lunedì 21 ottobre 2024

Brutto momento

 


Questa mattina vorremmo tornare ancora una volta sulla passività degli italiani, a proposito della pubblicazione da parte del “Tempo” di una mail privata scritta da un magistrato. Probabilmente carpita da una chat, altrettanto privata, storpiandone il senso solo per fare un favore a Giorgia Meloni, presentandola come una specie di eroina politica vittima della sinistra brutta e cattiva.   Oggi, “Il Tempo” pubblica altre mail , sempre carpite. La lapidazione della magistratura, come istituzione, continua...

Dicevamo della passività degli italiani: passività annunciata, frutto di un imbarbarimento populista che si manifesta attraverso forme di indifferenza nei riguardi dei  mezzi usati nella lotta politica, anche i più sporchi. “Tutto è ammesso, tutto è possibile”. Ecco la reazione tipica dell’italiano medio, reazione trasversale che prescinde dall’opzione politica. Ormai si pensa alla salvezza nel quotidiano. Se ci si passa l’espressione: ognuno per sé, di per tutti. Questa la triste realtà.

Il partito politico, da destra a sinistra, si è tramutato nella bambinaia di un elettore infantile, capriccioso e nevrotico, al quale, nel nome della democrazia emotiva, fondata sulla paura di perdere ciò che si ha, si forniscono, come giocattoli, capri espiatori, dal migrante all’ebreo, dall’atlantista al liberale. Ai quali presentare il conto come attentatori di una normalità che in realtà non è tale, perché Italia e Europa rischiano di assomigliare sempre più a una superfortezza, dalle fondamenta fragili, con zone comfort riservate soltanto agli europei e agli italiani. Una specie di nuovo regno, solo apparentmente incantato, dell’apartheid.

In questo contesto di ordinaria barbarie nessuno si è reso conto del gravità di un fatto: che Giorgia Meloni, cioè il Presidente del Consiglio, ha rilanciato una mail carpita a un magistrato. Una cosa che in un paese normale imporrebbe le dimissioni. E invece tutto tace. Del resto la stessa sinistra, maestra in queste tecniche tra il manipolativo e l’illegale (si pensi ai commenti carpiti alla stessa Meloni, su una chat dei deputati di FdI, finiti in rete e sui giornali), è restata zitta, per la serie, scagli la prima pietra, eccetera, eccetera.

Ripetiamo. Il fatto che il Presidente del Consiglio, e non un semplice hacker, si avvalga, pubblicamente, di una tecnica manipolativa, palesemente illegale, è un fatto che non ha precedenti, pur in un contesto politico a dir poco degradato, dove ormai tra i partiti volano solo palle di merda (pardon).

Ora che la sinistra taccia, come abbiamo detto, può anche essere “comprensibile”, ma resta cosa grave che ieri sera il solo a parlare di dimissioni sia stato chi scrive.

Esageriamo? Non si tratta di cosa grave? Ricordiamo agli smemorati politici di Collegno che Giorgia Meloni ha dietro di sé, non un normalissimo partito conservatore ma un partito dalle salde radici neofasciste. Che sulle palle di merda (di nuovo pardon) contro il parlamento e i partiti ha costruito, fin dai nonni (“Since 1919”), le sue fortune e sfortune degli italiani. Quindi la tecnica manipolativa e illegale è al servizio dei nemici della democrazia liberale.

Sembra di scrivere sull'acqua. Siamo davanti a un  diffuso  atteggiamento passivo,  persino negli analisti.  Un immobilismo, alla fin fine, crediamo, frutto  della paura di ritorsioni da parte di un governo che per ora sembra non voler arretrare davanti a nulla.

Brutto momento.

Carlo Gambescia

domenica 20 ottobre 2024

Tutto normale? Nessun pericolo fascista? Giudichi il lettore

 


Un lettore e amico, diciamo filogovernativo, ha fatto notare in privato, che esageriamo: Giorgia Meloni non è Hitler, i suoi ministri, a partire propri da Nordio, sono liberal-democratici, eccetera, eccetera.

Insomma la tesi è che ci scaglieremmo contro un governo liberale, commettendo un madornale errore di valutazione. Insomma, al potere sarebbero tornati Cavour e Giolitti, non Hitler e Mussolini o comunque dei volenterosi eredi dei dittatori.

