martedì 16 luglio 2019

Lettera aperta 
a Carlo Pompei Falcone




Caro Carlo,

Oltre che un carissimo amico, sei  un giornalista equilibrato, preparato, con un fiuto molto particolare per la coazione a ripetere  della destra neofascista.   Ti ammiro. 
Destra  neofascista  - meglio precisare -   nel senso di una destra che si ispira  in qualche misura al fascismo come ideologia,  riproponendone  valori e politiche,  antiliberali, anticapitalisti, nazionalisti e protezionisti.  
Di conseguenza,  trovo coraggiosa, la tua presa di posizione, soprattutto perché  rivolta a un ambiente che tuttora rivendica -  errore commesso anche  da molti neo-comunisti -   non il fallimento dell’idea,  ma, per così dire, gli errori di implementazione.
Ora però,  ti  lascio la parola:     


«Noto che Salvini ha diviso più di Mussolini.
Non i suoi avversari, ma soprattutto quelli che prima di lui sarebbero potuti essere d'accordo su molti punti sciaguratamente affrontati (si fa per dire) dal governo giallo ittero verdognolo.
Il che dovrebbe "illuminare".
Occorre una destra liberale non liberista che guardi seriamente al futuro di questa nostra nazione.
Una destra che fronteggi le emergenze senza cedere al populismo pseudo razzista che non è altro che una leva per distruggere.
Alcune "risorse" si sono macchiate di responsabilità acclarate in crimini raccapriccianti, d'accordo, ma non facciamo il medesimo odioso errore di chi definisce tutti gli italiani razzisti o mafiosi in un luogo comune che divide ancora di più.
Io non mi vergogno di essere italiano, non mi vergogno di non essere comunista, che non significa non guardare con interesse a proposte dichiaratamente di sinistra, proprio per cercare quelle sintesi alle quali uomini di cultura di destra hanno dedicato la propria vita.
Andare oltre.
#andareoltre» (1)


Caro Carlo, immagino, come il tuo accenno a una “destra liberale” abbia fatto sobbalzare sulla  sedia molti tuoi  lettori  stregati dalla “tentazione fascista”, per usare la terminologia di Tarmo Kunnas.

Sai meglio di  me come non esista   nessuna emergenza immigrati se non nella mente di Salvini e di altri micro-leader dell’estrema destra, che più semplicemente aizzzano  folle dalla  salivazione accelerata.  Cosa che non si dovrebbe mai fare.   
Proprio ieri ho scritto sul caso di Emmett Till (2), per spiegare che brutta bestia sia il razzismo,  racchiuso in quel terribile   “Prima i Bianchi”, pardon “gli  Italiani”.  
Nel tuo post  citi “Pino” Rauti, figura, dal punto di vista intellettuale, tra le  più serie  del neofascismo. Però dovrai ammettere con me che di liberale  (lasciamo stare l’annosa questione del  rapporto liberalismo-liberismo, neppure risolta dai liberali),  Rauti aveva poco o punto. E credimi,   non perché in molti suoi scritti professasse idee non ortodosse dal punto di vista della teoria politica democratica.
Se preferisci,  posso pure concederti   che  lo era,   ma  in un senso più sottile, irriflesso.  Come per una specie di  forma mentis cognitiva.   Parlo  di  qualcosa che era  nell'aria del Novecento. Che si respirava a prescindere.  Che  si assumeva tutti, quindi perfino il liberali,  fin  da piccoli, con il latte materno...
L'idea  dello Stato (con l'iniziale maiuscola) come come istituzione salvifica.    Visto quasi come  un' entità  onnisciente  che  precedeva l'individuo,  ritenendo di  sapere perfettamente, come un dio  buono (previdente e provvidente),  cosa fosse bene per ogni singola persona.
Che voglio dire?  Mi spiego subito, con un esempio.  Qualche mese fa,  in un post intitolato “Il Ventennio sulle bancarelle”  ho trattato questo tema, partendo  dall’ammirazione di Alberto Giovannini, già direttore del  “Secolo d’Italia”, per i fratelli Rosselli. 
Mi scuso in  anticipo per la lunga autocitazione, cosa tra l’altro non elegante,  ma ritengo il punto importantissimo:

