Zingaretti e la sinistra italiana
Tasse, tasse, tasse...
Zingaretti segretario del Pd. Vogliamo parlare di cose serie? Di soldi e
tasse ad esempio. Prima però una premessa.
Gli storici su una cosa sono d’
accordo, sia che ne parlino bene, sia che ne parlino male: che la sinistra italiana non è mai stata con
i piedi per terra. Dal partito socialista prefascista, dove Turati non fu mai
popolare, al frontismo del Psi di
Nenni, fino al Pci di Togliatti e
Berlinguer, che pur con modalità diverse,
credeva nella fumosa (ma non meno pericolosa) trasformazione socialista della società italiana.
Il che spiega perché Craxi e Renzi, due riformisti autentici, al di là della carica di antipatia personale, siano stati rigettati come corpi estranei alla sinistra. Ma spiega anche, al contrario, i
fallimenti, delle diverse formule di centrosinistra, da Nenni e Prodi, come alleanze
politiche e di governo allargate al centro, perché viziate, chi più chi meno, dal germe del massimalismo. Detto altrimenti: dal non considerare
un fatto fondamentale, che prima di redistribuire, le risorse vanno prodotte. E
come? Di certo, non appesantendo, o addirittura distruggendo, l’economia di mercato, a colpi di tasse. Si studino i grafici della pressioni tributaria in Italia e si scoprirà la quasi assoluta coincidenza tra governi di centrosinistra e stangate fiscali. A onor del vero, anche il centro, quando spostatosi a destra, come con Berlusconi, non ha fatto di meglio. Idem, la destra da sola: si noti la rapida dipartita, una volta al governo, della flat tax salviniana. Ma questa un'altra storia: quella della natura antiliberale della destra italiana.
Un sinistra riformista vera, per fare
esempi storici, come nella Gran Bretagna laburista e nella Germania
socialdemocratica, ha sempre mostrato, pur tassando, la consapevolezza di un fatto importantissimo: che, se ci passa la battuta, il
capitalismo assomiglia alla gallina dalle uova d’oro, guai tirarle il collo. Quindi,
tasse sì, ma con juicio .
Ovviamente, anche il riformismo,
nell’ultima parte del secolo scorso, ha
subito un processo di ammodernamento e
affinamento, aprendosi ancora di più al mercato, come risposta
intelligente alle riforme liberali della Thatcher in Europa e di Reagan
negli Stati Uniti. Blair ne è l’esempio
più caratteristico, dal momento che varò un notevole piano di defiscalizzazioni, che non sarebbe dispiaciuto alla Lady di Ferro. Per inciso, anche Macron, pur in quadro politico dalle forti tradizioni centraliste, sembra sensibile alla lezione di Blair.
Che farà invece Zingarelli? Come se la caverà? Riproporrà il massimalismo, che va dagli avversari di Turati a quelli di Craxi e Renzi? Oppure sposerà la causa del riformismo blairiano. Il leader del New Labour,
ai suoi tempi, tra l’altro, propose
una brillante alleanza internazionale, alla quale aderirono
clintoniani, veltroniani, eccetera, eccetera. Proposta mai digerita da Prodi, fanatico ammiratore della Svezia socialdemocratica e tassatrice di Olof Palme.
Probabilmente Zingaretti proverà a tenere insieme le due anime: quella riformista che auspica un nuovo Ulivo, dunque tasse, tasse, tasse, con la massimalista, anche nelle versioni esterne al Pd, che
ad esempio guarda con favore a un' alleanza di governo con Cinque Stelle, naturalmente depurato dalle scorie salviniane, dunque populismo, populismo, populismo. Quindi, per parafrasare Elio e le Storie Tese: "un totale di due pizze", la sinistra sembra essere "questa qua": caccia all'evasore e giustizialismo.
E invece, per inciso, di cosa si occupano oggi i media? Del ruolo di Maria Elena Boschi e dei renziani nella nuova "gestione". Viene da piangere.
E invece, per inciso, di cosa si occupano oggi i media? Del ruolo di Maria Elena Boschi e dei renziani nella nuova "gestione". Viene da piangere.
Che Zingaretti, si sia messo su una strada scivolosa, è provato dal suo doppio registro politico.
Uno, appena eletto ha dedicato la
vittoria a Greta, giovane campionessa dell’ecologismo,
catastrofista e tassatore, dando il
contentino ai massimalisti. Due, si è dichiarato favorevole alla Tav, appagando i riformisti alla
Calenda.
Come tenere uniti decrescisti
e crescisti? Massimalisti e riformisti? Il dilemma è antico, e il riformismo italiano,
dal Centro-Sinistra degli anni Sessanta, all’Ulivo degli anni Duemila, lo ha
risolto puntando sull’economia mista, le nazionalizzazioni, il debito pubblico
generoso e le dolorose strette fiscali.
Pertanto Zingaretti - ecco il vero punto - dove potrà trovare le risorse per tenere insieme massimalisti e riformisti? E, al tempo stesso, guadagnare i consensi, di un elettorato, come quello italiano, poco friendly nei riguardi delle leggi del mercato? Facile, tasse, tasse, tasse... Per poi magari scaricare la colpa sull' Unione Europea. Ma questa è un'altra storia.
Pertanto Zingaretti - ecco il vero punto - dove potrà trovare le risorse per tenere insieme massimalisti e riformisti? E, al tempo stesso, guadagnare i consensi, di un elettorato, come quello italiano, poco friendly nei riguardi delle leggi del mercato? Facile, tasse, tasse, tasse... Per poi magari scaricare la colpa sull' Unione Europea. Ma questa è un'altra storia.
Carlo Gambescia