Ovviamente, Giorgia Meloni, almeno a prima vista, non è Hitler, neppure Mussolini. Però una cosa è sicura, né lei né Nordio sono liberali. Sono l’esatto contrario. Proprio perché hanno una visione della politica di tipo autoritario e plebiscitario, visione che riconduce al subdolo fenomeno della “tentazione fascista”, tipico del periodo tra le due guerre novecentesche.

Pensiamo a una compiaciuta visione cesarista della democrazia, che, al di là di una astuta retorica populista, non intende concedere spazio al popolo né alla separazione dei poteri. Diciamo che si “usa” il popolo per altri fini: agguantare il potere e rimettere indietro le lancette della storia. Tramutare la tentazione in realtà.

Di Giorgia Meloni che continuamente evoca un “chiaro mandato popolare” abbiamo già detto (*). Quanto a Nordio, si legga cosa ha dichiarato proprio ieri a proposito dei giudici della sezione immigrazione di Roma.  I giudici, per capirsi,  che non hanno giustamente convalidato il trattenimento di alcuni migranti emesso dalla questura romana presso il centro di permanenza in Albania.

Se la magistratura esonda dai suoi poteri, come in questo caso, attribuendosi delle prerogative che non può avere, come quella di definire uno Stato sicuro, allora deve intervenire la politica perché la politica esprime la volontà popolare (…) Noi rispondiamo al popolo: se il popolo non è d’accordo con quello che facciamo andiamo a casa. Ma la magistratura, che è autonoma e indipendente, non risponde a nessuno e quindi proprio per questo non può assumersi delle prerogative che sono squisitamente ed essenzialmente della politica” (**).

A parte l’infelice idea che per essere indipendente un giudice debba chiudere gli occhi dinanzi alle persecuzioni della destra verso i migranti, l’idea che la politica, cioè il governo, esprima la volontà popolare, che invece, in una democrazia rappresentativa, appartiene al parlamento, a tutto il parlamento, quindi anche alle opposizioni, rinvia all’antiparlamentarismo fascista. Che una volta al potere ridusse il parlamento alla passiva camera di registrazione delle decisioni del governo.

Nordio, di fatto, trasferisce la sovranità, che, solo nominalmente continua ad appartenere al popolo, dal parlamento al governo.

E ciò non è assolutamente liberale. Anzi, ripetiamo, fascista. O se si preferisce un punto di forza della cultura della tentazione fascista, che portò acqua populista e reazionaria, prima, durante e dopo, alle dittature fasciste.

Un governo non può permettersi di  fare tutto perché ha vinto le elezioni, anche con il 99 per cento dei voti, dal momento che il rispetto dell’ 1 per cento è il sale delle liberal-democrazia, che non è dittatura della maggioranza, ma rispetto delle minoranze.

Inoltra suona derisorio quell’ “andiamo a casa”, opera del popolo, come asserisce Nordio. Dal momento che in cinque anni ( e non sarebbe la prima volta, e in modo massiccio dopo avvento di Berlusconi) si possono cambiare le regole costituzionali. E in senso reazionario.

Come del resto la destra sta mettendo in atto con la legge sul premierato di natura plebiscitaria e sulla riforma della magistratura, che da "ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere" (art. 104 della Costituzione) si vuole trasformare in organo dello stato sottomesso al potere politico, soprattutto sul piano disciplinare. Tradotto in una “istituzione” dello stato sottomessa al governo, dimenticando, perché non torna politicamente utile che la “giustizia è amministrata in nome del popolo” (art. 101 della Costituzione), lo stesso “popolo” evocato con la  mano sul cuore  proprio da Nordio.

Antiparlamentarismo e controllo politico dei giudici, in particolare della magistratura inquirente,rinviano a una visione totalitaria della politica. La stessa visione di Hitler e Mussolini.

