martedì 9 luglio 2019

 La lezione di Theodor Geiger
Democrazia senza dogmi




Che c'entra Giorgia Meloni "a testa in giù" con Theodor Julius Geiger? Il lettore abbia un pochino di pazienza e capirà.   
Intanto, e a prescindere dalle polemiche politiche,  la  bella  recensione  di Alessandro Litta Modignani  apparsa sul “Foglio”, rappresenta   un  ottimo   invito a riscoprire  la  figura di Theodor Geiger (1891-1952),  sociologo tedesco dai molteplici interessi di ricerca: dal  diritto alla mobilità sociale, dalla democrazia  alla sociologia dei valori. 
Litta Modignani si occupa dell’edizione italiana degli  Studi preliminari di sociologia del diritto ( Vorstudien zu  einer Soziologie des Rechts, 1947),  uscita, e meritoriamente,  per  i tipi di Mimesis  a cura del compianto  Morris L. Ghezzi (1).  Un’opera  che  vorremmo  recensire, si spera  a breve,  su queste pagine,  perché racchiude una  tesi  molto interessante sotto il profilo del rapporto tra  diritto, sociologia del diritto e teoria negativa dei valori. 

A questo proposito, Geiger in un prezioso  libro postumo,   Demokratie ohne dogma, die Gesellschaft  zwischen Pathos und Nüchternheit (1964, Democrazia senza dogmi. La società tra sentimento e ragione),  coniò  il termine “democrazia emotiva”.  E qui fuochino, fuochino,  a proposito di Giorgia Meloni... 
Secondo Geiger, la  democrazia emotiva è  una democrazia di massa,  sopraffatta dai valori, incapace di ragionare pacatamente  in termini di interessi,  e per questo ipnotizzata dai  profeti, che a detta di Geiger sono regolarmente falsi.
Ma lasciamo la parola  al sociologo tedesco.

“ Abbiamo attualmente il caso del partito contadino danese che si sbarazza del proprio esponente  più qualificato, un professore di economia sociale, perché capace com’è  di pensare in termini economici   è temuto dalle masse contadine. Egli dice loro la spiacevole verità che una ottusa politica degli interessi a breve scadenza si vendicherà nel futuro. Ed eccoci al punto centrale:  mentre la sostanza delle politica viene oggettivata e richiede perciò qualificazioni puramente oggettive, le masse degli elettori non avvezze a dare giudizi oggettivi, reagiscono emotivamente. L’uomo che non si faccia schiavo delle loro vedute  viene eliminato” (3).

Si pensi ad esempio, per venire ai nostri giorni,   all' autentica  criminalizzazione  politica di Elsa Fornero e  del Governo Monti.  Che dicevano cosa spiacevoli, ma vere. E per contro, ai successi elettorali, di forze politiche demagogiche come  Lega e  Movimento Cinque Stelle.  E qui di nuovo fuochino, fuochino...
 Il punto è, continua Geiger,  che

“mentre la  sostanza e la tecnica della politica  vengono crescentemente  oggettivate  e sviluppate nel senso  della sobria Realpolitik, la decisione elettorale del cittadino viene anch’essa spersonalizzata, ma non in senso oggettivo, bensì in senso ideologico emotivo. I partiti  ed i loro esponenti  si fanno addirittura sostenitori di questa  evoluzione, dal momento  che non pensano  in termini di cittadini ma di massa” (4).

E qui, fuoco, fuoco....  Si pensi, per l'appunto,   all’effetto negativo  che può  avere sulla “massa” la  polemica  tra  Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia,  che auspica, senza tanti giri di parole, l' affondamento della  Seat-Watch,  e Valeria Montanari del Partito democratico, che invece  vedrebbe bene la Meloni  a testa in giù come Mussolini.
Siamo davanti a un dibattito politico totalmente ideologizzato, dove nessuno ascolta più nessuno. Volano solo insulti, che incrudeliscono le masse.   Tanto peggio, tanto meglio, questa la morale politica di oggi.  

Geiger, socialista disilluso come Michels, non crede però  nel cesarismo fascista.  Scorge  invece nell’ascesa di Mussolini e Hitler  un esempio storico dell’ abisso  dove può condurre la democrazia emotiva:   un miscuglio  di anti-intellettualismo e potere carismatico dei capi, trangugiato  da un elettore che

“non si rivolge […]  né al carattere irreprensibile  di un personaggio politico, né alle qualifiche oggettive o all’abilità politica di un funzionario politico, bensì alla dottrina ideologica di un partito. Ad una personalità  essa si rivolge tuttalpiù se, in virtù del suo bell’aspetto o di un eloquenza seducente, essa diviene il simbolo dell’ideologia di massa” (5).

Ideologia  che oggi sembra assumere  la veste dottrinaria del partito-antipartito tipico della forma politica populista e sovranista. Un abito ideologico  di massa  che si nutre del   belluino richiamo della foresta al razzismo e al protezionismo economico e sociale.
Inutile infine  ricordare il ruolo  giocato nella costruzione della democrazia emotiva italiana  da leader carismatici, e graditi alle masse, perché perfetti profeti,  come Berlusconi, Grillo e Salvini.  
Geiger propone come antidoto  una democrazia verbalmente spartana  che  consideri  i valori come  inutili e pericolosi:  una democrazia  fondata  sui  soli interessi e  perciò capace di  parlare a un elettore educato alla sobrietà di parole. Una democrazia vicina ai principi di un illuminismo critico che si rifiuti di cambiare il mondo  secondo i valori armati di una ragione astratta. Una specie di illuminismo popolare, consapevole per un verso dell’impossibilità della democrazia diretta, e per l’altro attento all’interdipendenza economica degli interessi, così importanti  nella moderna società di massa fondata sulla divisione della produzione, dello scambio e del consumo.
Secondo Geiger, come  ha osservato Renato Treves, padre italiano della contemporanea  sociologia del diritto,

“all’illuminismo classico degli enciclopedisti e della rivoluzione francese […] si deve  quindi  opporre  l’illuminismo critico consapevole  dei propri limiti, l’illuminismo che nega l’esistenza di una verità conoscitiva nel campo pragmatico dei rapporti morali, politici e sociali e che ci avverte ‘ che chiunque pretenda di pronunciare una  verità su tali  rapporti, in virtù di questa pretesa dice una falsità’ “ (6).

