lunedì 15 luglio 2019

Emmett Till, una lezione per l' Italia…
La sindrome  del bianco povero


Il 27 agosto del 1955, Emmett Till, un ragazzo nero di quattordici anni di Chicago, venne rapito da due bianchi, a Money, Mississippi,  dove si trovava in vacanza dai parenti. Fu  torturato, ucciso con un colpo di pistola alla testa e poi gettato nel Tallahatchie,  fiume che scorreva nei pressi.  Il suo corpo,  ritrovato alcuni giorni  dopo,  misteriosamente tornato  a galla,  nonostante  la  grossa ruota di una macchina che serviva alla lavorazione  del cotone  alla quale il cadavere di  Emmett era stato incatenato  con più giri di filo spinato, affinché le acque si chiudessero sul delitto per sempre.  
Che cosa aveva commesso di così grave ?     
I funerali . Una pagina di storia americana.


Qualcosa che al massimo, come sfuggì di bocca  dopo il processo a uno dei procuratori, avrebbe richiesto come punizione una sculacciata. Emmett  si era rivolto,  emettendo un fischio di apprezzamento per sua bellezza,  verso la giovane moglie bianca del  titolare di una piccola e scalcinata drogheria di paese, Carolyn Bryant.   
Una giuria di bianchi, composta di soli uomini, per lo più agricoltori poveri,  assolse Roy Bryant e il  fratellastro, John William Milam, asserendo che il loro passato di soldati e cittadini esemplari li metteva al riparo da accuse puramente indiziarie. La decisione fu presa in poco più di un’ora. Neppure il tempo di bersi   una bibita fresca,  come scrissero alcuni giornali, riportando  la dichiarazione di un giurato.     
Nel 1956,  certi di non poter essere processati due volte per lo stesso reato,  Bryant e  Milam ammisero in un’intervista a  "Look Magazine"  di aver  ucciso il ragazzo,  perché  era un  negro  e doveva   stare al suo posto. 


La madre di Emmett,  Mamie Elisabeth, accorsa da Chicago, dove, diversamente dal Mississippi,  la pressione razzista era minore (il che spiega anche “la spigliatezza" del ragazzo, ignaro di certi pericoli), pretese funerali a  bara aperta,  perché tutti potessero vedere lo scempio. E così fu. I poveri resti  del ragazzo, una volta al riparo di un vetro,  furono  visti  da tutti,  fotografati  e rilanciati dalla stampa. 


Gli  storici, dal momento che il caso fece comunque molto rumore,   collegano  ideologicamente l’assassinio di Emmett Till  alla nascita di lì a poco  del Movimento per i diritti civili. Insomma, siamo davanti a un pezzo di storia degli Stai Uniti (*).   



Emmett  e  Mamie  Elisabeth  Tilll.

Qual è il punto sociologico di questa tragedia?   Che il razzismo, come mostrano numerosi studi,  rinvia  alla dottrina del capro espiatorio:  alla necessità da parte di un gruppo sociale, etnicamente ridefinitosi,  di rivalersi della propria deprivazione economica e culturale,  assalendo  un altro gruppo sociale,  designato,  stante la comune e  mediocre condizione sociale,  come un possibile “competitore” sul piano dell'acquisizione di  risorse simboliche e materiali.

Il concetto del  “negro che deve stare al suo posto ”, sottomesso al bianco,  indica un   disperato  bisogno di auto-legittimazione sociale. Diremmo l’ultima spiaggia di un rituale che non può non sfociare nell'assassinio. Meglio ancora se collettivo, condiviso, di gruppo.  Di conseguenza,  l’omicidio diventa il  gesto simbolico  per  rafforzare la distanza sociale,  altrettanto simbolica,  smentita  però dalla  comune condizione economico-sociale,  tra il bianco e il nero:  tutti e due poveri  o comunque costretti a una vita lontana dallo standard  medio. Ci si aggrappa al “Prima i Bianchi”. E si colpisce senza pietà chi è simbolicamente subito sotto. 

Da sinistra , Milam, Bryant e rispettive consorti, felici dopo l'assoluzione.


Anche quel che  sta accadendo in Italia, dove abbiamo visto all’opera alcuni giustizieri bianchi, ha  dietro  di sé una reale base economica?  Ammesso e non concesso che la deprivazione sia  una giustificazione per certe efferatezze...   

L’Italia di oggi, economicamente  parlando, è lontana anni luce dal Mississippi degli anni Cinquanta. Però, ecco il punto, quel “Prima gli Italiani”,  evocato continuamente da Salvini, rimanda a una tradizione razzista basata comunque sull’ansia da deprivazione: sulla crescente  paura di perdere simbolici diritti di primato.   Non si è ancora poveri, ma si teme di diventarlo.   Ecco spiegato il  senso devastante   del   “Prima gli Italiani”.  L’africano, insomma,  “deve stare al suo posto”. Altrimenti...
La forma mentis di  Roy Bryant, John William Milam  e dei razzisti italiani rinvia comunque alla dottrina del capro espiatorio.  E l’assassinio di  Emmett Till è  lì a ricordarlo. Anche a noi italiani.

Carlo Gambescia



(*) Per un'informazione completa si veda:   http://www.emmetttillproject.com/home2 .