Italia, un caso da manuale
Chi ascolta più i professori?
1.
Mano invisibile e mano visibile
Il
caso italiano è da manuale. Manuale di
che cosa? Del rapporto tra politica ed economia. O meglio della relazione, spesso molto
contrastata tra mano visibile e
invisibile, tra decisioni politiche e
decisioni economiche.
Un
passo indietro.
Il
rapporto standard, all’interno di una economica di mercato, tra politica ed economia è quello di secondamento
della seconda da parte della prima. Piaccia o meno, ma l’economia aperta funziona così. Il
politico crea le condizioni, dunque un sistema di regole condivise, perché poi
il mercato possa funzionare da solo. Ogni successivo intervento del politico causa invece il progressivo
distacco dall’economia di mercato. Semplificando, si va dal grado 1, dell’economia di mercato
(solo mercato), al grado 2 dell’economia mista (stato e mercato), al grado 3
dell’economia statalizzata (solo stato).
L’Inghilterra
dell’Ottocento, fu una grande economia
di mercato, l’ Italia del Secondo
dopoguerra , in particolare, un’economia mista, l’Unione
Sovietica un’economia statalizzata. La
Cina di oggi, invece va verso l’economia mista. Non altrettanto, si
può dire degli Stati Uniti (almeno fino a Trump) e della Germania: gli Usa sono
un’economia di mercato, mentre la
Germania un’economia mista (attenzione, però, sempre meno mista di quella italiana: qui le accomuniamo per ragioni di semplificazione discorsiva).
2.
Il popolo e i professori
Il
test principale per verificare la natura di un sistema economico è quello dell’apertura
verso il mercato esterno, dal momento che le economie statalizzate sono economie chiuse, autarchiche, che guardano con sfiducia al commercio estero, di regola rigidamente controllato. Sotto questo aspetto, si può dire che il modello
britannico del mercato libero, proprio per la sua natura pacifica (in senso relativo) e per l’alta produttività (in senso assoluto), ha riscosso un enorme successo
in tutto il mondo, fino a raggiungere dal punto di vista emulativo addirittura la Cina.
E
l’Italia? Che dire? Non si
è mai discostata dall’economia mista fin dai suoi esordi unitari, pur con accentuazioni diverse e con serie punte di statalismo. Pertanto il
processo di unificazione economica e
europea ha rappresentato un grande momento di apertura, benché frenato dalla
politica. Per quale ragione questo freno? Perché ogni processo di apertura implica delle controindicazioni
interne di tipo sociale: aprirsi al libero scambio rimette in discussione l’equilibrio
sociale. Semplificando: gli effetti del libero scambio sono positivi, ma non in
tempi brevi, come provano i successi dell’economia di mercato, che hanno avuto
necessità di almeno un paio di secoli per lambire il resto dell'umanità. Sono cose, per dirla in modo molto
semplice, che ben sanno i professori, non i popoli, che invece guardano agli effetti immediati. E quanto più la politica si
discosta dai professori, per inseguire il popolo, tanto più un’economia
da libera rischia di diventare semilibera, e infine schiavistica. Con conseguenze devastanti per l'intera società.
3. Il
caso italiano
L’economia
mista italiana, sintetizzando, era, storicamente parlando, un’economia
semilibera che ha ricevuto un colpo
decisivo dall’unificazione economica europea e da quel fenomeno chiamato globalizzazione,
che non è altro che il passaggio, sul piano mondiale, da un’economia schiavistica
e semilibera a un’economa libera.
Dicevamo
all’inizio che l’Italia è un caso da
manuale. Per quale ragione? Perché la
classe politica, quella che dovrebbe assecondare la mano invisibile, come
consigliano i professori, diventati per questa ragione subito impopolari, si è lanciata alla rincorsa del popolo,
che, con la sua vista corta, guarda al presente, e teme ogni apertura. Il popolo non guarda al futuro, proprio mentre
rischia di scivolare verso un bruttissimo passato. Vive schiacciato sul presente. Invece, chi sa - il professore - compara passato presente e prova a individuare le
linee future: chiunque abbia seri studi alle spalle, piaccia o meno, possiede una vista lunga almeno due volte di
più (passato e futuro) del popolo.
Di
qui, per tornare al popolo, una battaglia
politica di bassissimo profilo, non solo in favore dell’economia mista, ma - santa ignoranza - per la progressiva statalizzazione
dell’economia italiana. I protagonisti di questa politica oggi si chiamano populisti, ieri fascisti, l’altro
ieri socialisti e comunisti. Si dirà, ma allora la democrazia? Come ogni forma di regime è guidata da pochi. Però bisogna far credere ai molti che siano loro a governare, senza però abusare del proprio potere. Di qui l'importanza dello stato liberale di diritto. Invece, la cosa peggiore che si possa fare è lasciare che siano i molti a guidare i pochi.
4. La tesi Bannon
Siamo
d’accordo con Steve Bannon. Giusto, in Italia è in corso "un esperimento", però - attenzione - di ritorno al passato: diciamo
alla prima metà del Novecento. Verso forme di economia autarchica e di
grave limitazione della libertà economica da parte dello stato. Il sogno, neppure nascosto di Bannon. Per noi invece si tratta di un vero incubo. Dal momento che nell'immaginario nazional-statalista le restrizioni sono presentate e giustificate come misure necessarie per
difendersi dal nemico esterno e interno: ovviamente, inventato di sana pianta. Inutile fare esempi.
C’è
in ogni nazionalismo - oggi lo si chiama sovranismo - un lato oscuro e delirante, che il popolo, a differenza dei professori, non scorge subito. Ma chi ascolta più i professori, quando la parola stessa viene
usata come insulto?
Carlo Gambescia