Non esiste, insomma, alcuna verità sociale. Inutile dunque fomentare le masse agitando, come davanti al toro, lo straccio rosso di missioni impossibili.  Esiste invece la possibilità di trovare accordi su interessi possibili, apertamente, senza nascondersi dietro la fumosa  tirannia retorica dei valori.  Non dimentichiamo che  Geiger, come ricorda Farneti (7),  appartiene alla generazione sociologica “post-classica tedesca”,  di  Carl Schmitt e Hans Freyer, pur prendendo, e giustamente, la strada dell’opposizione al nazismo.
Come convincere uomini che al capire preferiscono il credere -  domanda che si pone lo stesso Treves  -  dell' importanza democratica  di privilegiare  gli interessi rispetto  alle  passioni? 
Geiger qui introduce, come accennato, il concetto di consapevolezza  dell’interdipendenza degli interessi. Semplificando:  non si rapina una banca, perché si ha paura di finire in prigione, ma perché l’atto del  rapinare una banca  mette  a rischio le  certezze della reciprocità sociale. Sono concetti affrontati da Geiger, nei suoi  Studi preliminari.

Che cosa intende  con certezze della reciprocità sociale?

“Il motivo dell’obbedienza non è pertanto il timore della sanzione (intimidazione), bensì la comprensione  della interdipendenza sociale e della necessità di inserirsi in essa in maniera disciplinata e responsabile. Il cittadino accetta la ineluttabilità della interdipendenza  sociale e comprende l’importanza che essa funzioni in maniera possibilmente ineccepibile sulla base di una reciprocità generale. È questo ciò che innanzi designammo come disciplina intellettuale: essa consiste nell’inserirsi  affermativamente e volontariamente nella interdipendenza sociale, anziché nel rischiare di essere sensibilmente ammoniti, mediante la sanzione o altra  reazione sociale dell’impossibilità dell’agire arbitrario (8).

Di conseguenza,

 il riconoscere oggettivo e concreto di una necessità sociale e il subordinarsi ad essa sono cosa diversa dall’ ‘opportunismo freddo calcolo’. Soltanto  all’ipocrisia sociale gravida di morale filistea, può venire in mente di equiparare i due atteggiamenti” (9).

Di qui, secondo Geiger,  il ruolo  della scuola e dell’ intellighenzia ( ceto  distinto dagli accademici e dagli organizzatori culturali)  nel favorire l’adattamento critico del cittadino all’idea di interdipendenza sociale. E come?  Attraverso  lo sforzo sociale congiunto di scuola e intellettuali   per  consentire ai cittadini di giungere  a  nutrire  la consapevolezza, per farla breve, di  essere tutti  nella stessa barca. E, cosa più importante di essere insieme,  non per un misterioso senso dell'unità sociale, metafisico o comunitario,  ma  perché i reali meccanismi dell'interdipendenza sociale così impongono.
Insomma,  va favorita  l'integrazione cognitiva alla democrazia. E non la sua  disintegrazione intellettuale,  promuovendo l’utopia acritica della rivoluzione sociale e politica.  Dal momento che  - semplifichiamo  -    la rivoluzione è il corrispettivo politico della  rapina in banca… Come lo  è, per chiudere il discorso Meloni,  l'idea stessa  di affondare e appendere gli avversari.
Anche perché, come scrive Geiger, nella chiusa,

“ se qui è stato  tentato di trovare  una via per conservare la democrazia, questo tentativo ne implica forse la elevazione del valore a sacramento? Nient’affatto. Esso non costituisce  che un modus vivendi per quanti siano discordi. Niente per cui sventolare bandiere e cantare inni di gloria. Nella sua sobria semplicità la democrazia è,  tra le forme politiche finora escogitate e messe alla prova, quella che più rende relativamente sopportabile  a tutti l’inevitabile coercizione esercitata dalla collettività sull’individuo, la pressione dell’interdipendenza sociale. Questo è il meglio che una qualsivoglia forma di vita politica possa dirsi. A me basta per preferire la democrazia a ogni altra forma statale conosciuta” (10).

E di questi tempi non è  poco.  


Carlo Gambescia
  

(1)  Qui la recensione di  Alessandro Litta Modignani: http://littacontinua.blogspot.com/2019/06/studi-preliminari-di-sociologia-del.html 
(2) Theodor Geiger,  Democrazia senza dogmi. La società tra sentimento e ragione,  in Id.  Saggi sulla società industriale, a cura di Paolo Farneti, Utet, Torino  1970, trad. di Angela Terzani Staude, pp. 281-624.
 (3) Ibid., p. 606.
 (4) Ibid.
 (5) Ibid. 
(6)  Renato Treves, Sociologia del diritto. Origini, ricerche, problemi, Einaudi, Torino 1987, p. 177.
(7) Paolo Farneti,  Introduzione a  Theodor Geiger, Saggi sulla società industriale, cit., p. 9.  
(8) Theodor Geiger,  Democrazia senza dogmi, cit., p. 505.
(9)  Ibid.
(10) Ibid.,  pp. 620-621.