Esageriamo? E’ solo una pagliacciata, come dicono i tre o quattro fascisti duri e puri, in guerra contro tutti, anche con la “badogliana” Giorgia Meloni? Solo perché siede in parlamento? Sono le stesse  critiche dei cosiddetti fascisti di sinistra, fino all'ultimo alleati dei nazisti, rivolte a Mussolini dalla Marcia su Roma a Salò. Si può dare ascolto ai nazisti di ieri e di oggi?  Che se  solo potessero schiavizzerebbero il mondo libero?  E prendere la Meloni sottogamba?  No. 

Tuttavia, si dice (non solo i fiancheggiatori), oggi ci sono i social, le televisioni, la vita sembra continuare normalmente, si programmano aperitivi, cene,  viaggi, vacanze, ci si interroga sulla salute dei gatti, dei cani, del pianeta, di pensioni e anziani, di come organizzare il tempo libero. Tutto sembra scorrere normalmente. Di che preoccuparsi?

In realtà le cose stanno cambiando, e neppure così lentamente. Un tempo si diceva che l’Europa non avrebbe mai permesso, idem gli Stati Uniti, la Nato, eccetera, eccetera. Ora in Europa si guarda all’Italia come a un felice esperimento politico. Il populista Trump potrebbe vincere. Putin, anche se ammaccato, resta comunque minaccioso. La Cina penetra ovunque. E per contro Netanyauh viene considerato un nazista.

Giudichi il lettore.

Carlo Gambescia

(*) Qui il lettore troverà su Giorgia Meloni tutto il materiale che desidera consultare: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/search?q=giorgia+meloni .
(*) Qui: https://www.adnkronos.com/cronaca/migranti-albania-sentenza-tribunale-roma-nordio_2GgZnd2JCCxnidcqfPr9pm .

sabato 19 ottobre 2024

Giorgia Meloni e i giudici. Sulle orme di Hitler

 


Una delle tragedie della Germania nazista fu la sottomissione a Hitler, non solo delle imprese industriali e dello stato maggiore, ma soprattutto della magistratura, che inflessibile, applicò, solo perché erano leggi entrate vigore, quindi diritto positivo, tutte le vergognose misure nazionalsocialiste contro oppositori politici, ebrei e altre minoranze.

Lo stato di diritto tedesco sparì sotto i colpi dei decreti hitleriani. Venne svuotato, perdendo  l' orginale ispirazione liberale.  Si agiva in base alle legge,  ma secondo la ratio nazista. E i giudici, lasciati politicamente soli, tacitarono le proprie coscienze, nascondendosi dietro l’impero "legale" della legge, a prescindere dalle sue fonti, chiaramente "illegittime" (la dittatura nazista).  Del resto con Hitler non si scherzava. I pochi giudici che dissero no furono deposti e imprigionati.

Non fu una bella pagina. Finita tra l’altro con una guerra mondiale e un genocidio.

Cerchiamo di farne tesoro. E per una importante ragione. Perché la trascorsa sudditanza, più o meno coperta dal diritto del giudice tedesco, ci aiuta a inquadrare la scomposta reazione del Governo Meloni ai giudici della sezione immigrazione di Roma che non hanno giustamente convalidato ( nessun paese può essere definito “sicuro”, a cominciare dall’Italia da quando è al potere l’estrema destra) il trattenimento di alcuni migranti emesso dalla questura romana presso il centro di permanenza in Albania.

Meloni ragiona come Hitler, non vuole “intralci da parte dei giudici” (testuale). “Behinderung durch die Richter“ per dirla con il dittatore nazista. Rivendica il potere politico assoluto, su tutto e tutti, evocando sistematicamente il paravento ideologico del “chiaro mandato” popolare. Proprio come Hitler, come se il giudizio elettorale del popolo, perseguito con ogni mezzo, fosse il giudizio di dio. Il che non può essere, almeno per chi abbia studiato a fondo Aristotele e Machiavelli.

Fortunatamente, lo stato di diritto, almeno per ora, ancora esiste ( e resiste) in Italia, sicché Giorgia Meloni è costretta a mordere il freno. Non può arrestare i giudici. Perciò la battaglia, come deve essere in uno stato liberale, sarà di tipo legale. Però, dietro le quinte, su quei giudici sarà esercitata dal governo una pressione fortissima, ai limiti della legalità. Si sta tentando, come del resto prova la riforma della magistratura, di svuotare dall’interno lo stato di diritto. Quindi serve una risposta politica. Di principio.

