La guerra del rosario
Antonio Ferrer e Matteo Salvini
Ma la nostra non era una società
secolarizzata? Dove rosari e preghiere sono optional per il tempo
libero? Sappiamo già cosa ci si potrebbe
rispondere. Che l’ “uso politico” della religione, e dunque del
rosario, alla Salvini per intendersi, è
invece il frutto avvelenato di una
società secolarizzata, dove purtroppo la religione - in particolare la pratica - non è che una continuazione
del marketing con altri mezzi. Quelli della pubblicità. Pubblipolitica, insomma.
Il Cancelliere Antonio Ferrer in un' edizione
illustrata dei Promessi Sposi
|
Perfetto. Di conseguenza, allora, le Crociate furono il prodotto di una gigantesca campagna pubblicitaria di un Berlusconi dell'epoca, ma in vesti sacre: un certo Urbano II…
Lo
stesso discorso potrebbe valere anche per le guerre
religione, perfino quelle interne al mondo
protestante, tra rivoluzionari e conservatori, come insegna la Prima Rivoluzione
inglese. Nonché per i contrivoluzionari all'opera nelle infiammate campagne italiane e vandeane. E che dire dei crocifissi e in particolare dei rosari avvolti intorno alla baionette franchiste durante
la guerra civile spagnola? Tutta pubblipolitica? Anche in società non secolarizzate? I conti non tornano.
Carl
Schmitt ha sostenuto che nonostante i
moderni dichiarassero il contrario, la
politica, perfino nei parlamenti, è una prosecuzione della teologia con altri
mezzi. Sia sotto il punto vista della
regolare trasformazione del nemico in apostata, sia sotto quello dell’uso simbolico del messaggio
cristiano: veicolo di conservazione per gli uni, di progresso per gli altri.
Insomma, di teologie politiche in conflitto, clericale e anticlericale. E guai a vellicarle.
Iconografia controrivoluzionaria settecentesca |
Schmitt
non era un amico del liberalismo. Però, vivendo nell' epoca dei totalitarismi, intuì, come il liberale Benedetto Croce, che l’uomo non è ciò che mangia, ma ciò in
cui crede, spesso in modo irrazionale. Di qui, a suo dire, il rischioso ricorso alle ideologie salvifiche, di cui il populismo e solo l'ultima incarnazione. E cosa ancora più grave, l' uso improprio di tutta una
segnaletica (la parola non è scelta a caso) simbolica.
Se ci si perdona la
metafora blasfema per un cattolico, il
rosario è come un semaforo che può indicare alle folle il rosso, il verde, il
giallo… Dipende sempre e solo dal detentore: il papa, un dittatore,
un cattolico liberale, una vedova
ottantenne, un anarchico, un
arruffapopoli, eccetera, eccetera.
Cosa vogliamo dire? Che, come la nitroglicerina, stando almeno alla lezione di Schmitt, il rosario andrebbe maneggiato con cura. Come insegnano sociologia e buon senso politico, le folle, secolarizzate o meno, non vanno mai eccitate, in un senso come nell'altro. Proprio per evitare, ripetiamo, lo sviluppo di un meccanismo a spirale, capace solo di moltiplicare l'odio tra le opposte "teologie" clericale e anticlericale. Cosa, tra l'altro, da noi già sottolineata nell' articolo a proposito dell'irrituale blitz populista del cardinale Robin Hood (*).
Manzoni, da buon cattolico liberale, immortalò l’astuto realismo politico di Antonio Ferrer, Gran Cancelliere (e personaggio storico), che si guardò bene dallo sfidare le folle milanesi inferocite dalla fame: “ Pedro, adelante con juicio”.
Cosa insegna Manzoni? Dal momento che la gente tende ciclicamente a vedere il mondo in bianco e nero, diviso tra buoni e cattivi, dunque in chiave di conflitto teologico tra bene e male, il politico deve essere prudente. Mai enfatizzare.
A prescindere dalle finalità, un buon politico non deve mai mettersi nella condizione di spargere inutilmente sangue. Insomma, come giustamente scrive Manzoni a proposito del Ferrer, “si può spendere bene, una popolarità male acquistata”.
A prescindere dalle finalità, un buon politico non deve mai mettersi nella condizione di spargere inutilmente sangue. Insomma, come giustamente scrive Manzoni a proposito del Ferrer, “si può spendere bene, una popolarità male acquistata”.
L’esatto contrario di quel che fa Salvini, che spende male una popolarità male acquistata.
Carlo Gambescia