È triste per l’analista, anche metapolitico, ritrovarsi in brutta compagnia. In questo caso di una sinistra che finora ha ignorato o coperto i violenti. La stessa sinistra che dipinge con i forti colori del martirio la figura di Ilaria Salis.
Martire (che in greco antico significa testimone) è chi si immola per un’idea, ma senza aver prima alzato un dito sui persecutori. Il martire è un testimone innocente. Un agnello sottoposto al macello. Sotto questo aspetto la Shoah fu un macello unico e inenarrabile. Frutto velenoso dell’antisemitismo. Il lettore prende nota del termine. Poi vi ritorneremo.
Al momento sull’innocenza della Salis, nessuno può giurare. Però neppure sulla colpevolezza. Tuttavia, ecco la differenza tra lo stato di diritto occidentale e lo stato di polizia ungherese. Per capire, bastano quattro paroline: “in dubio pro reo”. Quindi la Salis andrebbe assolta. Magari per insufficienza di prove, ma assolta. E invece in Ungheria, nuova culla del diritto sovranista, rischia 24 anni.
Pertanto, dal punto di vista del liberalismo giuridico, risulta ancora più ripugnante il trattamento carcerario al quale la Salis è sottoposta. Trattamento che non è sicuramente in linea con le idee del Beccaria.
Sia chiaro, non abbiamo cambiato idea sul principio di responsabilità individuale. La Salis, che non ha mai nascosto le sue idee anarchiche e antifasciste, forse poteva saggiamente restare in Italia: manifestare o testimoniare da lontano. Insomma, evitare di cacciarsi nel ginepraio ungherese: si chiama senso di responsabilità, virtù liberale (*).
Però, quando ieri sera, abbiamo sentito ai microfoni del Tg1, la “corazzata” informativa della Rai, per inciso “comandata, da un giornalista simpatizzante di Mussolini (sembra che a casa abbia il busto), le parole del Ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó, siamo rimasti di sasso.
Il ministro, oltre a dipingere la Salis come una assassina (quindi già giudicata e condannata a parole in barba a qualsiasi presunzione di innocenza), ha detto qualcosa, al giornalista che lo intervistava in ginocchio, che a nostro modesto avviso rivela il vero volto del governo ungherese: che dietro le richiesta italiana di clemenza nei riguardi della Salis si nasconde una campagna di stampa internazionale. Organizzata – ecco il lato rivoltante della cosa – da alcuni nemici dell’Ungheria come George Soros. Antisemitismo allo stato puro. E in diretta sulla tv pubblica, come se nulla fosse. La normalità.
Insomma, ci risiamo, l’ebreo che trama nell’ombra, il maledetto stereotipo ideologico che condusse alla Shoah.
Soros è imprenditore, filantropo, banchiere, di origine ungherese naturalizzato statunitense, da sempre impegnato, come seguace della filosofia popperiana, in una grande battaglia di libertà contro ogni forma di totalitarismo. Che c’è di male? Nulla. Ovviamente per le persone politicamente normali.
Invece per l’antisemita, in particolare tra fascisti e neofascisti, Soros è la bestia nera. Come lo è per comunisti e post-comunisti. In Russia ad esempio è demonizzato come in Ungheria. Di qui le leggende complottiste, rilanciate dagli stessi movimenti neonazisti che celebrano ogni anno in Ungheria, sotto gli occhi benevoli del governo Orbán, le Croci Frecciate ungheresi che insieme ai nazisti difesero Budapest dall’assalto dell’Armata Rossa.
Non si dimentichi mai: i militi delle Croci Frecciate, l’equivalente delle SS tedesche, legavano con il filo spinato lunghe file di ebrei sulla banchina, che poi spingevano nel Danubio, dove affogavano. I primi a cadere nel fiume trascinavano tutti gli altri. Era una tecnica per risparmiare pallottole. Ne bastava una, per il primo della fila.
Secondo la giustizia di Budapest Ilaria Salis si sarebbe recata in Ungheria per contestare in modo violento, quindi con premeditazione, i rispettabili cittadini (il ministro Szijjártó li ha definiti "poveri innocenti") che però continuano a celebrare una volta all’anno l’ultima grande battaglia dei nazisti tedeschi e ungheresi: gli stessi utilizzatori finali del filo spinato per economizzare proiettili. Capito che aria tira a Budapest?
A che servono musei e memoriali sul Danubio se poi Soros, “l’ebreo”, viene liquidato, alla stregua dei suoi avi, come nemico del “popolo” ungherese?
Ammesso e non concesso, che la Salis, non avesse buone intenzioni, come si può credere che verrà giudicata obiettivamente da un governo e da un sistema giudiziario affetti dal morbo antisemita? In un paese dove l'aria per gli ebrei continua ad essere irrespirabile.
Pertanto la non proprio raccomandabile compagnia di sinistra continua a intristirci. Però, giù dalla torre, tra la Salis e Orbán, getteremmo Orbán. Dal comunismo si può guarire. Si pensi alla grande lezione di Silone e tanti altri. Di antisemitismo si muore.
Carlo Gambescia