"Nella miserabile Bisanzio…"
Da
normativo a normativo
Quali lenti inforcare per leggere il libro
di Aleksandr Dugin, La Quarta Teoria Politica ?(1) Diciamo innanzitutto che si
tratta, almeno a prima vista, di un’opera di filosofia politica, che
quindi risente di un approccio normativo. Dugin spiega il mondo
come dovrebbe essere, dopo
aver illustrato come è, sovrapponendo però agli strumenti delle scienze
sociali quelli della teologia cristiana in versione ortodossa.
Non sappiamo se dal punto di vista interno, la versione teologica duginiana sia l' autentica, perché non abbiamo competenze specifiche per giudicare: ci fidiamo di Dugin... Mentre sul versante sociologico, interverremo.
Non sappiamo se dal punto di vista interno, la versione teologica duginiana sia l' autentica, perché non abbiamo competenze specifiche per giudicare: ci fidiamo di Dugin... Mentre sul versante sociologico, interverremo.
Di conseguenza, per tornare in argomento, siamo dinanzi a un
volume dove il descrittivo viene posto al servizio del normativo. Ciò significa che la ricostruzione normativa (dei fatti) rimanda alla
costruzione normativa (di altri fatti). Dal normativo al normativo,
insomma. Una specie di giroconto valutativo.
Pertanto, per prima cosa, il
lettore non si aspetti un libro di scienza, perché tale non è. Scienza nel
senso di un sapere avalutativo che ci
descrive i fatti come sono, e dai fatti estrapola regolarità
metapolitiche capaci di fornire una qualche base previsionale, nel
senso di prevedere non tanto quel che sarà, quanto quel che non sarà.
Però La Quarta Teoria
Politica, non è neppure un libro di filosofia politica in senso
stretto. Perché, non parte dalla condivisione teorica di alcuni principi endopolitici come giustizia, libertà, uguaglianza, declinandoli
in chiave normativa, valutandone genealogia e finalismo, al di fuori di qualsiasi
epifania esopolitica.
Pars pro toto
E allora che cos’è? È un manuale teologico e politico di denuncia
della modernità, della post-modernità, del liberalismo, della
globalizzazione e dell’economia di mercato in nome di un ritorno
alla Tradizione e alla società gerarchica, immobile e senza
tempo. Se si vuole, siamo dinanzi a una implementazione costruttivista della Tradizione. In sintesi, per Dugin, si potrebbe parlare di tradizionalismo implementista. Un qualcosa da edificare, in seguito, sul campo, grazie alla riformulazione del tradizionalismo come potente metateoria.
Di riflesso, ogni argomento, dai più sofisticati (come
ad esempio dall’uso del Dasein heideggeriano all’evoliana idea di Uomo
Differenziato) ai più volgari (come la critica della metafisica della lavatrice
e delle discoteche) è finalizzato al perseguimento di un
solo e totalitario scopo, la “distruzione del liberalismo”.
“Se abbiamo davvero rifiutato il marxismo
e il fascismo, quello che rimane è di mettere da parte definitivamente il
liberalismo che è un’ideologia altrettanto datata, crudele e misantropa. Il
termine ‘liberalismo’ dovrebbe essere equiparato a ‘fascismo’ e ‘comunismo’. Il
liberalismo è responsabile di crimini storici tanto quanto il fascismo
(Auschwitz) e il comunismo (i gulag);
è responsabile della schiavitù e della distruzione dei nativi americani negli
Usa, per Hiroshima e Nagasaki, per le aggressioni in Serbia, Iraq e Afghanistan,
per la devastazione e sfruttamento di milioni di persone sul pianeta, e per le
menzogne ignobili e ciniche che imbellettano queste verità storica” (2).
Tutti argomenti non molto originali, sviluppati all’insegna della fallacia della pars
pro toto, per livelli progressivi: liberalismo uguale individualismo, individualismo uguale modernità, modernità uguale Stati Uniti.
Inutile qui ribattere, con caricature delle caricature. O come spesso
ama asserire il versante postmoderno di Dugin, con altri simulacri. Dispiace dirlo ma, alla fin fine, siamo davanti a tesi, accesamente propagandistiche, da
campo d'estate giovanile di qualche nucleo zero sulle montagne dell'Abruzzo.
