Salvini e la logica dei campi di
concentramento
Il ritorno del filo spinato
Nella
storia dell’Italia repubblicana non esistono precedenti. E probabilmente anche
nell’intera storia europea dopo la Seconda Guerra Mondiale. Che è storia della libertà. Di cosa
parliamo? Del ritorno del filo
spinato. E purtroppo della mentalità concentrazionaria.
Se
è vero che le foto hanno
un valore simbolico, quella che
ritrae Salvini è sovraccarica di simboli barbarici. Dirompente.
Si vede il Giostraio Mancato, incravattato, tra il filo spinato, mentre scruta, dall’alto di una torretta, un orizzonte, ovviamente popolato di famelici immigrati che vogliono rubarci donne e beni. E in compagnia di un “signore”, anch'egli in ghingheri, che si proclama liberale. Certo, come quei liberali che tradendo l’idea si schierarono con il fascismo.
Banalità del male? Sì. E siamo stanchi ma non domi di ripeterlo ogni volta. Insomma, di fare la Cassandra. O se si preferisce il guastafeste. Del resto, neppure di Mussolini, esistono foto del genere. C’è n'è una che lo ritrae davanti a un cannocchiale sul fronte greco. C’era la guerra però. Giusta o sbagliata che fosse, dall’altra parte c’erano le linee nemiche, insomma, gli avversari in armi. Mentre Salvini scruta un nemico immaginario, frutto della sua mente politicamente malata. Probabilmente vittima del morbo nazista più che fascista.
Si vede il Giostraio Mancato, incravattato, tra il filo spinato, mentre scruta, dall’alto di una torretta, un orizzonte, ovviamente popolato di famelici immigrati che vogliono rubarci donne e beni. E in compagnia di un “signore”, anch'egli in ghingheri, che si proclama liberale. Certo, come quei liberali che tradendo l’idea si schierarono con il fascismo.
Banalità del male? Sì. E siamo stanchi ma non domi di ripeterlo ogni volta. Insomma, di fare la Cassandra. O se si preferisce il guastafeste. Del resto, neppure di Mussolini, esistono foto del genere. C’è n'è una che lo ritrae davanti a un cannocchiale sul fronte greco. C’era la guerra però. Giusta o sbagliata che fosse, dall’altra parte c’erano le linee nemiche, insomma, gli avversari in armi. Mentre Salvini scruta un nemico immaginario, frutto della sua mente politicamente malata. Probabilmente vittima del morbo nazista più che fascista.
Il
nemico di Salvini è lo stesso nemico di Hitler: il diverso. Siamo davanti alla
stessa visione antropologica del nazionalsocialismo. Si vuole dividere l’Europa in
tanti campi di concentramento. Che devono ospitare in primis gli europei, rinchiusi nei ghetti
nazionalistici: gabbie dorate si promette. Ma di riflesso anche tutti gli altri: i diversi e in particolare chiunque osi bussare alle porte del paradiso dei bianchi, a cominciare dagli angoli di cielo difesi da Salvini e Orbán. Si incita all'odio verso gli immigrati tout court, che per ora, come si dice, vanno respinti. Di qui i muri e i porti chiusi. Il filo spinato, insomma. Ma se "necessario", dal momento che la logica
salviniana è la stessa dei nazionalsocialisti, chi ci garantisce che si eviteranno "soluzioni finali"?
Purtroppo sembra essere uguale anche l’acquiescenza dei volenterosi carnefici di Salvini, come un tempo di Hitler. Pensiamo a coloro che lo votano entusiasti. Il principio è quello demagogico del “Chi volete che liberi, Barabba o Gesù?”. E da sempre, le emotive folle democratiche rispondono Barabba. Perché stupirsi allora se oggi gridano i nomi di Salvini e Orbán?
Il fatto che il Giostraio Mancato sembri andare orgoglioso di una foto del genere, denuncia, ripetiamo, la gravità della situazione. I barbari, non quelli immaginari di Salvini ma quelli veri, finora nascosti dentro l'anima cattiva di tanti europei e italiani, sembrano di nuovo riaffacciarsi dai bassifondi dell'ideologia razzista.
Esageriamo? No, perché tra i volenterosi carnefici di Salvini, quelli dalla parte di Barabba, non mancano giornali e giornalisti. Insomma, si parla di una foto ignorata dalla stampa nazionale, a parte “Repubblica”, che proprio per le sue radici di sinistra l’ha messa in prima pagina, perché, piaccia o meno, storicamente consapevole del pericolo.
Per il resto è silenzio. E anche questo è un grave segnale. Anzi gravissimo.
Carlo Gambescia