Purtroppo, come abbiamo scritto più volte, la tentazione fascista aleggia intorno a Fratelli d’Italia. Anche gli alleati di governo ( da un bruto come Salvini a un personaggio incolore come Tajani) sono per le maniere forti contro i migranti. La stessa sinistra, ormai in confusione, sostiene una politica dai risvolti inquietanti perché dice sì ai Centri se situati in Italia.

Quei giudici rischiano la solitudine del giusto. E non vanno lasciati politicamente soli, come purtroppo avvenne nella Germania nazista. La battaglia sui migranti, non è solo una battaglia legale su questioni di definizioni giuridiche e di lagnosa accoglienza welfarista, non concerne i mezzi, cioè norme, regolamenti, cerotti, merendine e saponette, ma riguarda i fini, i principi, uno in particolare: la libertà.

Nel senso che ognuno di noi deve essere considerato libero di vivere dove meglio crede. Ubi bene, ibi patria. Questa deve essere la parola d’ordine per ogni vero liberale.

Dietro il no dei giudici si profila un gigantesco scontro politico in difesa della libertà di movimento. Come fu quello contro Hitler: da una parte gli eredi dei nazisti, che difendono l’idea di sangue e suolo, pur usando un linguaggio corrotto e mellifluo, dall’altra chi difende a chiare note la tradizione liberale del libero scambio di uomini, idee, beni.

Si cerchi di non commettere gli stessi errori politici.

Carlo Gambescia

venerdì 18 ottobre 2024

Perché la destra odia Saviano?

 


Alessandro Campi ha avuto un malore in Germania, dove si trovava per l’inaugurazione della Buchmesse. Ora sta meglio.

Quel che però colpisce, diciamo sociologicamente,  è che appena rimessosi ha scritto sulla sua pagina Fb, per dirla da verbale dei carabinieri, quanto segue:

Cari amici, care amiche, grazie per il calore, la premura e la vicinanza (…). Se volete la versione ironica, il mio improvviso malore a Francoforte, subito dopo l’inaugurazione delPadiglione Italiano (peraltro splendido), è stato causato dalla lettura dell’intervista a Roberto Saviano, che verrà alla Buchmesse – parole sue – “come atto di resistenza”. A chi? A che cosa? Verrà semplicemente a fare la parte del martire della politica che non è e della vittima per le sue idee che nessuno perseguita. E magari da queste parti qualcuno gli crederà anche” (*)

Sono parole emblematiche. Di cosa? Di un automatismo mentale, qualcosa di irriflessivo. Perché la “versione ironica” è stata subito ripresa a soffietto dalla stampa organica alla destra meloniana, con rapidità e  toni diremmo, "automatico-simpatetici". A sinistra, per ora, non si è registrata alcuna reazione, a cominciare da Saviano. Probabilmente per un combinato diposto tra il rispetto per le condizioni di salute di Campi e la pigrizia mentale.

Per quale ragione la destra ridicolizza uno scrittore che vive sotto scorta da quasi venti anni perché nel mirino della Camorra?

Parliamo di un intellettuale che con Gomorra è entrato nella lista dei condannati a morte stilata dalla Camorra. Sappiamo di usare parole forti, ma per la Camorra, Saviano è un morto che cammina. Come si può ironizzare su un condannato, e per giunta ingiustamente e vergognosamente,  alla pena capitale?

Pertanto il vero punto della questione è la reazione pavloviana della destra. Il fatto sociologico non quello individuale.

Perché, ripetiamo, tutto quest’odio?

Saviano non è di destra? Non piace perché è antifascista e non smette di ricordarlo? Ma non è proprio la destra a parlare di “cultura nazionale”? Dicitura oggi preferita al posto di “cultura di destra”? E cosa c’è di più antinazionale della Camorra?

Antifascismo. Qui il problema è di Fratelli d’Italia, che evidentemente ha più di uno scheletro nell’armadio. Inoltre, sempre a proposito della cultura nazionale, come non si può non considerare un valore comune, quindi nazionale, uno scrittore celebrato all’estero?

