mercoledì 17 ottobre 2018

L’abolizione dei test a Medicina
Cinque Stelle e la politica  del rancore sociale



“Ma ti pare possibile che questi nullafacenti di politici, guadagnino diecimila euro al mese?”. Oppure: “Ma ti sembra giusto che i figli dei medici superino il test a medicina, tutti gli altri no?”
 Ci sembra di sentirli, non pochi parlamentari Cinque Stelle, prima di vincere il biglietto alla lotteria democratica,  "fakeggiare",   sbracati ai  tavolini  del  bar sotto casa,   oppure  in cameretta, a mezzogiorno, con la foto di Totti o Chinaglia sulla parete, a trent’anni suonati, digitare in modo compulsivo sui Social,  con altri frustrati: quelli del scelgo-solo-il-lavoro-che-mi-piace-per-ora-c’è-la-pensione-di-mamma-papà-e-nonna.
Il fatto grave, purtroppo,  sono i milioni di invidiosi (invidia negativa, quella che vuole tagliare le teste dei più alti,  per pareggiare  le altezze) che li hanno votati:  l’esercito di somari astiosi che ha vissuto le ultime elezioni come una  forma di  imbecille pseudo-riscatto. E ora, questi falliti di successo, grazie al voto del falliti d’insuccesso, governano.
Due esempi:  la lotta alla “pensioni d’oro”, perfettamente inutile sul piano economico, pochi milioni di risparmi rispetto ai miliardi del debito pubblico, nonché  quest’ultima trovata, di cui desideriamo scrivere oggi, dell’abolizione dei test d’ingresso ai medicina. Pura vendetta sociale, ripetiamo,  di un pugno di ex nullafacenti, che non si rende conto che intelligenza  e  attitudini allo studio, al  comando, e  all’intrapresa non si creano a tavolino. Insomma,  non bastano le lauree.   
Attenzione.  L’ abolizione del test d’ingresso non è in sé una misura sbagliata. Anzi. Perché, come  insegnano  analisi economica e sociologica  non esiste alcuna rispondenza tra  tempistica del mercato del lavoro (soprattutto nell' epoca delle  innovazioni rapidissime),   e università e scuola (strutture elefantiache,soprattutto se pubbliche, più che renitenti, impossibilitate al  cambiamento).  Detto altrimenti:  la programmazione  è assolutamente  inutile. Un puro  mito. Del resto  si tratta di un’idea socialista.  E poiché, i Cinque stelle, come tra l'altro rivendicano,  non sono liberali,  né  socialisti, evidentemente  non possono che essere  mossi da purissimo rancore sociale.
Anche perché, a voler essere liberali fino in fondo,  andrebbe abolito, come sosteneva giustamente Luigi Einaudi, anche il valore legale  della laurea,  che  in una società libera, dove gli uomini sono in aperta competizione, non può, anzi non deve conferire automaticamente  alcun  diritto a un lavoro, e per giunta,  peggio ancora, compatibile con un titolo di studio, come si diceva,  subito obsoleto.  
Allora che si fa? Ciò che si vale lo si deve provare sul campo della vita.  Insomma,  si deve lasciar fare  agli esami universitari, prima,  e al mercato, dopo. Si chiama selezione naturale. Non avendo la laurea alcun valore legale, chi si iscriverà, si iscriverà, solo perché  vocato.  E una volta laureato, si metterà alla prova,  ma senza alcuna pretesa o rabbia,  originata dal cosiddetto valore legale del titolo, collegato per giunta, nella mitologia sociale,  allo pseudo-diritto al posto di lavoro "consono" eccetera, eccetera. Quanto agli Ordini, chi scrive,  è per l’abolizione totale.  Ad esempio,  per medici e ingegneri basterebbe l’abilitazione. 
In realtà, i rancorosi ministri e parlamentari Cinque Stelle  ritengono l’esatto contrario: che  ogni laureato abbia automaticamente diritto a un posto di lavoro perfettamente conseguente al titolo di studio. Dietro l’abolizione del test d’ingresso c’è il ciclo sociale del rancore. Tutto qui.    
Tradotto:  i Cinque Stelle (e il loro elettorato) vogliono tutto e il contrario di tutto. Rifiutano la programmazione socialista come  il libero mercato del lavoro e  dei titoli di studio.  
Al bar sotto casa,  si chiama politica della "botte piena, moglie ubriaca". E, dimenticavamo,  "dell'amante ingioiellata"...         
                   

Carlo Gambescia