Il Congresso Mondiale delle Famiglie
Lo stato non è la soluzione,
ma il problema
ma il problema
Sì,
è vero. I libertari, per semplificare,
arrancano. I difensori, sempre per farla
breve, dei matrimoni gay e dell’immaginario legato all’universo
dei nuovi diritti sociali sono in difficoltà. Cosa del resto, ben evidenziata nell’interessante articolo del “Post” sul prossimo convegno di
Verona.
Tutto
il racconto [degli organizzatori del Convegno di Verona, ndr] è stato posto in termini molto positivi e
questo fa parte, come dicono molte e molti esperti, di come si è modificata la
strategia comunicativa di questi gruppi anti-scelta nel corso degli anni: non
viene utilizzato un linguaggio ideologico, ma molto edulcorato, patinato, quasi
pubblicitario, legato sempre all’amore e alla bellezza e utilizzando temi e
slogan di chi lavora a favore dei diritti umani e dei movimenti femministi.
Durante la conferenza stampa ne è stato dato un ottimo esempio. Claudia Torrisi, giornalista freelance che collabora con Valigia Blu e VICE
Italia, tra gli altri, ha fatto di recente un intervento a Bologna sulla
questione della comunicazione. Citando alcuni studi americani ha spiegato che
«È ormai raro trovare nella narrazione di questi gruppi e nelle loro immagini
la classica immagine del feto». La retorica, il lessico e le campagne del WCF e
di chi ne fa parte «si rifanno piuttosto a quelle dei gruppi che lavorano a
favore dei diritti umani e ai movimenti femministi per dare validità, però, a
discorsi che sono invece razzisti o sessisti.
Come
stanno le cose, sociologicamente parlando?
La tecnica non è nuova. I
tradizionalisti - sempre semplificando - usano le stesse armi retoriche
dell’avversario, rovesciandole contro i libertari, per difendere, se stessi, dall’esclusione
sociale. Si sfida il libertarismo sul principio di non contraddizione. Il senso concettuale può essere riassunto così: “se siete veramente libertari, dovete
convenire, che anche noi abbiamo diritto di parola, e soprattutto che, anche
noi, difendiamo gli stessi vostri
principi di libertà, estendendoli però a tutti, veramente a tutti, al feto, alla famiglia eterosessuale,
eccetera, eccetera” . Se un assunto è vero, non può essere vero il suo
contrario. Lo diceva già Aristotele, molto prima delle moderne scienze della
comunicazione.
L’argomento
è forte e di senso comune, dunque sociologico perché rimanda
a valori naturali, diremmo intuitivi, di giustizia retributiva: “il dare a ciascuno il suo”. Mai dimenticare, che le società, come insiemi
di individui, sono più sensibili alla differenza che all’ uguaglianza.
Pertanto, la rivendicazione delle difformità, alle
origini dei movimenti libertari, non poteva, prima o poi, essere rivendicata
anche dai movimenti di segno contrario.
Solo
che in nome della difformità, i
tradizionalisti difendono valori, non
individualistici (che rimettono le scelte all’individuo), ma collettivistici, di uniformità sociale
(che rimettono le scelte al gruppo sociale). Sicché, il conflitto, al netto dei
contenuti, sociologicamente parlando, non è tra libertari e tradizionalisti, ma tra individualisti e collettivisti. Con
una particolarità però. Anch’essa sociologica.
In
realtà, gli individualisti, per introdurre le nuove regole libertarie, non
hanno potuto, non ricorrere allo strumento collettivistico delle pubbliche
istituzioni. Altrimenti come avrebbero implementato le nuove regole? Quindi, i libertari, abbassando la guardia, hanno fatto pressione sulle istituzioni
perché si ricorresse allo strumento
redistributivo, di correzione, dall’alto, del senso comune prevalente, influenzato dai valori tradizionali.
Dopo di che, però, come sta avvenendo, i collettivisti, fiutato il pericolo, a loro
volta, hanno chiesto alle stesse istituzioni,
una redistribuzione, in senso
contrario. Di qui, l’uso delle stesso
linguaggio dei diritti, usato dagli individualisti. E le conseguenti difficoltà di questi ultimi,
contrastati sullo stesso terreno.
Come è stata possibile la commistione tra retributivismo e redistributivismo? Per una ragione molto semplice: alla
base delle posizioni individualiste e collettiviste, o se si preferisce, libertarie
e tradizionaliste, si scorge la stessa
visione costruttivista del ruolo delle istituzioni pubbliche. Ci spieghiamo meglio: individualisti e collettivisti credono fermamente nella possibilità reale di costruire e
ricostruire le società dall’alto ad libitum. Vi credono prescindendo dai contenuti
effettivi difesi (individualisti o collettivisti). E' una condivisione di metodo.
Certo, è vero, che la libertà civile dei moderni
rinvia alle Carte e alle Rivoluzioni liberal-democratiche, ai Parlamenti, ai Codici
civili e di commercio, eccetera, eccetera, quindi
a un atto costruttivista, però è
altrettanto vero che la successiva evoluzione del diritto pubblico, scivolato
sul piano della tutela dei più pittoreschi diritti sociali, ha strangolato
il diritto privato, e per eccesso di costruttivismo, i privati diritti dell’uomo.
Il
conflitto tra libertari e tradizionalisti è un conflitto che avviene all’ombra
di un individualismo, un falso individualismo (o libertarismo), protetto dallo stato. Di cui si avvantaggia, solo quest’ultimo, che come gruppo sociale (tra i gruppi sociali), accresce il proprio potere a danno dell'individuo.
Il bello, anzi il brutto, è che l'individuo si crede protetto, mentre in realtà, dopo ogni
nuova misura, introdotta dallo stato, si ritrova meno libero di prima. Ecco il grande inganno, che va oltre il conflitto tra individualisti e collettivisti. La lotta per il riconoscimento di diritti, via via scalarmente sempre più differenziati, implica la sottomissione: il micro, per la sua attuazione, rimanda al macro. E il macro reclama la sua libbra di carne.
Ciò significa, come spiega chiaramente la sociologia, e non il solo Reagan (per i malevoli), che lo stato non è la soluzione del problema. Ma il problema.
Carlo Gambescia