Forse perché i panni sporchi si devono autarchicamente lavare in Italia? E quindi Saviano avrebbe il torto di aver venduto in tutto il mondo milioni e milioni di copie di Gomorra?

In fin dei conti, i corifei massmediatici della destra meloniana odiano Saviano per una ragione molto semplice. Non è dei “loro”. Se solo cedesse ( si pensi a un romantico tête-à-tête, come per Musk, con Giorgia Meloni), sarebbe accolto, ovviamente per i soliti ordini dall’alto, a braccia aperte. Tramutandosi, come per magia, in uno dei cardini della “cultura nazionale”.

Però a destra si sa bene che ciò non potrà mai avvenire. Di conseguenza Saviano rappresenta una specie di capitolo chiuso del Libro Nero della destra: un morto che cammina.

Carlo Gambescia

giovedì 17 ottobre 2024

Barbero, il populista cognitivo va in pensione…

 

La notizia buona è che Alessandro Barbero ha scoperto la burocrazia universitaria (*) . Ora che va in pensione. Bah…

Quella cattiva, che d’ora in poi, godendo di tempo libero, sarà ancora più invasivo come divulgatore storico. Se il pensionato standard si accontenta di osservare i lavori stradali, il pensionato fuori misura diciamo, si dedicherà, alla storia dei lavori stradali narrata al popolo. Insomma siamo fritti.

Oltre al vederlo piroettare su YouTube, di Barbero, abbiamo letto un romanzo, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo, così così (una mezza salgarata), e teniamo, a distanza di sicurezza, sullo scaffale, il Dizionario del Medioevo , scritto con Chiara Frugoni, un lavoro mediocre, semplice per gli studiosi, semplicistico per i non addetti.

Si dirà, pochino per giudicare… Diciamo che abbiamo un certo fiuto. Inoltre il lettore penserà: Gambescia è invidioso, lui i libri li vende con il contagocce, Barbero a palate.

Non è così. Se Barbero ha questa capacità di farsi capire dal popolo, siamo contenti per lui. Però si fa capire troppo. La sua “missione”, proprio perché divulgativa, nel senso dell’accessibilità a tutti, rischia di vendere e trasmettere illusioni. In particolare quelle che la storia non abbia segreti e, cosa peggiore, che sia sempre uguale a se stessa.

Il problema non è il mezzo ma il fine. Per capirsi: il problema non è Barbero, ma il concetto Barbero. Detto altrimenti il concetto di divulgazione. Di una certa divulgazione. E spieghiamo perché.

Il sapere divulgativo è un non sapere. Perché il sapere è difficile, e non è per tutti: servono doti intellettuali, volontà di applicarsi, e soprattutto la consapevolezza che le cose sono difficili da capire e che non ci sarà mai una risposta a tutto.

In linea di massima, la divulgazione è l’esatto contrario della scienza: semplifica. Cosa che vale per il divulgatore, per il divulgato e per il fruitore di divulgazione. La semplificazione, anche se ben fatta, è tale: facilita. Penalizzando lo sviluppo, quando ci sono, delle facoltà intellettuali, il duro lavoro applicativo e soprattutto il senso di complessità delle cose.

Perché la realtà, a partire da quella storica, è complessa. Qui il punto fondamentale. La divulgazione è una forma di populismo cognitivo: fornisce riposte semplici a problemi complessi. E in qualche misura Barbero, volente o nolente, è il Salvini della situazione.

Alziamo il tiro cognitivo. Alla base del sapere divulgativo storico c’è l’analogia, cioè la relazione di somiglianza tra alcuni elementi costitutivi dei fatti storici, in misura tale da favorire la deduzione mentale elementare di un certo grado di somiglianza tra due fatti anche storicamente lontani tra loro.

Per capirsi, l’analogia buona (che del resto è una normale tecnica cognitiva) è quella che fa capire, in termini di regolarità metapolitiche, che alcuni processi si ripetono (conflitto e cooperazione, ad esempio), ma con contenuti diversi. Per contro l’analogia cattiva, insiste sulla ripetizione dei processi e dei contenuti. Di qui Cesare uguale Napoleone, Augusto uguale De Gaulle, Cola di Rienzo uguale Mussolini, Luigi XIV uguale Hitler, Ivan il terribile uguale Stalin.

