martedì 5 marzo 2019

Zingaretti e  la sinistra italiana
Tasse, tasse, tasse...



Zingaretti segretario del Pd.   Vogliamo parlare di cose serie?  Di soldi e tasse ad esempio. Prima però una premessa.  Gli storici su una cosa sono d’ accordo, sia che ne parlino bene, sia che ne parlino male:  che la sinistra italiana non è mai stata con i piedi per terra. Dal partito socialista prefascista, dove Turati non fu mai popolare, al frontismo del  Psi di Nenni,   fino al Pci di Togliatti e Berlinguer, che pur con modalità diverse,  credeva nella fumosa (ma non meno pericolosa) trasformazione socialista della società italiana.

Il che spiega  perché Craxi e Renzi,  due riformisti autentici,  al di là della carica di antipatia personale, siano stati rigettati come corpi estranei alla sinistra.  Ma spiega anche, al contrario,  i fallimenti, delle diverse formule di  centrosinistra, da Nenni e Prodi, come alleanze politiche e di governo allargate al centro, perché  viziate, chi più chi meno, dal germe del massimalismo.  Detto altrimenti:  dal non considerare un fatto fondamentale, che prima di redistribuire, le risorse vanno prodotte.  E come? Di certo,  non appesantendo, o addirittura distruggendo,  l’economia di mercato,  a colpi di tasse. Si studino i grafici della pressioni tributaria in Italia e si scoprirà la quasi assoluta coincidenza tra  governi di centrosinistra e stangate fiscali.  A onor del vero, anche il centro, quando spostatosi  a destra, come con Berlusconi,  non ha fatto di meglio. Idem, la destra da sola:  si  noti la rapida dipartita,  una volta al governo, della flat tax salviniana.  Ma questa  un'altra storia: quella della  natura antiliberale della destra italiana.
Un sinistra riformista vera,  per fare esempi storici,  come nella Gran Bretagna  laburista e nella Germania socialdemocratica, ha sempre mostrato, pur tassando,  la consapevolezza  di un  fatto importantissimo: che, se ci passa la battuta,  il capitalismo assomiglia alla gallina dalle uova d’oro, guai  tirarle il collo.  Quindi, tasse sì,  ma con juicio .

Ovviamente, anche il riformismo, nell’ultima parte del secolo scorso,  ha subito  un processo di ammodernamento e affinamento, aprendosi  ancora di più al mercato,  come risposta intelligente alle riforme liberali della Thatcher in Europa e di Reagan negli Stati Uniti.  Blair ne è l’esempio più caratteristico, dal momento che varò un notevole  piano di defiscalizzazioni, che non sarebbe dispiaciuto alla Lady di Ferro. Per inciso, anche Macron, pur in quadro politico dalle forti tradizioni centraliste, sembra sensibile alla lezione di Blair. 
Che farà invece Zingarelli?  Come se la caverà?   Riproporrà il massimalismo, che  va dagli avversari di  Turati a quelli  di Craxi e  Renzi?  Oppure sposerà la  causa del  riformismo blairiano. Il leader del New Labour,  ai suoi tempi, tra l’altro,   propose una  brillante alleanza internazionale, alla quale aderirono clintoniani, veltroniani, eccetera, eccetera.  Proposta mai digerita da Prodi, fanatico ammiratore della Svezia socialdemocratica e tassatrice  di Olof Palme. 
Probabilmente  Zingaretti  proverà   a tenere insieme le due anime:  quella riformista che auspica un nuovo  Ulivo, dunque tasse, tasse, tasse,  con la  massimalista, anche nelle versioni esterne al Pd, che ad esempio guarda con favore  a un' alleanza di governo con Cinque Stelle, naturalmente depurato dalle scorie salviniane, dunque populismo, populismo, populismo.  Quindi, per parafrasare  Elio e le Storie Tese:  "un totale di due pizze", la sinistra sembra essere  "questa qua":  caccia all'evasore e giustizialismo.
E invece,  per inciso,  di cosa si occupano oggi i media?  Del ruolo di Maria Elena Boschi e dei renziani nella nuova "gestione".  Viene da piangere.
Che Zingaretti,  si sia messo su una strada scivolosa,  è provato dal suo doppio registro politico. Uno, appena eletto ha dedicato la vittoria a Greta, giovane  campionessa dell’ecologismo, catastrofista e   tassatore, dando il contentino ai massimalisti. Due, si è dichiarato favorevole  alla Tav, appagando i riformisti alla Calenda.
Come tenere uniti  decrescisti e crescisti? Massimalisti e riformisti?  Il dilemma è antico, e il riformismo italiano, dal Centro-Sinistra degli anni Sessanta, all’Ulivo degli anni Duemila, lo ha risolto puntando sull’economia mista, le nazionalizzazioni, il debito pubblico generoso e le  dolorose  strette fiscali.
Pertanto  Zingaretti  - ecco  il vero punto -   dove  potrà  trovare  le risorse per tenere insieme massimalisti e riformisti?  E, al tempo stesso, guadagnare i consensi, di un elettorato, come quello italiano,  poco friendly  nei riguardi delle leggi del mercato?  Facile,  tasse, tasse, tasse... Per poi magari scaricare la colpa  sull' Unione Europea.  Ma questa è un'altra storia.         

Carlo Gambescia