Lettera aperta
a Carlo Pompei Falcone
Caro Carlo,
Oltre che un carissimo amico, sei un giornalista equilibrato, preparato, con un fiuto molto particolare per la coazione a ripetere della destra neofascista. Ti ammiro.
Destra neofascista - meglio
precisare - nel senso di una destra che si ispira in qualche
misura al fascismo come ideologia, riproponendone valori e
politiche, antiliberali, anticapitalisti, nazionalisti e protezionisti.
Di conseguenza, trovo coraggiosa, la
tua presa di posizione, soprattutto perché rivolta a un ambiente che
tuttora rivendica - errore commesso anche da molti neo-comunisti
- non il fallimento dell’idea, ma, per così dire, gli errori
di implementazione.
Ora però, ti lascio la parola:
«Noto che Salvini ha diviso più di Mussolini.
Non i suoi avversari, ma soprattutto quelli che
prima di lui sarebbero potuti essere d'accordo su molti punti sciaguratamente
affrontati (si fa per dire) dal governo giallo ittero verdognolo.
Il che dovrebbe "illuminare".
Occorre una destra liberale non liberista che guardi seriamente al futuro di questa nostra nazione.
Una destra che fronteggi le emergenze senza cedere al populismo pseudo razzista che non è altro che una leva per distruggere.
Alcune "risorse" si sono macchiate di responsabilità acclarate in crimini raccapriccianti, d'accordo, ma non facciamo il medesimo odioso errore di chi definisce tutti gli italiani razzisti o mafiosi in un luogo comune che divide ancora di più.
Io non mi vergogno di essere italiano, non mi vergogno di non essere comunista, che non significa non guardare con interesse a proposte dichiaratamente di sinistra, proprio per cercare quelle sintesi alle quali uomini di cultura di destra hanno dedicato la propria vita.
Andare oltre.
#andareoltre» (1)
Il che dovrebbe "illuminare".
Occorre una destra liberale non liberista che guardi seriamente al futuro di questa nostra nazione.
Una destra che fronteggi le emergenze senza cedere al populismo pseudo razzista che non è altro che una leva per distruggere.
Alcune "risorse" si sono macchiate di responsabilità acclarate in crimini raccapriccianti, d'accordo, ma non facciamo il medesimo odioso errore di chi definisce tutti gli italiani razzisti o mafiosi in un luogo comune che divide ancora di più.
Io non mi vergogno di essere italiano, non mi vergogno di non essere comunista, che non significa non guardare con interesse a proposte dichiaratamente di sinistra, proprio per cercare quelle sintesi alle quali uomini di cultura di destra hanno dedicato la propria vita.
Andare oltre.
#andareoltre» (1)
Caro Carlo, immagino, come il tuo accenno a una “destra liberale”
abbia fatto sobbalzare sulla sedia molti tuoi
lettori stregati dalla
“tentazione fascista”, per usare la terminologia di Tarmo Kunnas.
Sai meglio di me come non
esista nessuna emergenza immigrati se non nella
mente di Salvini e di altri micro-leader dell’estrema destra, che più
semplicemente aizzzano folle dalla salivazione accelerata. Cosa che non si dovrebbe mai fare.
Proprio ieri
ho scritto sul caso di Emmett Till (2), per spiegare che brutta bestia
sia il razzismo, racchiuso in quel terribile “Prima i Bianchi”, pardon “gli Italiani”.
Nel tuo post citi “Pino” Rauti, figura, dal punto di vista
intellettuale, tra le più serie del
neofascismo. Però dovrai ammettere con me che di liberale (lasciamo stare l’annosa questione del rapporto liberalismo-liberismo, neppure
risolta dai liberali), Rauti aveva poco o punto. E credimi, non perché in molti suoi scritti professasse idee non ortodosse dal punto di vista della teoria politica democratica.
Se preferisci, posso pure concederti che lo era, ma in un senso più sottile, irriflesso. Come per una specie di forma mentis cognitiva. Parlo di qualcosa che era nell'aria del Novecento. Che si respirava a prescindere. Che si assumeva tutti, quindi perfino il liberali, fin da piccoli, con il latte materno...
L'idea dello Stato (con l'iniziale maiuscola) come come istituzione salvifica. Visto quasi come un' entità onnisciente che precedeva l'individuo, ritenendo di sapere perfettamente, come un dio buono (previdente e provvidente), cosa fosse bene per ogni singola persona.