Lasciamo di nuovo la parola a Dugin:
“Il liberalismo è un male assoluto, non
solo nella sua incarnazione pratica e fattuale, ma anche nei suoi presupposti
teorici fondamentali. E la sua vittoria, il suo trionfo mondiale, sottolinea e
disvela quei caratteri più sinistri che prima erano celati. La ‘libertà da’ è
la più disgustosa forma di schiavitù, perché tenta l’uomo e lo spinge a
ribellarsi a Dio, ai valori della tradizione, alle fondamenta morali e
spirituali della propria gente e della propria cultura. […]. Solo
sradicandolo completamente questo male potrà essere sconfitto, e
non escludo che una simile vittoria possa implicare la rimozione dalla faccia
della terra di quell’aura spirituale e fisica da cui ha avuto l’origine
l’eresia globale, che insiste sul fatto che ‘l’uomo è misura di tutte le cose’.
Solo una crociata globale contro gli Usa, l’Occidente, la globalizzazione e la
loro più completa espressione politico-ideologia, il liberalismo, potrà essere
una risposta adeguata” (3).
Inutile insistere sull'approccio
teologico. Anch'esso non particolarmente originale per chi abbia anche la
minima conoscenza della corposa letteratura controrivoluzionaria degli ultimi due secoli. A questo punto, dovrebbe essere chiaro
ai lettori che la Quarta Teoria Politica, Quarta perché implica il
superamento delle altre (presunte) tre del Novecento (comunismo,
fascismo-nazismo, e liberalismo), non potrà non attingere, oltre che alla
Tradizione,
“alle fonti pre-moderne di ispirazione.
Qui si collocano lo stato ideale platonico, la società gerarchica
medievale e le visioni teologiche del sistema normativo sociale e politico
(cristiana, islamica, buddista, ebraica o indù). Queste fonti pre-moderne
sono uno sviluppo molto importante […]. (4).
Anche perché,
“dobbiamo opporci a ogni genere di
conflitto tra le varie credenze religiose – musulmani contro indù, ebrei contro
musulmani, musulmani contro indù e così via. Le guerre
e le tensioni interconfessionali fanno il gioco del reame dell’Anticristo che mira a
separare le religioni
tradizionali allo scopo di
imporre la sua pseudo-religione, la sua parodia escatologica” (5).
Sul concetto di struttura
Non è compito nostro ma dello
storico delle idee indagare sulle fonti tipicamente russe del pensiero di
Dugin: dal messianismo secondo la lezione di Semen Frank, alle correnti
slavofile e panslaviste, studiate da Giusti e Walicki. Senza dimenticare
l' eurasiatismo rivendicato addirittura come paradigma
cognitivo (per inciso, perché non estendere le stesse prerogative anche
all'etruscologia?).
I punti di contatto - semplifichiamo -
dall'antioccidentalismo all'antimodernismo russo sono notevoli e
per nulla inaspettati. Soprattutto se inquadrati, come rilevò Ciaadáev,
scrittore ottocentesco dal cuore europeo, nel fatto
che,
“mentre l’edificio della civiltà moderna
sorgeva dalla lotta fra la barbarie energica dei popoli del nord e l’alto
pensiero della religione, che facevamo noi? Spinti da un destino fatale,
andavamo a cercare nella miserabile Bisanzio, oggetto di profondo disprezzo di
quei popoli, il codice morale che doveva formare la nostra educazione” (6).
Il sociologo però non può ignorare l’uso disinvolto che fa Dugin del
concetto di struttura. Perché è vero che
il liberalismo - ammessa e non concessa la
sua riduzione teologica a male assoluto
e unico
ismo (7) - come altre
forme di pensiero è una
rappresentazione sociale, dunque una
struttura, che si impone sull’individuo, ma è falso che per questo motivo contraddica il pensiero liberale stesso. Perché?
1) Dal momento che il
liberalismo, a differenza del comunismo e del
nazismo, è una teoria ex post, e non una politica del libro ex ante, resta difficile, se non impossibile, che sia contraddetto dai fatti qualcosa di non teorizzato prima dei fatti stessi; 2) le strutture, sociologicamente parlando, producono
effetti inintenzionali, dei quali però il rasoio di Ockham liberale, tiene conto puntando sulla riduzione degli enti politici
e sociali. Tradotto: meno strutture, meno effetti inintenzionali.
Sicché nel liberalismo esiste un' eccellente forma di autodifesa dagli effetti delle politiche del libro ex ante, del comunismo del nazismo e del tradizionalismo implementista duginiano, decisamente impregnate di costruttivismo. Ovviamente, nessun sistema politico e sociale è perfetto. Ma da qui a teorizzare la dittatura del liberalismo e la sua distruzione in nome di un’isola ex ante, che non c’è (o grossolanamente identificata pars pro toto con gli Stati Uniti), ne passa. Per inciso, il fascismo - come del resto si definiva - resta religione politica del libro e moschetto… Ex ante ed ex post al tempo stesso… Una specie di quadratura del cerchio. Finita molto male.
