martedì 2 luglio 2019

Sovranismo razzista?
Lo sport più bello del mondo


Si faccia un giro sui Social.  E per scoprire cosa?  Che  chi  non  sta con  Salvini è un anti-italiano. Ciò significa che per essere buoni italiani si deve essere razzisti. Si tratta di musica vecchia  tornata a  risuonare nelle orecchie di molti, troppi nostri concittadini, storditi dal “sacro egoismo”, per usare il termine caro ai nazional-fascisti: sacro, perché si riteneva,  la patria  sacra, alla stregua  di un concetto  religioso. 
Certo, si potrebbe  chiedere agli italiani che votano Salvini, italiani  del Ventunesimo  Secolo,  se siano  pronti a consacrare  all’Italia le proprie vite.  Perché, alla luce  di ogni buona  dottrina  nazionalista,   la differenza tra italiani e anti-italiani,  in ultima istanza,   rimanda alla  disponibilità o meno di  morire per la  patria.

E qui il discorso si fa interessante, perché il sovranismo populista si guarda bene dal porre una scelta del genere. Almeno per ora.  Evidentemente, conosce il suoi polli (gli italiani) e probabilmente anche  la storia della prima metà  del Ventesimo Secolo.  Una storia  che  vede  gli italiani  battersi benino nella Prima Guerra Mondiale, mentre  piuttosto male nella Seconda. La Prima  fu vissuta come una guerra liberal-nazionale, l’ultima del Risorgimento, una guerra di libertà dallo straniero;  la Seconda, dopo la sbornia iniziale, venne sentita   come una guerra fascista, ultranazionalista, di aggressione.
Tuttavia, sia nella Prima che nella Seconda,  titubanti e oppositori furono  liquidati  dalla propaganda come anti-italiani.  Potremmo definire, forse esagerando,  la guerra di Salvini agli immigrati, come la Terza Guerra mondiale dell’Italia: un conflitto - ecco la differenza - che però   può essere combattuto dagli italiani, senza alcun rischio.
Perché?  Al “fronte” vanno le forze dell’ordine e il nemico  è rappresentato da  disperati e  affamati, una specie di esercito in rotta.  Detto altrimenti:  a  Salvini piace vincere facile. E agli italiani, gustarsi la partita dagli spalti o meglio ancora da casa, senza alcun pericolo.  Il che spiega pure i toni, altissimi, tanto poi gli unici che rischiano sono quei poveretti sui barconi.  
Al lettore  non sfugga questo concetto:  il sovranismo è un nazionalismo vigliacco, post-televisivo,  che può essere scomposto in due elementi, uno nuovo e uno antico:  1) Il  razzismo anti-immigrati,  fattore  nuovo a basso costo umano, perché non impone di partire ( e morire)  verso il fronte;   2) Le  accuse propagandistiche  di anti-italianismo,  fattore classico,  che riporta alla truculenta propaganda  dei  nazional-fascisti, da Salandra a Mussolini.   
Vecchio e  nuovo dunque.  Un pericoloso  mix   di nazionalismo  e razzismo a costo zero in termini di sicurezza personale  per chi lo condivida.
Per quale ragione ? Perché il sovranismo razzista nella  composizione  social-comunicativa  ricorda il tifo calcistico:  gruppi di  ultrà in curva ( i social e i lunatici dell’estrema destra);  signori più distinti e di una certa età,  in tribuna, ma non meno feroci negli insulti (i partecipanti, politici e intellettuali, ai  talk show);  tifosi a casa davanti alla televisione, entusiasti degli sviluppi (l’elettorato di  Salvini, in particolare).  
Come  anticipato, nessuno di costoro, pur alzando la posta,  rischia la vita.   Per ora.   E  immigrati a parte, ovviamente.
Il che, concludendo,  getta una luce tragica su quello che  di questi tempi sembra essere per gli italiani lo sport  più bello del mondo:  il sovranismo razzista.    

Carlo Gambescia