Il “Corriere della Sera”, riparte da
Lenin
Un giornale-spugna
L’editoriale di Federico Fubini sul “Corriere” di oggi (*), appartiene al genere dico senza dire, perché
non si sa mai… Gli spetta un posto d'onore in un' ideale antologia del giornalismo-spugna. Che fiuta l'aria, assorbe, eccetera, eccetera. Si dirà: ma non è questo il compito del giornalismo? Sentire gli umori, eccetera? Certo, ma dipende dagli umori...
Fubini parte da Lenin e Angelica Balabanoff ( per la serie, conosco i
fondamentali) per giungere a criticare il governo giallo-verde ( con l'intenzione neppure tanto nascosta, di recuperarne i moderati immaginari tra i gialli e pure tra i verdi). E quali sono le accuse? Eccesso di democraticità. Soprattutto, sottolinea l'editorialista, quando si va al governo, perché si rischia la paralisi interna e l’auto-emarginazione dell’Italia, privandola di quei flussi economici
e finanziari che oggi sono la norma: il carbone postmoderno di Lenin, per svilupparsi e fare - Fubini però non lo dice apertamente - le rivoluzioni. Capito? Ragazzi, a Cinque Stelle, imparate dallo zio Lenin... Ve lo ricorda il "Corriere della Sera". Pareto, parlerebbe di plutocrazia demagogica.
Fubini, accenna anche alle istituzione liberali,
duramente messe alla prova dall'uno vale uno pentastellato, ma con tono
notarile, senza un pizzico di giusto pride liberale, come per dire, questo passa
il convento, ragazzi fatevi furbi come il papà del bolscevichi.
Ripetiamo. Il
pezzo di Fubini appartiene di diritto al gattopardismo giornalistico del “Corriere
della Sera”, che non è di oggi e che tutto sommato ha un suo fondamento antropologico-editoriale: l’essere specchio politico di un’ Italia illiberale ( o liberale solo a parole), fin dai tempi di Luigi Albertini, degno di un Oscar impolitico per non aver capito niente del liberalismo riformista di
Giolitti, Inciso: anche allora, nonostante le cassandre (proprio come oggi), l’Italia cresceva, si sviluppava, ma ogni
italiano, scontento (proprio come oggi), la tirava per la giacchetta. In realtà, proprio nei periodi di
sviluppo, quando si comincia a stare
benino, nascono le grandi questioni redistributive, mai prima dunque: cosa
che i sociologi sanno. E anche Giolitti sapeva. Ma non il “Corriere della Sera di
allora. E giacchetta dopo giacchetta, alla fine vinse il fascismo, che se ci si
passa la battuta un tantino volgare,
ridusse l’Italia in mutande. Ma
questa è un’altra storia.
Dicevamo
dell’editoriale di Fubini. Quell’eccesso
di democrazia dei Cinque Stelle, che il
lettore medio dell’editoriale, potrebbe
scambiare per un meritorio slancio giovanile (“Massì, sono giovani, i
Cinque Stelle, cresceranno e l’acne
estremista passerà”), si chiama invece
giacobinismo. E viene da lontano e con la ghigliottina incorporata.
Però,
il “Corriere della Sera” - e qui il problema
non è solo Fubini - a Tocqueville
ha sempre preferito Lenin. Per
lisciare il pelo alla sinistra, o comunque ai “veri democratici”.
Missiroli,
direttore, nel 1961, venne dimissionato, perché contrario al Centrosinistra,
Montanelli, oppositore del Compromesso
storico, dovette farsi un “Giornale” per conto proprio. E così via, fino
all’ Ostellino liberale, costretto
a cambiare testata perché giudicato “cripto-berlusconiano”.
Panebianco, ultimo panda liberale del “Corriere”, non si sa ancora fino a quando resisterà da solo, aggrappato con una mano, sull’albero di Cairo.
Cosa vogliamo dire? Che come sempre il
“Corriere” - questa volta nei riguardi
dei populisti - si comporta come una spugna. Piano piano però, la spugna si sta accorgendo che il liquido di
cui è intrisa, maleodora. E allora che si fa? Si riparte da Lenin…
Carlo Gambescia