Sicché nel liberalismo esiste un' eccellente forma di autodifesa dagli effetti delle politiche del libro ex ante, del comunismo del nazismo e del tradizionalismo implementista duginiano, decisamente impregnate di costruttivismo. Ovviamente, nessun sistema politico e sociale è perfetto. Ma da qui a teorizzare la dittatura del liberalismo e la sua distruzione in nome di un’isola ex ante, che non c’è (o grossolanamente identificata pars pro toto con gli Stati Uniti), ne passa. Per inciso, il fascismo - come del resto si definiva - resta religione politica del libro e moschetto… Ex ante ed ex post al tempo stesso… Una specie di quadratura del cerchio. Finita molto male.
Altra notazione, sempre in tema. La
struttura, ad esempio il rito (anche politico), come ripetizione dell'azione finalizzata
a uno scopo dal punto di vista dell'osservato, è liquidata da Dugin come una gabbia ogni volta che
si parla di liberalismo e modernità. Per contro, la stessa azione viene vista come fonte di
ricchezza culturale quando invece si analizza la società tradizionale. In proposito si vedano i capitoli 12 e C dedicati alla prassi politica.
Una
struttura è una struttura, nel senso che è un fatto relazionale con obblighi sociali reciproci, esterni ed emulativi, se si vuole reiterativi, ma sempre a prescindere dai contenuti. Questa
è sociologia, come Dugin, da buon studioso di Sorokin, dovrebbe ricordare. Studio delle forme.
Ora se è vero che gli effetti di ricaduta
sociale della struttura relazionale, oltre ad essere a rischio inintenzionalità, dipendono anche dai contenuti
che vi si immettono, è altrettanto vero che i contenuti della struttura dal punto di vista storico possono essere tradizionali,
moderni, post-moderni. Quindi la struttura in sé, in quanto forma, non è buona
né cattiva, né antica né moderna. Possono esserlo invece - ripetiamo - i contenuti. Ma il
giudizio sui contenuti è soggettivo. Per alcuni - parliamo sempre degli osservati - il rito della discoteca è superiore a quello della preghiera, per altri invece vale il contrario. E
lo stesso vale per il giudizio sugli effetti sociali, dell'una come dell'altra.
Liberalismo è lasciare che si scelga tra discoteca e/o preghiera.
Tradizionalismo, imporre solo la preghiera, vietando le
discoteche perché schiave dell'Anticristo.
Altrettanto disinvolto l’uso del concetto di rivoluzione, che Dugin non riporta alla regolarità metapolitica movimento-istituzione, ma a una specie di monismo conoscitivo che privilegia il movimento rispetto all ’istituzione, vedendo in quest'ultima un fattore secondario quasi privo di rilevanza sociologica. Dal momento che, come egli scrive, il “ nuovo ordine nato dalla rivoluzione non è fondamentale, è necessario solo per essere sopraffatto” (8). Monismo che invece non è dato in una sociologia disciplinata da regolarità, che si mostrano sempre a chi osservi, libero dai valori, in chiave wertfrei. In Dugin invece i due punti di vista - dell' osservatore e degli osservati - sono spesso confusi. Il che non giova alla correttezza della sua argomentazione.
Altrettanto disinvolto l’uso del concetto di rivoluzione, che Dugin non riporta alla regolarità metapolitica movimento-istituzione, ma a una specie di monismo conoscitivo che privilegia il movimento rispetto all ’istituzione, vedendo in quest'ultima un fattore secondario quasi privo di rilevanza sociologica. Dal momento che, come egli scrive, il “ nuovo ordine nato dalla rivoluzione non è fondamentale, è necessario solo per essere sopraffatto” (8). Monismo che invece non è dato in una sociologia disciplinata da regolarità, che si mostrano sempre a chi osservi, libero dai valori, in chiave wertfrei. In Dugin invece i due punti di vista - dell' osservatore e degli osservati - sono spesso confusi. Il che non giova alla correttezza della sua argomentazione.
Monismo e politeismo conoscitivo
Va però detto che il monismo
conoscitivo, differenzia la posizione di Aleksandr Dugin da quella
dell’altro Dioscuro dell’antiliberalismo, Alain de Benoist,
contraddistinta invece dal politeismo cognitivo.
In qualche misura, l’approccio di Dugin è
più coerente, cognitivamente parlando, di quello debenoistiano. Dugin critica
il politeismo cognitivo liberale su salde basi monistiche: parte da dio e
torna a dio, senza fermate intermedie. Diciamo che, come egli giustamente rivendica, il suo è un olismo integrale. Mentre
de Benoist, per criticare il politeismo liberale, è costretto a
reinventarsi un liberalismo monoteista, puntando sugli influssi negativi del
monoteismo cristiano: una specie di quadratura del cerchio.