Ora, la retorica di un Barbero è più ricca, però nel fruitore della divulgazione, che non è un altro storico come Barbero, la cattiva analogia viene immediatamente promossa a verità storica e sociologica.

Pertanto la divulgazione fa più male che bene. Non sempre però. Ad esempio il lavoro di Mieli sui Rai Storia è eccellente: storici in studio, lessico mai banalizzato e soprattutto bibliografie, minime ma bibliografie.

Il distacco, tra la storia seria è la divulgazione è proprio nella bibliografia. Diciamo nel concetto di bibliografia. Che serve per capire come su un determinato argomento la storiografia (che poi è il mondo degli addetti ai lavori), non abbia mai in serbo risposte semplici e univoche. La bibliografia, se non si è dotati di anima scientifica a prima vista appare come un ponte tibetano sospeso sull’abisso. Può sgomentare. Ma non coloro che non si accontentano di risposte semplicistiche. In una parola: populiste, cognitivamente populiste.

È vero che Barbero talvolta indica cose da leggere, eccetera, però il suo punto di partenza è sempre la risposta semplice. Il che non incuriosisce e non aiuta l’approfondimento.

Si dirà, ma allora Piero Angela, il re, e giustamente, dei divulgatori scientifici? Angela è sempre stato un divulgatore, sui generis, una specie di Mieli in ambito scientifico. Si leggano le sue innumerevoli interviste. Ha sempre dichiarato che le cose sono complesse e che non esistono risposte semplici. Angela non lo si può definire un populista cognitivo. Magari gli si può rimproverare qualche piccolo cedimento, ma solo ogni tanto.

Insomma la divulgazione sta alla società di massa come il sapere scientifico alla società di élite. La vera divulgazione è quella che mette in collegamento le due società, mantenendo ferme distanze e differenze.

Come? Mettendo il lettore davanti al ponte tibetano della bibliografia. Cosa che chi scrive scoprì all’università (allora la pseudocultura delle slide fortunatamente non esisteva). La bibliografia, come il dio manzoniano, affanna e consola. E soprattutto ripetiamo ci mette davanti alla complessità del sapere storico. E di ogni altra forma di sapere.

Bisogna sempre accostarsi con rispetto. Guai ai facili giudizi. Quelli purtroppo toccano ai politici. Ma questa è un’altra storia.

Concludendo, abbiamo citato, di Barbero, il Dizionario del Medioevo. Contiene ricche illustrazioni, non poche per una pubblicazione economica, ma neppure una linea di bibliografia…

Carlo Gambescia

(*) I non abbonati a “La Stampa” leggano qui: https://www.rainews.it/tgr/piemonte/articoli/2024/10/e-alessandro-barbero-va-in-pensione-addio-universita-del-piemonte-orientale-6246fba4-8e86-4ba2-89ff-266c3977f6c3.html

mercoledì 16 ottobre 2024

Il Governo dei rapinatori di banche

 


Un esempio di incultura economica? Si legga la seguente dichiarazione di Giorgia Meloni a proposito dell’una tantum sulle banche (e sembra) assicurazioni, una volta accantonata, ma solo sul piano evocativo, la tassa sui “sovraprofitti” bancari.

“3,5 miliardi provenienti da banche e assicurazioni saranno destinati alla Sanità e ai più fragili per garantire servizi migliori e più vicini alle esigenze di tutti”.

Cioè si rapinano le banche (produttive) per buttare soldi nella fornace dell’assistenzialismo (improduttivo).

La spesa totale (2022-23) per la sanità ammonta a circa 130 miliardi (parliamo di settecentomila dipendenti), il deficit annuo (2022) a quasi di 1 miliardo e mezzo. Come si può intuire una goccia nell’oceano. Del resto il rapporto tra la spesa per il personale e investimenti fissi lordi (impianti e macchinari) è ridicolo. Il 3-5 per cento della spesa totale (che va via quasi tutta in stipendi), tra i tre e cinque miliardi (*)

Insegnano gli economisti, quelli seri, che, anche lo stato, come un’impresa, deve essere attento al rapporto costi-ricavi. E da che mondo è mondo, se i costi superano i ricavi, lo stato, come qualsiasi impresa rischia di fallire.