Se preferisci, posso pure concederti che lo era, ma in un senso più sottile, irriflesso. Come per una specie di forma mentis cognitiva. Parlo di qualcosa che era nell'aria del Novecento. Che si respirava a prescindere. Che si assumeva tutti, quindi perfino il liberali, fin da piccoli, con il latte materno...
L'idea dello Stato (con l'iniziale maiuscola) come come istituzione salvifica. Visto quasi come un' entità onnisciente che precedeva l'individuo, ritenendo di sapere perfettamente, come un dio buono (previdente e provvidente), cosa fosse bene per ogni singola persona.
Che voglio dire? Mi
spiego subito, con un esempio. Qualche mese fa, in un post intitolato “Il Ventennio sulle
bancarelle” ho trattato questo tema,
partendo dall’ammirazione di Alberto Giovannini, già direttore del “Secolo d’Italia”, per i fratelli
Rosselli.
Mi scuso in anticipo per
la lunga autocitazione, cosa tra l’altro non elegante, ma
ritengo il punto importantissimo:
«Ora, quel che colpisce del contributo è
l’ammirazione sincera per i fratelli Carlo e Nello Rosselli, assassinati
in Francia da sicari del governo fascista. Giovannini, non glissa sulla
cosa, pur sposando la tesi, della faida interna tra
liberal-socialisti e comunisti. Al di là delle radici di tutto questo
orrore, resta però interessante scoprire il perché dell’ammirazione di
Giovannini.
Cosa c’era nel pensiero dei
Rosselli, socialisti liberali o liberal-socialisti (la diatriba
intellettuale in materia non si è mai spenta, perfino sul trattino), che
destava l’ammirazione di Giovannini? Il "gobbettismo". Ossia, come
egli spiega quel tentativo, sfociato in “Giustizia e Liberta”, di
“realizzare e ampliare la visione gobettiana; diffondere cioè gli ideali del
liberalismo e socialismo - contrastanti nella politica delle cose - in una
sintesi organica e operante”. Un tentativo, conclude Giovannini, “ di
rinnovamento sostanziale della politica democratica, e perciò stesso,
della democrazia italiana, ove questa fosse stata restaurata in Italia” (vol.
II, p. 416).
Qui, la parola chiave - sconosciuta
a Giovannini, ovviamente - è costruttivismo. Un approccio comune al fascismo e
ai liberali macro-archici di “Giustizia e Libertà”: il credere fermamente
nella possibilità di cambiare dall’alto la società italiana. Con metodi
diversi, ma al tempo stesso uguali, quanto alla volontà insita sia
nel fascismo sia nel liberal-socialismo (definito da Croce un
"ircocervo"), di “costringere gli uomini ad essere liberi”.
Insomma, piaccia o meno, fascismo e liberal-socialismo condividono lo
stesso impianto cognitivo-politico roussoviano, che rinvia all’idea totalitaria
della volontà generale, ovvero di un maggioranza che discrimina le minoranze,
perché si ritiene dalla parte della ragione (storica). Ovviamente
il liberalismo macro-archico ha condotto alla società welfarista
mentre il fascismo alla dittatura e alla guerra. Ma, tra i due fenomeni
politici, c’è, nei fatti sociologici, una differenza di grado e non di specie.
Il che spiega, ripetiamo,
l’ammirazione di Giovannini. Ottimo giornalista, e uomo di
vaste letture, al quale però mancava, quell’autoironia e quel senso
dell’eterogenesi dei fini, che invece animava la riflessione di
Giano Accame nei termini di una retorica transigenza » (3).
Rauti - come Giovannini - era
liberal-socialista, probabilmente non per scelta ma per mentalità “costruttivista”, quindi senza neppure saperlo. Suo malgrado.
Del pari credo finalmente chiaro un altro punto fondamentale: come lo stesso liberalismo si nutra di un profilo costruttivista. Anche perché, sociologicamente parlando, non esiste un solo liberalismo ma esistono almeno quattro liberalismi: archico,
micro-archico, an-archico, macro-archico. Fenomeni che si articolano intorno all’uso
costruttivista dello stato nel regolare, in base alla maggiore o minore incidenza politica, gli interessi sociali. Tema al quale ho dedicato un libro.