«Ora, quel che colpisce del contributo è l’ammirazione sincera per i fratelli Carlo e Nello Rosselli,  assassinati in Francia da sicari del governo fascista. Giovannini, non glissa sulla cosa,  pur sposando la tesi, della faida interna  tra liberal-socialisti e comunisti.  Al di là delle radici di tutto questo orrore, resta però interessante scoprire il perché dell’ammirazione di Giovannini. 
Cosa c’era nel pensiero dei  Rosselli, socialisti liberali o liberal-socialisti (la diatriba intellettuale  in materia non si è mai spenta, perfino sul trattino), che destava l’ammirazione di Giovannini? Il "gobbettismo". Ossia, come egli spiega quel tentativo, sfociato in  “Giustizia e Liberta”,  di “realizzare e ampliare la visione gobettiana; diffondere cioè gli ideali del liberalismo e socialismo - contrastanti nella politica delle cose -  in una sintesi organica e operante”. Un tentativo, conclude Giovannini, “ di rinnovamento sostanziale della politica  democratica, e perciò stesso, della democrazia italiana, ove questa fosse stata restaurata in Italia” (vol. II,  p.  416).
Qui,  la parola chiave - sconosciuta a Giovannini, ovviamente - è costruttivismo. Un approccio comune al fascismo e ai liberali macro-archici di  “Giustizia e Libertà”: il credere fermamente nella possibilità  di cambiare dall’alto la società italiana. Con metodi diversi, ma al tempo stesso uguali, quanto alla volontà  insita  sia nel fascismo sia nel liberal-socialismo (definito da Croce un "ircocervo"),  di “costringere gli uomini ad essere liberi”.  Insomma, piaccia o meno, fascismo e liberal-socialismo condividono lo stesso impianto cognitivo-politico roussoviano, che rinvia all’idea totalitaria della volontà generale, ovvero di un maggioranza che discrimina le minoranze, perché si ritiene dalla parte della ragione (storica).  Ovviamente il  liberalismo macro-archico ha condotto alla società  welfarista mentre il fascismo alla dittatura e alla guerra. Ma, tra i due fenomeni politici, c’è, nei fatti sociologici, una differenza di grado e non di specie.
Il che spiega, ripetiamo,  l’ammirazione di Giovannini.  Ottimo  giornalista, e uomo di vaste letture, al quale però mancava, quell’autoironia e quel senso dell’eterogenesi dei fini, che invece animava la riflessione  di Giano Accame nei termini di una retorica transigenza » (3).

Rauti  -  come Giovannini  -   era  liberal-socialista,  probabilmente  non per scelta  ma  per mentalità “costruttivista”,   quindi senza neppure saperlo. Suo malgrado.  
Del pari  credo  finalmente chiaro un altro punto fondamentale: come  lo stesso liberalismo si nutra di un profilo costruttivista. Anche perché, sociologicamente parlando,  non esiste un solo liberalismo ma esistono almeno quattro liberalismi: archico, micro-archico, an-archico, macro-archico. Fenomeni che si articolano intorno all’uso costruttivista dello stato nel regolare, in base alla maggiore o minore incidenza politica, gli interessi sociali.   Tema al quale ho dedicato un libro. 
Concludendo,  serve una destra liberale.  Quindi concordo con te.  Al limite costruttivista.   Qui però cade l'asino, se mi passi l'espressione.  Perché un neofascismo macro-archico, o se preferisci,  liberal-socialista, welfarista, con  "ircocervici" accenti di sinistra, pur militando a destra,  dovrebbe fare prima i conti con la pesante eredità illiberale del fascismo.  Cosa che i neofascisti, al di là degli atteggiamenti tattici, rifiutano di fare.  E da sempre. A parte alcune lodevoli  eccezioni come ad esempio  Giano Accame.
Insomma, parlo della coazione a ripetere, cui accennavo all'inizio.  Del resto ti sembra possibile, caro Carlo,  un fascismo antifascista?   Sì, conosco benissimo la retorica "interna"  del fascismo oltre Mussolini, dalle radici diciannoviste, rivoluzionarie e repubblicane. Oppure quella tradizionalista,  del fascismo storico, come incarnazione transeunte di valori metastorici…    
Non credo però che sposare la causa di una specie di superfascismo, aiuti all' "andare oltre"  il fascismo… 
Un carissimo  abbraccio,

Carlo Gambescia
  
3)  https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2019/02/il-ventennio-bancarelle-alberto.html .




La risposta di Carlo Pompei Falcone ( e mia breve replica)

Caro Carlo,

Onorato dell'attenzione e del tempo che mi hai dedicato 
Non è una cosa che riservi a tutti.
Smancerie a parte,  concordo con il tuo impianto, sebbene ci siano punti da limare – a mio giudizio – in elaborazione delle tesi rivedute e corrette al passo con i tempi velocissimi che viviamo.

In estrema sintesi il mio è un tentativo di andare oltre "andare oltre", proprio in LINEA con la tua (e di Accame) Retorica della transigenza.
I pragmatici (ed anche io lo sono, come sai) potrebbero obiettare "come?".
Verissimo, ma pensarlo è già un po' farlo, no?
Il pensiero non è forse prodromico dell'azione?

Continuiamo così, anche in funzione di quella ridefinizione ultima del nazionalpopolare (e di LINEA - Quotidiano nazionalpopolare) che anche Rauti cercava in un'alternanza tra salvare parte del "vecchio" per proporre un "nuovo" sostenibile.
I nostalgici e i complottisti da due soldi hanno le famose "parole bottone" e "nuovo" gli fa scattare il riflesso pavloniano (che sto rileggendo) tra "ordine nuovo" (di quà e di là) e "nuovo ordine".
Ebbene, occorre liberarsi prima di questi riflessi preistintuali per avere la "cassetta degli attrezzi" in ordine per procedere.
Buonissima giornata.

Carlo Pompei Falcone (*)


Caro Carlo,
Grazie per la meditata ed esaustiva replica. Nulla da dire, nulla da aggiungere. Ti ringrazio anche per la citazione del libro su Accame. Sì, serve, ora più che mai, una retorica della transigenza. Grandissimo abbraccio!

Carlo  Gambescia