Questo in teoria. Perché lo stato a differenza dell’imprenditore privato può evitare il fallimento, o comunque rimandarlo, ricorrendo all’uso della forza. Tre sono le modalità storiche: 1) conquistando, quindi rapinando, altre nazioni; 2) stampando moneta, impoverendo così, quindi di nuovo con la rapina, non i cittadini di altre nazioni, ma i propri; 3) tosando i cittadini, in particolare i ceti produttivi, che una volta rapinati, perdono, in vista di altre rapine, qualsiasi volontà di produrre profitti.

Giorgia Meloni, e le altre destre di governo, compresa Forza Italia, che diceva di essere dalla parte delle imprese, hanno scelto l’opzione numero tre. Ovviamente, le guerre di conquista, nell’Europa unita, sono anacronistiche ( Russia a parte). Mentre l’inflazione è un’arma elusiva, serve solo a spostare verso l’alto l’asticella dei prezzi, diminuendo però il potere d’acquisto. A poco a poco si diventa tutti più poveri.

Pertanto il ricorso alla modalità della rapina in banca era scontato. 

Dicevamo dell’incultura economica della destra di governo.Come sanno gli economisti, ogni euro, frutto della rapina, avrà un effetto distorsivo, perché ricadrà sui costi delle banche, che a loro volta, ricadranno sui contribuenti. I tributi non sono mai economicamente neutrali. Perché vanno colpire dal lato della domanda i consumi e da quello dell’offerta il credito. Un disastro annunciato. Detto in soldoni, sarà più difficile ottenere un prestito.

Agli economisti, i “faciloni” di destra rispondono, come potrebbe rispondere l’uomo della strada, che di economia non sa nulla: “Le banche ne hanno tanti di soldi, perciò euro più euro in meno”… No comment. P.S. La sinistra risponde in modo simile. L’incultura è generalizzata.

Quanto alle banche, va detto che dopo una timida protesta, più che altro una specie di gol della bandiera, sul termine sovraprofitti (in effetti ignoto alla letteratura economica), poi tramutato lessicalmente in contributo straordinario, sembra di “solidarietà”, hanno ceduto, come la Chiesa francese prerivoluzionaria.

Cosa accadde? Che a Luigi XVI, affamato di soldi, la chiesa rispose di non essere disposta a pagare nuove tasse. Avrebbe invece accettato il versamento  di un contributo straordinario, magari di anno di anno se  necessario, fissato però dalla chiesa stessa, e non dal monarca: una specie di gentile dono. Come fini? I rivoluzionari dell’89 misero in vendita tutti i beni della Chiesa, e tramutarono alto e basso clero in dipendenti pubblici.

La debolezza non paga mai.

Carlo Gambescia

(*) Qui per un quadro contabile generale: https://www.corteconti.it/HOME/StampaMedia/Notizie/DettaglioNotizia?Id=22081094-73a1-49b2-8ed0-81e4b4ad57a9 .

martedì 15 ottobre 2024

Gli Hotspot in Albania rendono liberi…

 


Ieri un amico al nostro sdegno per la deportazione dei migranti in Albania in campi di concentramento variamente denominati (*), all’insegna di un vigliacco, e molto italiano, “occhio non vede, cuore non duole”, ci ha fatto polemicamente notare – a noi che difendiamo Israele – che Gerusalemme si comporta così con i palestinesi, “imprigionati” nella striscia di Gaza.

Va subito detto che comparazioni del genere sono pericolose perché mettono sullo stesso piano, e polemicamente, situazioni storiche, culturali e geopolitiche profondamente diverse. Sulle quali già ci siano dilungati (**).

Per farla breve, i palestinesi di Gaza, sono fagocitati da una macchina terroristica (Hamas), che fabbrica solo violenza. Invece il migrante, per principio, non è un terrorista né un criminale. Qui la differenza fondamentale.

Ovviamente, sulla base delle concezioni ideologiche sposate, si può far risalire o meno le origini della violenza ai palestinesi o agli israeliani. Non è mai difficile trovare, come capita nei tribunali, il dettaglio legale a difesa degli uni o degli altri. 

