Sovranismo razzista?
Lo sport più bello del mondo
Si faccia un giro sui Social. E per scoprire cosa? Che chi non sta con Salvini è un anti-italiano. Ciò significa che per essere buoni italiani si deve
essere razzisti. Si tratta di musica vecchia tornata a risuonare nelle orecchie di molti, troppi nostri concittadini, storditi
dal “sacro egoismo”, per usare il termine caro ai nazional-fascisti: sacro,
perché si riteneva, la patria sacra, alla stregua di un concetto religioso.
Certo,
si potrebbe chiedere agli italiani che
votano Salvini, italiani del
Ventunesimo Secolo, se siano
pronti a consacrare all’Italia le
proprie vite. Perché, alla luce di ogni
buona dottrina nazionalista, la differenza tra italiani e anti-italiani, in ultima istanza, rimanda alla disponibilità o meno di morire per la patria.
E
qui il discorso si fa interessante, perché il sovranismo populista si guarda
bene dal porre una scelta del genere. Almeno per ora. Evidentemente,
conosce il suoi polli (gli italiani) e probabilmente anche la storia della prima metà del Ventesimo Secolo. Una storia che vede gli italiani battersi benino nella Prima Guerra Mondiale, mentre piuttosto male nella
Seconda. La Prima fu vissuta come una guerra liberal-nazionale,
l’ultima del Risorgimento, una guerra di libertà dallo straniero; la Seconda , dopo la sbornia
iniziale, venne sentita come una guerra fascista, ultranazionalista, di aggressione.
Tuttavia,
sia nella Prima che nella Seconda, titubanti e oppositori furono liquidati dalla
propaganda come anti-italiani. Potremmo definire, forse esagerando, la guerra di Salvini agli immigrati, come la Terza Guerra mondiale dell’Italia:
un conflitto - ecco la differenza - che però può essere
combattuto dagli italiani, senza alcun
rischio.
Perché? Al “fronte” vanno le forze dell’ordine e il
nemico è rappresentato da disperati e affamati, una specie di esercito in
rotta. Detto altrimenti: a Salvini piace vincere facile. E agli
italiani, gustarsi la partita dagli spalti o meglio ancora da casa, senza alcun
pericolo. Il che spiega pure i toni,
altissimi, tanto poi gli unici che rischiano sono quei poveretti sui barconi.
Al lettore non sfugga questo concetto: il
sovranismo è un nazionalismo vigliacco, post-televisivo, che può essere scomposto in due elementi, uno nuovo e uno antico: 1) Il razzismo anti-immigrati, fattore nuovo a basso costo umano, perché non impone
di partire ( e morire) verso il fronte; 2) Le accuse propagandistiche di anti-italianismo, fattore classico, che riporta alla truculenta
propaganda dei nazional-fascisti, da Salandra a Mussolini.
Vecchio
e nuovo dunque. Un
pericoloso mix di
nazionalismo e razzismo a costo zero in termini di sicurezza personale per chi lo condivida.
Per quale ragione ? Perché il sovranismo razzista nella composizione social-comunicativa ricorda il tifo calcistico: gruppi di ultrà in curva ( i social e i lunatici dell’estrema
destra); signori più distinti e di una
certa età, in tribuna, ma non meno
feroci negli insulti (i partecipanti, politici e intellettuali, ai talk show); tifosi a casa davanti alla televisione,
entusiasti degli sviluppi (l’elettorato di Salvini, in particolare).
Come anticipato, nessuno di costoro, pur alzando la posta, rischia la vita. Per ora. E immigrati a parte, ovviamente.
Il che, concludendo, getta una luce tragica su quello che di questi tempi sembra essere per gli italiani lo sport più bello del mondo: il sovranismo razzista.
Il che, concludendo, getta una luce tragica su quello che di questi tempi sembra essere per gli italiani lo sport più bello del mondo: il sovranismo razzista.
Carlo Gambescia