Italia e Russia
I nuovi Tartari
Sapete,
cari lettori, quando inizia la storia della filosofia russa? Nell’Ottocento. E per giunta sotto la veste,
seppure importante, di opere letterarie. Tuttavia, i
grandi scrittori-filosofi russi si divisero subito in occidentalisti (pochi) e
antioccidentalisti (molti). Pro o contro la modernità.
Il secolo successivo fu invece
quello del comunismo: di una modernità totalitaria e barbara, che portò all’eliminazione, diremmo programmatica, molto asiatica (da pile di teste tagliate) di
milioni di russi.
A partire da Pietro il Grande a Stalin e da Gorbačëv a Putin,
gli italiani in Russia hanno svolto il ruolo di consiglieri culturali (i grandi
architetti, anche del pensiero, in particolare dell’età
illuminista), di invasori militari ( due volte al seguito, stupidamente, di altri, Napoleone e Hitler),
affaristi (Fiat, Pci, Iri, Berlusconi e,
come sembra, Salvini).
Semplificando,
russi e italiani si "frequentano" da alcuni
secoli, senza però conoscersi a fondo.
Ovviamente, sul piano accademico esiste una slavistica italiana che
conosce i misteri tenebrosi dell’anima
russa, ma raramente (l’ultima volta fu con Craxi) viene invitata a pranzo a Palazzo Chigi per spiegare le enormi differenze storiche e culturali - quindi di comprensione - tra Occidente e Oriente.
Per l’Italia colta e civile, la Russia resta un continente misterioso, semicivilizzato, imprevedibile, proprio come un tartaro impenetrabile, in cui
scorre il sangue asiatico del nomade, pronto
ad attaccare le popolazione sedentarie. E in effetti il "giogo" tartaro-mongolo (1240-1480), come osserva lo slavista Gino Piovesana, " contribuì non poco all'isolamento della Russia e all'introduzione di usanze e metodi di governo più asiatici che europei" (1)
Per
capire il grado di barbarie antimoderna, tipica di un popolo, che di Bisanzio non ha mai perduto i
tratti totalitari e messianici mal nascosti sotto la ferocia del nomade asiatico, basta
leggere “La Quarta Teoria Politica” di
Aleksandr Dugin: uno spaventoso
concentrato di tradizionalismo e
identitarismo da far accapponare la
pelle (2) . Siamo davanti ai nuovi Tartari, appena sfiorati dal
cristianesimo. I russi continuano a ritenersi,
contrariamente alla lezione evangelica,
più uguali degli altri. Di qui, la loro pericolosità.
Inoltre, la
modernità comunista maldigerita ha prodotto una specie di darwinismo
tradizionalista (al contrario) che designa nel russo il difensore, scelto da
dio, di una civiltà antimoderna, antiliberale e
antioccidentale.
Ora,
puntare sulla Russia, come alleato , cosa
che l’Italia, fino all’ascesa al potere di Salvini e dei
populisti-sovranisti, si era sempre ben guardata
dal fare, significa non sapere o capire nulla dell’ambigua e tenebrosa anima russa.
Certo, il realismo politico, detta di non trascurare nessun partner. Però la diversità
culturale e storica tra Italia e
Russia imporrebbe grande prudenza. E invece cosa si propone di fare Salvini?
Di seguire le orme di Mussolini,
che confondendo gli interessi reali dell’Italia con quelli, per così dire, del
fascismo leghista, si vuole gettare nelle braccia di Putin. Che naturalmente non è Hitler, ma resta comunque un russo dal comportamento
imprevedibile, talvolta ferocemente imprevedibile. E i risultati potrebbero essere disastrosi,
anche per la sperequazione di forze geopolitiche ed economiche tra Italia e
Russia.
Qui, non è questione di soldi
presi sottobanco o meno, come si
legge oggi. In gioco è ben altro: la tradizione culturale dell’Italia e di
conseguenza il nostro futuro.
Salvini
guarda a Est, Di Maio addirittura ancora più Est, verso la Cina , continente ancora più misterioso. L’Italia rischia di staccarsi
dall’Europa, civile e liberale, madre della filosofia, per finire nella braccia di una potenza
più asiatica che euro, digiuna di filosofia come fonte del pensiero critico.
Bariamo? Si aprano due libri, filosoficamente molto
accreditati: la Storia della filosofia italiana, del Garin, e la Histoire de la philosophie russe del Losskij. Bene, Garin inizia da Boezio e Cassiodoro, secoli V-VI d. C. (3). Losskij, asserisce invece
che “la philosophie russe ne commence à
se developper qu’au XIX siècle, alors que l’État russe est dejà vieux de mille
ans” (4). Serve altro?
Carlo Gambescia
(1) Gino Piovesana, Russia - Europa nel pensiero filosofico-russo. Storia antologica, Lipa Edizioni, Roma 1995, p. 17.
(2) Qui la nostra recensione: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2019/07/la-quarta-teoria-politicadi-aleksandr.html .
(3)
Eugenio Garin, Storia della filosofia
italiana, Einaudi, Torino 1966, 2° ed., vol. I, pp. 31-83. Sull' "autorità di Boezio [che]
sarà in qualche modo paragonabile a quella di Aristotele e Sant'Agostino" cfr. Ibid., p. 32.
(4) Nikolaj Onufrievič Losskij, Histoire de la philosophie russe des origines à 1950, Payot, Paris 1954, p. 5.
(4) Nikolaj Onufrievič Losskij, Histoire de la philosophie russe des origines à 1950, Payot, Paris 1954, p. 5.