L’intervista di Alain de Benoist a “Die
Welt”
Un pensatore paradossale…
“Die
Welt” ha pubblicato, due giorni fa, la lunga intervista
ad Alain de Benoist di Martina
Meister (*). Il pensatore francese, settantacinque anni il prossimo
dicembre, viene dipinto come una specie
di Céline, nella sua vecchia casa di campagna,
quasi in rovina, in una grande
cucina, ingombra di libri e
cianfrusaglie, tra i gatti, seduto
su una vecchia sedia con una gamba più
corta, con la variante, che però non fa molto "maledetto", della sigaretta
elettronica, che meccanicamente va e viene tra le sue labbra.
Il
giornalismo tipo Sky non comprenderà mai, perché incapace
di analizzare a fondo, un personaggio
del calibro di Alain de Benoist. Che per
capirsi, non è un Fusaro qualsiasi. Molti
anni fa, il padre della Nuova Destra europea ( ma si potrebbe dire mondiale),
durante un tour culturale in Germania, venne picchiato da alcuni estremisti di
sinistra. Allora però “Die Welt” non mandò nessuno a intervistarlo. I tempi
cambiano, i populisti vincono, anche sul Reno, dichiarandosi figli spirituali di Alain de
Benoist. Allora, non si sa mai…
A
dire il vero, nell’intervista, il pensatore francese, nega di essere il paparino di chicchessia, a
cominciare dai sovranisti. Civetteria intellettuale? Astuzie della ragione?
Politicamente corretto di segno
contrario? Oppure semplice verità?
Sul
piano dell’influenza cartacea, Alain de Benoist è
stato letto (parola grossa) soprattutto dall’estrema destra. Ma lo ha letto, su quello più verace della influenza delle idee, per poi abbandonarlo al suo destino, anche la sinistra: la sinistra intellettuale, quella elitaria che civettava e civetta, soprattutto
in Italia. con il pensiero della crisi europea, in particolare quello di Carl
Schmitt, il pensatore elettivo di Alain de Benoist insieme a Heidegger e
Marx.
Rispetto a questa infuocata triade, Gramsci, ricordato anche nell'intervista, fu solo un breve incontro, più che altro per épater le bourgeois. Il concetto di “egemonia culturale” viene tradotto da Alain de Benoist in termini di conquista degli intellettuali di segno opposto ( se si vuole di convergenze...), non - attenzione - del popolo in quando tale: in chiave “nazionalpopolare”, come invece teorizzava il pensatore comunista.
Rispetto a questa infuocata triade, Gramsci, ricordato anche nell'intervista, fu solo un breve incontro, più che altro per épater le bourgeois. Il concetto di “egemonia culturale” viene tradotto da Alain de Benoist in termini di conquista degli intellettuali di segno opposto ( se si vuole di convergenze...), non - attenzione - del popolo in quando tale: in chiave “nazionalpopolare”, come invece teorizzava il pensatore comunista.
Il
paradosso Alain de Benoist - dal titolo di un
libro che Preve scrisse su mio invito (**) - non è tanto ( o comunque non solo) nella natura trasversale del suo pensiero, quanto in una raffinatezza epistemologica che è quanto di più lontano dal greve e incolto populismo politico di destra e
sinistra.
Il
paradosso - che in fondo fu pure di
Georges Sorel, che per tanti aspetti gli somiglia - è quello di un dottissimo intellettuale, benché non lo dica mai apertamente, che vuole parlare in nome del popolo e soprattutto vuole insegnare al popolo, anche
qui non scopertamente, cosa sia il bene, cosa sia male, cosa sia peccato, cosa sia grazia e perdono. C'è un fondo religioso, probabilmente cristiano, nel pensiero debenositiano, che andrebbe indagato, andando oltre il pane stantio del paganesimo di facciata.
Qual è il punto, insomma? Al
di là di una casa di campagna, che cada
o meno a pezzi, cosa che qui non
interessa, Alain de Benoist, come forma
mentis, è elitario quanto Macron, il suo
nemico giurato. Con una differenza, che Macron è un politico, de Benoist un
intellettuale. Dunque con responsabilità diverse. Per dirla con Pareto, Macron
appartiene alla classe eletta di governo, de Benoist a quella eletta di non
governo. Altro che popolo contro élite…
La
debenoistiana raffinatezza di pensiero preclude, a priori, qualsiasi basso commercio intellettuale (e a maggior ragione politico), con autodidatti delle idee riusciti male come Marine Le Pen e Matteo Salvini. Pertanto, Alain de Benoist
dice il vero quando nell’intervista dichiara
di non ritenerli eredi poltici né tantomeno figli
spirituali.
Crediamo però che questo suo costruttivismo - la
pretesa intellettualistica di sostenere che le idee vengano prima dei fatti e non viceversa - spieghi sul piano cognitivo l' avversione per il liberalismo. Nell’intervista c’è una
frase chiave: “Se non ci fosse un solo migrante in Europa", dice de
Benoist, “la nostra identità sarebbe ugualmente minacciata". Dal
capitalismo liberale, of course.
Il
mercato, e più in generale l’idea di una
mano invisibile che regoli l'imprevedibilità delle azioni sociali,
teorizzato dal liberalismo, in particolare economico, sono
quanto di più estraneo al costruttivismo intellettuale
debenoistiano. In realtà, il liberalismo
è anche realismo politico e regolazione del mercato, dunque mano visibile. Una
componente costruttivista - cosa negata
neppure da Hayek e perfino da Mises - che fa parte, cognitivamente
parlando, di ogni pratica
politica. Il punto è dove fermarsi.
De
Benoist, per usare una metafora banale, getta il bambino del liberalismo con l’acqua sporca della mano invisibile. Al di là del primato del politico o meno, in gioco resta la questione cognitiva
della prevedibilità o meno delle azione umane. Ovviamente, di questo in una intervista giornalistica a Sky, pardon al “Die Welt”, non si può parlare. Dei gatti,
che fanno tanto Céline, magari sì.
Carlo Gambescia
(*) Si veda qui: https://www.welt.de/politik/ausland/plus181507866/Frankreich-Alain-de-Benoist-Influencer-der-Neuen-Rechten.html . Si può leggere anche sul sito: https://www.alaindebenoist.com/ .
(**) Qui: http://www.libreriaeuropa.it/scheda.asp?id=4772 .
(**) Qui: http://www.libreriaeuropa.it/scheda.asp?id=4772 .
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