L’editoriale sul “Corriere” di oggi
Paolo Mieli e la tentazione fascista
Sappiamo
benissimo che ciò che stiamo per scrivere potrebbe essere frainteso, o comunque infastidire, ma francamente
l’editoriale di Paolo Mieli sul “Corriere della Sera” di oggi è scandaloso. Mieli non è lo sconosciuto redattore di
un foglio provinciale, ma un prestigioso giornalista e un affermatissimo divulgatore storico televisivo.
Cosa sostiene? Uno, che nella storia dell'Italia repubblicana non c’è mai stato alcun pericolo fascista, oggi come ieri. Due, che le istituzioni sono sane e
non sono mai state lambite da tentazioni autoritarie, se non in modo lieve nel
1964: il famigerato rumore di sciabole del generale dei carabinieri De Lorenzo.
Qui
non possiamo non ricordare una cosa probabilmente non proprio gradevole, perciò ci scusiamo in anticipo. Adolf Eichmann si vantava, durante il processo a
Gerusalemme di aver convinto alcune
comunità ebraiche a collaborare alla deportazione. Diceva la verità? La
questione della presunta passività degli ebrei verso il nazismo è argomento scabroso. Qualche ebreo però collaborò.
Ora,
che un prestigioso intellettuale come Mieli, che viene da una famiglia di
religione ebraica, affermi che in
Italia non esiste alcun pericolo
fascista o di derive autoritarie, ci riporta
indietro a quella che potremmo definire
la questione del collaborazionismo. Ovviamente, a commettere l’errore di
non capire, ancora a guerra iniziata, le reali intenzioni di Hitler furono, e non
pochi, anche tra i non ebrei. Però.
Mieli confonde le lagne interessate di certa sinistra
antifascista (ma non antitotalitaria) con quel clima da "tentazione fascista", tipico degli anni Venti e Trenta, che invece torna a invelenire il dibattito politico italiano: dall’anticapitalismo all’antiliberalismo, dal
nazionalismo all’antiglobalismo, dal razzismo all'odio verso la Francia, decadente e liberale. Insomma, calpestare le carte di Moscovici non è un cosetta, uscita a caso, così tanto per, ma è un gesto esemplare che rinvia all’immaginario del
disprezzo fascista verso il discorso pubblico liberale.
Non
c’è dubbio che la teoria del doppio
stato, cara alla sinistra complottista,
che ritroviamo persino in molti
libri di storia, sia una fesseria. Però resta il fatto che Di Maio e Salvini
dicono cose di estrema destra, e - aspetto ancora più pericoloso - le presentano come naturale prolungamento di un buonsenso, sano e diffuso. E - terza cosa, altrettanto grave - il "popolo" beve e applaude. Perché, allora, accarezzare i mediocri protagonisti di un brutto film già visto? Sminuendo il pericolo, addirittura, come si diceva un tempo, dalle colonne del "Corriere della Sera"?
Probabilmente
l’editoriale di Mieli è una risposta a quello di Giannini, di cui abbiamo
scritto qualche giorno fa (*), frutto capzioso, magari, di antipatie politiche e
professionali. Però, certe questioni dovrebbero restare fuori dall’analisi politica e storica. Cazzo! (pardon), Mieli, per fama, è una specie di Alberto Angela della divulgazione storica. Ha enormi responsabilità.
Ci
permettiamo di suggerire la lettura (o rilettura) de La tentazione fascista di Tarmo Kunnas, importante
studio storico (assai apprezzato da Renzo De Felice, maestro di Mieli), dove sono perfettamente individuati gli stereotipi ideologici, tornati a inquinare il dibattito politico italiano.
Perché commettere lo stesso errore di
coloro che facilitarono il lavoro di Eichmann?
Carlo Gambescia