Liberilibri
pubblica “Una breve storia del potere” di
Simon Heffer
Relativismo armato
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In
che senso una storia del potere può essere breve? A questo pensavamo leggendo il delizioso libro di
Simon Heffer, giornalista, scrittore e storico britannico, penna di punta del
“The Daily Telegraph” e “The Spectator”, un tory, insomma… O se si
preferisce un liberal-conservatore. O meglio ancora: un liberale triste. Su
quest’ultimo punto torneremo nella chiusa.
Dimenticavamo:
il titolo del libro è, per l’appunto, Una breve storia del potere (introduzione di Lorenzo Castellani,
traduzione di Cristina Ruffini. Liberilibri,
Macerata 2018, pp. 164, euro 18,00). L'edizione inglese è del 2011. Heffer fa precedere quella italiana da un Post scriptum, dove, tra le altre cose, forse ancora fresco di Brexit ( il tory sbilenco Boris Johnson, non è tra i preferiti di Heffer...), mette in guardia l'Italia, con grande discrezione, sui rischi di un'uscita dalla Ue.
Dicevamo breve. Nel
senso del numero delle pagine? Quindi
della brevità fisica? Oppure nel senso del farla breve ? Il potere è questo, inutile tirarla per le lunghe. Heffer, non lo scrive, ma
crediamo che il senso profondo del saggio, sia proprio quest’ultimo: potere sugli uomini, quindi come forma di controllo
politico-sociale, che punta sulla conquista di quattro fondamentali: risorse, territorio, fede, ricchezza, idee. Punto.
Di qui però, nasce il conflitto per l’appropriazione di quel che rappresenta e permette
di esercitare il potere. Ciò significa che “ la violenza è sempre stata un
istinto umano fondamentale e fin dall’epoca primitiva ha occupato un posto di
rilievo nella formazione dell’ordine naturale della civiltà”.
Per dirla fuori dai denti, Una breve storia del potere non è un libro per cuori teneri: Heffer, come del
resto accenna Lorenzo Castellani nella sua interessante introduzione, ripropone
le tesi del conflittualismo sociologico. Pertanto non solo Oppenheimer, ma anche
Bagehot, Gumplowicz, Ratzenhofer, Sumner e Small. E ancora prima, visto che siamo nella terra dei castelli, quello filosofico dei nobili fantasmi senza pace di Hobbes, Machiavelli e Nietzsche.
I motori della storia umana sono la “sete di risorse” e i quattro modi, appena ricordati, per procurarsele. La diplomazia, spiega Heffer, è solo una opzione legata a quell’ingentilimento dei consumi che ha egregiamente accompagnato lo sviluppo della civiltà liberale
e dei mercati aperti. E che per ora, ha solo tentato di sostituire - l'esperimento è ancora in corso - alla guerra il
contratto. Pertanto, nessuna “fine della storia” come invece sosteneva Francis Fukuyama, ma solo cicli, segnati da alti bassi, dove la guerra, per motivi geopolitici, religiosi, economici, ideologici, si alterna
alla pace, che è sempre pace armata. Ecco la breve storia del potere.
Ovviamente,
queste tesi, sono sviluppate attraverso
una dottissima galoppata lungo la storia dell’Occidente (a noi piace con la maiuscola) e dei popoli che hanno interagito
con esso. Che è storia di guerre e conquiste.
Quindi
un saggio, per usare una terminologia alla moda, politicamente scorretto. Soprattutto
quando si arriva all’oggi: alla domanda su cosa devono fare Stati Uniti ed Europa - insomma l'Occidente - per fronteggiare i non pochi nemici: tra gli altri, l’Islam radicale e una Cina,
altrettanto, radicale, ma solo sul piano dell’aggressività economica; per non
parlare della Russia di Putin, politicamente complessata e in cerca di capri espiatori esterni.
Simon Heffer |
La
risposta di Heffer, che al giocoliere Fukuyama sembra preferire il riflessivo Huntington, è secca: “Il trionfo
della democrazia liberale resta una vittoria incompleta. La civiltà democratica
occidentale è sulla difensiva. Le idee di Hobbes, di Machiavelli e di Nietzsche
gareggiano per indebolirla. L’idealismo è minacciato dalla realtà della natura
umana. La forma peggiore di autocompiacimento, in Occidente, sarebbe continuare
a credere che i nostri valori sono così superiori da non poter essere, alla
lunga, messi in dubbio da quelli degli altri […]. Il primo passo in difesa della democrazia deve
essere quello di riconoscere che il desiderio altrui di far valere il proprio
potere, per le proprie ragioni, è altrettanto intenso del nostro. Se
utilizzeremo le nostre libertà per indebolire il nostro sistema di valori,
allora perderemo” .
Si
potrebbe definire relativismo armato. Inutile farsi troppe illusioni - ecco il succo del libro - gli
altri desiderano la nostra fetta di torta come noi desideriamo la loro. È una legge universale. O se si vuole una costante metapolitica. Altrimenti
le prigioni sarebbero vuote e i campi di battaglia deserti. Il contratto lo si difende con la spada. Si
chiama anche liberalismo triste. Heffer è consapevole dei limiti umani, però resta liberale, ma triste, perché da conservatore (come dire?) "antropologizzante" ma in negativo: sa che si dovrà usare la spada. E usarla bene.
Carlo Gambescia