L’abolizione dei test a Medicina
Cinque Stelle e la politica del rancore sociale
“Ma
ti pare possibile che questi nullafacenti di politici, guadagnino diecimila
euro al mese?”. Oppure: “Ma ti sembra giusto che i figli dei medici superino il
test a medicina, tutti gli altri no?”
Ci sembra di sentirli, non pochi parlamentari
Cinque Stelle, prima di vincere il biglietto alla lotteria democratica, "fakeggiare", sbracati ai tavolini del bar
sotto casa, oppure in cameretta, a mezzogiorno, con la foto di Totti o Chinaglia sulla parete,
a trent’anni suonati, digitare in modo compulsivo sui Social, con altri frustrati: quelli del scelgo-solo-il-lavoro-che-mi-piace-per-ora-c’è-la-pensione-di-mamma-papà-e-nonna.
Il
fatto grave, purtroppo, sono i milioni
di invidiosi (invidia negativa, quella che vuole tagliare le teste dei più
alti, per pareggiare le altezze) che li hanno votati: l’esercito
di somari astiosi che ha vissuto le ultime elezioni come una forma di imbecille pseudo-riscatto. E ora, questi
falliti di successo, grazie al voto del falliti d’insuccesso, governano.
Due
esempi: la lotta alla “pensioni d’oro”,
perfettamente inutile sul piano economico, pochi milioni di risparmi rispetto
ai miliardi del debito pubblico, nonché quest’ultima trovata, di cui desideriamo scrivere oggi, dell’abolizione dei test d’ingresso ai
medicina. Pura
vendetta sociale, ripetiamo, di un pugno di ex nullafacenti, che non si rende conto che intelligenza e attitudini allo studio, al comando, e all’intrapresa non si creano a tavolino. Insomma, non bastano le lauree.
Attenzione. L’ abolizione del test d’ingresso non è in sé una
misura sbagliata. Anzi. Perché, come insegnano analisi
economica e sociologica non esiste alcuna rispondenza tra tempistica del mercato del lavoro (soprattutto nell' epoca delle innovazioni rapidissime), e università e scuola (strutture elefantiache,soprattutto se
pubbliche, più che renitenti, impossibilitate al cambiamento). Detto altrimenti: la programmazione è assolutamente inutile. Un puro mito. Del
resto si tratta di un’idea socialista. E poiché, i Cinque stelle, come tra l'altro rivendicano, non sono liberali, né socialisti, evidentemente non possono che essere mossi da purissimo rancore sociale.
Anche
perché, a voler essere liberali fino in fondo, andrebbe abolito, come sosteneva giustamente Luigi Einaudi, anche il valore legale della laurea, che in una società libera, dove gli uomini sono in
aperta competizione, non può, anzi non deve conferire automaticamente alcun diritto a un lavoro, e per giunta, peggio ancora, compatibile
con un titolo di studio, come si diceva, subito obsoleto.
Allora che si fa? Ciò che si vale lo si deve provare sul campo della vita. Insomma, si deve lasciar fare agli esami universitari, prima, e al
mercato, dopo. Si chiama selezione naturale. Non avendo la laurea alcun valore legale, chi
si iscriverà, si iscriverà, solo perché vocato. E una volta laureato, si metterà alla prova, ma senza alcuna pretesa o rabbia, originata dal cosiddetto valore legale del
titolo, collegato per giunta, nella mitologia sociale, allo pseudo-diritto al posto di lavoro "consono" eccetera, eccetera. Quanto agli Ordini, chi scrive, è
per l’abolizione totale. Ad esempio, per medici e
ingegneri basterebbe l’abilitazione.
In
realtà, i rancorosi ministri e parlamentari Cinque Stelle ritengono l’esatto contrario: che ogni laureato abbia automaticamente diritto a
un posto di lavoro perfettamente conseguente al titolo di studio. Dietro l’abolizione
del test d’ingresso c’è il ciclo sociale del rancore. Tutto qui.
Tradotto: i Cinque Stelle (e il loro elettorato) vogliono tutto e il contrario di tutto. Rifiutano la programmazione socialista come il libero mercato del lavoro e dei
titoli di studio.
Al
bar sotto casa, si chiama politica della "botte piena, moglie ubriaca". E, dimenticavamo, "dell'amante ingioiellata"...
Carlo Gambescia