Uscita per Marsilio “ La repubblica dei
vinti”
Ombre rosse
http://www.marsilioeditori.it/libri/scheda-libro/3172969/la-repubblica-dei-vinti |
Ottima l’idea di raccogliere in volume i testi di un
programma radiofonico, se ricordiamo bene in venti puntate, “Le voci dei vinti”, del gennaio-febbraio del 1997, che fece rumore: per la
prima volta nella storia della Repubblica "antifascista" ( forse
con l’eccezione della zavoliana “Nascita di una Dittatura”) si dava
voce ai vinti Salò.
Il
programma curato da Sergio Tau,
assistente di Carlo Lizzani, regista di
teatro, cinema e televisione, si avvaleva della partecipazione fissa di Giano Accame
e Claudio Pavone: il primo storico,
scrittore, giornalista e giovanissimo “repubblichino” per un giorno, il 25 aprile, l’ultimo
della Repubblica sociale; il secondo, partigiano e accademico, autore di una
notevole storia della guerra civile. Insomma, due intellettuali di
grande cultura ed equilibrio, che con le
loro osservazioni e commenti, sempre vivaci e interessanti, spesso in contrasto, contribuirono a valorizzare il programma.
Va
detto subito che La repubblica dei Vinti. Storie
di italiani a Salò (*), volume curato dallo stesso Tau, nel passaggio dalla “parola parlata” alla “parola scritta” ha mantenuto intatta la sua freschezza. Diremmo, in particolare, lo straordinario stupore e pudore dei
“vinti”, quasi tutti più o meno ventenni all’epoca dei fatti, nel sentirsi finalmente al centro della scena,
per raccontare le cose, come le avevano viste “loro”. Ma c’è un terzo termine che rende bene i
contenuti del programma e del libro: beata incoscienza,
quella insita, e da sempre, nei
giovani. E nei riguardi di cosa? Della vita e della morte.
Si
sa che le guerre civili, come quelle tra
parenti a colpi di carte da bollo,
sono le più accanite, perché ci si conosce meglio, sicché l'odio si fa più profondo. Con la differenza che nella guerra civile le scartoffie sono
sostituite dalle pallottole. La triste antropologia di una guerra civile è tutta qui.
Sotto questo aspetto il racconto dei “vinti” ( e delle "vinte", ausiliarie e crocerossine), è una specie di prolungamento delle tempeste d'acciaio jüngeriane: cannonate, granate che esplodono, teste che scoppiano, arti che volano, marce, attese, ordini secchi, motori che si accendono, autocarri che partono. Ma all'italiana: disertori che vanno disertori che tornano, osti, spie, puttane, sfollati, giocatori d'azzardo, ostaggi e partigiani, tedeschi scettici, britannici irrispettosi e soldati neri americani che, nonostante il colore della pelle, muoiono come tutti gli altri. E poi una natura ostile, che non perdona: avara di prodotti e cibo, ma prodiga di pioggia, neve, freddo, caldo torrido e insetti. Sicché senza la beata incoscienza della gioventù - perché statisticamente fu una specie di crociata dei fanciulli, ma, attenzione, non solo in camicia nera - quei ragazzi non sarebbero andati a morire per Mussolini, né per l’onore della patria. Due ragioni, queste ultime, che nonostante tutto sono ancora, e giustamente, indagate dagli storici.
Sotto questo aspetto il racconto dei “vinti” ( e delle "vinte", ausiliarie e crocerossine), è una specie di prolungamento delle tempeste d'acciaio jüngeriane: cannonate, granate che esplodono, teste che scoppiano, arti che volano, marce, attese, ordini secchi, motori che si accendono, autocarri che partono. Ma all'italiana: disertori che vanno disertori che tornano, osti, spie, puttane, sfollati, giocatori d'azzardo, ostaggi e partigiani, tedeschi scettici, britannici irrispettosi e soldati neri americani che, nonostante il colore della pelle, muoiono come tutti gli altri. E poi una natura ostile, che non perdona: avara di prodotti e cibo, ma prodiga di pioggia, neve, freddo, caldo torrido e insetti. Sicché senza la beata incoscienza della gioventù - perché statisticamente fu una specie di crociata dei fanciulli, ma, attenzione, non solo in camicia nera - quei ragazzi non sarebbero andati a morire per Mussolini, né per l’onore della patria. Due ragioni, queste ultime, che nonostante tutto sono ancora, e giustamente, indagate dagli storici.
Ciò spiega perché nelle testimonianze, alcuni di quei giovani per evocare l’atmosfera parlano di una sorta di anarchia da Far West. E comunque sia, di clima acceso e picaresco. Ovviamente -
questa è nostra - gli indiani erano i partigiani (o viceversa?). Insomma, a prescindere dai ruoli, l'atmosfera era quella di “Ombre rosse”. I giovani italiani, dell'una e dell'altra parte "giocavano" a indiani e cowboys. Ma il regista non era John Ford. Per contro, i proiettili erano veri. E i caduti, dell'una e dell'altra parte, pure.