Concludendo, serve una
destra liberale. Quindi concordo con te. Al limite costruttivista. Qui però cade l'asino, se mi passi l'espressione. Perché un
neofascismo macro-archico, o se preferisci,
liberal-socialista, welfarista, con "ircocervici" accenti di sinistra, pur militando a destra, dovrebbe fare prima i conti con la pesante eredità
illiberale del fascismo. Cosa che i
neofascisti, al di là degli atteggiamenti tattici, rifiutano di fare. E da
sempre. A parte alcune lodevoli
eccezioni come ad esempio Giano Accame.
Insomma, parlo della coazione a ripetere, cui accennavo all'inizio. Del resto ti sembra possibile, caro Carlo, un fascismo antifascista? Sì, conosco benissimo la retorica "interna" del fascismo oltre Mussolini, dalle radici diciannoviste, rivoluzionarie e repubblicane. Oppure quella tradizionalista, del fascismo storico, come incarnazione transeunte di valori metastorici…
Insomma, parlo della coazione a ripetere, cui accennavo all'inizio. Del resto ti sembra possibile, caro Carlo, un fascismo antifascista? Sì, conosco benissimo la retorica "interna" del fascismo oltre Mussolini, dalle radici diciannoviste, rivoluzionarie e repubblicane. Oppure quella tradizionalista, del fascismo storico, come incarnazione transeunte di valori metastorici…
Non credo però che sposare la causa di una specie di superfascismo, aiuti all' "andare oltre" il fascismo…
Un carissimo abbraccio,
Carlo Gambescia
3) https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2019/02/il-ventennio-bancarelle-alberto.html .
La risposta
di Carlo Pompei Falcone ( e mia breve replica)
Caro Carlo,
Onorato dell'attenzione e del tempo che
mi hai dedicato
Non è una cosa che riservi a tutti.
Smancerie a parte, concordo con il tuo impianto, sebbene ci siano punti da limare – a mio giudizio – in elaborazione delle tesi rivedute e corrette al passo con i tempi velocissimi che viviamo.
In estrema sintesi il mio è un tentativo di andare oltre "andare oltre", proprio in LINEA con la tua (e di Accame) Retorica della transigenza.
I pragmatici (ed anche io lo sono, come sai) potrebbero obiettare "come?".
Verissimo, ma pensarlo è già un po' farlo, no?
Il pensiero non è forse prodromico dell'azione?
Continuiamo così, anche in funzione di quella ridefinizione ultima del nazionalpopolare (e di LINEA - Quotidiano nazionalpopolare) che anche Rauti cercava in un'alternanza tra salvare parte del "vecchio" per proporre un "nuovo" sostenibile.
I nostalgici e i complottisti da due soldi hanno le famose "parole bottone" e "nuovo" gli fa scattare il riflesso pavloniano (che sto rileggendo) tra "ordine nuovo" (di quà e di là) e "nuovo ordine".
Ebbene, occorre liberarsi prima di questi riflessi preistintuali per avere la "cassetta degli attrezzi" in ordine per procedere.
Buonissima giornata.
Smancerie a parte, concordo con il tuo impianto, sebbene ci siano punti da limare – a mio giudizio – in elaborazione delle tesi rivedute e corrette al passo con i tempi velocissimi che viviamo.
In estrema sintesi il mio è un tentativo di andare oltre "andare oltre", proprio in LINEA con la tua (e di Accame) Retorica della transigenza.
I pragmatici (ed anche io lo sono, come sai) potrebbero obiettare "come?".
Verissimo, ma pensarlo è già un po' farlo, no?
Il pensiero non è forse prodromico dell'azione?
Continuiamo così, anche in funzione di quella ridefinizione ultima del nazionalpopolare (e di LINEA - Quotidiano nazionalpopolare) che anche Rauti cercava in un'alternanza tra salvare parte del "vecchio" per proporre un "nuovo" sostenibile.
I nostalgici e i complottisti da due soldi hanno le famose "parole bottone" e "nuovo" gli fa scattare il riflesso pavloniano (che sto rileggendo) tra "ordine nuovo" (di quà e di là) e "nuovo ordine".
Ebbene, occorre liberarsi prima di questi riflessi preistintuali per avere la "cassetta degli attrezzi" in ordine per procedere.
Buonissima giornata.
Carlo Pompei Falcone (*)
Caro Carlo,
Grazie per la
meditata ed esaustiva replica. Nulla da dire, nulla da aggiungere. Ti ringrazio
anche per la citazione del libro su Accame. Sì, serve, ora più che mai, una
retorica della transigenza. Grandissimo abbraccio!
Carlo Gambescia