La foto del ragazzo americano bendato
Qui l’unica benda è quella davanti agli
occhi degli italiani
Nell’iconografia
politica dell’Occidente la
Giustizia viene rappresentata con una benda davanti agli
occhi, per simboleggiarne l’imparzialità. Per contro la figura del prigioniero bendato rinvia a un immaginario
di umiliazione e abbrutimento.
Basta
fare un giro su Google immagini, impostando i due termini "prigioniero bendato", per
ritrovare migliaia di foto “dedicate”. Accanto a ogni prigioniero, di guardia, si ritrovano soldati americani, iracheni, israeliani, russi,
cinesi, eccetera. La “bendatura” è una
tecnica di tortura, ai primi stadi, per estorcere confessioni, diffusa da Oriente a Occidente.
Ovviamente,
la diffusione di una tecnica per disorientare fisicamente e demoralizzare il
prigioniero, particolarmente gradita a militari e polizie militari, non
può incidere sul giudizio
negativo dal punto di vista dello stato di diritto, meritoria invenzione dell’Occidente, e del rispetto della dignità delle persone. Soprattutto, quando si parli di indagati, come nel caso dei giovani americani accusati dell'omicidio del carabiniere. Anche perché, dal punto di vista dello stato di diritto, una confessione estorta con la violenza non ha nessun valore legale.
Certo,
realisticamente, esiste il cosiddetto
stato di eccezione, ad esempio lo stato di guerra, dove
necessariamente, alcune libertà non possono non essere sospese. Primum vivere, autoconservarsi
innanzitutto, resta la regola principale a cui si attengono i macro-attori politici, davanti al nemico in armi che li indica apertamente come tali. Insomma, in certe
situazioni estreme, si può togliere la
benda giustizia e metterla al prigioniero o indagato che sia. Si chiama etica della responsabilità.
Ora, però, per venire alla foto diffusa ieri, lo
scatto rivela un trattamento, verso un indagato, privo di qualsiasi ragione fattuale e giuridica. Ripetiamo: la bendatura del giovane americano, presunto colpevole di
omicidio non può avere alcuna ragione di essere, né legale, né morale, né umana. Risulta evidente la sproporzione colossale tra la misura
presa e il contesto in cui sono avvenuti i fatti.
A
meno che sul contesto - ecco il punto, in negativo - non abbia agito quella sindrome da accerchiamento (dai
“clandestini”, dalle “mafie” di terra e
di mare, dai “burocrati di Bruxelles”, “dai nemici dell’Italia", eccetera), che
sta distruggendo il dibattito pubblico italiano per fare la fortuna di Salvini
e delle destre che vedono nemici assoluti ovunque. Di conseguenza, i carabinieri, si sarebbero sentiti
autorizzati, in una situazione creduta
come di guerra, a comportarsi secondo
tecniche - semplificando - di tipo anti-insurrezionale.
Il che non vale come giustificazione. Perché questa
brutta storia, oltre
a fare il giro del mondo e metterci in
cattiva luce dinanzi all’opinione
pubblica americana, indica una cosa gravissima: come l’isteria politica si sia ormai impadronita dell’Italia. Ne scrivevamo ieri (*).
Un
altro indicatore negativo è rappresentato dalle reazioni alla foto. Sui giornali
e sui social sta imperversando il gossip politico, complottista dell’ “ A chi giovi” e delle chiacchiere
roventi su una presunta “manovra”
segreta per distogliere l’attenzione dall’uccisione del carabiniere.
Il sofisma, dietro queste fantasie, è
quello del post hoc ergo propter hoc (dopo di questo quindi a causa di questo). In tal modo, si spezza la catena causale, che invece, come sappiamo, riconduce la vicenda della bendatura al clima
isterico instaurato da Salvini e dalle destre, per accreditare che cosa? La pseudo-idea, limitandosi agli ultimi due eventi (arresto e foto), che se un evento è seguito da un altro (post hoc), allora il primo deve essere
causa del secondo (ergo propter hoc). Tradotto: che l’arresto, intervenuto prima della foto, sia la causa della diffusione della foto. Però quando ai nostri fantasiosi interlocutori si chiede il perché, ci si sente rispondere con fantasticherie
politiche sui vantaggi, tutti da provare, di cui avrebbe goduto questo o quello, vantaggi inevitabilmente incasellati in una visione complottistica della storia, dove - ci si risponde illudendosi di far quadrare il cerchio - c'è sempre qualcuno che tirerebbe le fila, eccetera, eccetera. La storia è un complotto? Dio esiste?
Sono argomenti né veri né falsi. Dunque indeterminati. Infalsificabili. Riguardano le credenze individuali. Che però, una volta sviluppatesi in collettive, si trasformano in forze devastanti, soprattutto se usate come base pseudo-teorica, per sollevare dubbi e seminare - volenti o nolenti - il curaro dell'isteria dove l'isteria già fiorisce rigogliosa e dove nessuno è in grado di comprendere la sottilissima distinzione - ammesso e non concesso che esista - tra congiure e teoria del complotto.
Insomma, quel che può valere all'interno di un raffinato circolo di studiosi, abituati a spaccare il capello in quattro, perde qualsiasi senso all'interno della società di massa, dove si ragiona per stereotipi. E figurarsi nell'universo social. Di qui le grandi responsabilità del cosiddetto giornalismo investigativo nel non superare i limiti tra informazione e pensiero mitico. Ma questa è un'altra storia.
In questo modo però, tirando le fila del nostro discorso, si sorvola, neppure elegantemente, sul clima isterico che ormai regna in Italia. Che è la causa delle cause. Perché senza l’odio e il veleno sparsi da Salvini e dalle destre nessuno avrebbe bendato il ragazzo, nessuno avrebbe diffuso la foto. Purtroppo la benda davanti agli occhi sembrano averla gli italiani. E si chiama isteria politica.
Sono argomenti né veri né falsi. Dunque indeterminati. Infalsificabili. Riguardano le credenze individuali. Che però, una volta sviluppatesi in collettive, si trasformano in forze devastanti, soprattutto se usate come base pseudo-teorica, per sollevare dubbi e seminare - volenti o nolenti - il curaro dell'isteria dove l'isteria già fiorisce rigogliosa e dove nessuno è in grado di comprendere la sottilissima distinzione - ammesso e non concesso che esista - tra congiure e teoria del complotto.
Insomma, quel che può valere all'interno di un raffinato circolo di studiosi, abituati a spaccare il capello in quattro, perde qualsiasi senso all'interno della società di massa, dove si ragiona per stereotipi. E figurarsi nell'universo social. Di qui le grandi responsabilità del cosiddetto giornalismo investigativo nel non superare i limiti tra informazione e pensiero mitico. Ma questa è un'altra storia.
In questo modo però, tirando le fila del nostro discorso, si sorvola, neppure elegantemente, sul clima isterico che ormai regna in Italia. Che è la causa delle cause. Perché senza l’odio e il veleno sparsi da Salvini e dalle destre nessuno avrebbe bendato il ragazzo, nessuno avrebbe diffuso la foto. Purtroppo la benda davanti agli occhi sembrano averla gli italiani. E si chiama isteria politica.
Così
siamo messi. Altro che teoria del complotto.
Carlo Gambescia