giovedì 9 maggio 2019

La sinistra impone l’esclusione di Altaforte dal Salone Internazionale del Libro
Povera idea liberale…




Quando si tira in ballo il  liberalismo, per attaccarlo o elogiarlo, lo si confonde spesso con la sua versione liberal,  socialdemocratica, di sinistra.  Ci riferiamo a un tipo  liberalismo, che in un libro abbiamo definito macro-archico:   nel senso  che  appoggia e vivifica la forza dello stato.  In teoria, si dice, per armonizzare gli interessi,   in pratica, per imporre, travestendoli da interessi pubblici, di tutti,  quelli di coloro che sono al governo e della parte che rappresenta. 
Se il liberalismo nasce storicamente come difesa dell’individuo dall’ingerenza dello stato e del governo, quindi dal politico nelle sue varie estensioni,  il liberalismo macro-archico, tradisce in pieno questo ideale di libertà. 
Chiediamo scusa per le precisazioni introduttive,  ma il passaggio si è reso necessario  per definire come profondamente illiberale l’esclusione della casa editrice Altaforte dal Salone internazionale de del Libro di Torino. Una vergogna.  Roba da Unione Sovietica (*).
Certo,  Altaforte  è un  editore di destra, estrema destra.    Ma, ecco il punto, ciò, in un paese liberale, non può giustificare la porta chiusa in faccia.   Ne abbiamo già illustrato le ragioni: la cultura non va mai mescolata con la politica. La prima si fonda sul dialogo, la seconda sul conflitto; la prima rinvia all’avversario, la seconda al politico; la prima punta a convincere, la seconda a vincere.  Sono due piani completamente diversi e separati. E devono restare tali, altrimenti si rischia il precipizio totalitario (**).
Si dirà che si tratta  di fascisti dichiarati.  Quindi ci si deve difendere, eccetera, eccetera. Di qui le “giuste” pressioni politiche sugli organizzatori del Salone.  Questa,  la tesi dei censori.  
Però, in sostanza,  si  usa  la  forza politica in ambito culturale. Si tratta di un' invasione di campo in piena regola.  Si ricorre al  "momento"  archico (nel senso del principio del comando, dal greco archéarcho, eccetera***)  della Città di Torino e della Regione Piemonte, per chiudere la bocca all'avversario culturale,  trasformato in nemico politico assoluto. E  nel caso specifico, nel nome dell' antifascismo di una  sinistra che in realtà non è  liberale,  anche se si professa tale,  perché, ripetiamo,  tramutando l'avversario in nemico gli nega  sul piano culturale  la libertà  di parola.  Proprio quel che  distingue il liberalismo dal totalitarismo. Non  è roba da poco. E non concerne la qualità delle cultura che si avversa. Che può essere alta, media, bassa, eccetera: il punto non è questo.  
Il  veto  però  spiega bene   il senso profondo  del liberalismo macro-archico e del  perché  piaccia  tanto alla sinistra.
Il liberalismo statalista, repubblicano o liberal (semplificando), consente di censurare, politicamente,  l’altrui pensiero  in nome di un presunto interesse pubblico,  che in realtà riflette l’ideologia antifascista, ma non antitotalitaria,  della sinistra:  la parte non il tutto, insomma. Si gioca, piaccia o  meno,  sull' equivoco.
Il no rispecchia  i desiderata ideologici  di una parte politica, che ad esempio, nelle sue frange estreme, proprio quelle che si sono battute per escludere Altaforte,  condanna il nazismo ma  definisce Israele uno stato coloniale e terrorista . Mentre ritiene tuttora che gli  "errori" della Russia Sovietica e del   comunismo furono commessi a fin di bene…
Conseguenze?  Altaforte, che non brilla per la sua  conoscenza del pensiero liberale,  potrà  inveire contro  il liberalismo tout court  con più forza di prima  e dichiararsi  casa editrice perseguitata.  I  censori di sinistra, altrettanto ignoranti, ma politicamente influenti,  potranno invece  ergersi, giocando sull'equivoco,  a difensori del liberalismo  a tutto tondo.
Che tristezza. Povera idea liberale. E povera Italia.

Carlo Gambescia            
   


(**) Qui il nostro articolo in argomento:  http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2019/05/wu-ming-rinuncia-al-salone-del-libro-le.html

(***)  Cfr. Carlo Gambescia, Liberalismo triste. Un percorso: da Burke a  Berlin, Edizioni il Foglio, Piombino (LI) 2013, p. 71, nota 36.

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