Pertanto siamo dinanzi a un libro che ha la sua forza nel riuscire a cogliere e rappresentare lo spirito di avventura che distingue
l’ultimo fascismo e che in qualche modo lo redime, ovviamente in parte, piccola
parte. Mentre la sua debolezza è proprio nel surplus ideologico: nella razionalizzazione ex post, che talvolta affiora nelle pagine e che vede i “vinti”, però dopo Mussolini, quindi a mente fredda, seppellire il genuino spirito di avventura sotto le ragioni pseudo-ideologiche, non sempre convincenti, della "necessaria" giustificazione storica . Detto altrimenti: benché i ragazzi di allora, da settantenni giochino agli ideologi (non tutti, però), per chi sappia leggere, cogliendo quella genuinità di cui comunque i racconti sono imperlati, i fatti si spiegano da soli. Ma gli uomini si sa - notava Pareto - prima agiscono, poi teorizzano.
Ed è questo il limite, molto serio, della prefazione di Pietrangelo Buttafuoco, che non parla dei fatti: di quei giovani amanti dell’avventura, che, nonostante tutto, pensavano a vincere più che a convincere, bensì dell’ideologia giustificativa dei “vinti”, elaborata a tavolino, dopo, per auto-convincersi della bontà politica della giovanile mattata. E Buttafuoco, tra l'altro nato nel 1963, la fa sua, fino ad amplificarla, nello stile postdatato dell'inviato ideologico di guerra, zeppo di anafore ed epistrofi. Una prefazione, per metterla sul politico, di stampo almirantiano, "turgida" e "callida" al tempo stesso, in realtà nata morta. Già, nel caso, vent’anni fa, figurarsi oggi. Con il ridicolo, sempre in agguato. Forse, Buttafuoco avrebbe dovuto prima rileggere (o leggere?) le asciutte pagine di un inviato di guerra vero, classe 1920, un altro di quei ragazzi, Ugo Franzolin, che, ritroviamo, solitario, a pagina novantanove.
Di ben altro spessore la densa postfazione di Sergio Tau, dove si colgono con poche e precise citazioni, le ragioni e le modalità antropologiche, prima ancora che generazionali e politiche, di una guerra civile, dove per bocca di uno dei giovani protagonisti, si legge che “ stai a parla’ con la gente, ce parli, ce magni insieme, ce bevi insieme esci fori e te sparano! Noi due abbiamo risposto. E c’è stato uno di loro che è rimasto ferito”.
Ed è questo il limite, molto serio, della prefazione di Pietrangelo Buttafuoco, che non parla dei fatti: di quei giovani amanti dell’avventura, che, nonostante tutto, pensavano a vincere più che a convincere, bensì dell’ideologia giustificativa dei “vinti”, elaborata a tavolino, dopo, per auto-convincersi della bontà politica della giovanile mattata. E Buttafuoco, tra l'altro nato nel 1963, la fa sua, fino ad amplificarla, nello stile postdatato dell'inviato ideologico di guerra, zeppo di anafore ed epistrofi. Una prefazione, per metterla sul politico, di stampo almirantiano, "turgida" e "callida" al tempo stesso, in realtà nata morta. Già, nel caso, vent’anni fa, figurarsi oggi. Con il ridicolo, sempre in agguato. Forse, Buttafuoco avrebbe dovuto prima rileggere (o leggere?) le asciutte pagine di un inviato di guerra vero, classe 1920, un altro di quei ragazzi, Ugo Franzolin, che, ritroviamo, solitario, a pagina novantanove.
Di ben altro spessore la densa postfazione di Sergio Tau, dove si colgono con poche e precise citazioni, le ragioni e le modalità antropologiche, prima ancora che generazionali e politiche, di una guerra civile, dove per bocca di uno dei giovani protagonisti, si legge che “ stai a parla’ con la gente, ce parli, ce magni insieme, ce bevi insieme esci fori e te sparano! Noi due abbiamo risposto. E c’è stato uno di loro che è rimasto ferito”.
Fratelli, per giunta giovanissimi, che non potevano non infiammarsi
subito. Insomma, guerra civile, quindi
già di per sé, antropologicamente crudele, ma anche
guerra intra-generazionale, fra giovani,
dunque guerra di “materiali” combustibili. E non è una citazione jüngeriana. Perché fu un incendio, spaventoso e ipnotico, come quello di un gigantesco bosco in fiamme.
Un’ultima
cosa. Forse avrebbe giovato all’economia
del libro riprodurre anche i vivaci interventi di Accame e Pavone. E' perciò nostro auspicio che una seconda edizione possa integrarli. Del resto, a pagare, morire e citare c'è sempre tempo.
Carlo Gambescia