabristi, dai libertadores sudamericani, dai Santorre di Santarosa, dai Pellegrino Rossi, dai Lincoln, dai Cavour, dai Churchill. Per fare solo qualche nome. Si guardi infine alle costituzionalizzazioni ottocentesche e al tributo di sangue pagato dai liberali.

Sappiamo benissimo di essere retorici, ma di queste cose nessuno più parla. Ormai in Occidente domina una specie di liberalsocialismo globale, un welfarismo gelatinoso, che accomuna destra e sinistra. Ci si occupa solo di pensioni, assistenza medica, di specie protette, anche umane, e così via.

Si rifletta su un punto: la destra il welfare vuole riservarlo, come da noi, solo agli italiani, la sinistra anche ai non italiani. Ma sempre di welfare si tratta. Di una costosa fonte di consenso che mai deve inaridirsi, anche a costo di passare per vigliacchi… Che tristezza.

Insomma, siamo davanti a  un liberalismo senza spada, brontolone, moralista, pauroso, un liberalismo da terza età. Di cui la Russia si sta prendendo gioco.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/autorete-il-mandato-di-arresto-per-putin/ .

(**) Qui: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/ucraina-missili-e-piagnoni/ ;https://cargambesciametapolitics.altervista.org/guerre-reali-e-guerre-immaginarie/ .

sabato 18 marzo 2023

Autorete, il mandato di arresto per Putin

 


Un’autorete. Non conosciamo altro termine. Parliamo del mandato di arresto della Corte penale internazionale emesso contro il presidente russo Vladimir Putin, perché giudicato “responsabile del crimine di guerra di deportazione illegale di popolazione (bambini) e di trasferimento illegale di popolazione (bambini) dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia” (*).

In questo modo si rischia di fare il gioco di coloro che sono dalla parte di Putin. A cominciare dal popolo russo, che, rabbiosamente nazionalista, si stringerà intorno all’autocrate. E di seguito, rosso-bruni, universo pacifista filorusso, anti-occidentalisti, anticapitalisti, antiliberali, eccetera, eccetera.

Tra i non pochi argomenti, diciamo sociologici, contro la decisione della Corte penale internazionale (da non confondere con la Corte internazionale di giustizia, sempre con sede all’Aja), che potranno essere usati dai putiniani, anche all’estero, ne ricordiamo solo due.

Il primo: Stati Uniti, Russia, Cina e Ucraina hanno firmato ma non ratificato il trattato istitutivo (Statuto di Roma). Per inciso, l’Italia invece sì. Il che – firme senza ratifica – per dirla alla buona favorisce il “buttarla in caciara”.

Il secondo: il presidente e il procuratore in carica, sono rispettivamente un polacco e un britannico. Si possono considerare credibili sotto il profilo della neutralità affettiva? Crediamo di no. Altra “caciara” alle viste.

Inciso, per i non romani: buttare in caciara significa far smarrire in una discussione il filo delle questioni fondamentali. Fare in modo, cavillando in punta di diritto e di ideologia, che il buono non appaia più buono e il cattivo, cattivo. La famigerata notte hegeliana delle indistinguibili vacche nere.

Sappiamo benissimo che esiste una scuola di pensiero, nobilissima nei propositi, che risale ai migliori padri dell’Illuminismo, che si batte per un ordine internazionale pacifico, basato sul rispetto della sovranità degli stati e dell’antico diritto delle genti. Un ordinamento che si affida all’uso di una ragione naturale, condivisa, si dice, da tutti i  popoli.

Ovviamente deportare bambini di un paese invaso in modo proditorio è l’esatto contrario di ciò che impone la naturalis ratio (per parlare difficile), cioè la naturale capacità di ragionamento delle persone, che non dipende dal colore della pelle o dalla lingua, alla base dell’ordinamento internazionale.

Pertanto è difficile negare il fatto che Putin e coloro che lo aiutano violino barbaramente il diritto delle genti. Difficile negare, si badi bene, solo per chi ritenga che l’uso della ragione debba avere sempre la meglio sull’uso della forza. Però come far capire la cosa a chi alla ragione preferisce la forza come la Russia? Usando una forza superiore. Ed è quello che l’Occidente euro-americano non sta facendo. O se lo fa, lo fa timidamente, molto timidamente.

Sicché nell’attesa che i russi facciano marcia indietro da soli, invece delle armi vere si usano le armi morali, magari con risvolti penali. Tra le quali c’è l’uso del mandato internazionale di arresto contro Putin. Però cosa ha risposto Medvedev, il braccio destro di Putin? “Che è solo carta igienica”.

Capito? Con certa “gente” le sanzioni morali e  (semplificando) lo stato di diritto non funzionano. I processi, per quanto possa apparire inelegante  la mancanza magnanimità, si fanno ai nemici sconfitti e in catene. Meglio ancora se in gabbia come animali feroci. I giudici, senza i carabinieri, non vanno da nessuna parte.

Inoltre, cosa fondamentale, minacciare o anticipare i processi, prima ancora di aver sconfitto il nemico sul campo, o peggio ancora senza una chiara volontà di batterlo, facilita ciò che abbiamo chiamato “caciara”:  un polverone che rischia di  favorire il nemico, perché  può atteggiarsi a perseguitato.

Sappiano benissimo di dire cose non proprio kantiane, pensatore che comunque apprezziamo. Tuttavia mai dimenticare cosa insegna il buon Machiavelli:

“Per il che si ha a notare che gli uomini si debbano o vezzeggiare o spegnere; perché si vendicano delle leggieri offese, delle gravi non possono: sì che l’offesa che si fa all’uomo debba essere in modo che la  non tema la vendetta” (**).

Compreso? Putin va prima spento, poi processato.

Detto altrimenti, visto che abbiamo parlato di autorete, perché non citare anche Giovanni Trapattoni, a modo suo saggio filosofo? “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2023/03/17/cpi-putin-criminale-di-guerra-per-deportazione-di-bambini_50491bcc-2487-47d8-877e-4e711777d518.html .
(**) Niccolò Machiavelli, Il Principe, in Idem, Tutte le opere, a cura di Mario Martelli, Sansoni Editore 1971, pp. 257-298. Citazione a pagina 259 (“3. De principati bus mixtis”).