Sicché il pensatore francese parte dagli
dei e torna agli dei, ma dopo un giro vizioso per ragioni di igiene cognitiva. Diciamo perciò che il suo è un olismo dimezzato. (9). Dugin
è un costruttivista puro, de Benoist a metà. Il primo crede, anche se non
lo ammette esplicitamente, nella possibilità di costruire e
ricostruire, una volta in grazia di dio, la società a tavolino, il
secondo, resta dubbioso, temendo forse l'effetto Torre di Babele
(grazia o no di dio...). Forse tra i due - è solo un'ipotesi -
il vero credente potrebbe essere Alain de Benoist.
Non giova infine al volume la
struttura saggistica (della raccolta di scritti), o comunque
l’inserimento di appendici, addirittura, nove ( A-I). Perché il
denso discorso duginiano tende a diventare
ripetitivo perdendo vigore (come
nei doppi capitoli e appendici su liberalismo e genere). D'altra
parte, i vari saggi sembrano risentire dei diversi pubblici e sedi:
alcuni sono molto sofisticati (come quelli sul Dasein,
sui processi monotoni, sulla reversibilità del tempo, sull’ontologia del
futuro), altri invece meno ( come quelli sulla sinistra e le sue
trasformazioni, sul progetto grande Europa e sulla guerra alla
Russia). Sono cose che in sede di editing andrebbero tenute in considerazione. Dal momento che
l’effetto finale, pensiamo al lettore non addetto ai lavori, può
essere disorientante. Anche un indice dei nomi e delle cose notevoli avrebbe
aiutato.
Una specie di anti-Ockham
Quanto all’introduzione di Luca
Siniscalco, sicuramente un pezzo di bravura. Parliamo di un
approccio all’opera duginiana in termini di alchemica politica, che scorge
addirittura nella ricerca duginiana un processo di svelamento della una nuova pietra politico-filosofale. Dicevamo pezzo di
bravura, ma nel senso retrò di una fiaba teatrale di Carlo Gozzi rispetto a una sferzante commedia di Carlo Goldoni. Può
piacere agli aristocratici, non ai borghesi...
Certo, se questa destra possedesse
un minimo di autoironia forse sarebbe più facile capirsi e dialogare. Del
resto difficile trovarla anche in Dugin. Una specie di
anti-Ockham, teso a moltiplicare concetti alla stregua di preghiere come uno stilita delle idee. Ferma però restando la sua contemplazione del dio unico.
Approccio che a dire il vero non aiuta: conla Città degli Angeli, il
Dasein, l'Anticristo, il Soggetto radicale, l'Androgino, Dugin assembla
parole su parole, concetti su concetti, teoremi su teoremi. Fino
a quando, per dirla prosaicamente, al lettore stremato, anche il più duro attacco al liberalismo e modernità appare, per l'improvvisa chiarezza da reductio ad unum, come la classica ancora di salvezza. E vi si aggrappa.
Dopo di che, come l' avventore stordito dalle parole del commerciante esuberante, esce dal negozio soddisfatto. Salvo dopo pochi metri accorgersi di essere stato fregato.
Approccio che a dire il vero non aiuta: con
Dopo di che, come l' avventore stordito dalle parole del commerciante esuberante, esce dal negozio soddisfatto. Salvo dopo pochi metri accorgersi di essere stato fregato.
Carlo Gambescia
(1) Aleksandr Dugin, La Quarta Teoria Politica, NovaEuropa, Milano 2018,
2° edizione, pp. LVIII- 398.
(2) Ibid., p. 81.
(3) Ibid., p. 218.
(4) Ibid., p. 291.
(5) Ibid., p. 292.
(6) P.J. Ciaadáev, Lettere filosofiche seguite
dall’Apologia di un pazzo e da una lettera a Schelling, a cura di Angelo
Tamborra, Laterza, Bari, 1950, p. 97.
(7)
All’esistenza di almeno quattro forme di liberalismo “sociologico”
(archico, macro-archico, micro-archico, an-archico) abbiamo dedicato uno studio: Liberalismo triste. Un percorso: da Burke a
Berlin, Il Foglio, Piombino (LI) 2012.
(8) Aleksandr Dugin, La Quarta Teoria Politica, cit., p.
276.
(9) Sul punto si veda la nostra
recensione al volume di Alain de Benoist, Contre
le Libéralisme: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2019/03/il-nuovo-libro-di-alain-de-benoist-il.html
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