Però – attenzione – già la scelta di un’impostazione avvocatesca, apparentemente legale, implica una scelta di campo, perché mette sullo stesso piano il terrorismo palestinese con l’autodifesa di Israele: colpevoli e vittime. Cosa che non è assolutamente. Perché se  lo stato di Israele non si difendesse sarebbe immediatamente cancellato dalla faccia della terra.

Insomma, dietro  ogni  petulante  causidico si nasconde un Ponzio Pilato. 

Per contro il migrante, già costretto a un viaggio rischioso a causa di severissime normative sull’ingresso, al suo “arrivo” in Italia, per così dire, viene deportato in Albania. Da una parte c’è il terrorismo di Hamas, dall’altra poveri innocenti che cercano solo una vita migliore.

Si noti però un dettaglio. Per giustificare la deportazione e la detenzione preventiva del migrante  lo si dipinge come un individuo pericoloso, già colpevole (altro che presunzione di innocenza...), secondo una retorica dell’intransigenza verso le differenze di cultura e religione tipiche dell’estrema destra che ora governa l’Italia.

Cioè si crea a tavolino lo stereotipo del migrante-criminale, dal quale la società deve difendersi. A dire il vero esiste un doppio registro: 1) la pubblicistica organica alla destra accentua gli elementi di pericolosità del migrante  e di riflesso  la necessità di  proteggere gli italiani; 2) la politica governativa presenta l’imprigionamento (in Italia o all’estero) come una misura per proteggere il migrante. 

Una vera  e propria manovra a tenaglia. Se non che, e qui l’argomentazione si fa paradossale, si sostiene, come per l’addomesticamento degli animali, che “la paura delle sbarre” farà desistere il migrante dal partire, liberandolo dalle grinfie degli scafisti. 

In questo modo, rinchiudendo il migrante in Albania, si impedisce che il migrante affoghi e, testuale,  si "combatte la tratta".  Certo, gli si salverebbe la vita...  Dimenticando un piccolo particolare:  che gli schiavi venivano prelevati con la  violenza e  tradotti sulle navi contro la loro  volontà.

Aprire le frontiere, no? Un' accoglienza normale, no? Liberoscambio di uomini e beni, no? Ubi bene, ibi patria, no?

Il migrante dovrebbe invece addirittura ringraziare.  Certo, perché Giorgia Meloni combatte la tratta.   Poi pensa lei, a deportarli, i migranti, come un tempo gli schiavi sulle navi dei negrieri, in Albania.  Ma si vergogni!

Per giunta, perché ora fa comodo, la destra si nasconde dietro il placet europeo: “ Siamo bravi. Lo dice anche Ursula von der Leyen”. Come se il parere positivo dell’Ue, fosse al di là del bene e del male, giustificando qualsiasi cosa.

Un’ ipocrisia totale. Ripugnante. Che, concettualmente e simbolicamente, ricorda la scritta “Il lavoro rende liberi”, posta all’ingresso dei campi di sterminio nazisti. 

Certo, si sfiancava l’odiato ebreo fino a farlo morire in catene o nelle camere a gas. Lo si rendeva libero… Per l’eternità. Sotto questo aspetto che c’entrano i figli di Israele con i nipotini di Mussolini, alleato di Hitler, che oggi governano l’Italia?

Concludendo, gli Hotspot in Albania rendono liberi. Così sostiene Giorgia Meloni.

Carlo Gambescia

 

(*) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/search?q=israele .

(**) Si legga qui: “Le strutture principali sono tre. La prima è un hotspot, ossia un centro per lo sbarco e l’identificazione dei migranti. Si trova a Shengjin, una città di mare circa un’ora di macchina a nord della capitale Tirana. […] Gjader, una frazione del comune di Lezhë nell’entroterra rurale del paese, dove sono stati costruiti un centro di prima accoglienza per i migranti che chiederanno asilo, da 880 posti, e un Centro di permanenza e rimpatrio (CPR) da 144 posti. C’è anche un carcere, organizzato per ospitare un massimo di 20 detenuti” (https://www.ilpost.it/2024/10/11/centri-migranti-albania-pronti/ ).